L’evoluzione storica del Terzo Settore: nascita e progressiva affermazione - Terza parte

di Paola di Paolo [*]

Paola Di Paolo(La prima parte è stata pubblicata nel n. 15, la sconda nel n. 16).


Nonostante il riconoscimento costituzionale del diritto all’assistenza sociale per inabili al lavoro e per sprovvisti di mezzi necessari per vivere (art. 38 I° comma), soltanto con Legge 328/2000 il Parlamento ha dato attuazione a questo principio. Nel frattempo, dalla fine degli anni 70’ le Regioni approvarono delle proprie leggi di riordino del sistema assistenziale riconoscendo un ruolo di primo piano ai soggetti del privato sociale e soprattutto alle Organizzazioni di volontariato. Esistevano già gruppi di persone tese a rispondere ai bisogni delle persone più fragili, che però rimanevano escluse dai tradizionali interventi istituzionali, come ad esempio il “Gruppo Abele”, fondato a Torino nel 1965 da don Luigi Ciotti, o “l’Associazione Papa Giovanni XXIII°”, fondata nel 1968 da Oreste Benzi per offrire accoglienza ai bambini senza famiglia. La prima traccia di un riconoscimento legislativo del ruolo svolto dai soggetti dell’autonomia sociale è da rivenire nell’introduzione di asili nido comunali, quali servizi sociali di interesse pubblico, finalizzati alla temporanea custodia dei bambini per facilitare l’accesso delle donne al lavoro. Le leggi regionali hanno, pertanto, contribuito ad attuare il principio costituzionale della libertà dell’assistenza privata fornendo importanti riconoscimenti ai soggetti del Terzo settore.

A queste leggi regionali, nei primi anni ’90, è seguita la prima grande stagione di leggi speciali riguardanti soggetti quali Organizzazioni non governative, Organizzazioni di volontariato e Cooperative sociali, che hanno posto quali requisiti costituenti di tali enti, l’assenza di finalità di lucro e il fine della solidarietà sociale. La prima di queste è la Legge n. 49/1987 che ha regolato il fenomeno della cooperazione allo sviluppo, diffusosi in Italia a partire dagli anni ’70, in coincidenza con l’avvio delle grandi campagne contro la fame e le disuguaglianze sociali. Essa perseguiva obiettivi di solidarietà tra i popoli e di piena realizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Le Organizzazioni che si occupavano di cooperazione allo sviluppo, erano indipendenti dai governi e dalle loro politiche, non avendo fini di lucro e costituite nella forma di associazioni non riconosciute, tant’è che per poter operare hanno dovuto avere un apposito riconoscimento di idoneità dal Ministero degli Affari Esteri. Hanno svolto un ruolo rilevante rappresentando un canale privilegiato per l’emersione di istanze provenienti dalla società civile dei Paesi in via di sviluppo[1]. In seguito venne emanata la “Legge quadro sul volontariato” n. 266/1991 che, ovviamente, non c’era nel 1980, in occasione del terremoto in Campania e Basilicata, che provocò gravissimi danni, distruggendo interi paesi, allorquando migliaia di volontari affluirono alle zone colpite, lavorando senza limiti di tempo e fatica. Le persone colpite dal sisma si domandavano stupite da chi era stata mandata tutta quella gente e da chi veniva retribuita, da chi provenisse quell’aiuto gratuito ricevuto da persone, mai incontrate prima[2]. La legge ha avuto il merito di disciplinare in maniera chiara cosa rappresenti il volontariato, riconoscendone il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato, come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo. La legge ha riconosciuto come elemento costitutivo ed originale del volontariato quello della “gratuità” per cui, nonostante la previsione, per le organizzazioni, della possibilità di accedere a finanziamenti pubblici, se iscritte in appositi registro regionali o provinciali, il volontariato si può ritenere libero da condizionamenti economici, istituzionali e politici, in quanto non dipendente da contributi o convenzioni che lo finanziano[3].

Dalla gratuità discendono poi due importanti conseguenze: la natura propria delle Organizzazioni di volontariato comporta che esse non possano assumere la gestione di servizi per i quali sono richieste professionalità specifiche e livelli organizzativi complessi, ma possono avere un ruolo significativo nei servizi leggeri rispondendo ai bisogni emergenti ed agendo da stimolo alle Istituzioni per lo sviluppo delle politiche sociali. L’altra conseguenza è che la libertà che li caratterizza permette alle Organizzazioni di volontariato di farsi promotori della tutela dei diritti dei soggetti deboli[4].

Agli inizi del ’90 era emerso anche il fenomeno della cooperazione di solidarietà sociale, nato dal volontariato, che aveva come scopo l’integrazione sociale e lavorativa di persone svantaggiate. Infatti nel 1991 è stata approvata la normativa sulle Cooperative sociali. La Legge n. 381/1991 ha disciplinato “l’Impresa sociale” ed ha definito le Cooperative sociali come organizzazioni che hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso lo svolgimento di due diverse tipologie di attività: la gestione di servizi sociosanitari ed educativi (società cooperative sociali di tipo A) ovvero l’esercizio di attività diverse (agricole, industriali, commerciali e di servizi) finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, le quali devono costituire almeno il 30% della base sociale complessiva (società cooperative sociali di tipo B). La legge ha avuto il merito di ampliare il concetto abituale di cooperazione fino a quel momento caratterizzato essenzialmente dal perseguimento dello scopo di “fornire ai soci beni o servizi a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato”. Nelle cooperative sociali, invece, si riscontra una duplicità di relazioni di tipo solidaristico proiettate da un lato verso gli stessi soci, e che trovano la loro genesi e funzione nel normale rapporto associativo, e dall’altro verso l’esterno, ossia verso la collettività, nel qual caso si parla di un modello mutualistico allargato, proprio perché i benefici sono indirizzati anche a soggetti esterni alla cooperativa sociale. Tale è l’evoluzione avvenuta in Italia, nonostante il dibattito sul Terzo Settore sia partito notevolmente in ritardo rispetto agli altri paesi Europei a causa di una cultura dell’intervento sociale che ha attribuito alle organizzazioni un ruolo marginale, di un’inadeguata progettazione delle politiche sociali e di un’incapacità dell’ente pubblico di soddisfare molti bisogni sociali, inducendo la famiglia e le reti parentali ad assumere il ruolo di principali erogatori di molti servizi sociali.

Le imprese sociali hanno prodotto dunque secondo modalità organizzative e gestionali di tipo imprenditoriale, beni e servizi di utilità sociale, che generalmente, in accordo con il comune senso di giustizia sociale, dovrebbero essere prodotti e resi accessibili indipendentemente dal potere d’acquisto e per i quali il mercato non garantisce quindi sufficiente disponibilità[5].

Successivamente è stato introdotto un ulteriore strumento di grande importanza nella storia del Terzo settore in quanto ha offerto una prima serie di sostegni e agevolazioni di natura fiscale nella gestione dei servizi pubblici. Il D.Lgs. n. 460/1997 sulle Onlus è stato realizzato mediante la costituzione di una categoria fiscale e tributaria in cui potevano essere ricompresi soggetti come fondazioni, comitati e società cooperative che avessero come scopo quello del perseguimento di fini di solidarietà sociale, quali cooperative sociali, Organizzazioni di volontariato e non governative a cui la qualifica di Onlus è riconosciuta in maniera automatica; infine ne ha elencati alcuni esclusi dall’ambito della disciplina come enti pubblici, partiti politici e sindacati.

Gli anni 2000 si sono rivelati di grande importanza al fine del riconoscimento e della valorizzazione di tutte le diverse realtà associative che animano il Terzo settore. Infatti non soltanto è stata approvata la già citata Legge 328/2000, che ha dedicato al Terzo settore un ruolo di assoluto primo piano, avviando nel contempo la riforma delle IPAB, ma è stato anche emanato il decreto ministeriale che ha dato avvio al funzionamento dell’agenzia per le Onlus (in seguito al D.P.C.M. n. 51/ 2011, Agenzia per il Terzo Settore) con il compito di indirizzare, vigilare e promuovere il sistema del non profit italiano. A causa dell’assenza, fino ad allora, dell’adozione di un’apposita legge in materia di servizi sociali, in Italia si registravano significativi squilibri territoriali in ordine alla tenuta dei sistemi di welfare regionali.

Di Paolo 17 1In questo contesto la legge n. 328/2000 ha confermato le innovazioni più significative già introdotte dalle leggi regionali attribuendo a Regioni, Province e, soprattutto, ai Comuni, ulteriori competenze nel campo dei servizi sociali, anche attraverso la creazione “dell’ambito”. Contemporaneamente, però, sono stati individuati altri soggetti, come il Terzo settore e la famiglia, quali erogatori di interventi assistenziali, in un’ottica di sussidiarietà orizzontale, oltre che verticale, e di pluralismo, per dare piena attuazione all’art. 38 Cost. ossia al diritto all’assistenza sociale e alla garanzia della libertà dell’assistenza privata, anche attraverso il diritto di scelta dell’utente6. In questo contesto appare importante il ruolo dei soggetti del privato sociale, individuati dalla legge come soggetti propulsori dell’aggregazione e miglioramento dei servizi sociali di tutto il paese. È stata affermata la scelta verso un sistema integrato pubblico privato, in cui, da un lato, la responsabilità è rimessa ai soggetti istituzionali quali Enti locali, Regioni e Stato, e, dall’altro, è riconosciuta agli organismi della solidarietà organizzata non solo la facoltà di intervenire nell’erogazione delle prestazioni, ma anche quella della progettazione e programmazione degli interventi. Il riconoscimento del ruolo attivo dei soggetti del privato sociale, ha consentito di abbandonare la vecchia logica categoriale dell’assistenza e di affermare la prevalenza di un nuovo sistema di welfare mix fondato sulla stretta collaborazione tra settore pubblico e società civile nell’organizzazione della risposta ai bisogni sociali all’insegna dei principi di sussidiarietà orizzontale e di solidarietà[7]. Per quanto riguarda il volontariato, nella legge n. 328/2000, questi ha assunto un ruolo particolare in ragione della sua identità propria e specifica, ovvero la gratuità. Si riconosce l’importanza che il volontariato, come prima espressione organizzata di solidarietà, ha assunto nell’erogazione di interventi finalizzati al bene dell’altro e dell’intera comunità e quale soggetto in grado di anticipare le risposte ai bisogni emergenti. La legge quadro n. 328/2000 ha contribuito anche al processo di riforma delle IPAB conferendo una delega la Governo per la definizione di una nuova disciplina delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza, riconosciute a pieno titolo quali attori del sistema degli interventi e dei servizi sociali. La delega è stata attuata con D.Lgs. n. 207/2001 che ha tracciato una netta ripartizione tra le IPAB che decidono di rimanere in regime di diritto pubblico, assumendo la veste di ASP (Azienda di servizi alla persona) da quelle che, invece, scelgono di far accertare la loro natura privatistica assumendo la veste di fondazioni o associazioni, ponendo ad entrambe un obbligo di assumere le relative determinazioni entro due anni, pena l’intervento d’ufficio di un commissario regionale.

Nello stesso periodo è stata approvata la Legge n. 383/2000, normativa che conferisce dignità giuridica alle Associazioni di promozione sociale legittimando l’attività sociale priva di fini di lucro svolta da diverse associazioni territoriali come “l’Acli” e “l’Arci” che contano un numero considerevole sia di soci che di circoli su tutto il territorio nazionale. Il movimento associativo ha cominciato a germinare già a metà ’800 manifestandosi in forme non regolate e spontanee, come le società di mutuo soccorso o le Case del popolo. Partendo da tali esperienze, oggi l’associazionismo di promozione sociale è passato dal dare risposte all’esigenza di organizzare attività ricreative dopolavoristiche degli anni ’60, alla creazione di nuovi legami sociali e nuova inclusione[8]. L’associazionismo si distingue dal volontariato, pur essendo entrambi fenomeni di un’espressione partecipativa, pluralistica e solidale, per il fatto che il primo ha come obbiettivo primario la crescita degli associati e un azione culturale e di politica generale, mentre il volontariato trova la propria ragione d’essere nel servizio verso gli altri, attraverso azioni personali, spontanee e gratuite.

Di Paolo 17 2Un’innovazione di grande rilevanza è rappresentata dall’introduzione nel Testo Costituzionale del principio di sussidiarietà secondo quanto sancito dal primo comma dell’art. 118, novellato dalla legge costituzionale n. 3/2001. Alla luce di tale evoluzione, il principio di sussidiarietà e la connessa trasformazione del rapporto pubblico–privato nell’organizzazione nell’erogazione dei servizi alla persona, costituiscono i pilasti del nuovo modello di welfare che in Italia con fatica si sta cercando di realizzare. Questo ha peraltro determinato una profonda trasformazione dell’intervento statale con il passaggio da un modello incentrato sulla prevalenza dell’erogazione pubblica dei servizi ad un modello in cui i diritti sociali si inseriscono in un sistema di servizi sociali a più protagonisti, dove prevalente è la cura e la garanzia dei diritti della persona, più che l’individuazione dei soggetti cui ne è affidata la tutela.

Nel 2002 ha preso avvio l’attività istituzionale dell’Agenzia per il Terzo Settore, che è stata un organismo governativo di diritto pubblico operante sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In questi anni ha assunto sia compiti di vigilanza e controllo sull’operato dei soggetti di Terzo settore, sia di promozione e mediazione tra il settore non profit e gli altri attori politici, istituzionali economici e sociali, come la rivista quadrimestrale “Aretè”, in grado di accompagnare l’applicazione e l’interpretazione della normativa sul Terzo Settore. L’Agenzia operava affinché, su tutto il territorio nazionale, fosse perseguita una “uniforme e corretta osservanza della disciplina legislativa e regolamentare” delle Onlus, attraverso l’esercizio dei poteri di indirizzo, promozione, vigilanza e controllo”. Fra le principali attribuzioni si ritrovava anche la pronuncia di pareri vincolanti sulla devoluzione del patrimonio degli enti non profit; la formulazione di pareri su richiesta dell’Agenzia delle Entrate per l’eventuale cancellazione di Onlus dalla relativa anagrafe; la vigilanza sull’attività di sostegno a distanza, di raccolta fondi e di sollecitazione della fede pubblica; l’organizzazione di audizioni con i soggetti di Terzo settore; la cura e la raccolta di dati, la promozione di indagini conoscitive per favorire una migliore comprensione del variegato mondo del non profit italiano. A seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 16/2012 l’Agenzia è stata soppressa e le sue funzioni trasferite al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Quadrato Arancione

Bibliografia

[1] Patriarca E. “Cooperazione internazionale” in “Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit”, Milano, 2011.

[2] Nervo G. “Ha un futuro il volontariato?”, Ed. Devoniane, Bologna, 2007.

[3] Rossi E. “Identità e rappresentanza del Terzo settore” in Zamagni S. 2011.

[4] Zamagni S. “Il libro bianco del Terzo settore”, Il Mulino, 2011.

[5] Zamagni S. – “L'Economia del bene comune”, Città nuova, Roma, 2007.

[6] Rasimelli G. “Cooperazione sociale” in Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit a cura dell’Agenzia per il Terzo Settore, 2011.

[7] Zamagni S. “Nuovo welfare, sussidiarietà, Terzo Settore ”, in Aretè, n. 3, 2010.

[8] Rasimelli G. “Cooperazione sociale” in Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit a cura dell’Agenzia per il Terzo Settore, Milano 2011.

[*] Funzionario Area Amministrativa e Giuridico – Contenzioso in servizio presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Teramo. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per la relativa Amministrazione di appartenenza.

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