Il lavoro accessorio come strumento di emersione del lavoro sommerso

di Gianna Elena De Filippis [*]

Gianna Elena De Filippis

Introduzione

Nel presente elaborato si intende offrire un quadro generale sulla normativa contenuta nel Titolo VII, Capo II, del d.lgs. n. 276/2003, agli articoli 70, 72[1] , 73, riguardante le “Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti”.

Traendo ispirazione dal modello belga, dopo avere inserito una variegata ed innovativa serie di contratti di lavoro[2] , il legislatore, con il d.lgs. n. 276/2003, introduce anche nel nostro assetto giuslavoristico il lavoro occasionale accessorio (di seguito lavoro accessorio).

Tale istituto ha rappresentato per l’Italia una novità assoluta tanto che è stato “assunto” come un vero e proprio “esperimento” giuridico, da testare con cautela e prudenza nel tempo. Essendo una novità, il legislatore è stato spesso insicuro e disorientato.

Nel testo delle norme, già da una prima lettura sommaria, si riscontra una generale indeterminatezza lessicale; tutta la regolamentazione è lacunosa, sia nelle definizioni sia nei concreti meccanismi procedurali. Le ultimissime novità sono giunte con la legge n. 92/2012 e con la legge n. 99/2013.

Premesso che solo nel 2008 si ha la prima vera sperimentazione dell’istituto nel settore delle vendemmie, in generale, tutti gli interventi legislativi avuti dal 2003 ad oggi sono stati nel senso di un costante ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto.

L’intera normativa in esame rientra nel più ampio e lungimirante progetto di promuovere l’innalzamento dei livelli occupazionali regolari ed ottenere, nel lungo periodo, l’emersione del lavoro sommerso per quei lavori che, per la loro minima entità, prima non avevano alcuna regolarizzazione né tutela.

La ratio legis, infatti, è proprio quella di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso, che è diventato ormai dilagante in Italia, in tutti i settori.

In presenza di una normativa scarna ed in continua evoluzione, un ruolo determinante nella gestione concreta dell’istituto è stato svolto dalla prassi amministrativa di INPS ed INAIL. Le circolari dell’INPS rappresentano l’unica fonte di regolamentazione delle modalità attuative che i soggetti “interessati” devono e possono seguire nelle diverse fasi della procedura.

È l’INPS ad aver “escogitato” e gestito la procedura telematica e la procedura cartacea per l’utilizzo del lavoro accessorio, usufruendo anche del servizio di Poste Italiane S.p.a..

È lo stesso INPS ad avere rilanciato l’istituto attraverso l’attivazione della vendita dei buoni lavoro presso i tabaccai autorizzati ad hoc (rivenditori di generi di monopolio autorizzati).

Accanto alle circolari dell’INPS, fondamentali sono, inoltre, i “responsi” agli interpelli presentati al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali da varie associazioni di categoria, a chiarimento della normativa.

1. Ambito di applicazione e caratteristiche del lavoro accessorio

Il lavoro accessorio è una speciale modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che prescinde dai principi cardine del lavoro subordinato, autonomo e parasubordinato e che riguarda prestazioni di lavoro saltuarie, marginali e in ogni caso circoscritte entro limiti normativi ben definiti. Si tratta di prestazioni lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5000 euro (6600 euro lordi) nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente. Qualora, poi, il committente sia un imprenditore commerciale o un professionista il compenso annuale per singolo committente non potrà superare i 2000 euro (2666 euro lordi). 

In linea generale, così come spiega con chiarezza la circolare INPS n. 49/2013, l’espressione “imprenditori commerciali” risulta comprensiva di tutte le categorie disciplinate dall’ art. 2082 e ss. del codice civile, con esclusione, dell’impresa agricola separatamente disciplinata dal comma 2 del novellato articolo 70.

In particolare, anche alla luce di quanto previsto dalle circolari n. 18/2012 e n. 4/2013 del Ministero del Lavoro, rientra nella categoria di “imprenditore commerciale” qualsiasi soggetto persona fisica e giuridica che opera su un determinato mercato, per la produzione, la gestione o la distribuzione di beni e servizi, senza limitazioni dell’attività di impresa alle attività di intermediazione nella circolazione dei beni.
Il limite dei 2.000 euro trova applicazione anche nei confronti dei committenti professionisti.

La norma trova applicazione nei riguardi sia degli iscritti agli ordini professionali, anche assicurati presso una cassa diversa da quella del settore specifico dell’ordine, sia dei titolari di partita IVA, non iscritti alle casse, ed assicurati all’INPS presso la gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, legge n. 335/1995.

Si precisa che in caso di acquisto di buoni lavoro da parte di imprenditori commerciali o liberi professionisti in qualità di committenti privati il limite economico per prestatore è ovviamente pari a 5.000 euro annui.

A decorrere dalla legge n. 92/2012, dunque, nel rispetto dei vincoli suddetti, il lavoro accessorio può essere utilizzato in ogni settore di produzione, laddove in precedenza l’articolo 70 ne definiva in maniera tassativa l’ambito di applicazione (ad esempio, menzionava i lavori domestici, il giardinaggio, l’insegnamento privato supplementare, la consegna porta a porta e la vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica). Restano salve alcune peculiarità per le attività agricole svolte da pensionati e giovani studenti (art. 70, comma 2, d.lgs. n. 276/2003).

Il ricorso al lavoro accessorio è ormai ammesso anche per le pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei vincoli di spesa e del patto di stabilità interno. Stante la nuova disciplina, qualsiasi soggetto può prestare attività lavorativa secondo il modello qui esaminato (disoccupato, inoccupato, lavoratore autonomo o subordinato, full-time o part-time, pensionato, studente, percettore di prestazioni a sostegno del reddito), ovviamente nei limiti del compenso economico previsto.

In considerazione di finalità antielusive, si ritiene di confermare che il ricorso all’istituto del lavoro occasionale non è compatibile con lo status di lavoratore subordinato (a tempo pieno o parziale), se impiegato presso lo stesso datore di lavoro titolare del contratto di lavoro dipendente.
Per l’anno 2013 prestazioni di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali e nel limite massimo di 3.000 euro (4000 euro lordi) di corrispettivo per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. L'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio.

Qualora vengano superati i limiti quantitativi, in assenza di esplicita disposizione normativa, si presume che il lavoro accessorio venga inquadrato nelle categorie standard di lavoro subordinato, autonomo e parasubordinato con le relative conseguenze giuridiche, contributive, amministrative.

Il ricorso all’istituto è reso particolarmente “appetitoso” dalla estrema semplificazione del suo utilizzo. Innanzitutto, il datore di lavoro non è tenuto a stipulare un formale contratto di lavoro; non è previsto l’obbligo di comunicazione obbligatoria al Centro per l’Impiego; non è obbligatoria la registrazione del lavoratore sul Libro Unico del Lavoro; la retribuzione viene corrisposta con dei buoni lavoro (vouchers, di cui più avanti), non con il comune prospetto paga.

Il lavoratore, dal suo canto, è avvantaggiato in quanto le remunerazioni sono esenti fiscalmente e non incidono sullo stato di disoccupato o inoccupato. Essi non vanno dichiarati nel 730 né nel modello Unico. Inoltre, essi non rilevano ai fini del limite di reddito di 2.840,51 euro per conservare lo status di “familiare a carico”, che permette al lavoratore di essere fiscalmente a carico di altri soggetti. Ad esempio, un figlio che lavora saltuariamente, retribuito con i buoni lavoro, per tali redditi esenti resta a carico del genitore anche se l’ammontare dei vouchers è superiore a 2.840,51 euro.

2. L’uso dei buoni lavoro (vouchers) per il pagamento dei compensi

A prescindere dall’ambito di applicazione, sicuramente l’elemento qualificante e tipico di questa fattispecie è l’utilizzo dei buoni lavoro (vouchers) come modalità di pagamento del compenso spettante al prestatore di lavoro accessorio. È l’unico rapporto di lavoro ad avere tale “esclusiva”: la retribuzione viene corrisposta in formato “buono lavoro”, anziché con la consegna del prospetto paga.

Interessante è che l’importo percepito attraverso i buoni lavoro è totalmente esente da imposizione fiscale e aspetto oltremodo ingegnoso e significativo è che nell’importo del buono sono già inclusi i contributi da versare all’INPS e all’INAIL. La contribuzione è convenzionalmente fissata nell’aliquota del 25% (13% INPS, 7% INAIL, 5% per la gestione del servizio).

Per fare un esempio, su un buono dal valore di dieci euro il prestatore acquisirà un compenso netto di sette euro e cinquanta; un euro e trenta centesimi va versato automaticamente alla Gestione separata INPS; settanta centesimi all’INAIL; cinquanta centesimi spettano, infine, al gestore del servizio.

Dunque, i buoni lavoro semplificano i pagamenti ed incentivano, in forza di questa semplificazione, ad utilizzare lavoratori in maniera regolare e sicura.

Il novellato articolo 72, dal 18 luglio 2012, prevede che i “beneficiari acquistano presso le rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati”. Un aspetto rilevante rispetto alla normativa previgente è rappresentato dall’indicazione della natura oraria del buono lavoro commisurata alla durata della prestazione.

In tal modo si cerca di evitare che un solo voucher, attualmente del valore di 10 euro, possa essere utilizzato per remunerare prestazioni di diverse ore e si garantisce il rispetto di valori retributivi minimi. Rimane ferma la possibilità di remunerare una prestazione lavorativa in misura superiore, riconoscendo per un’ora di lavoro anche più vouchers.

L’articolo 72 prevede, inoltre, che il valore nominale del buono è fissato con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, periodicamente aggiornato “tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali”.

Il periodo di validità dei buoni cartacei acquistati presso le sedi Inps dal 1° gennaio 2012 è fissato in 24 mesi.

Il 31 maggio 2013 è terminata, invece, la fase “transitoria”, che consentiva l’utilizzo dei vouchers acquistati entro il 17/7/2012 secondo la precedente normativa (buoni non orari).

Pertanto, dal 1° giugno 2013 i vouchers acquistati prima del 18 luglio 2012 (e naturalmente quelli acquistati successivamente) potranno essere utilizzati con la normativa di cui alla l. n. 92/2012, entro la loro ‘naturale’ scadenza (24 mesi dalla data di emissione per i vouchers INPS e postali; 12 mesi per i vouchers acquistati presso tabaccai e banche abilitate). 

Le modalità con cui si possono acquistare i vouchers sono diverse: c’è la procedura telematica; la procedura di prenotazione dei vouchers cartacei presso l’INPS; la procedura di acquisto presso Poste Italiane Spa ovvero presso banche e tabaccai abilitati, soggetti presso cui lo stesso lavoratore può ottenere la riscossione del compenso dei buoni medesimi.

Si conferma l’obbligatorietà della comunicazione preventiva all’INAIL/INPS necessaria per l’attivazione delle prestazioni accessorie. Per quanto riguarda le modalità di contatto per effettuare la comunicazione obbligatoria di inizio attività, che attualmente sono differenziate a seconda del canale di acquisto dei buoni lavoro, si anticipa che, a seguito di un accordo INAIL-INPS, la dichiarazione preventiva di inizio prestazione relativa ai vouchers cartacei distribuiti dalle strutture operative dell’INPS dovrà essere effettuata direttamente all’INPS stesso tramite i canali consueti (sito istituzionale, contact center integrato o sede), e non più con l’invio del fax all’INAIL. In merito saranno fornite le opportune indicazioni operative e i relativi tempi di adeguamento (così disponendo la circolare INPS n. 49/2013).

I prestatori di lavoro accessorio sono tutelati anche per quel che concerne le norme di sicurezza sui luoghi di lavoro di cui al TU n. 81/2008. Per le continue novità applicative, si consiglia di consultare sempre il sito dell’INPS.

Un’importante applicazione dell’istituto è stata data con l’articolo 4, commi 24 e 25, legge n. 92/2012, per la protezione della genitorialità. In particolare, alla lettera b) del comma 24, si dispone che, nei limiti delle risorse di cui al comma 26 e con le modalità di cui al comma 25, si concede alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità, per gli 11 mesi successivi e in alternativa al congedo parentale la corresponsione di vouchers per l’acquisto di servizi di baby-sitting ovvero per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, da richiedere al datore di lavoro.

Le lavoratrici rientranti nel campo di applicazione della legge possono fare richiesta dei vouchers di cura per i bambini già nati (o entrati in famiglia o in Italia) o per quelli la cui data presunta del parto è fissata entro i quattro mesi successivi alla scadenza del bando per la presentazione della domanda. È possibile fare richiesta del voucher di cura sia come genitore che come gestante. Il diritto è riconosciuto per singolo figlio (pertanto, in caso di più figli, deve essere presentata una domanda per ogni figlio). L’importo del contributo è di 300,00 euro mensili.

In caso di lavoratrice part time, il contributo viene riproporzionato in base alla riduzione di orario prevista dal contratto di lavoro part time. Il contributo per il pagamento di servizi di baby sitting è erogato – nei limiti massimi previsti dalla legge - attraverso il sistema dei buoni lavoro (prestazioni occasionali di carattere accessorio) di cui all’articolo 72, d.lgs. n. 276/2003.

I buoni lavoro vengono consegnati alla lavoratrice solo in forma cartacea da parte della sede INPS territorialmente competente.

La legge n. 99/2013, Pacchetto Lavoro, innova, infine, l’art. 72, comma 4 bis, d.lgs. n. 276/2003, sostituendolo con un nuovo disposto a tutela di particolari categorie di soggetti quali disabili, detenuti, tossicodipendenti, soggetti che usufruiscono di ammortizzatori sociali. Per questi soggetti, coinvolti in progetti delle pubbliche amministrazioni, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto, può stabilire specifiche condizioni, modalità e importi dei buoni orari, per agevolarne l’inserimento.

3. L’emersione del lavoro sommerso attraverso il lavoro accessorio: riflessioni

Il fenomeno del lavoro sommerso rappresenta, oggigiorno, un problema di estrema gravità[3].

Diffusosi a macchia d’olio nel tempo, il fenomeno si è esteso intrecciandosi con il fenomeno, altrettanto grave, dell’illegalità diffusa e dell’economia criminale [4], provocando anche una dilagante evasione fiscale e contributiva.

Il medesimo fenomeno, tocca, poi, inevitabilmente, il problema dell’immigrazione clandestina, per passare, attraverso gradi intermedi, all’evasione dei trattamenti economici e normativi imposti per legge o per contratto collettivo; all’evasione degli oneri derivanti dalle misure di sicurezza e di igiene sul lavoro; alla disoccupazione; al lavoro minorile; alla flessibilità; all’esclusione sociale; alla povertà; alla corruzione; alla dignità nel lavoro.

Tra le varie strategie, da tempo, discutendo di flexicurity a livello europeo, si ritiene che il ricorso a tipologie contrattuali meno rigide (ma, duole scriverlo, soprattutto meno “costose”), possa determinare, nel lungo periodo, una generale emersione del lavoro sommerso:come dire, si incentiva l’appetibilità di alcuni “modelli” disincentivando il ricorso al lavoro sommerso, con tutti i rischi sanzionatori che ne derivano. Uno di questi “modelli” è proprio il lavoro accessorio.

Innanzitutto per capire le attuali dimensioni di diffusione del lavoro accessorio, vale la pena rammentare che i dati sulla vendita dei vouchers sono ormai sbalorditivi: il numero di buoni emessi e venduti dall’INPS del valore di 10 euro dal 2008 al 2012 ha superato il tetto dei 38 milioni, contro l’appena un milione di buoni venduti tra il 2008 e il 2009.

Di fronte a questi dati la riflessione può essere positiva da un lato e negativa dall’altro.

È senz’altro positiva in quanto si presume, in una visione ottimista del fenomeno, che quei buoni lavoro certifichino e attestino prestazioni di lavoro occasionali di natura saltuaria che altrimenti sarebbero rimaste nel sommerso.

Dunque, se davvero si è trattato di un effetto di sostanziale emersione del sommerso non possiamo che averne piacere. Il problema sta proprio qui: in che modo possiamo avere la certezza che il ricorso al lavoro accessorio sia inerente alla sua vera ratio giuridica? È stato davvero utilizzato per regolarizzare lavoretti saltuari determinando l’emersione del sommerso?

Da questo angolo visuale diametralmente opposto, la vendita dei vouchers suscita, dunque, una riflessione negativa e preoccupante.
Il timore fondato è quello di una esplosione incontrollata del rapporto di lavoro accessorio in sostituzione di altre tipologie contrattuali, che ancorchè atipiche, garantiscono una continuità lavorativa minima ai prestatori di lavoro.

Volendo mettere la flessibilità come unità di misura su una scala graduata, chiaramente il lavoro accessorio è quello con il più alto livello di flessibilità.

L’effetto distorsivo di un suo abuso provocherebbe un aggravamento ulteriore dello status in cui si trova oggi il mondo del lavoro, dal lato dei lavoratori.

Non si è catastrofisti ma realisti: partendo dall’esperienza empirica, non può sfuggire, ad esempio, il ricorso abusivo al contratto di lavoro a progetto da parte delle imprese, in luogo, ad esempio, di un più consono contratto a termine.

I prestatori di lavoro accessorio non maturano il TFR; non spettano loro straordinari, lavoro supplementare, lavoro notturno, premi ed incentivi; non spettano loro prestazioni a sostegno del reddito erogate dall’INPS (ASPI, maternità, malattia, assegni familiari); non hanno la “corazza” del contratto collettivo; non spettano ferie, permessi, scatti di anzianità. Le aliquote contributive, inoltre, sono al 13%, molto basse, rispetto alle aliquote ordinarie.

Da un punto di vista teorico, la formulazione ufficiale delle norme andrebbe bene, salvi piccoli adeguamenti, in un contesto lavorativo sano ed incline alla legalità, quale non è il contesto italiano purtroppo, e soprattutto andrebbero notevolmente rafforzati i controlli ispettivi.
La tendenza all’illegalità è una costante nell’economia e nel mercato del lavoro italiano.

È stato molto utile, ad esempio, l’aver ridimensionato il limite del compenso percepibile nel corso dell’anno solare con riferimento alla totalità dei committenti ad euro 5000, laddove prima questo tetto massimo era riferibile ad ogni singolo possibile committente (con chiari dubbi di legittimità costituzionale anche dal punto di vista della equità fiscale essendo tutti i compensi esenti).

In conclusione, rispondendo alle esigenze di “velocità” del sistema economico e tecnologico, è, dunque, senz’altro giusto che il diritto del lavoro interpreti le nuove esigenze sociali introducendo anche nuove tipologie contrattuali ma deve anche impegnarsi massimamente per la concreta realizzazione della somma disposizione costituzionale contenuta nell’articolo 35 Cost. secondo cui La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Attraverso il lavoro l’uomo produce la sua vita; il lavoro e la libertà sono le due forze più atte a contribuire efficacemente alla conservazione e al risanamento morale dell’individuo e meritano, pertanto, pregnanti e ragionevoli tutele.

Note:

[1] Articolo 71, Prestatori di lavoro accessorio, già abrogato dalla legge n. 133/2008.
[2] Si pensi al lavoro intermittente, al lavoro ripartito, al lavoro a progetto, al contratto di inserimento.
[3] Riguarda a livello mondiale milioni di persone e produce miliardi di dollari ogni anno. Produce i suoi effetti sulle persone e sulla sicurezza, sulle finanze pubbliche statali e sulla concorrenza.
[4] La criminalità organizzata è una piaga che intacca da tempo le basi dello stato democratico italiano. Non è più un fenomeno riguardante il Sud Italia. Il Piemonte fa i conti con le infiltrazioni mafiose nell’Alta velocità e in Liguria i soldi dei clan girano nei Casinò. Nell’Hinterland milanese l’edilizia è in mano alla ‘ndrangheta, nel Nord Est aumentano le infiltrazioni della camorra campana. Le imprese sono schiacciate da questo sistema che è in costante crescita.

[*] Vincitrice 2012 del Premio Massimo D'Antona


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