Anno V - N° 27

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Maggio/Giugno 2018

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Anno V - N° 27

Maggio/Giugno 2018

Sicurezza sul lavoro

Normativa adeguata con strumenti di controllo inefficaci

di Stefano Olivieri Pennesi [*], Angelo Romaniello [**] ed Eugenio Straziuso [***]

Olivieri Pennesi Straziuso Romaniello 26

Introduzione


Piace iniziare il presente lavoro continuando in una linea ideale di riflessioni e ragionamenti tutti protesi nel considerare l’attuale Testo Unico sulla sicurezza, ovvero il D.lgs. 81/2008 e smi, uno strumento di “legislazione giuridica” di evidente valore, completezza, modernità, tale da farne, a livello comparativo con gli altri sistemi giuridici vigenti nei Paesi occidentali più evoluti, una eccellenza.

Il TU 81/2008 si innesta nel nostro ordinamento giuridico a partire dal riconoscimento a rango Costituzionale del principio della tutela della salute sancito dall’articolo 32 come fondamentale diritto dell’individuo e della collettività e, più specificamente per il mondo del lavoro, dall’articolo 41 che sancisce il principio secondo cui qualsiasi iniziativa economica non può essere svolta in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana (dei lavoratori).

Ancor più chiaramente si esprime il codice civile all’articolo 2087 dove si evince l’obbligo in capo al datore di lavoro, di adottare nell’esercizio dell’impresa, a seconda del tipo di lavoro, le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Da questo articolo del codice civile emergono quindi tre aspetti di rilievo:

  • La specificità e particolarità delle attività lavorative, in quanto incidenti sulla sicurezza, riguardano una varietà di rischi e pericoli connessi, facendo quindi in concreto un discrimine tra le diverse e variegate attività lavorative dell’uomo.
  • L’esperienza nello svolgimento del lavoro quale elemento caratterizzante che implica una diversa consapevolezza del rischio e di situazioni possibili di pericolo, anche grazie però, a percorsi di formazione specifici svolti nel tempo.
  • Infine terzo elemento la tecnica ovvero tutto quello che innova grazie ai progressi tecnologici e scientifici tesi a migliorare proprio la sicurezza di impianti, attrezzature, macchinari, dispositivi, ecc. ossia tutto quello che necessità all’uomo per produrre beni con il bisogno di garantire sempre gli incrementi della sicurezza per i lavoratori.


Non meno significativo è anche il riferimento diretto ad un’altra legge fondamentale per il nostro ordinamento lavoristico, vale a dire lo Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970), dove all’articolo 9 si parla esplicitamente di “tutele della salute e della integrità fisica” facendo rimando all’importanza dei rappresentanti e al diritto di controllare l’applicazione delle norme per prevenire gli infortuni e le malattie professionali.

In ambito europeo il dettato normativo di riferimento relativamente alla prevenzione e sicurezza sul lavoro, è rappresentato dalla Direttiva comunitaria 89/391 e, più precisamente, dall’articolo 13.

Risulta evidente a tutti, addetti ai lavori e non, che sistematizzare, razionalizzare e coordinare in un Testo Unico la complessa e stratificata normativa che concerne la legislazione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, non poteva essere e non è ancora, esercizio giuridico agevole per il Legislatore.

Trascorsi ormai oltre dieci anni dalla emanazione del già richiamato TU 81/2008, una disamina degli effetti e della sua efficacia, si rende oltremodo necessaria. Questo anche partendo da evidenze empiriche emerse dalle statistiche annuali prodotte dall’INAIL che segnalano, ai noi, una inversione di tendenza negativa rispetto agli accadimenti di infortuni mortali o gravissimi aumentati nell’ultimo anno, dopo una costante diminuzione registrata negli anni precedenti.

È giusto quindi porsi delle domande rispetto alla attualità e concreto impatto della norma in questione, in materia di sicurezza sul lavoro, sia per quanto attiene l’andamento degli infortuni mortali e non, sia per quanto attiene la contrazione di malattie professionali da parte dei lavoratori pur considerando una dose di ineluttabilità dell’alea negli accadimenti infortunistici tale da non poter implicare responsabilità attive e/o passive da parte sia dei datori di lavoro che degli stessi lavoratori.

Un primo quesito da porsi potrebbe essere il seguente: l’elemento prevenzionistico e sanzionatorio può definirsi ben articolato e modulato nell’attuale Testo Unico?

Sempre il TU 81 a distanza di oltre dieci anni dalla sua prima genitura, continua ad essere valido relativamente al mutato assetto di un mercato del lavoro nel continuo suo evolversi?

Questo mercato del lavoro, sempre più liquido e destrutturato, come quello odierno, nell’ottica e nelle prospettive moderne quanto più distanti dalle forme lavorative presenti nello scorso secolo e nella old economy, con contratti connotati e organizzazione delle produzioni e dei lavori nettamente difformi rispetto la new economy, quanto incide sui modelli ed esigenze di sicurezza da poter e dover migliorare?
 

Un occhio al grado di applicazione e completamento del TU 81


Pennesi 27 1 WArt. 3 comma 13bis
Definizione, nel rispetto dei livelli generali di tutela di cui alla normativa in materia di sicurezza e salute sul lavoro, delle misure di semplificazione della documentazione, anche ai fini dell’inserimento di tale documentazione nel “libretto formativo del cittadino” che dimostra l’adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi di informazione e formazione previsti dal presente decreto in relazione a prestazioni lavorative di cui al d.lgs. 276/2003 che implicano una permanenza del lavoratore in azienda per un periodo superiore a 50 giornate lavorative nell’anno solare di riferimento (questa tipologia soprattutto nel settore agricoltura).

Art. 13
Individuazione di attività lavorative ulteriori rispetto a quelle indicate all’art. 13 comportanti “rischi particolari” e nelle quali si esplichi la vigilanza da parte del personale ispettivo del Ministero del Lavoro (ora personale INL) da attuarsi per mezzo DPCM.

Art. 14Individuazione di “gravi violazioni” che legittimano l’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale.

Art. 27Con riferimento al settore edilizia, il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi si realizza almeno attraverso la adozione e diffusione di uno strumento che consenta la “continua verifica” della idoneità delle imprese e dei lavoratori autonomi in assenza di violazioni alle disposizioni di legge e con riferimento ai requisiti previsti, tra cui la formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro e i provvedimenti impartiti dagli organi di vigilanza. Tale strumento opera per mezzo della attribuzione alle imprese ed ai lavoratori autonomi di un punteggio iniziale che misuri tale idoneità, soggetto a decurtazione a seguito di accertate violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro determina l’impossibilità per l’impresa o per il lavoratore autonomo di svolgere attività nel settore edile.

Art. 47
Determinazione della giornata nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro e delle modalità di attuazione della elezione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza aziendali, territoriali o di comparto.

Art. 48
Individuazione modalità di elezione o designazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali ove non siano emanati accordi collettivi di livello nazionale al riguardo.

Art. 53
Eliminazione o semplificazione della documentazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Art. 79
Individuazione criteri per individuazione e uso dei dispositivi di protezione individuale da attuarsi (per mezzo di decreto del Ministero del Lavoro, di concerto)

Art. 156
Individuazione obbligo di sottoporre a verifiche ponteggi e attrezzature.

Art. 245
Pubblicazione elenco sostanze cancerogene e loro aggiornamento.

Art. 281
Individuazione modelli e modalità di tenuta del registro dei casi di malattia o decesso dovuti all’esposizione ad agenti biologici.


La discussione che si è innescata, riguardante appunto il ritardo rispetto alla emanazione dei decreti attuativi, (nell’articolato sinteticamente sopra menzionato abbiamo fatto una agevole elencazione) ha aperto un doppio scenario: da una parte la richiesta di una accelerazione per la realizzazione dei decreti attuativi mancanti, dall’altra, la proposta avanzata, per mezzo di disegni di legge specifici già depositati in Parlamento, circa la realizzazione di un nuovo Testo Unico per così dire “semplificato”, al fine di avere una normativa in materia più agevole e funzionante.

Per dirla in maniera chiara, però, il rischio di una semplificazione eccessiva esiste, ed è dietro l’angolo, ma evidentemente il tema sicurezza e la normativa di riferimento richiedono massima attenzione e cautela, per non incorrere proprio nell’effetto contrario di una ”delegificazione selvaggia”.

Il tema della prevenzione e la sua efficacia nei posti di lavoro, è appena il caso sottolineare, non può dipendere unicamente dalla qualità delle leggi, ma più concretamente dal grado di applicazione delle stesse, dall’interesse al rispetto della legalità, dall’efficienza del sistema sanzionatorio e della vigilanza, dalla certezza delle pene.

Da questo punto di vista risulta deleterio abbassare il grado di attenzione, anche rispetto ad ipotesi di “ineluttabilità degli eventi”, come pure ridurre tutto a: costi, oneri, profitti, da parte di chi fa impresa, come anche ridurre gli investimenti, da parte delle Istituzioni (che si dovrebbero occupare maggiormente e con più incisività di cultura della prevenzione), non può essere la strada da seguire.

Anche il tema di un necessario maggiore ed efficace coordinamento, per l’attuazione delle politiche della salute e sicurezza sul lavoro, tra Stato centrale, Regioni ed Enti preposti, non può considerarsi secondario. Bisognerebbe quindi mettere in campo azioni concrete di supporto alle politiche prevenzionistiche, gestire e governare un sistema articolato di azioni non solamente scansionate e declinate da norme, articoli, commi. Non tutto, evidentemente, può ridursi in lecito non lecito, normato non normato, sanzionato o sanzionabile.

Pennesi 27 7 WÈ anche certo il fatto che in questi ultimi dieci anni dalla nascita del TU la politica, in senso ampio, si è impegnata ad operare in maniera a dir poco sfilacciata, con andamenti ondivaghi, troppo di frequente caratterizzati da spinte emotive o da orientamenti ed interessi contrapposti che non hanno prodotto un percorso chiaro e uniforme sul “tema della sicurezza”, quale elemento irrinunciabile ancorché in parte oneroso, almeno nel breve periodo, ma certamente positivo e produttivo nel lungo periodo, soprattutto per i benefici complessivi a valere sulla collettività tutta.

Questo anche rispetto alla vera e propria “cultura della sicurezza” e del suo valore intrinseco tanto più apprezzato da parte degli altri Paesi del perimetro europeo, quanto meno considerato da noi in virtù del suo peso economico in ottica imprenditoriale.

Non di meno può essere considerato anche l’elemento della indispensabile “formazione”, sia essa generica e/o specifica, nel tema sicurezza, soprattutto sugli elementi valutativi e sui diversi gradi di rischio nelle varie tipologie di attività, lavorazioni, settori. Elemento centrale dovrebbe quindi anche essere soprattutto da parte dei lavoratori direttamente impegnati nelle variegate funzioni lavorative ed impieghi sul campo, rispetto al primario elemento della percezione del cosiddetto rischio.
 

Prevenzione e vigilanza


È di tutta evidenza che l’elemento “Prevenzione” rappresenta il concreto fondamento di tutto il contesto che riguarda genericamente la “sicurezza sul lavoro”. Lo scopo di una adeguata prevenzione è quello di poter anticipare, per quanto possibile, una vastità di pericoli e così facendo addivenire ad una riduzione di rischi.

È anche assodato che fulcro della prevenzione è certamente lo svolgimento di formazione ed informazione per tutto il personale materialmente impiegato nelle diverse e variegate attività lavorative.

Fondamentale, al riguardo, il momento formativo con il quale si trasferiscono conoscenze e buone pratiche in tema sicurezza lavorativa, sviluppando competenze utili per individuare, gestire e ridurre i vari rischi nei diversi ambienti e luoghi di lavoro.

Non di meno risulta importante anche l’addestramento da parte dei lavoratori circa le procedure da adottare per affrontare e gestire, consapevolmente, un reale pericolo sul luogo di lavoro, ma anche avere dimestichezza e familiarità con l’uso diligente delle attrezzature tutte ed in particolare quelle di protezione individuale.

Torniamo ancora sul concetto di sicurezza sul lavoro che non deve limitarsi a mera osservanza legislativa, ma più ampiamente a un vero e proprio “dovere morale”.

Uno dei requisiti fondamentali nel fare impresa, sotto l’egida di una necessaria responsabilità sociale, a parere di chi scrive, significa anche concretamente “proteggere” le proprie maestranze, i propri lavoratori, da infortuni e malattie, ricorrendo al meglio a tutte quelle prescrizioni che sono state puntualmente dettagliate dal Legislatore, non riducendo il tutto al timore di incorrere in sanzioni, ammende o arresti, ma invece voler agire come un datore di lavoro illuminato e quindi attento ai bisogni dei propri dipendenti, incline appunto a “fare impresa”, non solo economicamente, ma anche eticamente e moralmente, in maniera sostenibile.

Da questo punto di vista, risulta fondamentale l’azione di vigilanza sulla corretta attuazione delle norme in materie di prevenzione degli infortuni attuata dagli organi competenti.

Pennesi 27 2 WLa vigilanza in materia di lavoro è un’attività istituzionalmente riservata ad organi con funzioni pubbliche che, in senso del tutto generale, assicura che vengano attuate procedure e misure di tutela atte a garantire la SALUTE E LA SICUREZZA SUL LAVORO e si concretizza nell’esame e nella verifica dei comportamenti aziendali finalizzati alla sicurezza del lavoro intesi come insieme delle relazioni intercorrenti fra i vari soggetti presenti in un “ambiente di lavoro”.

Etimologicamente il termine vigilanza richiama il concetto del controllo, del sorvegliare con cura ed attenzione.

In materia di sicurezza sul lavoro il termine vigilanza, nella sua accezione del controllo e del sorvegliare con cura, significa assicurare il rispetto di quanto previsto dalle norme in materia di prevenzione degli infortuni ed igiene del lavoro o, più ancora, assicurare che nei luoghi di lavoro vengano attuate procedure e misure di tutela atte a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Queste devono essere adottate dal datore di lavoro, dai suoi collaboratori (dirigenti e preposti), dal medico competente e dai lavoratori stessi al fine di rendere minima la probabilità che si verifichino infortuni e/o malattie professionali.

Per conseguire questo importante obiettivo, nulla può e deve essere lasciato al caso, all’inventiva degli operatori o all’improvvisazione.


Sono varie le amministrazioni pubbliche, statali e locali, nonché i corpi militari e di polizia che, ciascuno per la parte di propria competenza possono intervenire in un luogo di lavoro con compiti di vigilanza.

Le competenze in materia, stabilite per legge, sono variate nel corso degli anni.

Già alla fine del XIX secolo, al fine di tutelare il lavoro delle donne e dei fanciulli, la legge 3 aprile 1879 n° 4828 istituì nell'allora Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio due posti di Ispettori dell'Industria e dell'insegnamento industriale.

La legislazione di tutela del lavoro operaio, tuttavia, non trovò concreta applicazione per l’insufficiente intervento dello Stato nel settore della vigilanza.

Le stesse testimonianze dell’epoca nei rapporti ufficiali, così caute nel loro linguaggio moderato, indicavano come “poco confortante lo stato di applicazione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli” per l’insufficiente vigilanza esperita dai funzionari ispettivi dell’industria e dell’insegnamento industriale.

Un impulso decisivo all’istituzione di un servizio di vigilanza sull’applicazione delle leggi a tutela del lavoro fu dato dalla stipula a Roma, il 15 aprile 1904, della Convenzione italo francese per regolamentare la protezione degli operai nazionali lavoranti all’estero con la quale fu sancito il principio di organizzare in tutto il Regno d’Italia un servizio di vigilanza funzionante sotto l’autorità dello Stato che offrisse le stesse garanzie di tutela del servizio di ispezione del lavoro francese.

Per adempiere all’obbligo internazionale assunto, l’onorevole Rava, ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, presentò alla Camera dei deputati un disegno di legge per l’istituzione dell’Ispettorato del lavoro. Tale provvedimento, però, venne clamorosamente respinto a scrutinio segreto.

Apparve di tutta evidenza che, pur a fronte dell’impegno assunto, nella maggioranza parlamentare, che rappresentava il potere economico imprenditoriale, c’era la decisa volontà conservatrice di impedire l’effettiva applicazione di quelle scarse norme volte a garantire un minimo di tutela contro la sopraffazione e lo sfruttamento del lavoro.

Pur tuttavia, l’intervento dello Stato per la creazione di un organo pubblico specializzato nella tutela del contraente più debole del rapporto di lavoro era ormai indilazionabile.

Sotto l’impulso pressante delle associazioni sindacali il Governo presentò un nuovo disegno di legge per lo stanziamento dei fondi necessari ad ottenere, in via provvisoria, un servizio di vigilanza per dare attuazione alle leggi di tutela del lavoro. La legge n° 380 del 19 luglio 1906 istituiva, quindi, il Corpo degli Ispettori del Lavoro, pur limitato ai soli tre Circoli di ispezione di Torino, Milano e Brescia.

L’esperimento del Servizio ispettivo provvisorio fornì, anche se allo stato embrionale, precisi elementi di valutazione per la stesura del progetto definitivo dell’organo che si tradurrà, dopo un estenuante travaglio parlamentare, nella legge 22 dicembre 1912 n. 1361, considerata l’atto ufficiale di nascita dell’Ispettorato del Lavoro.

Pennesi 27 3 WNella relazione di accompagnamento alla legge n° 1361/1912 l’onorevole Filippo Turati così definiva gli ispettori del lavoro: “Trattasi di personale che deve essere dotato di prontezza e resistenza fisica quasi militari, di cultura varia e incessante incremento di agilità intellettuale, propria a seguire i rapidi progressi delle industrie e a sentire e a risolvere problemi nuovi e sottili; insospettabile per sicura probità fra molteplici lusinghe, e capace di acquistarsi in breve l’autorità necessaria a vincere, con accorta e delicata fermezza, la resistenza e, talvolta, la collusione di industriali potenti e di intere masse operaie. Un personale così altamente qualificato, così diverso dal tipo tradizionale del burocrate esecutivo è già difficile a reclutarsi con l’offerta di stipendi di L. 200 e di L. 300 annue lorde di parecchie ritenute, soprattutto in centri industriali ove è caro il costo della vita e dove operai e capi operai e medici e ingegneri appena mediocri, facilmente si procacciano il doppio, con minore responsabilità e fatica”.

Con la legge n° 1361 il legislatore, con grande lungimiranza, distinse le funzioni assegnate al nuovo corpo ispettivo in obbligatorie, quando avevano come oggetto la vigilanza sull’applicazione delle leggi del lavoro, e facoltative, quando riguardavano la risoluzione pacifica dei conflitti di lavoro, se invitati dalle parti.

Venne quindi sancito l’obbligo di “obbedienza” agli ispettori e il “diritto” di questi ultimi di elevare contravvenzioni per le infrazioni accertate. Fu, altresì, attribuita agli ispettori la “facoltà” di visitare in qualunque ora del giorno e della notte tutti i luoghi di lavoro sottoposti alla loro vigilanza.

Il successivo regolamento di applicazione (R.D. 27 aprile 1913 n. 431) introdusse anche la funzione di “consulenza” con l’obbligo dei Capi Circolo di fornire tutti i chiarimenti ai richiedenti sull’applicazione delle leggi del lavoro.

Fu infine introdotto l’istituto giuridico della “prescrizione”, con la conseguente potestà attribuita all’ispettore, che tanto avrebbe tormentato la dottrina e la giurisprudenza per la sua scarsa ortodossia giuridica.

La legge istitutiva e il relativo regolamento, dando una prima sistemazione burocratico amministrativa dell’organo di vigilanza ne delimitarono, con sufficiente precisione, i poteri e le funzioni tanto da costituire i cardini dell’evoluzione futura dell’ispezione del lavoro.

Negli anni successivi l’Ispettorato del Lavoro ha seguito le vicissitudini organizzative dello stato italiano divenendo, di volta in volta, amministrazioni periferiche di differenti dicasteri.

La rapida evoluzione sociale ed economica e, quindi, anche legislativa e giuslavoristica dell'Italia nel periodo repubblicano incide profondamente anche nel ruolo e nell’attività dell'Ispettore del Lavoro.

Risale agli anni 50 l’emanazione di vari DPR, tra i quali il numero 520 del 19 marzo 1955 sulla riorganizzazione centrale e periferica del Ministero del Lavoro, con i quali vennero poste le basi dell'attuale ordinamento dell'Ispettorato del Lavoro, organo periferico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale con sede in ogni Provincia.

Durante quegli anni le sanzioni in materia di lavoro erano tutte di natura penalistica e la funzione dell'Ispettore era dunque quella di accertare e fare rapporto al magistrato inquirente (da cui la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria di cui all'articolo 8 del DPR 19 marzo 1955 n. 520).

Un sistema di questo tipo non permetteva una tutela rapida dei diritti dei lavoratori che venivano penalizzati dalle lungaggini che già allora affliggevano i processi civili e penali.

Pennesi 27 4 WIn una società in veloce evoluzione come quella italiana degli anni sessanta alcune leggi di settore iniziarono a prevedere casi di depenalizzazione, cioè la sostituzione del pagamento di una somma di denaro in luogo della sanzione penale pecuniaria dell'ammenda, ma in modo frammentario.

La deflazione dei carichi giudiziari derivanti dalla violazione di norme in materia di lavoro si ottenne, in modo organico, con l’emanazione della legge 24 novembre 1981 n° 689 che trasformò moltissime sanzioni penali in illeciti amministrativi e con il Decreto Legislativo 19 dicembre 1994 n° 758 recante modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro che introdusse l’istituto della prescrizione obbligatoria (articoli 21 e seguenti).

Mentre la competenza sulla vigilanza in materia di lavoro è sempre rimasta incardinata nelle strutture centrali e periferiche del Ministero del Lavoro, oggi Ispettorati Territoriali del Lavoro afferenti all’agenzia autonoma Ispettorato Nazionale del Lavoro, con il DPR 24 luglio 1977 n° 616 e la Legge n° 833 del 23 dicembre 1978, istitutiva del Servizio Sanitario nazionale, la vigilanza in materia di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro passò dallo Stato alle Regioni.

Con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, infatti, alle aziende/unità sanitarie locali furono attribuiti compiti di:

  • prevenzione, igiene, controllo sullo stato di salute dei lavoratori;
  • individuazione, accertamento e controllo dei fattori di nocività, pericolosità e deterioramento degli ambienti di lavoro;
  • prevenzione all’interno degli ambienti di lavoro concernenti la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione delle misure a tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori.


Per svolgere i nuovi compiti assegnati, al personale ispettivo delle ASL veniva conferita, con atto del prefetto, la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria.

Con l’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano del D.Lgs 626/1994 i compiti in materia di vigilanza, pur vedendo le aziende sanitarie locali quale organo di riferimento per tutti i settori di attività lavorativa, vennero attribuiti, per specifici aspetti e settori lavorativi, anche ad altri soggetti.

In particolare, il D.Lgs 626/1994 prevedeva la riattribuzione all’ispettorato del lavoro, nel frattempo riorganizzato nelle Direzioni Provinciali del Lavoro, di competenze in materia di vigilanza sulla sicurezza del lavoro seppur limitate ad “attività comportanti rischi particolarmente elevati” la cui individuazione veniva demandata ad un apposito provvedimento normativo.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 ottobre 1997 n° 412 riportante il “Regolamento recante l’individuazione delle attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, per le quali l’attività di vigilanza può essere esercitata dagli Ispettorati del lavoro delle Direzioni provinciali del lavoro” attribuiva, quindi, nuovamente al personale del Ministero del Lavoro competenze in materia di sicurezza nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e nei lavori mediante cassoni in aria compressa o lavori subacquei.

Tale sistema di competenze in materia di sicurezza del lavoro è stato sostanzialmente confermato dall’articolo 13 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n° 81 che, allo stato, prevede che la vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sia svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio fermo restando il fatto che il personale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, nel quadro del coordinamento territoriale di cui all’articolo 7 del decreto legislativo n° 81/2008, è chiamato ad esercitare l’attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nelle attività del settore delle costruzioni edili o di genio civile (lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie, idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati; lavori in sotterraneo e gallerie, anche comportanti l'impiego di esplosivi) e nei lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei.


Contrariamente a quello che generalmente si sente dire in occasione di convegni, dibattiti, programmi radiotelevisivi aventi come tema gli infortuni e le malattie professionali, pensare che questo gravissimo fenomeno sia risolvibile o comunque fortemente limitabile, ricorrendo solo alla vigilanza è fortemente sbagliato e, a ben guardare, significherebbe il riconoscimento della inutilità e del fallimento di tutto il complesso, a volte farraginoso, sistema di competenze e responsabilità predisposto dal TU in materia di sicurezza.

La vigilanza deve intervenire solamente a correggere storture e inadempienze nell’attuazione delle norme ma non può assolutamente essere considerato il mezzo cui ricorrere perché le norme siano correttamente applicate.

Il “mantra” di questi ultimi tempi è: non sono sufficienti i controlli!

Niente di più sbagliato!

Siffatte considerazioni peccano di qualunquismo, a volte becero, il più delle volte ispirato ad una fondamentale superficialità e scarsa conoscenza del fenomeno di cui si intende parlare.

Fatto salvo quanto sopra detto, rimane innegabile l’importanza della vigilanza e dei controlli; stabilito, inoltre, che è pure oggettivamente rilevabile che questi sono pochi rispetto alla vastità e varietà del sistema produttivo, rimane da riflettere sul “perché” e sul “come” ovviare a questa grave carenza!

Su questa tematica poco aiuta l’attuale impianto della ripartizione delle competenze in materia di vigilanza. Caotico!

Come può evincersi dal quadro riepilogativo operato sopra, la frammentazione dei compiti non aiuta certo a mettere in atto un sistema completo e organico dei controlli.

Pennesi 27 5 WNé può seriamente pensarsi che il Comitato di Coordinamento Regionale, costituito ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs 81/2008, pur se di fondamentale importanza possa ovviare a tale problematica!

Sarebbe forse il caso di pensare seriamente a un riordino completo dell’intero sistema , magari basato sull’organizzazione di una Agenzia unica avente rilevanza nazionale che possa anche riorganizzare la distribuzione sul territorio del personale addetto alla vigilanza.

È di tutta evidenza sul territorio nazionale l’applicazione a macchia di leopardo delle norme a tutela della salute dei lavoratori. A valle della devoluzione dei compiti di prevenzione degli infortuni alle regioni, con la Legge n. 833/1978, una migliore strutturazione delle Medicine del Lavoro delle Aziende Sanitarie sul territorio, con più personale e più mezzi, sicuramente garantisce più controlli e di migliore qualità.

Ciò vale anche per quel che riguarda il personale tecnico in forza al neonato Ispettorato Nazionale del Lavoro per quelle poche, residue, competenze in materia (vedi articolo 13 TU).

A valle della scontata considerazione “non si fanno i controlli” tanto cara a coloro che sono chiamati a partecipare ad incontri e dibattiti a seguito di gravi accadimenti infortunistici, si è mai sentita qualche riflessione seria a tale riguardo o qualche proposta volta a risolvere tale criticità? A noi pare di no!

Un primo tentativo per cominciare a porre rimedio a questa situazione deve necessariamente rispondere ad una domanda: di quanti ispettori ha bisogno il territorio perché venga svolta una efficace azione di vigilanza? A nostro modo di vedere, pur nella consapevolezza che non esistono risposte sicure e che sia necessario comunque procedere per approssimazioni, il dato di partenza deve essere quello del numero di attività produttive presenti sul territorio. Questa ricognizione, però, deve essere necessariamente fatta per settori produttivi, o, almeno. per macro settori atteso che, sicuramente, sono diverse le problematiche connesse alla vigilanza nel settore dell’edilizia da quelle dell’agricoltura, della metalmeccanica e degli altri settori.

Censito il numero di aziende, resta da stabilire il numero minimo di ispettori necessari per svolgere una concreta attività di vigilanza.
Su questo aspetto le prime indicazioni di massima non possono che venire dai Servizi di Medicina del Lavoro che operano sul territorio, ma anche, per l’edilizia, settore a forte rischio di infortunio, dagli Ispettorati Territoriali del lavoro, in base alle rilevazioni fatte, soprattutto con riguardo alla cadenza di ispezioni che normalmente vengono svolte per ciascuna azienda.

Quantificare il personale minimo occorrente, si può procedere alla ricognizione dello stesso. Quanti ispettori, effettivamente operativi, sono disponibili, quanti recuperabili da altri settori degli uffici, quanti disponibili per mobilità da altre amministrazioni? Per differenza, gli altri devono essere assunti con specifiche procedure concorsuali!

È una proposta concreta, attuabile ma, soprattutto, non ci sembra di aver sentito mai nulla di meglio al riguardo!

Ovviamente, come sempre, può essere eccepito il problema dei costi! Ma non siamo noi quegli addetti ai lavori che, sistematicamente, in tutte le occasioni di confronto o aggiornamento dicono e si sentono dire dei costi elevatissimi degli infortuni per la pubblica amministrazione?

Pennesi 27 6 WAbbiamo sopra detto del personale eventualmente recuperabile da altri settori o amministrazioni. Necessariamente, a questo proposito, e in modo più generale, deve essere affrontato il problema della formazione: si parla sempre della formazione dei lavoratori, dei tecnici, dei datori di lavoro ma raramente si sente parlare e si affronta il discorso della formazione del personale di vigilanza!

Ebbene, senza nulla togliere alla professionalità e all’abnegazione degli ispettori, bisogna che si programmi, per questi, una formazione tecnico-giuridica di alto livello, con docenti adeguati e con severe verifiche dell’apprendimento. La formazione deve prevedere pure moduli specialistici precisi a seconda del settore prevalente in cui quel personale dovrà operare. Sicuramente l’ispettore deve essere in grado di svolgere vigilanza in tutti i settori ma altrettanto sicuramente deve esistere uno o più settori in cui è fortemente specializzato. Vale anche in questo caso il ragionamento sui costi fatto in precedenza.

Ovviamente di pari passo andrebbe affrontato il problema dell’attuale apparato sanzionatorio e delle relative procedure, attualmente assolutamente depotenziato e inefficace per il meccanismo, che a questo punto si può osare definire perverso, creatosi per il coesistere della composizione amministrativa ex D.Lgs n. 758/94 e la archiviazione per tenuità del fatto prevista dal D.Lgs 7/2015.

È di tutta evidenza che se da un lato viene invocata un’attività di vigilanza più stringente, parallelamente deve essere più efficace anche l’intero apparato sanzionatorio.
 

Conclusioni


A dieci anni dall’entrata in vigore del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro c’è ancora molto da fare sia per quanto attiene al completamento del quadro giuridico che lo stesso ha voluto delineare, mediante l’emanazione dei decreti attuativi previsti, sia per quanto attiene un progetto di semplificazione delle norme per le piccole e medie imprese, sia per quanto attiene al riordino del sistema delle competenze in materia di vigilanza.

L’auspicio è che il presente editoriale possa contribuire all’apertura di una discussione concreta e fattiva sulle tematiche evidenziate. Quadrato Rosso

[*] Prof. Stefano Olivieri Pennesi - Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, titolare della cattedra di “Sociologia dei processi economici e del lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del lavoro”. Dirigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, Capo dell’Ispettorato territoriale di Potenza-Matera
[**] Ing. Angelo Romaniello - Responsabile area di coordinamento settore vigilanza Pz. Ispettorato territoriale del Lavoro di Potenza-Matera
[***] Ing. Eugenio Straziuso - Responsabile area vigilanza 2 Pz. Vigilanza tecnica. Ispettorato territoriale del Lavoro di Potenza-Matera
Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero degli autori e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

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