Anno VII - N° 32-33

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Marzo/Giugno 2019

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Anno VII - N° 32-33

Marzo/Giugno 2019

Il distacco del lavoratore

Prima parte


di Laura Reitano [*]

Laura Reitano 32 33

Le origini dell’istituto


Il distacco, o comando[1] si configura quando un datore di lavoro (cd. distaccante), per soddisfare un proprio interesse, mette temporaneamente a disposizione di un altro soggetto (cd. distaccatario) uno o più lavoratori (cd. distaccati) per l’esecuzione di una determinata attività.

Nel distacco, dunque, si realizza un rapporto «trilaterale» che coinvolge il datore di lavoro distaccante, che, per suo interesse, mette a disposizione di un soggetto un proprio dipendente; il datore di lavoro distaccatario/utilizzatore, che beneficia della prestazione lavorativa del lavoratore distaccato; il lavoratore subordinato, che presterà la propria attività a beneficio di un terzo diverso da quello con cui ha stipulato un contratto di lavoro subordinato.

Esso rappresenta uno strumento di notevole importanza per tutti e tre i soggetti interessati. Per il datore di lavoro distaccante perché, di volta in volta, ha la possibilità di incrementare il proprio know-how (nel caso in cui il suo lavoratore sia stato distaccato per apprendere dal datore di lavoro utilizzatore innovativi sistemi di tipo organizzativo, tecnologico, commerciale, ecc.), oppure trasmettere all’impresa distaccataria, spesso da poco acquisita, i propri sistemi gestionali. Per il datore di lavoro distaccatario ed utilizzatore delle prestazioni del lavoratore per motivi speculari a quelli del distaccante.

Ma è soprattutto per il lavoratore che il distacco rappresenta spesso un’occasione importante per incrementare il proprio bagaglio professionale ed avere maggiori opportunità di carriera[2].

Rientra nel più ampio fenomeno delle “esternalizzazioni”, ovvero l’insieme delle strategie imprenditoriali di dislocazione all’esterno di attività, funzioni o servizi, imposta dai cambiamenti del sistema produttivo, al fine di ottenere un determinato vantaggio concorrenziale, che hanno una rilevante ricaduta sul piano dell’organizzazione del lavoro, determinando una “co-appartenenza” dei lavoratori chiamati a eseguire la prestazione presso organizzazioni produttive diverse da quella del soggetto dal quale formalmente dipendono.

Originariamente disciplinato nel solo settore pubblico, agli articoli 56 e 57 del d.P.R. n. 3/1957, il distacco è stato introdotto nell’ambito del lavoro privato ad opera della giurisprudenza già a partire dagli anni ’70.

In particolare, il distacco che, al pari della somministrazione di lavoro, comporta una dissociazione tra la titolarità del rapporto di lavoro e l’utilizzazione della prestazione lavorativa, ha dovuto confrontarsi con il divieto di interposizione illecita di manodopera, vietata dalla L. 23 ottobre 1960 n. 1369, che per lungo tempo ha imposto la piena rispondenza tra soggetto utilizzatore e datore formale titolare del rapporto di lavoro.

In assenza di un’espressa previsione legislativa, è stata la giurisprudenza a farsi carico della individuazione delle condizioni in presenza delle quali il distacco poteva ritenersi lecito e non incorrere nel divieto di interposizione di cui alla citata Legge.

Dette condizioni erano ravvisate nella sussistenza di un interesse organizzativo e produttivo del datore di lavoro, nella temporaneità del distacco e nella permanenza, in capo al datore di lavoro distaccante, sia del potere direttivo (eventualmente delegabile al distaccatario), sia del potere di determinare la cessazione del distacco.

Non risultavano invece necessarie, ai fini della legittimità del distacco stesso, né una previsione contrattuale che lo autorizzasse, né il consenso preventivo del lavoratore distaccato[3].

Quanto all’inquadramento giuridico dell’istituto la giurisprudenza, unitamente alla dottrina prevalente, riferiva il distacco all’articolo 2104 c.c., ritenendolo esercizio del normale (e non fraudolento) potere direttivo del datore di lavoro distaccante, «null'altro che una modificazione delle modalità di esecuzione dell'obbligazione fondamentale del dipendente di prestare la sua opera, nel senso che questi non deve adempierla nei confronti del suo datore di lavoro, ma a favore di altro soggetto, seppur anche nell'interesse del primo, sicché, durante il periodo di distacco, perdura l'unico ed originario rapporto di lavoro» [4].

In questa prospettiva – a cui si era conformato anche il Ministero del lavoro con nota dell’11 aprile 2001 n. 31 – è l’interesse al distacco che garantisce la persistenza del vincolo di sinallagmaticità tra le prestazioni oggetto del contratto di lavoro tra distaccante e lavoratore distaccato.

Minoritaria è rimasta, invece la tesi, avanzata da parte della dottrina, secondo cui il distacco determinerebbe il sorgere, accanto al rapporto originario tra il datore di lavoro ed il lavoratore distaccato, di un ulteriore ed autonomo rapporto di lavoro tra il lavoratore distaccato e l’utilizzatore di «contenuto più ridotto ed in funzione strumentale rispetto all’obbligazione originaria» [5].
 

La positivizzazione del distacco


La disciplina del distacco prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276. Nell’ordinamento italiano fino al 2003 non si rinvenivano norme dirette a disciplinare in via generale l’istituto del distacco, salvo che in materia di pubblico impiego ove l’istituto era contemplato agli artt. 56 e 57 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (T.U. degli impiegati civili dello Stato).

Secondo alcuni Autori[6], una prima regolamentazione legale dell’istituto nel settore privato era già contenuta nel codice civile, ed in particolare, all’art. 2139 c.c., rubricato «scambio di mano d’opera o di servizi», che prevedeva la possibilità di spostare il lavoratore da un imprenditore originario ad un soggetto imprenditoriale terzo, seppur limitata ai rapporti tra imprenditori agricoli.

Successivamente all’introduzione del divieto di interposizione ad opera della l. 1369/1960, diversi interventi normativi settoriali hanno previsto la possibilità di ricorrere al distacco.

Un esempio è dato dall’art. 8 della l. n. 236/993, di conversione del d. l. n. 148/993, che aveva ammesso il distacco dei lavoratori al fine di evitare i licenziamenti collettivi, prevedendo che «gli accordi sindacali al fine di evitare le riduzioni di personale, possano regolare il comando o il distacco di uno o più lavoratori dall’impresa ad un’altra per una durata temporanea».

Un altro esempio può rinvenirsi nell’art. 16, comma 10, del d.l. n. 299/1994, convertito in legge n. 451/1994, oggi abrogato, che, nell’ambito dei contratti di formazione e lavoro, aveva previsto la possibilità per i progetti di prevedere che l'esecuzione del contratto si svolgesse in posizione di comando presso una pluralità di imprese, ferma restando la titolarità del rapporto in capo alle singole imprese.

Va menzionato, ancora, il D. Lgs. 72/2000, attuativo della Direttiva 96/71/CE del 16/12/1996 che, come si dirà nel prosieguo, mirava a migliorare la tutela dei lavoratori distaccati nell'ambito di una prestazione di servizi transnazionale.

Infine, anche la prassi amministrativa, con la Nota del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale dell’11 aprile 2001, n. 5, si era pronunciata sulla legittimità dell’istituto, confermando di fatto i tratti definiti dalla giurisprudenza.
 

L’art. 30 del D. Lgs. n. 276/2003


La tipizzazione in via generale dell’istituto si deve al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, nell’ambito della più ampia riforma del mercato del lavoro avviata dalla c.d. “legge Biagi”.

Obiettivo del legislatore delegato è quello di fornire chiarezza e certezza giuridica alle scelte imprenditoriali, nel rispetto della tutela degli interessi di tutti i soggetti coinvolti nei processi di esternalizzazione.

L’art. 30, co. 1 del D. Lgs., stabilisce che il distacco «si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa».

Nel tipizzare la fattispecie per il settore privato, il legislatore recepisce gran parte dei risultati raggiunti dall’elaborazione giurisprudenziale.

Non mancano, comunque, elementi innovativi[7].

Elemento di novità rispetto al passato[8], è ad esempio il riferimento al distaccante quale mero “datore di lavoro” piuttosto che “imprenditore”, consentendo, pertanto, di ammettere il distacco anche da parte di datori non imprenditori, purché, in ogni caso, dotati di un’autonoma struttura organizzativa.

Ulteriore elemento di rottura della nuova fattispecie riguarda la prestazione del lavoratore, che dev’essere “determinata”, e quindi circoscritta e non riducibile alla generica messa a disposizione di manodopera (vedi infra).

L’ultimo comma dell’art. 30 ha fatto salva la disciplina prevista dall'articolo 8, comma 3, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236.

La fattispecie disciplinata da questa norma rappresenta un’ipotesi speciale del distacco “ordinario” introdotto dall’art. 30 del D. Lgs. 276/2003.

La specialità del distacco collettivo deriva dalle peculiarità dell’interesse sotteso alla realizzazione di tale fattispecie.

L’interesse rilevante per l’ordinamento è, infatti, identificabile nel mantenimento dei livelli occupazionali per i lavoratori coinvolti.

Ed è richiesta, inoltre, la stipulazione di accordi sindacali, con il necessario il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori, a differenza di quanto avviene normalmente.
 

Gli interventi legislativi successivi


Dopo l’entrata in vigore del testo di cui all’art. 30 del decreto legislativo, numerosi interventi legislativi si sono susseguiti con l’intento di semplificare l’interpretazione dello stesso.

Prima fra tutti la Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 5 gennaio 2004 n. 3 che ha specificato e definito i requisiti di legittimità del distacco, senza i quali la disciplina sarebbe caduta nell’ipotesi di interposizione illecita.

A questa circolare è seguito un ulteriore decreto legislativo, il D. Lgs. n. 251 del 2004, che ha modificato l’impianto dell’art. 30 del D. Lgs. 276 del 2003 introducendo il comma 4 bis, ai sensi del quale «quando il distacco avviene in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tali ipotesi si applica il disposto dell’art. 27, comma 2».

Infine, è intervenuto il decreto legge n. 76 del 2013, convertito in legge n. 99 del 2013, che ha affrontato l’istituto del distacco nell’ambito del contratto di rete di impresa ed ha introdotto nell’art. 30 del D. Lgs. 276 del 2003 il comma 4 ter. Quadrato Rosso

Segue nel prossimo numero di Lavoro@Confronto

Note

[1] Nel settore privato i termini «comando e distacco» sono stati sempre utilizzati come sinonimi e sostanzialmente costituiscono una endiadi. Così: P. ICHINO, Il contratto di lavoro, Vol. 1., Milano, 2000, pag. 496; M.T. CARINCI,. La fornitura di lavoro altrui, Art.. 2127, P. Schlesinger (diretto da), in Commentario al codice civile, Milano, 2000, pag. 178.

[2] V. MELECA, Gestione del personale Distacco di lavoratori in Italia, in Diritto & Pratica del Lavoro n. 14/2015, pag. 891 e ss..

[3] Cfr. Cass. Civ. 7 novembre 2000, n. 4458 in Or.Giur.Lav., 2000, pag. 968.

[4] Cass. lav. 8 agosto 1987 n. 6814, in Mass. Giust. civ., 1987, 1968.

[5] S. MAGRINI, La sostituzione soggettiva nel rapporto di lavoro, Milano, 1980, pag. 62.

[6] M. ESPOSITO, La mobilità del lavoratore a favore del terzo, Napoli, 2002, pag. 53 ss., secondo cui la disposizione rappresenta una sorta di riconoscimento legislativo di un livello sia pur minimo e settoriale di «solidarietà imprenditoriale», come caratteristica ricorrente anche in contesti economici più` avanzati e progrediti, oltre che più estesi, rispetto a quelli tradizionali dell’economia rurale.

[7] Parte della dottrina sostiene che il sistema di liceità del distacco introdotto dal legislatore del D. Lgs. n. 276/2003 risulta affidato ad un complesso di requisiti costitutivi della fattispecie molto più articolato rispetto al passato, i quali «se letti in maniera sistematica tra loro, possono contribuire a suggerire applicazioni più rigorose dell’istituto» M. NICOLOSI, voce Distacco (ordinamento interno), in Digesto, Disc. priv., Sez. comm., 2008, pag.8.

[8] L’orientamento maggioritario della giurisprudenza riteneva, infatti, necessario il possesso della qualità di imprenditore da parte del distaccante. Tra le prime sentenze v. Cass. Civ. 26 febbraio 1982, n. 264, in Giur. Civ., 1982, I, pag. 1549.

[*] Funzionario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nel 2016 ha conseguito il Master Universitario di Secondo livello su Legal Advisor & Human Resources Management. Dottoranda di ricerca in Scienze Giuridiche presso l'Università degli Studi di Messina. Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione cui appartiene.

© 2013-2022 - Fondazione Prof. Massimo D'Antona