La tutela infortunistica nello sport (3)

di Alberto Del Prete [*]

Alberto Del PreteTERZA PARTE (La prima parte è stata pubblicata nel n. 14 • La seconda parte è stata pubblicata nel n. 15)

Profilo oggettivo della tutela – Completato l’esame del profilo soggettivo della tutela, non ci si può esimere, a questo punto, dal procedere anche ad un parallelo esame del profilo oggettivo della stessa, dalla quale si possono trarre talune indicazioni particolarmente significative.

L’attività sportiva oggettivamente pericolosa – La previsione di cui all’art. 6 D.Lgs. n. 38/2000, con l’introduzione dell’obbligo assicurativo per gli sportivi professionisti, ha introdotto nell’ordinamento, seppur soltanto implicitamente, una vera e propria presunzione assoluta di pericolosità per lo svolgimento dell’attività sportiva in genere. Ciò in quanto detta previsione non fa alcun riferimento alla tipologia di prestazione richiesta, o all’utilizzo di particolari strumenti, ma prende in considerazione la sola attività sportiva genericamente intesa.

Fatte, beninteso, le doverose distinzioni, per la netta differenza esistente fra le due diverse tipologie di attività, la disposizione di che trattasi può essere paragonata, in quest’ottica, a quelle più risalenti di cui al D.L.Lgt. n. 1450/1917, con cui è stato introdotto l’obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura, poiché detto obbligo prescindeva del tutto da qualsiasi riferimento al rischio che scaturisce dalle macchine utilizzate per le lavorazioni, così come, invece, avveniva per il lavoro industriale in quello stesso arco temporale. E considerazioni del tutto analoghe valgono anche per la disposizione di cui all’art. 3 del successivo regolamento approvato con D.L.Lgt. n. 1889/1918, con cui veniva previsto l’obbligo assicurativo anche nei confronti degli alunni degli Istituiti di istruzione agraria o forestale per il solo fatto di attendere alle lavorazioni agricole, seppur soltanto a scopo di istruzione e di esercitazione pratica. E tutto ciò, per l’appunto, sulla base dell’intrinseca pericolosità del lavoro agricolo in sé per sé, secondo una valutazione scaturita da parte dello stesso legislatore, Esattamente come avviene, mutatis mutandis, con la previsione di cui al citato art. 6 D.Lgs. n. 38/2000 in relazione all’attività sportiva professionistica.

Tornando, allora, a quest’ultima attività, va rilevato come la tutela assicurativa abbia per oggetto proprio l’attività sportiva che il lavoratore è tenuto a svolgere in forza del contratto stipulato con la società destinataria della stessa.

Tale attività non si limita, quindi, alla partecipazione alle singole gare sportive, ma comprende anche le sedute di preparazione o di allenamento – finalizzate, di norma, alla preparazione proprio dell’evento agonistico – che lo sportivo è contrattualmente obbligato a frequentare.

Pertanto la copertura assicurativa fornita dall’INAIL riguarda non soltanto la partecipazione alla partita settimanale di campionato, ovvero ad altro evento agonistico equivalente, ma anche tutte le altre attività alle quali il lavoratore sia tenuto a partecipare in adempimento degli obblighi contrattuali assunti verso la società di appartenenza.

Per quanto riguarda, poi, la “sede di lavoro” essa deve intendersi il luogo in cui si svolge in via prevalente la prestazione che costituisce oggetto del rapporto lavorativo. Pertanto, tenuto conto che, quantomeno sotto il profilo quantitativo, prevalgono sicuramente le prestazioni effettuate durante le sedute di preparazione o di allenamento, per sede di lavoro deve allora intendersi il luogo nel quale normalmente si svolgono tali sedute.

Per gli infortuni avvenuti, invece, fuori sede rimane competente per territorio la sede INAIL che gestisce il rapporto assicurativo con la società.

Va evidenziato, infine, come la tutela obbligatoria di che trattasi si estende anche alle attività connesse ed accessorie alle prestazioni propriamente lavorative (es. spostamenti su mezzi di trasporto della società) che si pongono in rapporto strumentale rispetto a quest’ultime, secondo i principi generali sul rischio generico aggravato.

Sentenza n. 137/1989 della Corte Costituzionale – Si è detto finora della intrinseca pericolosità dell’attività sportiva come valutazione che scaturisce direttamente dallo stesso legislatore, senza la necessità di ricorrere all’utilizzo di macchinari, più o meno complessi ed articolati. Non va dimenticato, tuttavia, che un autorevolissimo contributo in tal senso è stato fornito anche dalla Corte Costituzionale.

Il riferimento va ad una pronuncia ormai non più recentissima ma che viene considerata, a buon diritto, come uno dei passaggi fondamentali lungo il percorso per il pieno riconoscimento della tutela infortunistica nell’attività sportiva, anche se avente ad oggetto l’esercizio di un attività non attinente con l’attività sportiva in senso stretto.

La Corte Costituzionale ha, infatti, ritenuto, in tale occasione, che gli artt. 1, III° comma, n. 27, e 4, n. 1, D.P.R. n. 1124/1965 debbano ritenersi in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., nella parte in cui non comprendono, tra le persone soggette all’assicurazione obbligatoria, i ballerini ed i tersicorei addetti all’allestimento, alla prova o all’esecuzione di pubblici spettacoli.

Delprete 16 1La particolarità di detta pronuncia si riscontra proprio nella peculiare considerazione del lavoro prestato da dette categorie di lavoratori i quali, pur svolgendo una prestazione lavorativa senza l’utilizzo di macchinari, attrezzi o strumenti, debbono comunque ritenersi, secondo il Giudice delle leggi, meritevoli della protezione offerta dalla tutela infortunistica.

Ciò in quanto l’art. 1 D.P.R. n. 1124/1965 prevede n. 28 ipotesi di diverse attività lavorative nelle quali sussiste l’obbligo assicurativo anche a prescindere dall’utilizzo, per l’espletamento delle relative prestazioni, di macchine, apparecchi o impianti, in ragione di una presunzione legislativa di pericolosità, e comprende tra queste anche le attività di allestimento, prova ed esecuzione di pubblici spettacoli, di cui al n. 27.

Se, dunque, per opera manuale debba intendersi l’impiego di un’attività fisica diretta al raggiungimento di un ulteriore risultato, ne deriva che in tale nozione non può ritenersi ricompresa anche l’ipotesi di un’attività fisica che integri essa stessa un risultato produttivo, proprio così come accade per tutti quei lavoratori dello spettacolo, i quali, attraverso il muoversi, il gestire, il parlare, il cantare e addirittura il semplice essere fisicamente presenti, diano vita ad uno spettacolo.

Ed a questo punto viene superato anche il riferimento all’opera manuale, che appare, ormai, nulla di più di un residuo della vecchia disciplina infortunistica, legata essenzialmente ai macchinari presenti nel settore industriale. Ma ora, in un contesto normativo nel quale viene già ammessa, ormai, un’esposizione a rischio assicurabile anche al di fuori dell’impiego delle macchine, la Corte ha giustamente ritenuto non più giustificabile la limitazione riscontrata nel caso di specie, dovendosi per converso ritenere che l’assicurabilità del rischio vada sancita in relazione alla natura obiettiva di esso e, soprattutto, che, qualora talune attività siano assicurate in quanto espongono ad un dato rischio, obiettivamente considerato, non possa, senza offesa degli artt. 3 e 38 Cost., non stabilirsi la copertura assicurativa per tutte le persone esposte, di fatto, allo stesso rischio.

Così superato, dunque, il duplice limite dell’attività manuale e dell’utilizzo di macchine, apparecchi o impianti, ai fini della concreta ammissibilità della tutela infortunistica, si rende possibile, allora, sulla base dello stesso principio, tutelare, contro gli infortuni, anche tutti coloro che svolgono attività sportiva.

E ciò, beninteso, senza fare alcuna distinzione tra gli sport nei quali vengano utilizzate macchine a motore (automobilismo, motociclismo), ovvero altri strumenti tecnici che aiutano lo spostamento dell’individuo (sci, pattinaggio, ciclismo, vela, canoa), ovvero ancora particolari e specifici attrezzi tecnici che aiutano o racchiudono in sé il gesto tecnico dello sportivo ma che possono anche, essi stessi, essere causa di infortuni (calcio, pallacanestro, pallavolo, rugby, tennis, scherma, hockey, lancio del peso, del disco, del giavellotto, e salto con l’asta nell’atletica leggera) rispetto agli sport che, invece, non prevedono altro se non il libero movimento corporeo dell’atleta (corsa, salti, ginnastica, tuffi, nuoto, nuoto sincronizzato, pugilato, arti marziali). Tutto ciò, per l’appunto, proprio in considerazione della suindicata oggettiva pericolosità dell’attività sportiva in genere.

Cause intrinseche ed estrinseche – Tenuto conto dell’oggetto della tutela infortunistica nell’attività sportiva, dev’essere anche evidenziata un ulteriore e significativa distinzione attinente alle possibili cause d’infortunio.

Quest’ultimo, infatti, pur nella vasta gamma della casistica offerta dalla pratica sportiva, può essere ricondotto, essenzialmente, a due distinte modalità: l’infortunio, infatti, può derivare dall’esecuzione di un gesto tecnico errato, scoordinato o in ritardo che provochi un danno fisico all’autore dello stesso, ovvero ad altri atleti, ma anche ad arbitri, giudici di gara, allenatori e dirigenti, ovvero dall’esecuzione di un gesto che, sebbene venga eseguito nel corso di un evento sportivo, trascende totalmente dalle esigenze tecniche legate alla singola disciplina sportiva.

Si possono, allora, configurare due grandi categorie di infortuni: quelli derivanti da cause intrinseche alla stessa disciplina sportiva, poiché scaturiscono da gesti tecnici connaturati alla stessa, da quelli derivanti, invece, da cause estrinseche in quanto del tutto estranei dalle necessità tecnico – agonistiche dettate dalla singola disciplina sportiva.

La predetta distinzione scaturisce anche dalla giurisprudenza che si è progressivamente formata proprio in relazione agli infortuni scaturiti dalla pratica sportiva. Ed in tal senso anche la Corte di Cassazione ha più volte avuto modo di esprimersi, delineando progressivamente i confini, non sempre facilmente distinguibili in concreto, tra le due suddette categorie.

La Suprema Corte ha, infatti, stabilito che lo svolgimento dell’attività agonistica implica l’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni da essi eventualmente sofferti rientranti nell’alea normale ricadono sugli stessi.

Successivamente la stessa Corte ha avuto modo di specificare ulteriormente quanto già affermato in precedenza stabilendo che, in materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile si riscontra nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con l’uso di una violenza che sia incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco, con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano.

Appare sufficientemente chiara, a questo punto, la linea di confine esistente tra le cause intrinseche e le cause estrinseche che, in ultima analisi, appare riconducibile all’elemento intenzionale dell’agente, ossia all’accertamento della specifica volontà di ledere altre persone.

Delprete 16 2Appare anche sufficientemente chiaro, però, che può non essere semplice distinguere, in concreto, se un singolo infortunio sia ascrivibile all’una o all’altra categoria, soprattutto nel caso in cui l’atto lesivo sia comunque funzionalmente connesso alle regole proprie dell’attività sportiva specificatamente svolta, proprio perché il criterio distintivo si ritrova nell’elemento soggettivo dell’agente e come tale non facilmente accertabile. Ma le pur innegabili difficoltà di accertamento non possono, tuttavia, far venir meno la distinzione chiaramente delineata quantomeno in astratto.

Va, infine, sottolineato come l’assoggettabilità di un singolo evento infortunistico ad una categoria piuttosto che ad un’altra non è privo di conseguenze sul piano pratico, dal momento che mentre per gli infortuni derivanti da cause intrinseche all’attività sportiva si applica senz’altro la tutela di cui al testo unico e successive modificazioni, con totale esonero da qualsiasi responsabilità da parte di colui che ha provocato l’infortunio stesso, in caso, invece, di evento derivante da cause estrinseche si applica la tutela aquiliana di cui all’art. 2043 cod. civ., con conseguente piena responsabilità, ricorrendone i presupposti anche sotto il profilo penale, da parte di colui che ha cagionato l’infortunio stesso.


Contenuto della tutela – A completamento della trattazione in parola non resta che l’analisi di ciò che rappresenta il contenuto effettivo della tutela infortunistica nell’attività sportiva, in funzione delle conseguenze fisiologiche che possono scaturire da un infortunio.

Per quanto riguarda la disciplina applicabile, appare chiarissima l’indicazione che si desume dalla disposizione di cui all’art. 2 D.P.R. n. 1124/1965 che deve ritenersi senz’altro applicabile anche all’attività sportiva e che predispone, per l’appunto, la tutela infortunistica soltanto nelle ipotesi in cui, per effetto dell’infortunio, sopraggiunga la morte dell’infortunato, ovvero un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero, infine, un’inabilità temporanea assoluta da cui derivi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni.

È di tutta evidenza, allora, che, in funzione dell’evento lesivo scaturito dall’infortunio muta anche la natura della tipologia di intervento che si rende possibile porre in essere a seguito dell’infortunio.

Se, infatti, con la morte dell’infortunato potrà farsi luogo soltanto ad una tutela di natura risarcitoria a beneficio degli eredi per fin troppo evidenti ragioni, negli altri casi la disciplina è totalmente diversa.

In caso d’inabilità permanente al lavoro, totale o parziale, alla tutela di natura risarcitoria, formata, da un lato, dal recupero della ridotta o estinta capacità lavorativa dello sportivo, quale fonte di reddito per se e per la propria famiglia, nonché, dall’altro, di quanto spettante a titolo di danno biologico, inteso come risarcimento della lesione dell’integrità psicofisica della persona in sé per sé considerata, indipendentemente da qualsiasi valutazione reddituale, si affiancherà anche una forma di tutela riabilitativa, nel caso sia possibile il recupero di almeno una parte delle capacità lavorativa. Qualora, invece, l’inabilità permanente arrivi al 100%, la tutela riabilitativa, a quel punto, dovrà essere sostituita, anche qui per evidenti ragioni, da una tutela di natura assistenziale vera e propria.

L’ipotesi meno grave, tra quelle ammesse alla tutela infortunistica di cui al citato art. 2, è quella, infine, dell’inabilità temporanea del soggetto infortunato da cui derivi la forzata astensione dal lavoro per un arco temporale che sia almeno superiore a tre giorni.

Si tratta, dunque, di un’ipotesi in cui l’inabilità viene considerata reversibile, per cui si ritiene che il soggetto, in un arco temporale più o meno lungo, seppur con l’eventuale ausilio di adeguate terapie riabilitative, potrà tornare pienamente alla propria pregressa attività lavorativa.

Questo spiega il motivo per cui, in questi casi, le prestazioni previdenziali si limitino essenzialmente ad un mero indennizzo giornaliero commisurato nell’importo alla retribuzione del soggetto infortunato.

Proprio perché si tratta di una situazione non destinata ad avere conseguenze a lungo termine, tenuto conto che il soggetto comunque potrà tornare a svolgere il proprio lavoro, non sono previste ulteriori forme di indennizzo. Quadrato Azzurro

Bibliografia

Aldo De Matteis – Infortuni sul lavoro e malattie professionali - Giuffrè Editore - Milano 2011.
Avv. Angelo Guadagnino – La tutela antinfortunistica nello sport: i rapporti di competenza I.N.A.I.L./SPORTASS – su www.laprevidenza.it/news/documenti/infortunistica_sport/1105#A.

[*] Avvocato, Funzionario Area Amministrativa e Giuridico – Contenzioso – F5 in servizio presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Teramo. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per la relativa Amministrazione di appartenenza.

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