Lavoro… rotta verso 2.0

di Stefano Olivieri Pennesi [*]

Olivieri Pennesi 2 1Futuro economico e del moderno mercato del lavoro

Il modello digitale di sviluppo per l’economia futura portando l’esempio del settore editoria

Il contesto dell’editoria elettronica, esemplificativamente, allarga il proprio campo di azione esportando contenuti all’offerta di notizie, informazioni e servizi destinati ai siti web, divulgazioni e promozioni di testi scientifici, di alta specializazione o di nicchia, per mezzo di prodotti specifici a consumo e diffusione della “rete”.

L’universo editoriale affronta un profondo rinnovamento che non riguarda solamente lo strumento concreto, sia esso libro che giornale o periodico, nella loro accezione materiale, quali supporti classici alla lettura e a consumo dei lettori tradizionali, ma anche e soprattutto i meccanismi alla base dell’industria tradizionale, messi in discussione da nuovi processi e dinamiche, in cui si sostanziano le nuove strategie di diffusione e uso dei rinnovati prodotti editoriali.

Anche il mercato del lavoro, dell’ambito editoriale, si scopre sempre più digitale e si lega a nuovi strumenti come: l’e-reader, i tablet, gli smart phone, dove il primo dispositivo è stato concepito, appositamente, per la lettura e gli altri due quali strumenti di lavoro che possono soddisfare esigenze personali ma principalmente intensificare efficacia e produttività agli ambiti lavorativi e professionali.

Nell’epoca digitale il lavoro necessita, sempre più, di interconnessione permanente che si affianca ad una vita sociale condivisa in “remoto” sfruttando i canali che si supportano appunto della rete: facebook, twitter, whatsapp, youtube, google plus, blog vari, ecc.

Tutto ruota sulla connettività permanente anche gli elementi che stimolano l’emersione di nuova creatività ed innovazione. Si assiste ad una rivoluzione, nei fatti, dei modelli produttivi e ad un profondo cambiamento delle strategie di comunicazione.

Sempre più emergono “lavoratori atipici 2.0” o anche liberi professionisti che si dedicano alla propria attività al di fuori dell’ambiente di lavoro classico/tradizionale e fuori dei canoni comuni, privilegiando l’utilizzo intensivo di internet.

Certamente, tutti i mestieri tradizionali necessitano di essere intrapresi facendo i conti con competenze e metodi maggiormente innovativi.
Appunto il modello digitale moltiplica indubbiamente la possibilità, per i contenuti, di essere visibili da parte di una vasta e variegata utenza.

Tornando al contesto del prodotto editoriale, la sua funzione non risulta più essere passiva, ma assume caratteri di attività ed interattività.
La tecnologia detta spesso le regole, i prodotti vengono ad arricchirsi con contenuti multimediali ai quali possono concorrere anche i fruitori finali/utenti.

Quindi i professionisti della comunicazione a tutto tondo, scrittori, editori, giornalisti, traduttori, blogger, fotografi, freelance, nel mare di informazioni presenti in rete e nelle sue potenzialità, debbono poter cogliere nuovi significati ma anche nuove competenze professionali da poter offrire ad un pubblico immensamente più ampio, diversificato, composito, non limitato o limitabile da confini fisici e sociali.

In questo ragionamento siamo partiti, a mo di esempio, da un settore economico specifico, quale quello dell’editoria, ma il futuro economico e del mondo del lavoro risentirà inevitabilmente in maniera universale di una galoppante invasività tecnologica.

È sotto gli occhi di tutti l’evoluzione e i progressi fatti nel campo della cosiddetta intelligenza artificiale e le sue dirette implicazioni con i sistemi informatici, la medesima evoluzione dei computers, unitamente alla “connessione” delle popolazioni che può raggiungersi da ogni parte del pianeta, anche grazie ad una maggiore densità, copertura satellitare, ed infrastrutture immateriali, condurrà ad implementare piattaforme e network digitali, consentendo, al contempo, di mettere a punto nuove tecnologie che potranno incrementare nuovi beni e nuovi servizi per l’umanità.

05 Pennesi 01Il problema, che comunque non è sfuggito a studiosi e cultori della materia lavoristica, è il fatto che le macchine e i computers hanno continuato a sostituire e riprodurre il lavoro manuale degli esseri umani (tale realtà è stata ampiamente indagata ed anticipata quasi venti anni orsono dall’economista sociale Jeremy Rifkin con il suo volume “la fine del lavoro”).

Di contro, per il vero, questo andamento economico ineluttabile porta sempre più a considerare come anche il mercato del lavoro debba cambiare.

Infatti, c’è un innegabile bisogno di governare nuovi sistemi produttivi orientando sempre più la manodopera, da mera manovalanza, dedita a mansioni rutinarie, a professionalità con competenze e conoscenze lavorative medio alte che, inevitabilmente, vedono alla loro base percorsi di studi superiori e/o specialistici tali da dover conseguentemente influenzare i percorsi scolastici, universitari e di formazione che potremmo definire “naturalmente permanenti” a vantaggio delle nuove masse di lavoratori 2.0.

Molto spesso, e sempre più frequentemente, questo innovato mercato del lavoro richiede occupazioni per mansioni astratte a forte contenuto intellettivo/creativo.

La stessa problematica incide, assolutamente, sulle conseguenti politiche salariali, facendo di fatto ingenerare, nel mercato globale dei redditi, aggressive strategie concorrenziali che conducono ad un livellamento, in basso, degli standard stipendiali concentrando, di contro, benessere ed utili verso i Paesi che maggiormente detengono la primazia e titolarità delle proprietà intellettuali/brevetti.

È di tutta evidenza, quindi, che gli effetti di una vera tecnologia, che non esiterei a definire galoppante, relativamente alle prospettive occupazionali e salariali globali, nell’immediato futuro, influenzerà fortemente i livelli di istruzione complessivi dove la quantità di conoscenze detenute dai lavoratori, di qualsiasi settore di appartenenza, potranno rappresentare il solo e sicuro antidoto ad una possibile loro sostituzione da parte di nuove generazioni di macchine e/o modelli di automazione produttiva.

Relativamente a ciò che è stato poco prima detto, si può certamente intavolare un discorso che prenda spunto da quanto possa influire l’innovazione tecnologica rispetto alle strette correlazioni con l’innovazione sociale in riferimento anche alle “nuove forme di lavoro”.
La trasformazione del lavoro odierno è sempre più focalizzata, nei processi di produzione, e dinamiche culturali, dove l’industria e i servizi, nel loro insieme, assommano fattori culturali e creativi come variabili fondamentali di nuove concezioni lavoristiche.

Lavorare oggi rappresenta anche un modello dove la linea di demarcazione, tempi di lavoro tempi di vita, si fa sempre più labile, ma non per questo meno necessaria.

Coltivare attività ed interessi, nel tempo libero, mischiando magari frequentazioni nei cosiddetti “vettori social” spesso sfocia in attività lavorative atipiche o para lavorative dir si voglia, a questo si somma, ovviamente, la destrutturazione luogo-temporale dove la flessibilizzazione del lavoro diventa sempre più aspetto dominante e ineluttabile.

In questo contesto stiamo altresì assistendo alla esplosione del lavoro autonomo svolto e convenzionalmente definibile lavoro freelance.
In tale quadro d’insieme la “rete” rappresenta, al tempo stesso, alveo e veicolo delle dinamiche/traiettorie imprenditoriali e lavorative di una nuova economia prospettica del terzo millennio.

La rete, appunto, ingloba in se le diverse arterie, identificabili quali principali social media, che possiamo sommariamente enunciare in: LinkedIn, specificamente dedicato al lavoro, ma come anche Twitter, Facebook, Google+, Amazon, Groupon, Ebay, tutti potenzialmente e concretamente canali fattivamente vocati a rappresentare opportunità di lavoro come anche di mediazione professionale, dove poter operare con la propria professionalità creando attorno a se veri e propri marchi, dove il Web rappresenta un terreno ideale, in quanto immediato, reticolare, virale, economico, per poter diffondere produzioni, prodotti, servizi, beni materiali e immateriali, cultura, conoscenze, ecc. in una unica parola “lavoro” nelle sue svariate declinazioni.

Per tutto questo va affrontato, inevitabilmente, il concetto di innovazione sociale, che sfocia in concreto cambio di mentalità soprattutto nel nostro agire economico.

Sempre più riscontriamo professioni e professionalità che mal si conciliano con meccanismi tradizionali di strutturazione produttiva industriale, non più adatta per la loro proficua utilizzazione.

Di converso, pensare il lavoro e le professioni nei prossimi decenni, anche in un’ottica non solo economicistica, ma soprattutto socio-culturale, significa convivere in un sistema con dinamiche e funzioni produttive sempre più immateriali, dove la connessione permanente alla rete rappresenterà il contenitore globale dei pensieri, parole, beni, che vedranno legarsi indissolubilmente.

Da tutte queste riflessioni passiamo ad esaminare ancora più in profondità come cambia il lavoro 2.0.

In primo luogo è bene porci la domanda se il web sta cambiando le nostre esistenze. La risposta è che ciò è semplicemente già avvenuto, ogni giorno questo mezzo permette l’interrelazione tra realtà e persone lontanissime, e questo ha altresì creato e accelerato problematiche. L’imprenditorialità giovanile ha visto accrescersi grazie anche a sistemi di innovazione aperta come anche di emulazione competitiva.

Si è assistito ad un crollo di alcuni mercati e conseguentemente del lavoro ad essi collegato, ma al tempo stesso sono sorti settori e ambiti merceologici impensabili fino ad alcuni anni or sono, creando nuovi posti di lavoro e conseguenti professionalità emergenti.

In questi nuovi scenari economici chi sta affacciandosi ora al mondo del lavoro appartiene alla generazione dei cosiddetti “nativi digitali”.
Gli stessi nativi digitali si stanno cimentando, sempre più frequentemente, in contesti di autoimprendiotrialità, anche e soprattutto alla luce delle sempre minori opportunità lavorative reperibili in ambiti tradizionali.

Ciò ha rappresentato, di conseguenza, il bisogno di costruire e verificare, per tali nuovi soggetti che si affacciano con proprie idee e nuovi ambienti lavorativi, un cosiddetto “Brand personale” ovvero la promozione di se stessi e parallelamente il ritorno di giudizi, pensieri, azioni anche di natura economica, dell’universo sociale esterno e ciò avviene in vari contesti della propria esistenza.

In Italia tra coloro che maggiormente hanno indagato e scritto su tale realtà e più specificamente su come “promuovere” se stessi on line, attraverso la rete e i social media, anche allo scopo di creare nuove opportunità di natura lavorativa, annoveriamo Luigi Centenaro.

Il concetto cardine di brand, che in passato si legava sostanzialmente ad un prodotto, un marchio, un bene, oggigiorno, anche grazie a nuove strategie e gestioni di marketing, si lega a persone in carne ed ossa, che assurgono a ruolo di personaggi pubblici con immagini ed idee dal valore trainante che proprio per questo possono facilitare produzioni, prodotti, campagne umanitarie e socilei, in una modalità omogeneizzate materiale/immateriale.

05 Pennesi 02Ebbene, il cosiddetto “Branding” è insito nel continuo interagire delle persone che subisce un naturale moltiplicatore del fenomeno legato alla velocità, quantità e qualità di notizie prodotte incessantemente dai vigenti strumenti social, nel più ampliato contesto fornito dal denominato web sociale.

L’elemento cardine di questa realtà, posta al confine tra reale e virtuale, è per così dire “coltivare”, al meglio, la propria immagine possibilmente differenziandosi per proposte, idee, prodotti, servizi, opportunità, ovvero qualunque elemento utile a muovere, consapevolmente o meno, le leve di una moderna economia, sia essa materiale che immateriale.

Tornando al ruolo dei Social Network essi indubbiamente risultano essere protagonisti, nel campo dell’innovazione, attraverso diversi parametri che potremo identificare in “relazionali” vale a dire la possibilità illimitata di contattare e conversare con altri utenti, Facebook è l’esempio per eccellenza.

L’informazione è un altro fondamentale parametro, e in tale ambito ha mosso la sua evoluzione e diffusione virale, Twitter, strumento che permette di diffondere propri pensieri ed idee, accompagnate eventualmente da immagini, usando un mini spazio, blog, con la particolarità di potersi esprimere con solo 140 caratteri.

Tale opportunità viene intesa come piattaforma microblogging sulla quale possono lanciarsi hashtag # ovvero parole chiavi necessarie per raggruppare i messaggi twitter per tematiche, accadimenti, iniziative, promozioni, idee, ecc.

Ed infine merita una citazione a se il professional network per eccellenza, ovvero LinkedIn, orientato principalmente per sviluppare occasioni professionali.

Su tale portale si ritrovano, frequentemente, i profili aziendali di Big Company ma anche profili di medie e piccole imprese famigliari, è altresì possibile conoscere chi lavora in tali aziende, da chi sono ricoperte le diverse mansioni, e in quali luoghi/distretti vengono svolte.

Anche la ricerca di personale, da parte delle aziende stesse, quindi, subisce inevitabili influenze da parte degli strumenti Web 2.0. Screening e preselezioni dei candidati avvengono anche in modalità mediata, si analizzano attitudini trasversali, dei potenziali candidati, indagando sui loro profili presenti nei maggiori social, dove maggiormente emergono, rispetto ai più classici e statici Curriculum vitae, le caratteristiche, pensieri, abitudini, frequentazioni, aspettative, hobbies, esperienze, ecc.

In definitiva, l’evoluzione naturale della “Websfera” influenzerà sempre più le nostre esistenze, in una modalità avvolgente, dove i limiti esistenziali, sociali, lavorativi, si faranno sempre più labili e aggiungerei proprio per questo, più conformati ad atteggiamenti emulativi, in un sistema di vita globalizzante, con sempre meno specificità e differenziazioni comportamentali. Quadrato Azzurro

[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, Roma – titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro”. Il Prof. Stefano Olivieri Pennesi è anche Dirigente del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza ai sensi della Circolare del Ministero del Lavoro del 18-3-2004.


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