Il lavoro nei giorni festivi e domenicali

di Alberto Del Prete

Alberto Del PreteIn linea di principio nel nostro ordinamento il lavoro prestato nei giorni festivi e domenicali viene normalmente considerato come vietato. Dev’essere subito chiarito, però, che, a ben vedere, si tratta di un principio che viene derogato da una vera e propria miriade di eccezioni delle quali ogni persona ha normalmente una comune percezione.

Basti pensare a ciò che normalmente avviene durante i giorni festivi ovvero nelle giornate di domenica. Si può uscire di casa facendo uso di un taxi ovvero di altri mezzi del trasporto pubblico (autobus, tram, metropolitana, treni, navi, aerei), che, per circolare, da qualcuno dovranno pur essere guidati; ci si può recare negli ospedali, sia in visita ad ammalati, sia per interventi urgenti (pronto soccorso), che non potrebbero funzionare senza il personale medico e paramedico che vi lavora all’interno; si può andare al cinema, a teatro, allo stadio, al ristorante, ossia in posti di abituale ritrovo che non potrebbero ovviamente funzionare senza la presenza del relativo personale di servizio; oppure si può anche decidere di restare a casa per guardare in TV eventi sportivi, musicali e quant’altro, dei quali non potremmo fruire in alcun modo senza il lavoro dei giornalisti che s’impegnano per raccontare questi eventi. Basta, dunque, una breve riflessione su questi e su altri comunissimi esempi alla portata di chiunque per rendersi conto che il lavoro festivo o domenicale non è, in fondo, qualcosa tanto difficile da incontrare. Ma, allora, che senso ha l’esistenza stessa del divieto di cui si è detto in precedenza?

Per rispondere a questa domanda bisogna, innanzitutto, considerare che, al di là delle festività di carattere civile o religioso, che, come tali, trovano senso nella specifica ricorrenza che si festeggia in tali occasioni, la maggior parte delle persone che svolgono attività lavorativa normalmente riposano nelle giornate festive o domenicali. E ciò, intanto, si lega per lo più a lontanissime origini storico – culturali attualizzate da talune disposizioni di legge o di natura contrattuale, che regolamentano il c.d. riposo settimanale. Quest’ultimo, inoltre, risponde anche ad evidenti esigenze, di carattere fisiologico, per agevolare il lavoratore nella fase del necessario recupero psicofisico dalle fatiche del lavoro.

Ciò posto, va anche considerato che il lavoro al quale ci si riferiva negli esempi citati poc’anzi, si svolge, per lo più, per rispondere ad importanti esigenze di pubblica necessità, per cui determinati servizi non possono, evidentemente, essere interrotti neppure nelle giornate festive o domenicali senza farne scaturire una significativa riduzione dei livelli di vari servizi resi alla collettività.

Tuttavia, soprattutto negli ultimi anni, sta diventando sempre più abituale poter utilizzare anche e soprattutto queste giornate di riposo per fare acquisti di qualunque genere, per cui, di conseguenza, sempre più spesso, con particolare riferimento ad alcuni periodi dell’anno, si pone la questione del lavoro festivo o domenicale anche nell’ambito del settore del commercio. Trattandosi, in questo caso, di esigenze che effettivamente potrebbero anche essere lasciate alle giornate feriali, così come, del resto, avveniva in un passato non troppo lontano, si pone, allora, il problema di regolamentare, in qualche modo, il lavoro festivo o domenicale che si svolge in questo contesto. E si pone anche il conseguente problema di individuare dei possibili limiti, per capire, per esempio, se possa essere considerato legittimo il rifiuto di prestare lavoro in queste giornate da parte del lavoratore che ne viene richiesto.

La disciplina normativa

A tal proposito ha provveduto direttamente il legislatore, che, a più riprese, seppur con diversi gradi di regolazioni di dettaglio, ha disciplinato il riposo settimanale. Il primo riferimento normativo è di carattere costituzionale e va all’art. 36 III° comma Cost., che considera il riposo settimanale come un vero e proprio diritto del lavoratore. Il secondo riferimento è quello di cui all’art. 2109 I° comma cod. civ. che, riprendendo il predetto principio costituzionale, stabilisce, inoltre, che il riposo settimanale debba, di regola, coincidere con la domenica. Il terzo riferimento, invece, di più ampio respiro, si ritrova nella Legge 370/1934, appositamente mirata ad una disciplina più organica della materia. E già in questo caso ci si accorge delle numerose deroghe al predetto principio ivi considerate e, come tali, ritenute pienamente legittime.

Si arriva, poi, ai contratti collettivi dei singoli comparti con i quali viene individuata, caso per caso, la disciplina di dettaglio dei singoli rapporti di lavoro che comprende, tra le altre cose, anche la regolamentazione del lavoro festivo o domenicale. A tal proposito può anche essere previsto l’orario di lavoro organizzato su 5 giorni lavorativi su base settimanale, anziché su 6 (c.d. settimana corta). Ciò non significa, però, che il sabato venga considerato giorno festivo, e neppure lavorativo, poiché resta pur sempre una giornata feriale a zero ore.

Al lavoratore, in ogni caso, spettano non meno di 24 ore di riposo consecutive ogni 7 giorni di lavoro che si sommano, poi, alle 11 ore di riposo giornaliero, per un totale complessivo, nel fine settimana, pari ad almeno 35 ore di riposo ininterrotto, secondo quanto previsto dall’art. 9 I° comma D.Lgs. 66/2003, che ha recepito nell’ordinamento nazionale una precedente disposizione comunitaria, quale la Direttiva 93/104/CE del 23/11/1993. Va evidenziato, tuttavia, che ai fini del calcolo dei tempi di riposo settimanale, si deve considerare la suindicata prescrizione come risultante della media nell’ambito di un periodo più ampio, non superiore a 14 giorni, così come previsto dall’art. 41 V° comma D.L. 112/2008, così come convertito, con modificazioni, dalla Legge 133/2008, di talché la previsione si considera sostanzialmente rispettata purché nell’arco di 14 giorni consecutivi, calcolati a ritroso dall’ultimo riposo settimanale effettivamente fruito, il lavoratore abbia potuto fruire di almeno due giorni di riposo. In caso di violazione di detto obbligo lo stesso legislatore ha previsto una sanzione amministrativa applicabile all’azienda che, secondo varie graduazioni commisurate alla gravità delle violazioni, nella formulazione più recente, può arrivare da un importo minimo pari a € 200,00 fino ad un importo massimo pari a € 10.000,00 nei casi più gravi, così come previsto dall’art. 18 bis III° comma D.Lgs. 66/2003, introdotto dall’art. 1 I° comma lett. f) D.Lgs. 213/2004, così come modificato dall’art. 7 I° comma lett. a) Legge 183/2010, così come modificato dall’art. 14 I° comma lett. b) Legge 9/2014.

Può capitare, pertanto, che il lavoratore debba rendere, talvolta, la propria prestazione lavorativa anche di domenica o in un giorno festivo. Orbene, dev’essere innanzitutto chiarito che per il semplice fatto di dover lavorare durante il giorno normalmente destinato al riposo, al lavoratore spetta senz’altro una maggiorazione del proprio compenso, che può concretizzarsi, secondo la prevalente interpretazione giurisprudenziale, in un’attribuzione supplementare di natura economica, che si aggiunge alla normale retribuzione, ovvero, in alternativa, in ulteriori vantaggi e/o benefici di carattere contrattuale, quali, ad esempio, la possibilità di fruire di maggiori riposi compensativi (Cass. S.U. n. 10153 del 08/10/1991). In mancanza di specifico compenso, al lavoratore spetta, invece, oltre al già citato compenso per la prestazione giornaliera, anche il risarcimento del danno conseguente alla mancata fruizione del riposo settimanale, la cui liquidazione spetta al giudice del lavoro, che provvede, di norma, ad una quantificazione equivalente all’importo eventualmente spettante per i giorni di ferie non goduti[1].

Con particolare riferimento, poi, al settore del commercio, ulteriori disposizioni normative in materia di riposi settimanali vengono anche previste dal D.Lgs. 114/1998. Sempre con riferimento al settore del commercio, la materia è stata, poi, ulteriormente rivisitata anche con l’entrata in vigore delle c.d. liberalizzazioni previste dal Decreto Bersani bis, ossia dal D.L. 7/2007, così come pure, sebbene indirettamente, con la successiva entrata in vigore del c.d. “Decreto Salva Italia”, ossia con il D.L. 201/2011, convertito con modificazioni nella Legge 214/2011 finalizzato, quest’ultimo, soprattutto a dare un nuovo impulso ad un’economia, in quel particolare frangente, in uno stato di crisi.

Non si può escludere, infine, che ulteriori deroghe possano essere previste, a livello locale, anche dalla contrattazione decentrata.

Delprete 23 3I casi di esenzione

La suindicata disciplina normativa e contrattuale, tuttavia, nell’insieme prevede due diverse tipologie di eccezioni, una di carattere oggettivo, l’altra di carattere soggettivo, con particolare riferimento al settore del terziario.

Nel primo caso l’oggettività consiste nella possibilità, per il datore di lavoro, di impiegare il lavoratore full time che abbia il riposo settimanale normalmente coincidente con la domenica, fino al limite del 30% delle aperture domenicali previste sul territorio di riferimento, oltre a quelle previste dal già citato D.Lgs. 114/1998. Dunque non è possibile, in questo caso, impiegare il lavoratore oltre un certo di giornate domenicali prefissate.


Il limite soggettivo, invece, attiene a dei particolari ruoli ricoperti talvolta dal lavoratore che consentono a quest’ultimo di potersi considerare esentato dall’obbligo vigente per tutti gli altri lavoratori di prestare lavoro durante le giornate festive e domenicali. Ciò avviene, in particolare, allorché ci si trovi in presenza di:

  • genitori di minori al di sotto dei 3 anni;
  • dipendenti che assistono portatori di handicap, se conviventi;
  • lavoratori che assistono persone non autosufficienti, titolari di assegno di accompagnamento, qualora conviventi;
  • dipendenti portatori di handicap grave, ai sensi della Legge 104/1992;
  • altre categorie di lavoratori, secondo quanto stabilito dal secondo livello di contrattazione.


In questi casi, dunque, il lavoratore, al quale viene richiesto di lavorare di domenica o in un giorno festivo o domenicale, può legittimamente rifiutarsi per il solo fatto di appartenere ad una delle suindicate categorie.
Inoltre, dev’essere anche ricordato che, affinché il datore di lavoro possa concretamente esigere la prestazione lavorativa di domenica o in un giorno festivo, devono anche sussistere i seguenti presupposti:

  • l’attività esercitata dev’essere di pubblica utilità, nel senso che dev’essere finalizzata ad un prodotto o un servizio utile al pubblico;
  • devono sussistere, per l’impresa, esigenze tecniche ed organizzative motivate;
  • la data in cui il lavoratore deve effettuare la prestazione festiva deve essere comunicata con un congruo preavviso;
  • deve comunque sussistere il consenso, anche tacito, da parte del lavoratore.


In quest’ultimo caso, peraltro, si discute circa le concrete modalità di espressione di detto consenso da parte del prestatore di lavoro. Non mancano coloro che sostengono, infatti, che il consenso presupporrebbe l’esistenza di un accordo individuale, caso per caso, anche verbale, tra dipendente ed azienda. Tuttavia, secondo l’orientamento nettamente prevalente, recepito, di fatto, anche dallo stesso C.C.N.L. Terziario, perché vi sia consenso, è sufficiente l’esistenza di un accordo collettivo, nazionale, territoriale ed aziendale.

Delprete 23 1Difformità della disciplina

Ma, a questo punto, occorre anche evidenziare una netta distinzione esistente nella disciplina delle giornate festive e delle giornate domenicali che finora, in effetti, sono state trattate indistintamente. Ciò in quanto soltanto in un caso, a ben vedere, il lavoratore può legittimamente rifiutarsi di prestare il proprio lavoro durante il giorno di riposo, allorché si tratta di giornate festive.

Quest’ultime, infatti, trovano il proprio riferimento normativo nella Legge 260/1949, così come modificata dalla Legge 90/1954, laddove viene chiaramente espresso il senso delle giornate festive, indipendentemente che si tratti di ricorrenze civili o religiose, nelle quali, di regola, non ci si dedica al lavoro. Ora, è vero che detta previsione normativa prevede come festive anche tutte le domeniche dell’anno solare. Ma quest’ultime, se non altro in ossequio alla previsione di cui all’art. 9 I° comma D.Lgs. 66/2003, conservano pur sempre la funzione principale del riposo settimanale. E tale funzione deve considerarsi assorbente anche nei confronti delle festività che, occasionalmente, possono ricadere in una giornata domenicale. Invece le altre festività infrasettimanali, assumono la funzione di giornate di riposo ulteriore rispetto a quello domenicale.

Questa sottile distinzione, in effetti, è stata autorevolmente utilizzata dalla stessa Cassazione per segnare, sotto questo profilo, una netta distinzione tra le giornate festive e le giornate domenicali. Tenuto conto che quest’ultime rientrano, per l’appunto, nel novero della previsione di cui all’art. 9 I° comma D.Lgs. 66/2003, secondo cui il riposo settimanale non coincide inderogabilmente con la domenica, visto che si ritiene sufficiente che sia riscontrabile per due volte in un arco temporale di 14 giorni, il lavoro in dette giornate non può essere legittimamente rifiutato, se non nell’ambito dei limiti oggetti e soggettivi già evidenziati in precedenza.


Per quanto riguarda, invece, le giornate festive che non ricadono nelle giornate domenicali e che, pertanto, non subiscono il predetto effetto di assorbimento, restano disciplinate unicamente dalla citata Legge 260/1949, così come modificata dalla Legge 90/1954, per cui il lavoratore, in dette giornate, non può essere obbligato a prestare lavoro contro la propria volontà. E si badi bene, in questo caso, non si applica la fictio iuris della volontà espressa anche in sede di accordo collettivo, nazionale, territoriale ed aziendale. In questo caso, piuttosto, è lo stesso lavoratore a decidere liberamente in prima persona. E la decisione dev’essere presa volta per volta, in funzione delle esigenze personali e familiari, nel senso che in ciascuna occasione la decisione può legittimamente essere diversa da quella precedente, senza che scelte precedenti debbano, in alcun modo, vincolare quelle successive.


In questo senso si è chiaramente espressa la giurisprudenza sia di merito che di legittimità. In particolare quest’ultima ha ritenuto giustificato il rifiuto del lavoratore di prestare lavoro in talune giornate festive, nella specie, nelle giornate dell'8 dicembre, 25 aprile, 1° maggio e 6 gennaio, sulla base del principio secondo cui gli atti nulli non producono effetti, dovendosi escludere che i provvedimenti aziendali siano assistiti da una presunzione di legittimità che ne imponga l'ottemperanza fino a contrario accertamento in giudizio, dal momento che tale diritto, pur sempre costituzionalmente garantito, non può essere posto nel nulla dal datore di lavoro, potendosi rinunciare al riposo nelle festività infrasettimanali solo in forza di accordo tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. Sez. Lav. 16592 del 07/08/2015).


Si evidenzia, così, che mentre l’esenzione del lavoro domenicale passa necessariamente attraverso i suindicati limiti oggettivi e soggettivi, per quanto riguarda le giornate festive infrasettimanali il datore di lavoro è tenuto ad organizzare la propria attività imprenditoriale nel rispetto della volontà dei propri dipendenti che, può anche essere incentivata, attraverso, per esempio, il riconoscimento di più alte maggiorazioni del compenso rispetto alle previsioni contrattuali, ma mai coartata. Di talché anche l’eventuale sanzione disciplinare, che talvolta è scaturita proprio dal rifiuto opposto dal lavoratore, è destinata ad essere annullata per manifesta infondatezza del provvedimento.

Ed anche il senso del divieto di adibire i propri dipendenti al lavoro nelle giornate festive e domenicali, a ben vedere, assume, più propriamente, le vesti di una sorta di petizione di principio destinata, in realtà, non a vietare tout court il lavoro nelle giornate festive e domenicali, ma soltanto a rendere tale disciplina più articolata rispetto alle altre giornate della settimana.

Delprete 23 2Uno sguardo all’Europa

Sembra opportuno, a questo punto, concludere questa breve riflessione rivolgendo un rapido sguardo agli altri Paesi europei, con i quali condividiamo non soltanto un sistema giuridico comune, ma anche una vicinanza culturale sempre più forte ed accentuata, nei quali, pertanto, sono certamente avvertite esigenze del tutto analoghe a quelle riscontrabili all’interno dei nostri confini nazionali[2].


In Germania, le antiche norme restrittive della legge sulle chiusure dei negozi (la Ladenschlussgesetz introdotta nel 1956) sono state consegnate alla storia: dal 2013 sono i singoli Land a decidere il numero dei giorni festivi annuali in cui è consentita l'apertura. Esistono comunque fior di deroghe: a Berlino, per esempio, gli esercizi commerciali vicini alle principali stazioni ferroviarie o della metropolitana possono restare aperti tutto l’anno.


In Francia la normativa è più complessa. In generale non è permessa l’apertura nei festivi, ma esiste un’autentica valanga di deroghe, che comprendono non solo le aree metropolitane di Parigi, Marsiglia e Lille, ma anche altre cinquecento città grandi e piccole dichiarate “turistiche”, come Nizza, Le Havre, Bordeaux e così via. Le numerosi eccezioni peraltro non fanno una regola: nel 2008 Ikea – che teneva i suoi ipermercati aperti ovunque nei festivi – venne multata per € 450.000,00 in base a una legge del 1906.


In Gran Bretagna la situazione è ancora più articolata. Dopo il fallimento di un tentativo di liberalizzazione condotto da Margaret Thatcher nel 1986, in Inghilterra e Galles le aperture domenicali sono state proibite fino al 1994, ma solo teoricamente perché la legge veniva allegramente ignorata da alcune catene retail che preferivano pagare multe piuttosto che tenere chiuso (guadagnandoci comunque). Dal 1994 il Sunday Trading Act ha permesso l’apertura domenicale a negozi con superfici superiori ai 280 metri quadrati, mentre per i giorni di Pasqua e Natale i vincoli restano maggiori. In Scozia le aperture variano moltissimo a seconda delle zone, mentre nell’Irlanda del Nord le pressioni della Chiesa cattolica hanno per ora contribuito a frenare lo shopping festivo.


Infine, la Spagna ha liberalizzato lo shopping domenicale già negli anni Ottanta, con le comunità autonome (come la Catalogna) che decidono autonomamente. La regola generale è di consentire l’apertura una domenica al mese – spesso la prima – con l’eccezione del mese di dicembre, periodo franco per via dello shopping natalizio. Ma anche qui esistono fior di deroghe, soprattutto nelle zone dichiarate turistiche, per cui è facilissimo trovare un po’ dappertutto negozi aperti nei festivi, anche di notte. Quadrato Arancione

[*] Avvocato, Funzionario Area Amministrativa e Giuridico-Contenzioso – F5, in servizio presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Teramo. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per la relativa Amministrazione di appartenenza.

© 2013-2022 - Fondazione Prof. Massimo D'Antona