Effemeridi: pillole di satira e costume

Magliette azzurre
di Fadila

Era appena iniziata l’ultima decade di giugno quando, trovandomi lungo la strada principale del mio quartiere, ho notato che a differenza di altre manifestazioni del passato in cui era impegnata la nostra nazionale, per lo meno dai campionati mondiali di Spagna, le bandiere esposte mi apparivano per la loro esiguità come le mosche bianche, nonostante la nostra squadra fosse sulla cresta dell’onda. In altri tempi, invece, l’entusiasmo si manifestava subito alimentato soprattutto da giovani e bambini che spingevano i loro papà a comprare la bandiera più bella e più grande da esporre a finestre e balconi. Così correvano dagli ambulanti che, agli angoli delle strade con i loro bussolotti addobbati dai vessilli su piccoli e improvvisati pennoni a raggiera quali margherite multicolori, facevano affari d’oro. In famiglia si stabiliva una tregua per nervosismi e litigi, sostituiti dall’interesse comune verso i nostri giocatori. Persino i quartieri periferici con i loro squallidi, anonimi palazzoni diventavano esteticamente più godibili.

Mentre camminavo pensando a queste cose mi era venuto incontro un "giovane" quarantenne amico di mia figlia cui avevo comunicato tutta la mia meraviglia per non saper più cogliere i momenti di gioia da queste piccole oasi sportive. Guardandomi un po’ sbigottito mi aveva chiesto quasi con risentimento di spiegargli bene le ragioni, gliene sarebbe bastata una, dell’essere felice, quando milioni d'italiani di vari ceti, compreso quello medio e gran parte delle nuove generazioni, nel presente stavano lottando per la sopravvivenza, incapaci di vedere spiragli per il futuro. Semmai le bandiere, a milioni, andavano esposte a mezz’asta.


Fadila 16 1Quanto a me, aveva proseguito, da tempo ho perso il mio lavoro oltretutto precario, e dal mese prossimo non prenderò neanche l’indennità di disoccupazione. Le partite, certo, le guardo perché il calcio mi è sempre piaciuto oltre al fatto che in alternativa non saprei cosa scegliere vista la paccottiglia che c’è in giro, ma senza l’entusiasmo e la partecipazione di un tempo quando una vittoria o una sconfitta della nazionale le sentivo come la mia vittoria e la mia sconfitta. Mi pare oltretutto fuori luogo quel retoricume patriottardo, sicuramente senz’anima, ben espresso dal commissario tecnico. Il suo incitamento agli italiani di indossare, negli stadi e fuori, la maglia azzurra, mi è parso come un rimprovero di scarso patriottismo. Una vera impudenza da parte di chi in panchina non l’ha mai fatto, agghindato come un fighetto nel suo abito nero, dallo stile un po’ Zega , e che ritenendo inadeguati i tanti milioni di euro percepiti dalla nostra federazione, di cui per una centesima parte faremmo salti di gioia e andremmo a piedi fino a Lourdes, appena gli è arrivata dall’estero un’offerta economicamente superiore ha subito accettato mentre la nazionale era ancora nella fase preparatoria e in mezzo al guado per il mondiale del 2018.

Questa mancanza di ritegno, d’altra parte, non è un episodio limitato al caso specifico, ma ormai diffuso nell’establishment della nostra società, un sintomo chiaro che la classe dirigente non riesce più a comprendere le aspettative e i bisogni di gran parte della nostra collettività. L’Italia, aveva continuato il mio interlocutore, diventato un fiume in piena, è veramente spaccata in due parti che non riescono più a parlarsi se non per mezzo della sfrontatezza dei potenti. La loro arroganza è interpretata fedelmente dai mass media che si adeguano per convinzione e necessità. Non solo i giornalisti della carta stampata ma anche quelli televisivi, persino i più radicali in apparenza. E si capisce perché; da questo regime hanno gloria e danaro, e in fondo anch’essi fanno parte dell’elite; cane non morde cane. Sono della stessa pasta e lo dimostrano quando, senza vergogna, dallo schermo del servizio pubblico, che in teoria dovrebbe essere anche un po’ mio, fanno la pubblicità ai loro libri per amplificare le vendite o sponsorizzano i loro figli che avranno certamente un futuro migliore del mio e dei milioni di cittadini che si trovano nelle mie stesse condizioni.

Ci vorrebbe una rivoluzione ma ormai, questa è stata la sua conclusione, siamo così svuotati che non abbiamo neanche la forza di pensarla. Non gli ho voluto aggiungere per pietà che, come la storia insegna, anche le rivoluzioni più radicali perdono presto il loro spirito originario perché la nuova classe dirigente s’imborghesisce e si integra con quella precedente in grado rapidamente di adattarsi e riprodursi con una velocità superiore a quella dei virus o delle amebe.

Tornando alla realtà pallonare, c’è da aggiungere che la nostra nazionale è andata avanti con dignità finché ha potuto, ma le bandiere esposte sono aumentate di poco con conseguente incremento di reddito per gli ambulanti, in linea d’altra parte col PIL italiano. Cresciuto a dismisura, invece, quello del C.T., che senza por tempo in mezzo è volato a Londra per il suo nuovo incarico, non prima di aver versato qualche finta e retorica lacrima di coccodrillo a uso del pubblico sulla sua sospetta, prematura nostalgia per la nazionale. Così va il mondo, almeno quello nostro del momento. Quadrato Verde

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