Il voucher della discordia

Quando un buono lavoro non si nega a nessuno
di Stefano Olivieri Pennesi [*]

Olivieri Pennesi 4Partendo dal riferimento legislativo relativo alla “regolamentazione” dell’utilizzo dei cosiddetti voucher, ovvero “prestazioni occasionali di tipo accessorio”, di cui appunto alla legge n. 92/2012, vediamone il concreto campo di applicazione.

Stiamo parlando, quindi, di prestazioni di lavoro “accessorio” ossia, da intendersi, quelle attività lavorative, di natura meramente occasionale, che non danno luogo, (riferendosi al totale di committenti) a compensi superiori ad un importo netto di € 7.000, percepiti nel corso di un anno solare (precedentemente il limite era fissato in € 5.000). Tale limite economico si affianca, inoltre, al limite massimo attribuibile, per singolo committente, che non può superare la somma di € 2.000 annui netti.

Ebbene, la menzionata legge 92/2012, comunemente denominata riforma Fornero, ha sancito ulteriori aspetti degni di sottolineatura, riguardanti lo strumento lavoristico dei “voucher”. Infatti la norma ha evidentemente “abrogato” il riferimento a limitati settori di attività che di contro erano, in maniera tassativa, individuati nella previgente norma, così come puntualmente indicati quali categorie di lavoratori possibili destinatari di buoni lavoro, abrogando, inoltre, di fatto, anche la clausola della occasionalità.

Ne consegue, pertanto, che il citato “lavoro occasionale” non contiene in se alcuna esclusione, o particolarità, ad eccezione di un residuo esplicito richiamo, (separatamente disciplinato) alle categorie di studenti e pensionati utilizzato per le attività agricole stagionali, in quanto anche inseriti negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

Il lavoro occasionale accessorio può essere, di fatto, svolto a valere su ogni tipo di attività e da qualsiasi soggetto, sia esso disoccupato, inoccupato, sotto occupato, lavoratore autonomo, subordinato, studente, pensionato, percettore di cassa integrazione ecc. con il solo limite del citato compenso massimo percettibile.

Altro elemento caratteristico, del lavoro prestato con voucher, è il fatto che esso è utilizzabile relativamente a prestazioni da svolgersi “direttamente”, qualificandosi come “rapporto diretto” tra prestatore e utilizzatore finale, escludendo, quindi, la possibilità di un appalto o anche somministrazione camuffata, tale da permettere, ad una impresa, di reclutare e retribuire lavoratori (con voucher) al fine di svolgere prestazioni in favore di terzi.

Sempre rispetto al lavoro occasionale, è bene precisarlo, questo non può avere luogo nei confronti di lavoratori subordinati, da parte del medesimo datore di lavoro, titolare dei contratti di lavoro dipendente, con gli stessi soggetti.

È proprio questo l’aspetto dirimente, vale a dire veder trasformare il voucher, ossia la sua reale natura e conseguente monetizzazione, di lavoro accessorio, in lavoro non occasionale e a tutti gli effetti qualificabile come di tipo subordinato.

Al contempo non può sottacersi che, tale sistema di uso dello strumento voucher, è un fenomeno in repentina crescita, in questi ultimissimi anni, in un contesto in cui la precarietà è ormai una condizione generale dell’universo lavorativo, dove convivono i canoni di flessibilità, intermittenza, precarietà, mobilità, fungibilità, che sono divenuti ineluttabilmente elementi e modalità di lavoro irrinunciabili.

Il regime di salario riconosciuto, sottoforma di buoni lavoro, mini job o similari, si sta imponendo non soltanto in Italia ma più in generale su scala europea e mondiale.

Il voucher, come concepito nel nostro Paese, è un semplicissimo metodo di pagamento delle ore lavorate, rappresentato da una cedola del valore di € 10 comprensiva della quota spettante per i contributi previdenziali, assicurativi e dell’agio per il venditore. È riscuotibile presso l’Inps e acquistabile in vari ambiti tra cui: il circuito delle tabaccherie, degli uffici postali e delle stesse sedi Inps, singolarmente o in blocchetti, per retribuire, appunto, una o più ore di lavoro prestato.

I vantaggi, per il datore di lavoro, sono evidenti in quanto esso può beneficiare di prestazioni nella piena e completa legalità, con relative coperture assicurative garantite dall’Inail, anche per eventuali sinistri occorsi sul lavoro, non rischiando, altresì, vertenze basate sulla natura della prestazione e senza alcun obbligo di stipulare altro tipo di contratto assicurativo.

Ottenere utilità, circa questa tipologia di lavoro, parzialmente assimilabile al “lavoro a chiamata”, come anche “intermittente”, è di tutta evidenza. Non sobbarcarsi degli oneri di assunzione, come pure la necessità di sottoscrivere alcun contratto, porta vantaggi evidenti, per gli imprenditori, ma principalmente permette di eliminare il problema dei licenziamenti e i rischi organizzativi e gestionali della forza lavoro, rispetto agli andamenti altalenanti del mercato e della produzione, è quindi anch’esso elemento di evidente beneficio.

Sappiamo come agli albori della loro introduzione, dall’ormai distante 2008, i voucher rappresentavano un fenomeno assolutamente marginale, limitato ad alcuni tipi di attività, di natura squisitamente occasionale, pensati per agevolare l’emersione dal lavoro nero, soprattutto di particolari soggetti come pensionati e giovani ma anche, non dimeno, donne.

Pennesi 16 1Con il passare degli anni il Legislatore ha inteso eliminare, progressivamente, limiti e restrizioni arrivando, ad oggi, con una estensione totale verso ogni tipo di attività, mansioni, ambiti produttivi e soggetti utilizzatori.

Come già detto i voucher del valore di € 10 lordi si compongono della quota di € 7,5, quale netto per il lavoratore e una quota di € 2,5 da suddividersi per la copertura assicurativa Inail, € 0,70 e per la contribuzione previdenziale, € 1,30 (questa solamente destinata ai fini pensionistici) a favore della specifica “gestione separata Inps”, nonché una quota del 5%, pari a €0,50, trattenuta a favore del concessionario del servizio (Poste, Tabaccai, lo stesso Inps) per rimborso gestione del servizio, per distribuzione e detenzione buoni. Il lavoratore vaucerista, è utile precisarlo, non ha diritto a ferie, malattia, maternità, tredicesima, tfr, come anche indennità di disoccupazione e naspi, ossia prestazioni a sostegno del reddito, come pure previsti dai contratti collettivi di lavoro.


Fino ad oggi, l’utilizzazione del voucher era oggetto della sola “comunicazione telematica” dell’attivazione di una prestazione, di lavoro accessorio, prima, quindi, dello svolgimento concreto della stessa, decidendo in seguito, in assoluta discrezione, il numero di voucher che si riterrà necessario utilizzare in capo ad un singolo lavoratore, in assenza di alcun obbligo contrattuale.

La patologia, che si è rilevata con il passare degli anni, e l’esplosione esponenziale che si è verificata nella vendita di quantitativi enormi di voucher, ha indotto il Governo, anche sulla spinta prodotta dalle organizzazioni sindacali, corroborata da numeri statistici inequivocabili, ad intervenire concretamente con la proposta di un decreto ad hoc, di cui parleremo in seguito.

Quello che preme evidenziare, da subito, è proprio lo scopo di far emergere tipologie di lavoro nero, particolarmente diffuse soprattutto in alcuni determinati settori, inizialmente interessati dallo strumento, di cui stiamo trattando, quali, a puro esempio, lavori in agricoltura straordinari-stagionali, docenze didattiche, assistenza e cura alle persone, lavori di giardinaggio. Tutti questi ambiti sono stati ulteriormente rinforzati da una pletora di altre casistiche di utilizzazione che si sono radicate ben oltre il concetto cardine di “sporadicità della prestazione”.

Sempre più frequentemente, anche il corpo ispettivo del Ministero del Lavoro e degli Enti Inps e Inail si è trovato di fronte a situazioni scaturenti in palesi violazioni, dove risultava, con evidenza che, lavoratori occasionali o accessori, non fossero effettivamente tali, alla luce di tipologie di attività, strutture dimensionali aziendali, volumi di affari movimentati, caratteristiche di settore merceologico. Tutto fa dubitare circa una lecita utilizzazione, massiccia, di lavoratori a voucher, a discapito di specificità di lavorazioni aventi la necessità di assunzioni regolari che possono garantire impegni lavorativi costanti, quotidianamente garantiti e avulsi da aspetti di saltuarietà, aleatorietà, indeterminatezza di lavoro, evidentemente necessario e standardizzato.

Da qui l’evidente diffusione delle condizioni di irregolarità e lavoro nero o grigio, nel momento in cui con il semplice uso di uno o più voucher si pensa di garantirsi prestazioni, magari per intere giornate di lavoro e per buona parte dell’anno, ad esempio nel: turismo, terziario, servizi, edilizia, ristoranti, bar, locali notturni, centri benessere, hotels, cooperative di servizi, logistica, terreni agricoli, agriturismo, istituti di istruzione, laboratori medici, palestre, centri elaborazioni dati, cantieri edili, con il solo limite del citato tetto massimo annuale e per committenza. Ma anche la possibilità, per una azienda, di sfruttare un bacino, più o meno ampio di lavoratori occasionali, (senza vincoli) per mansioni sempre più variegate, come anche elevate, è un vantaggio di non poco conto, con il fine intrinseco di alimentare una economia “dopata” anche da concorrenza sleale.


Ricapitolando, partendo dall’anno 2008, indicato comunemente come momento di concreto avvio e diffusione dello strumento voucher, il 2012, con la legge 92/2012, ha di fatto segnato il vero boom di questo mezzo. La riforma Fornero ha inciso in tal senso nell’eliminazione concreta della clausola di occasionalità, come anche dei limiti soggettivi e oggettivi dell’istituto. Uno dei decreti attuativi della legge delega n.183/2014 del Jobs Act, vale a dire il d.lgs. n.81/2015, e precisamente gli articoli 48 e 49, ha nuovamente agito sui “buoni lavoro” incrementando la soglia massima della retribuzione riferibile, portandola a € 7.000 netti per lavoratore.


Arriviamo quindi alle novità, ultimissime, di parziale modifica del Jobs Act, in materia di lavoro accessorio, richieste in modo pressoché unanime dai sindacati, come pure da buona parte degli addetti istituzionali e della opinione pubblica.

Ci riferiamo allo schema di decreto legislativo, approvato in via preliminare dall’ultimo consiglio dei Ministri del 10 giugno 2016, e sottoposto al parere parlamentare, segnatamente alla cosiddetta “tracciabilità” dei voucher.

Si è inteso attuare concretamente la procedura già utilizzata per tracciare un’altra tipologia di lavoro, quello “intermittente” prevedendo, per committenti imprenditori non agricoli o professionisti l’obbligatorietà, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione di lavoro accessorio, a “comunicare” alla sede territorialmente competente dell’Ispettorato nazionale del lavoro mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici, ovvero codice fiscale del lavoratore e, cosa altrettanto fondamentale, luogo e data della prestazione lavorativa.


L’altra categoria di committenti imprenditori, ovvero quelli agricoli, sono anch’essi tenuti ad effettuare medesima comunicazione, entro lo stesso termine e con le stesse modalità, con l’unica differenza del riferimento ad un arco temporale non superiore ai 7 giorni (motivato dalla specificità del lavoro nel settore agricolo legato agli eventi meteorologici). Tali obblighi comportano una uguale sanzione amministrativa, prevista per il lavoro intermittente, vale a dire da € 400 a € 2.400 per ciascun lavoratore oggetto dell’omessa comunicazione, da ritenersi violazione non sanabile a posteriori, per cui esclusa dalle procedure della “diffida” (accertativa) ex art. 13 d.lgs. n.124/2004.

In definitiva, quindi, il Governo ha voluto mettere in campo modifiche al sistema del lavoro accessorio, tese a garantire, a seguito dell’uso improprio di tale forma di lavoro, la piena e sicura “tracciabilità” dei buoni lavoro, utilizzati per compensare le pertinenti prestazioni lavorative. La stessa individuazione di modalità attuative dell’obbligo di comunicazione, inizialmente indicate con lo strumento dell’sms e della posta elettronica, potrà essere oggetto di integrazione, ovvero modifica anche rispetto allo svilupparsi di nuove e ulteriori tecnologie telematiche.


Passiamo ora ad illustrare alcuni numeri sui voucher. Secondo i dati resi disponibili e diffusi dall’Inps, nel 2015 ne sono stati venduti poco meno di 115 milioni, esattamente 114.921.574, dato nazionale con un + 66% rispetto all’anno precedente, che aveva espresso un dato di 69.172.879 buoni lavoro; nel 2008 ne erano stati venduti circa 500.000. L’importo lordo medio incassato dai lavoratori vauceristi nel 2011, era di € 677,12, mentre nel 2015 era leggermente inferiore, ma sostanzialmente in linea, vale a dire € 633 medi annui. Il 64,8% dei prestatori di lavoro ha riscosso meno di € 500; il 20% ha superato invece gli € 1.000.

Il numero delle persone che sono state retribuite con almeno un voucher durante l’anno è un dato in continua crescita, passando da 24.437 nel 2008, con un importo medio di € 187, a 1.392.906 percettori nel 2015, con un importo medio riscosso, come detto sopra, di € 633.

Pennesi 16 2Per quanto riguarda la platea dei percettori, rilevante è il dato che riguarda la quota di donne tra i destinatari dei buoni, cresciuta notevolmente tra il 2008 e il 2015, passando rispettivamente dal 22% al 52 % dei totali. Per tali prestazioni i giovani under 25 rappresentano la quota maggioritaria, pari al 31%.

Allo stato attuale, la notifica inerente la comunicazione obbligatoria per il lavoro accessorio, che l’esecutivo vorrebbe rendere più stringente e quindi “tracciabile” con la proposta di modifica avanzata con il richiamato schema di decreto legislativo, in realtà, ad oggi, viene effettuata solo nei confronti dell’Inps.

L’inosservanza a tale adempimento fa scattare la “maxisanzione” per lavoro nero, art.4 legge n.183/2010, rispetto all’accertamento della presenza di lavoratori. Purtroppo questa modalità operativa si è dimostrata, nei fatti, scarsamente incisiva per l’efficace contrasto all’uso distorto dei buoni lavoro.

Per chiarezza di esposizione è utile anche precisare che nel nuovo assetto delle comunicazioni di attivazioni voucher, contemplato nel citato recente schema di decreto legislativo, le previste sanzioni, aventi importo variabile da € 400 a € 2.400, si affiancano, “convivono”, chiaramente, con la maxisanzione comminata per lavoro nero, così come chiarito dal Ministero del Lavoro, allorquando la prestazione sia, con evidenza, riconducibile al lavoro squisitamente subordinato. La stessa comunicazione preventiva, quando è totalmente assente, ed in sede ispettiva viene rilevata dagli addetti alla vigilanza in presenza di effettivo personale al lavoro, deve veder applicarsi la maxisanzione, poiché rileva che il rapporto lavorativo è sconosciuto totalmente alla Pubblica Amministrazione.

Passiamo ora ad affrontare questioni dopo aver trattato degli aspetti patologici dello strumento voucher, in particolare per evidenti pratiche elusive della legislazione del lavoro e della previdenza sociale, e dopo aver esplorato le modifiche che il Governo ha ritenuto giusto apportare, predisponendo un nuovo decreto legislativo ora all’esame parlamentare, che interessa in generale alcune modifiche del Jobs Act, comprendendo anche il cosiddetto lavoro accessorio. Ebbene, uno dei punti dolenti rilevati, per un uso massivo dei voucher, principalmente utilizzati per retribuire giovani lavoratori, riguarda la quota parte destinata alla contribuzione previdenziale, che confluisce nella Gestione separata Inps, che oggi è riconosciuta nella misura del 13% del valore del buono lavoro orario di € 10.

Evidentemente un uso costante e/o intermittente nella carriera lavorativa, prolungato nel tempo, farà scaturire un “montante previdenziale” assolutamente inadeguato per ottenere un dignitoso reddito pensionistico, ancorché lontanissimo nel tempo
Interessante risulta essere anche il dato inerente l’utilizzo dei voucher per retribuire il lavoro svolto da maestranze extracomunitarie. Nel 2008 la percentuale di incidenza dei lavoratori non italiani era dello 0,70% nel 2015 questa percentuale si è elevata fino all’8,6% del totale.

Pennesi 16 3Conclusioni

Si è arrivati, dopo un periodo lungo anni, dall’ormai lontano 2008, e dopo aver verificato sul campo, grazie anche all’azione informativa dell’INPS e delle organizzazioni sindacali e non solo, un uso o meglio abuso, dello strumento dei voucher, alla consapevolezza delle necessità di un intervento normativo deciso per sconfiggere l’utilizzo, indiscriminato, dei coupon necessari per retribuire i cosiddetti “lavori occasionali”.

Certo è che la opportuna “tracciabilità” dei buoni lavoro, così come corretto con la bozza di d.lgs. di proposta governativa, rappresenta un primo e necessario cambio di rotta per non danneggiare ulteriormente il mercato del lavoro che viviamo in questo frangente economico.

La bontà dell’introduzione dei voucher, nel nostro sistema, era fortemente legata al contrasto del lavoro nero e all’emersione, svolto in ambiti settoriali ben delimitati quali: agricoltura, servizi domestici e alla persona, ripetizioni, giardinaggio, e poco altro ancora.

Non da meno sono anche le problematiche incontrate conseguentemente dal corpo ispettivo, in materia di controlli e ispezioni che verranno prossimamente ereditate dall’Ispettorato Nazionale del lavoro, il quale avrà l’onere di assumere in se il coordinamento di tutti gli ispettori addetti alla vigilanza del Ministero, di Inps e Inail, sotto una unica cabina di regia.

Scardinare l’uso improprio dello strumento voucher sarà uno dei compiti più delicati e ardui, per la nuova Agenzia, al fine di far emergere situazioni di sfruttamento e lavoro nero che tanto male fanno anche al sistema produttivo in genere, al mantenimento di un mercato dove dovrebbe vigere una concorrenza “leale”, e dove anche la fiscalità generale non risente di comportamenti gravemente dannosi quale quello, ad esempio, di imprenditori edili, che nel caso di infortuni sul lavoro, occorsi a personale al nero, attivano istantaneamente voucher, precedentemente e cautelativamente acquistati, che garantiscono, comunque, piena copertura assicurativa, pur essendo portatori di contribuzione minimale pari a € 0,70 sui 10 € di valore complessivo del buono.


Altra riflessione necessaria, su questo controverso strumento che ha visto una utilizzazione che è letteralmente esplosa in questi ultimissimi anni, diventando di fatto una “panacea” per imprenditori e per lavoratori, la dobbiamo fare in merito al massiccio uso che ne viene fatto in un settore merceologico, quello dell’Agricoltura, gravemente vessato dalla cancrena del “nuovo caporalato”, fenomeno storico delle nostre campagne, combattuto, ma non estirpato, dalle Istituzioni.

Oggi assistiamo ad una recrudescenza dello “sfruttamento schiavo”. Della manovalanza, adibita a lavori agricoli, anche rispetto a masse di lavoratori, soprattutto extracomunitari e non solo, provenienti dai crescenti flussi migratori, in fuga da guerre, persecuzioni, carestie, povertà, indigenza, che tanto stanno impattando come problema del nostro Paese, e in generale dell’Europa. Vi sono “migrazioni di braccia”, in Italia, interessate da vera e propria “transumanza” (e non uso a caso tale termine certamente più pertinente se riferito a mandrie animali) lungo le regioni del Sud come pure del Nord, legato alla stagionalità delle produzioni della terra.

Il “Protocollo contro il Caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura” non può essere, allora, che valutato positivamente. Esso è stato firmato, recentemente, dai Ministri del Lavoro, Interno, Politiche Agricole, con la partecipazione degli altri protagonisti fortemente investiti dalla problematica, vale a dire: l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, le Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Piemonte, Puglia e Sicilia, le Associazioni di categoria Coldiretti, Cia, CopAgri, Confagricoltura, AcliTerra, Alleanza delle Cooperative, Caritas, Libera, Croce Rossa.

Il Protocollo si prefigge, in primo luogo, di fare “rete” con tutti i soggetti interessati per attivare, d’intesa, una serie di iniziative, realizzando progetti concreti ed aggredendo il fenomeno caporalato, non tralasciando il bisogno di migliorare, radicalmente, le condizioni di vita ed accoglienza dei lavoratori italiani ed extracomunitari. L’attività dovrà prevedere una necessaria regia Statale, da svolgersi a cura delle pertinenti Prefetture che avranno il compito di coordinare tutte le attività per mezzo di “tavoli locali permanenti” perseguendo relative specificità.

Il Ministero del Lavoro avrà cura di garantire e facilitare il confronto con le parti sociali interessate avendo, come obiettivo, oltre che la repressione del lavoro nero, la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, aggredendo le forme vecchie e nuove del caporalato, anche con strumenti tecnologicamente avanzati di utile supporto ai controlli che devono essere necessariamente serrati.

Non meno importante sarà anche il ruolo operativo del Corpo Forestale dello Stato, in qualsiasi veste amministrativa avrà in futuro, unitamente alle altre forze di Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia.

Utilità, per l’economia complessiva degli interventi, sarà rappresentata dall’introduzione, ad esempio, di: servizi di trasporto gratuito per lavoratrici e lavoratori agricoli, per raggiungere i campi; l’istituzione di presidi medico-sanitari mobili ed itineranti; disponibilità dei beni immobili (edifici, terreni, aziende, altro) confiscati alla criminalità organizzata; bandi per promuovere l’ospitalità per i lavoratori stagionali; uso di immobili demaniali disponibili; distribuzione gratuita di alimenti e bevande sui luoghi di lavoro; servizi di orientamento presso i Centri per l’Impiego; istituzione di corsi di lingua e mediazione culturale.


Riprendendo il discorso della naturale vocazione dei buoni lavoro, nel fare emergere situazioni di illegalità, garantendo contestualmente ancorché esigue entrate occasionali, non gravate però da tasse, per pensionati, studenti, disoccupati, ecc. è altrettanto innegabile che la loro contaminazione verificatasi nel nostrano mercato del lavoro, in maniera così ampia, ha evidenziato il fatto che probabilmente si sono diffusi ulteriori aspetti di illiceità portando alla esasperazione situazioni di “ultra precariato”.


Pennesi 16 4A riprova di ciò è illuminante quanto ha affermato il Presidente dell’Inps prof. Tito Boeri, nella consueta relazione annuale alle Camere, per l’anno 2016, dell’Istituto, in merito allo strumento voucher per il lavoro accessorio, sottolineando la patologia sottesa al loro boom:

“… solo poco più di un voucher su 10 corrisponde a un secondo lavoro e in non pochi casi (in 4 casi su 10) rappresenta l’unica fonte di reddito. Raramente il voucher comporta emersione di lavoro nero: se consideriamo gli uomini in età centrali individui che nella stragrande maggioranza dei casi lavorano, troviamo pochissime persone (attorno allo 0,2% dei percettori di voucher) prive di una posizione contributiva al di fuori del voucher. Ci sono poi vere e proprie forme di cronicità nell’uso di questo strumento con un lavoratore a voucher su 6 che risulta privo di una qualsiasi posizione previdenziale. Le analisi svolte dall’Inps in collaborazione con Veneto Lavoro (la regione con maggiore utilizzo relativo dei voucher) dimostra come i voucher siano stati utilizzati spesso con finalità molto diverse da quelle che si era posto il Legislatore all’atto della loro prima introduzione, coinvolgendo una platea molto più ampia di quella inizialmente prefigurata. Anche in questo caso la scelta di rendere pubblici e accessibili a tutti i dati raccolti nell’esercizio delle nostre funzioni è servito ad avviare un confronto informato su questo fenomeno.
Crediamo che siano stati utili anche nel prendere provvedimenti come la comunicazione preventiva delle prestazioni di lavoro che hanno posto un freno alla prassi legislativa di ampliare sempre di più il raggio di azione dei voucher. Vedremo nei prossimi mesi quanto la tracciabilità sia efficace nel riportare l’utilizzo dei voucher nell’alveo inizialmente considerato dal legislatore e coerente con misure analoghe prese in altri Paesi europei (come i trites de service di Francia e Belgio). In caso contrario occorrerà valutare l’opportunità di circoscrivere l’utilizzo dei voucher a prestazioni e settori in cui è maggiormente diffuso il lavoro nero…”.


Sorge quindi legittimamente, oggi, il dubbio se i voucher, anche con le modifiche subite nel corso degli anni, abbiano risolto, o meno, le criticità, che hanno minato le basi del loro iniziale positivo concepimento, o di contro oltre il fatto di non risolvere alcun problema, (rispetto al bisogno prioritario, come più volte detto, di emersione dal lavoro nero (per alcune fattispecie lavoristiche) ne hanno ingenerati degli altri di pari o superiore gravità.


Riflessione merita anche la casistica riguardante le aziende, principalmente le Pmi che, ad esempio, utilizzando per propri lavoratori lo strumento voucher anziché veri e propri contratti di lavoro, si mettono automaticamente al riparo dalla eventuale applicazione di “maxi sanzione” da lavoro nero elevabile, da parte degli Ispettori del lavoro, per il solo fatto che la stessa non può comminarsi se ci si imbatte in una qualsiasi forma di regolarizzazione applicata, quale il voucher stesso rappresenta.


In chiusura, a maggior veduta, possiamo quindi semplicemente constatare come i voucher, comunemente denominati anche buoni lavoro, almeno nel quadro normativo attuale, rappresentino la più classica delle degenerazioni di un sistema resosi incontrollabile e ingestibile, ancorché malato e che ha bisogno di cure certe, radicali e immediate. Quadrato Verde

[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, Roma – titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro”. Il Prof. Stefano Olivieri Pennesi è anche Dirigente del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direttore della DTL di Prato. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

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