L’esclusività del rapporto di lavoro nel pubblico impiego e le incompatibilità (condizionate ed assolute) allo svolgimento di altre attività

di Tiziano Argazzi [*]

Tiziano Argazzi 21. Introduzione

La esclusività del rapporto di lavoro del pubblico dipendente ha origini lontane. La sua massima espressione risiede nella Carta costituzionale dove viene stabilito (art. 98 co.1) che i “pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.

Il dettato costituzionale certifica per il pubblico dipendente lo status particolare di lavoratore subordinato connotato da un qualificato obbligo di fedeltà nei confronti della Pubblica Amministrazione (nel seguito P.A.) dove è incardinato, che si fonda sul dovere di perseguire e proteggere l’interesse pubblico primario affidato alla stessa Amministrazione in base al principio costituzionale di legalità dell’azione amministrativa.

Con il D.P.R. 10.01.1957 n. 3 il legislatore ha poi stabilito che “l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente”[1].


Da quanto precede è evidente che il principio di esclusività si traduceva per il dipendente nell’obbligo di dedicare interamente all’Ufficio la propria attività, senza distrarre le energie lavorative in attività non prettamente attinenti con il rapporto di lavoro.

Tale impianto normativo è rimasto in essere fino alla fine degli anni ’80 quando è stato introdotto nel settore dell’impiego pubblico l’istituto del rapporto a tempo parziale[2]. La norma poi rimandava ad un ulteriore provvedimento la definizione delle tipologie del rapporto part time, la cui prestazione di servizio non poteva essere di norma inferiore al 50 per cento delle ore di lavoro stabilite mensilmente per il personale a tempo pieno di qualifica e profilo professionale corrispondente[3].

Con tale provvedimento è stata introdotta anche la possibilità per il dipendente part time di svolgere altre attività previa autorizzazione della P.A. o Ente di appartenenza, fermo restando che le attività stesse oltre a non arrecare pregiudizio alle esigenze di servizio non dovevano risultare incompatibili con le attività di istituto[4].


Questo particolare regime delle incompatibilità e delle ipotesi di conflitto di interessi (anche potenziali) che possano pregiudicare l’esercizio imparziale delle funzioni assegnate, risulta ancora pienamente operante.

Infatti anche se il legislatore all’inizio degli anni ’90 ha avviato un irreversibile processo di privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico ha mantenuto, nell’ambito delle incompatibilità, una specifica riserva legale sottraendo così di fatto questa materia alla contrattualizzazione del rapporto di lavoro. Infatti la Legge 23 ottobre 1992 n. 421 stabilisce - art. 2, comma 1, lett. c, n. 7 - che “sono regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell'ambito dei principi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi, le seguenti materie”: (…) “la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici”.


La disciplina in questione è stata poi oggetto di un duplice complessivo riesame. Il primo realizzato con il D.Lgs.3.02.1993 n. 39 e nello specifico con il suo art. 58 ed il secondo con il D.Lgs. 31.03.1998 n. 80 che, all’art. 26, ha integralmente riscritto i commi dal 6 al 16 dell’art. 58.

In tale contesto è stato previsto che l’Amministrazione possa negare la trasformazione del rapporto di lavoro da full time a part time nel caso in cui l'attività lavorativa (autonoma o subordinata) che il dipendente pubblico intende intraprendere “comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio dallo stesso svolta ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti (in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente) pregiudizio alla funzionalità dell'Amministrazione stessa”[5].

Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, alla P.A. dove presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa in precedenza autorizzata. Inoltre ferma restando “la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto di interessi, le Amministrazioni provvedono, con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, ad indicare le attività che in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno”[6].

Da ultimo si rammenta che il Dipartimento della Funzione Pubblica per una uniforme lettura delle precitate disposizioni ha diffuso due circolari la n. 3 del 18.02.1997 e la n. 6 dell’18.07.1997 entrambe riguardanti il “lavoro a tempo parziale e disciplina delle incompatibilità” a mente dell’art. 1, commi 56 – 65 della Legge 662/1996.


Negli anni successivi le sopra indicate disposizioni sono confluite nel D.Lgs. 30.03.2001 n.165 recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” – e, nello specifico, nell’art. 53 rubricato “Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi”.

Dalla sua lettura appare evidente che la stringente formulazione in tema di incompatibilità - assolute e condizionate (cioè che possono svolte solo a condizione di avere acquisito l’autorizzazione dalla PA di appartenenza) - è dettata dalla necessità di prevenire, e comunque di evitare, l’insorgere di conflitti di interesse tra le singole Amministrazioni (datori di lavoro pubblici) ed i propri dipendenti.

Argazzi 11 12. Attività “extra officio” fra obbligo di autorizzazione e semplice comunicazione

Il primo capoverso del citato art. 53 chiarisce che “resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3” fatte salve le deroghe relative alla mobilità fra pubblico e privato (art. 23-bis del D.Lgs. 165/2001) e, relativamente ai rapporti part time, di quanto previsto dall’articolo 6, comma 2, del Dpcm 17 marzo 1989, n. 117 e dall’articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23.12.1996, n. 662.


In via preliminare giova comunque ricordare che le attività “extra officio” soggette ad autorizzazione sono quelle caratterizzate da tre elementi essenziali:
(a) il conferimento di un incarico,
(b) la loro estraneità dai compiti e dai doveri d’ufficio e
(c) la previsione di una remunerazione o di altro vantaggio economico.


Che il legislatore ritenga censurabile la violazione del vincolo di esclusività solo in presenza di remunerazione trova esplicita conferma nel comma 7 dell’art. 53 che testualmente prevede che “i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza”. Il medesimo art. 53 ci consegna la puntuale definizione di incarichi retribuiti chiarendo che sono tutti quelli “anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso”.

Pertanto un incarico remunerato, condizionatamente incompatibile, può essere svolto dal pubblico dipendente solo dopo che la P.A. di appartenenza lo ha preventivamente autorizzato. L’inosservanza del divieto comporta per il lavoratore l’obbligo di versare alla PA di appartenenza il compenso ricevuto per le prestazioni svolte fatte comunque “salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare”[7].

Quanto precede rende evidente che la mancanza di un compenso comporta un affievolimento della rigida disciplina delle incompatibilità. E pertanto un incarico svolto in forma gratuita o con la previsione del rimborso delle sole spese sostenute ed adeguatamente documentate non richiede autorizzazione ma solo una comunicazione (preventiva) per consentire all’Amministrazione di valutare la presenza, anche in via potenziale, di ipotesi di conflitto di interessi.

Da quanto precede discende che sono da considerare vietati gli incarichi extra istituzionali remunerati caratterizzati da abitualità e professionalità e/o dove si ravvisano ipotesi di conflitto di interessi.

Per luna precisa disamina della questione assume particolare l’impegno lavorativo del pubblico dipendente cioè se il medesimo operi a tempo pieno o a tempo parziale con prestazione lavorativa rispettivamente superiore, uguale od inferiore al 50% di quella prevista per il full time.

Nel caso in cui il dipendente sia full time o part time con prestazione lavorativa superiore al 50% sono da considerare vietati gli incarichi che presentano i caratteri di abitualità e professionalità e dove si ravvisa un conflitto di interessi; invece se il lavoratore è part time con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50% sono per lui vietate solo quelle attività in cui si ravvisano ipotesi di conflitto di interessi.


Abitualità e professionalità

Secondo la circolare diramata sull’argomento dal Dipartimento per la Funzione Pubblica[8] gli incarichi presentano i caratteri della professionalità quando sono svolti con abitualità (quindi non debbono essere occasionali), sistematicità e continuità, senza necessariamente comportare che il loro svolgimento avvenga in modo permanente ed esclusivo.

Sicché il dipendente pubblico, ai sensi dell’art. 60 del DPR n. 3/1957, non potrà “esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”[9].

Sono inoltre vietati ai dipendenti pubblici gli “incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell’ambito dell’anno solare, configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione”.

Argazzi 11 2Invece, fermo restando l’obbligo dell’autorizzazione, risultano esclusi dal divieto detto sopra:
(a) gli incarichi in società cooperative in base a quanto previsto dall’art. 61 del DPR n. 3/1957;
(b) i casi in cui le disposizioni di legge espressamente consentano o prevedano per i dipendenti pubblici la partecipazione e/o l'assunzione di cariche in enti e società partecipate o controllate;
(c) l'assunzione di cariche nell'ambito di commissioni, comitati, organismi presso amministrazioni pubbliche, sempre che l’impegno richiesto non sia incompatibile con l'assolvimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro;
(d) gli altri casi speciali oggetto di valutazione positiva nell'ambito di atti interpretativi e di indirizzo generale quali ad esempio l’attività di amministratore del proprio condominio e le attività agricole.


Conflitto di interessi

Anche se non esiste una puntuale definizione, per “conflitto di interessi” viene usualmente intesa la situazione (o il complesso di situazioni) in cui un interesse secondario, privato o personale, interferisce, ovvero potrebbe potenzialmente interferire con il dovere di una persona ad agire in conformità con l’interesse primario di un’altra parte. In particolare per il settore pubblico, si avrà la manifestazione di un conflitto di interessi quando una situazione abbia anche solo in via potenziale la possibilità di interferire con l’abilità di un funzionario pubblico ad agire in conformità con i suoi doveri e responsabilità connessi con l’interesse primario che è quello di essere al servizio di una P.A.[10].

L’Amministrazione nella valutazione delle situazioni comportanti, anche in via potenziale conflitto di interessi, deve tenere in debito conto la qualifica, il ruolo e/o l’inquadramento professionale del dipendente, la sua posizione nell’ambito della P.A., la competenza della struttura di assegnazione e di quella gerarchicamente superiore, le funzioni attribuite o svolte in un tempo passato ragionevolmente congruo. La valutazione deve riguardare anche il conflitto di interessi potenziale, intendendosi per tale quello astrattamente configurato dall’art. 7 (obbligo di astensione) del D.P.R. n. 62/2013[11].


In particolare si potrà parlare di conflitto di interessi in presenza di incarichi svolti a favore:
(a) di soggetti nei confronti dei quali la struttura di assegnazione del dipendente ha funzioni relative al rilascio di concessioni o autorizzazioni o nulla-osta o atti di assenso comunque denominati;
(b) di soggetti fornitori di beni o servizi per l’amministrazione, relativamente a quei dipendenti delle strutture che partecipano a qualunque titolo all’individuazione del fornitore;
(c) di soggetti privati che detengono rapporti di natura economica o contrattuale con l’amministrazione, in relazione alle competenze della struttura di assegnazione del dipendente, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge;
(d) di soggetti privati che abbiano o abbiano avuto nel biennio precedente un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all’ufficio di appartenenza.


Sono altresì vietati quegli incarichi che per il tipo di attività o per l’oggetto possono creare nocumento all’immagine dell’amministrazione, anche in relazione al rischio di utilizzo o diffusione illecito di informazioni di cui il dipendente è a conoscenza per ragioni di ufficio.
Il divieto riguarda anche quelle attività che, pur rientrando nelle ipotesi di deroga dall’autorizzazione di cui all’art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, presentano una situazione di conflitto di interessi.


Sul tema giova infine ricordare che la Legge n. 190/2012[12] ha introdotto rilevanti modifiche alla materia del conflitto di interessi. Nello specifico con l’art. 1 comma 41 è stato innovato la legge n. 241/1990 in tema di procedimento amministrativo. Infatti l’introdotto art. 6 bis rubricato “conflitto di interessi” testualmente prevede che “il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.

Argazzi 11 43. Incarichi esterni che possono essere svolti senza autorizzazione

L’art. 53 co.6 del D.Lgs. n. 165/2001 riporta l’elenco tassativo delle attività anche retribuite per le quali il legislatore ha effettuato a priori una valutazione di non incompatibilità. Per lo svolgimento di tali incarichi non è prevista una formale autorizzazione ma solo una comunicazione da trasmettere entro 30 giorni dall’inizio dell’attività alla P.A. per consentirle una valutazione in merito alla eventuale sussistenza di ipotesi di conflitto di interessi.


Fra le attività ricomprese nel comma 6 rientrano:
(a) la collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;
(b) la utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;
(c) la partecipazione a convegni e seminari;
(d) gli incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;
(e) gli incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in aspettativa, comando o fuori ruolo;
(f) gli incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita ed infine
(f-bis) le attività di formazione diretta ai dipendenti della P.A. nonchè di docenza e di ricerca scientifica.

4. Incarichi preclusi a tutti i dipendenti a prescindere dalla consistenza dell’orario di lavoro

Oltre agli incarichi condizionatamente incompatibili e di quelli che possono essere svolti senza autorizzazione assume particolare rilievo anche la categoria delle attività assolutamente incompatibili e che, per tali ragioni, sono vietate a tutti i dipendenti compresi quelli in regime di part time fino al 50%. Per attività vietate in forma assoluta si intendono quelle che interferiscono con l’attività ordinaria svolta dal dipendente pubblico in relazione al tempo, alla durata, all’impegno richiestogli.

Appare evidente che per valutare la sussistenza di ipotesi preclusive occorre fare riferimento ad ogni singolo caso concreto. La circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica comunque elenca con puntualità gli incarichi che comunque sono da considerare assolutamente preclusi.


Fra questi sono da ricomprendere:
(a) gli incarichi, fra cui quelli rientranti nell'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, che interferiscono con l'attività ordinaria svolta;
(b) le attività che si svolgono durante l'orario di ufficio o che possono far presumere un impegno o una disponibilità in ragione dell'incarico assunto anche durante l'orario di servizio, salvo che non siano fruiti permessi, ferie o altri istituti di astensione dal rapporto di lavoro o di impiego;
(c) gli incarichi che, aggiunti a quelli già conferiti o autorizzati, evidenziano il pericolo di compromissione dell'attività di servizio;
(d) gli incarichi che si svolgono utilizzando mezzi, beni ed attrezzature di proprietà dell'amministrazione e di cui il dipendente dispone per ragioni di ufficio o che si svolgono nei locali dell'ufficio, salvo che l'utilizzo non sia espressamente autorizzato dalle norme o richiesto dalla natura dell'incarico conferito d'ufficio dall'amministrazione.
Rimane infine precluso lo svolgimento di incarichi o attività che non siano stati oggetto di comunicazione al momento della trasformazione del rapporto o in un momento successivo. Quadrato Azzurro

Argazzi 11 3Note

[1] Art. 60 “Casi di incompatibilità” del DPR n. 3/1957 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato);

[2] Art. 7 della Legge 29 dicembre 1988 n. 554 (Disposizioni in materia di pubblico impiego);

[3] Per via contrattuale (art. 22 CCNL 98/01 Comparto Ministeri) è stato stabilito che la percentuale minima della prestazione part time non possa comunque essere inferiore al 30% a quella prevista per il tempo pieno;

[4] DPCM 17 marzo 1989 n. 117 (Norme regolamentari sulla disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale), art. 6 co.2: “Al personale interessato è consentito, previa motivata autorizzazione dell’amministrazione o dell’ente di appartenenza, l’esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attività di istituto della stessa amministrazione o ente”;

[5] Art.1 comma 58 bis Legge 23 dicembre 1996 n. 662;

[6] Art.1 comma 58 bis Legge 23 dicembre 1996 n. 662 introdotto dal DL 28.03.1997 n. 79;

[7] L’omissione del versamento del compenso indebitamente percepito costituisce per il pubblico dipendente ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla responsabilità della Corte dei Conti;

[8] Per la individuazione delle attività vietate ci soccorre il cod. civ. Infatti sono da considerare precluse per il pubblico dipendente le attività imprenditoriali (di tipo commerciale, industriale o professionale) di cui all’art. 2082 cod. civ. e le attività libero professionali per il cui esercizio risulti necessaria l’iscrizione in albi o registri.

[9] Il Dipartimento della Funzione Pubblica in data 14.07.2014 a chiusura del tavolo tecnico a cui hanno partecipato anche la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI ha diramato i “Criteri generali in materia di incarichi vietati ai dipendenti delle Amministrazioni pubbliche”;

[10] È di tutta evidenza che il conflitto di interessi non è un evento o un comportamento (come ad esempio è invece la corruzione), ma una situazione o condizione, un insieme di circostanze che creano o aumentano il rischio che gli interessi primari possano essere compromessi dall’inseguimento di quelli secondari;

[11] Con D.P.R. 16.04.2013 n. 62 è stato approvato il “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici a mente dell’art. 54 del decreto legislativo 10.03.2001 n. 165”;

[12] Legge 6 novembre 2012 n. 190 contenente le “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.

[*] Tiziano Argazzi è Funzionario attualmente in servizio presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Rovigo.
Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero personale dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.


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