Anno IX - N° 43-44

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Gennaio/Aprile 2021

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Anno IX - N° 43-44

Gennaio/Aprile 2021

Imprese e lavoratori di fronte alla trasformazione del lavoro

L’accordo europeo sulla digitalizzazione


di Marco Biagiotti [*]

Marco Biagiotti 2

Il 22 giugno 2020, in piena emergenza pandemica, le principali associazioni europee dei datori di lavoro e dei lavoratori pubblici e privati (BusinessEurope, SMEunited, CEEP e ETUC-European Trade Union Confederation) hanno sottoscritto un accordo sulla trasformazione digitale del lavoro[1] da applicare a tutta l'UE/SEE (Spazio Economico Europeo). L’accordo, formalizzato ai sensi dell’art. 155 del TFUE[2], si rivolge a lavoratori e datori di lavoro del settore pubblico e privato di tutte le attività economiche, con particolare riguardo a quelle che utilizzano piattaforme online per l’organizzazione del lavoro[3]. L’obiettivo è quello di fissare una cornice di riferimento comune a tutti i Paesi UE per definire modalità di gestione condivisa delle profonde trasformazioni che stanno caratterizzando il mondo del lavoro per effetto dell’innovazione tecnologica e dei processi organizzativi che ne derivano. I contenuti dell’accordo – sui quali tra poco ci soffermeremo – andranno poi calati nelle specifiche realtà dei singoli Stati membri e recepiti attraverso i meccanismi previsti nell’ambito dei rispettivi sistemi di relazioni industriali. Operazione che, in verità, si preannuncia piuttosto complessa a causa delle differenti situazioni sociali ed economiche esistenti all’interno dell’Unione, anche in riferimento al livello di innovazione delle imprese e di alfabetizzazione digitale della popolazione in età lavorativa. Per quanto riguarda l’Italia, mette conto segnalare che il confronto tra le parti sociali sull’attuazione dei principi dell’Accordo quadro europeo di fatto non è ancora iniziato, stante anche il problema della mancanza di una traduzione condivisa del testo originale in inglese[4]. Peraltro, nel nostro Paese il tema della regolazione delle condizioni di lavoro nel quadro della trasformazione digitale dell’economia è da tempo all’attenzione delle parti sociali, come dimostrano i numerosi accordi di contrattazione collettiva di settore, sia nazionale che aziendale/territoriale, già esistenti nei più importanti comparti produttivi. Senza volersi addentrare in una disamina troppo particolareggiata delle clausole in materia di transizione digitale contenute nei CCNL firmati e depositati presso l’Archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro, ci limitiamo a menzionare – fra le più significative e con orizzonte ben più ampio della mera regolazione del lavoro a distanza in emergenza pandemica – quelle dell’accordo “F.O.R. working” del 9 luglio 2020 per il settore chimico-farmaceutico, quelle dell’accordo di rinnovo del CCNL Telecomunicazioni del 12 novembre 2020 e, più di recente, quelle dell’accordo di rinnovo del CCNL Meccanici del 5 febbraio 2021[5].

Sin dalla premessa, l’accordo quadro mostra la raggiunta, piena consapevolezza delle parti sociali europee rispetto al fatto che la trasformazione digitale del lavoro comporta sia benefici che rischi, questi ultimi riservati in misura prevalente (sebbene non in esclusiva) ai lavoratori. Ma se i rischi appaiono implicitamente connaturati al cambiamento organizzativo in atto, i benefici “non sono automatici”, nel senso che richiedono un percorso di adattamento del mercato del lavoro in termini di istruzione e formazione, nonché una revisione dei sistemi di protezione sociale “per garantire che la transizione sia reciprocamente vantaggiosa per i datori di lavoro e i lavoratori”. Insomma, per evitare gli effetti socialmente indesiderabili dell’innovazione tecnologica applicata ai processi lavorativi servono soluzioni “appropriate per affrontare le sfide”: soluzioni che possono scaturire solo dalla dialettica fra datori di lavoro e lavoratori, ossia fra i soggetti che “conoscono meglio la situazione sul campo”. In tale prospettiva, il ruolo del legislatore è quello di creare le condizioni affinché le parti sociali possano individuare e adottare (ça va sans dire, per via negoziale) le misure necessarie a beneficio di lavoratori e imprese.

Tutto l’impianto dell’accordo ruota intorno al presupposto che la transizione verso le tecnologie digitali vada realizzata in modo consensuale attraverso un “processo concordato e gestito congiuntamente, condiviso da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti”. Attraverso il sostegno allo sviluppo di un “approccio orientato all'uomo” per l'integrazione della tecnologia digitale nel mondo del lavoro, l’accordo punta a realizzare uno scenario nel quale la prassi negoziale nelle imprese e nei luoghi di lavoro sia capace di realizzare una sintesi fra due elementi in apparenza contrapposti: protezione dei lavoratori e incremento della produttività. Il punto essenziale, nella visione delle parti sociali europee, è che un aspetto non può sussistere senza l’altro. Da qui prende avvio e sostanza quel “processo dinamico circolare”, concordato e gestito congiuntamente dai datori di lavoro e dai lavoratori attraverso le loro rappresentanze, che garantisce il raggiungimento dell’obiettivo. Dietro il linguaggio un po’ immaginifico che a volte caratterizza questo genere di documenti, si intravede l’esigenza di fissare alcuni paletti concreti ai quali ancorare la prassi negoziale. A cominciare dalla definizione degli ambiti entro i quali l’introduzione massiccia di tecnologie digitali fa sentire maggiormente le sue ricadute, vale a dire: contenuti del lavoro e competenze; condizioni di lavoro (termini dell’impiego, equilibrio lavoro e vita privata); ambiente di lavoro, salute e sicurezza; relazioni di lavoro; organizzazione del lavoro. Entro questi perimetri, la condivisione delle scelte dovrà investire i seguenti quattro fattori: abilità digitali e garanzia dell'occupazione; modalità di connessione e disconnessione; intelligenza artificiale (IA) e garanzia del principio del controllo umano; rispetto della dignità umana e sorveglianza.

Biagiotti 43 44 1Si giunge così a un passaggio cruciale del documento, nel quale le parti firmatarie avvertono la necessità di definire una procedura standardizzata per articolare le diverse fasi del processo di condivisione. Il percorso inizia con una fase di esplorazione, preparazione e supporto che consiste nell’“esplorare, sensibilizzare e creare la giusta base di supporto e il giusto clima di fiducia per poter discutere apertamente le opportunità e le sfide/rischi della digitalizzazione, il loro impatto sul posto di lavoro”, che però deve anche prevedere le “possibili azioni e soluzioni”.

La seconda fase è quella della mappatura, della valutazione e delle analisi congiunte, dove i riflessi dell’innovazione vengono esaminati “in termini di benefici e opportunità”, individuando misure e azioni attraverso cui l'integrazione della tecnologia digitale può portare benefici ai lavoratori e all'impresa.

La terza fase viene definita come “Panoramica congiunta della situazione” ed il risultato a cui deve condurre è l’adozione di “strategie per la trasformazione digitale”: definizioni che brillano forse più per eleganza che per chiarezza, ma che lasciano emergere in tralice l’ambizione di pervenire a una ricognizione bilanciata di tutti i fattori di rischio e di opportunità derivanti dall’introduzione delle nuove tecnologie, per poi “concordare strategie digitali” coerenti con benchmark d’impresa orientati all’innovazione per lo sviluppo e la competitività.

La quarta fase prevede l’adozione di “appropriate misure/azioni” che dovranno essere ispirate ai seguenti criteri: possibilità di testare/pilotare le soluzioni previste; definizione delle priorità; attuazione in fasi temporali sequenziali; definizione di ruolo e responsabilità della dirigenza, dei lavoratori e dei loro rappresentanti; risorse; monitoraggio.

Infine, la quinta e ultima fase è quella in cui si realizza una “valutazione congiunta” dell'efficacia delle azioni adottate, cercando di comprendere se, alla luce dei risultati conseguiti, sia necessario intraprendere ulteriori iniziative in termini di analisi, sensibilizzazione e sostegno.

Per passare dalle astratte (ancorché necessarie) definizioni preliminari di contesto alla fase operativa del processo, che comporta la individuazione delle misure concrete da mettere in campo, occorre addentrarsi nell’analisi dettagliata dei quattro fattori lavorativi e sociali – ricordati in precedenza – che ne sono alla base: ed è proprio in questa direzione che si muove la seconda parte del documento. Il primo fattore (“Competenze digitali e garanzia di occupazione”) presuppone un reciproco impegno fra datori di lavoro e lavoratori che si traduce, rispettivamente, nell’utilizzo positivo della tecnologia digitale in funzione del miglioramento della produttività, della sicurezza occupazionale della forza lavoro e del miglioramento delle condizioni di lavoro, per i primi; nel sostegno alla crescita e al successo dell’impresa, riconoscendo in tal senso “il ruolo potenziale della tecnologia digitale” per il mantenimento dei livelli di competitività aziendale, per i secondi.

Nella visione europea, si tratta di un salto culturale imprescindibile per poter procedere al passaggio successivo: quello, cioè, dell’“identificazione dei bisogni e delle competenze” necessarie a sostenere la sfida del cambiamento. La partita chiama in causa il tema della formazione e della conseguente adozione di strategie finalizzate all’adeguamento delle competenze attraverso l’apprendimento continuo. Coerentemente con il ‘salto’ di cui sopra, quindi, il principio di “apprendimento continuo” esprime il riconoscimento di un “interesse comune” delle parti sociali a facilitare l’accesso a una formazione e a uno “sviluppo delle competenze di qualità ed efficace”, pur nel rispetto delle specifiche soluzioni adottate nei diversi sistemi di relazioni industriali. Al riguardo, giova ricordare ancora una volta che, per esplicita intenzione delle parti firmatarie, i principi contenuti nell’accordo europeo si estendono in modo trasversale a tutto il mondo del lavoro pubblico e privato; dunque, oltre che all’industria e ai servizi, anche alle pubbliche amministrazioni, alle PMI e a tutte le tipologie di attività svolte su piattaforma on line.

Biagiotti 43 44 3Ma quali nuove figure professionali sarà necessario formare per accompagnare la transizione delle imprese pubbliche e private verso il futuro digitale? Su questo punto il framework agreement rimane (comprensibilmente) nel vago, ma si possono rintracciare alcuni punti di riferimento generali da innestare, poi, nella realtà dei singoli contesti organizzativi: ad esempio, nel passaggio dove si afferma che la formazione dovrà fornire “un set di competenze” che combina abilità tecniche, specifiche del settore, con una serie di “abilità trasversali”, come ad esempio la capacità di problem solving. Per il lavoro del futuro, quindi, saranno necessari “pensiero critico, capacità di collaborazione e comunicazione, co-creazione e creatività per la forza lavoro. Parallelamente, le capacità e le competenze umane e sociali, come la gestione delle persone, l'intelligenza emotiva e il giudizio, devono essere ulteriormente sviluppate e migliorate”. Non proprio obiettivi di facile portata, insomma, il cui conseguimento coinvolge in pari misura datori di lavoro e lavoratori e, soprattutto, implica l’assunzione di una reciproca (ancorché differente) responsabilità verso l’affermazione di “una vera cultura dell'apprendimento nella società e nelle imprese e la mobilitazione dell'atteggiamento positivo della forza lavoro nei confronti del cambiamento”.

Fra le misure specifiche da adottare in sede di contrattazione, l’accordo quadripartito europeo stabilisce che qualora un datore di lavoro chieda a un lavoratore di partecipare a un percorso formativo riconducibile alla trasformazione digitale dell'impresa, la formazione debba essere sempre a carico del datore di lavoro, in riferimento ai CCNL o alla normativa nazionale. La formazione può inoltre essere interna o esterna alla sede di servizio e deve svolgersi in orari concordati, possibilmente durante l'orario di lavoro, precisando che “se la formazione si svolge al di fuori dell'orario di lavoro, deve essere previsto un adeguato compenso”. Ma poiché le strategie di trasformazione digitale devono avere come primo obiettivo quello di evitare la perdita di posti di lavoro, la formazione dovrà anche essere funzionale alla “riprogettazione” del lavoro all’interno delle imprese, in modo da garantire ai lavoratori una nuova collocazione nell’organizzazione aziendale qualora le loro mansioni siano destinate a scomparire a causa dell’introduzione delle nuove tecnologie.

Il secondo fattore di carattere lavorativo e sociale è quello che nel documento viene indicato come “Modalità di connessione e disconnessione”, in riferimento al quale le parti sociali europee suggeriscono di adottare una serie di misure che – al netto della sensazione di déjà vu che qualcuna delle formule adottate suggerisce – insistono in modo particolare sui problemi collegati al rispetto delle regole sull'orario di lavoro nelle varie modalità di esecuzione a distanza. Tra queste, vi è anche la necessità di fornire a datori di lavoro e lavoratori “orientamenti e informazioni” circa l’utilizzo di strumenti digitali come la posta elettronica, compresi i rischi per la salute e la sicurezza legati all’eccesso di connessione. Altri suggerimenti importanti, che dovranno trovare un’adeguata definizione negli accordi nazionali dei Paesi UE, riguardano il bilanciamento dei diritti e dei doveri nello scambio quotidiano fra dipendenti in regime di lavoro da remoto e management. E qui l’attenzione si sposta sul tema della pervasività degli strumenti digitali, attraverso cui l’organizzazione aziendale tende ad espandere la sfera delle richieste lavorative ben aldilà dei confini del tempo normale di lavoro fissato dalle norme o dai contratti. Si tratta di un fenomeno noto da tempo alle parti sociali, ma che ha fatto registrare un sensibile incremento in questi ultimi mesi di diffusione massiccia delle nuove forme di lavoro organizzate a distanza, come l’home-working e lo smart-working. L’originalità dell’approccio proposto congiuntamente dalle organizzazioni datoriali e sindacali europee consiste non tanto (o non solo) nel fissare paletti e limiti di natura, per così dire, algoritmico-giuridica, che comunque – aggiungiamo noi – restano esposti al rischio di venire elusi o aggirati nel circolo vizioso delle cattive prassi aziendali in cui si manifesta l’asimmetria del rapporto fra struttura organizzativa e singolo dipendente. Proprio perché nel lavoro a distanza il lavoratore, sganciato dal contesto sociale di organizzazione del ciclo produttivo, si ritrova sostanzialmente da solo a gestire uno squilibrio coercitivo che ne accentua la condizione di debolezza rispetto all’azienda, le parti sociali europee fanno leva sul principio di prevenzione a cui datori e lavoratori devono attenersi in chiave di rimozione dei possibili effetti negativi sulla salute e sulla sicurezza, da intendere verosimilmente anche di natura psicologica ed emotiva. Si punta, insomma, ad affermare nelle imprese una “cultura” della partecipazione volta a creare la “garanzia” di un ambiente di lavoro sano grazie a un sistema condiviso di diritti, responsabilità e doveri. In questa visione costruttiva trova posto, ad esempio, l’“impegno” del management ad evitare “contatti fuori orario” o a favorire un’organizzazione del lavoro che, per raggiungere i suoi obiettivi, non richieda ai lavoratori una disponibilità eccedente le condizioni di orario contrattualmente stabilite. Lo sviluppo del principio sopra affermato porterà, come auspicabile conseguenza, all’affermarsi nelle imprese di una visione organizzativa no-blame dove la non-contattabilità dei dipendenti risulti scevra da conseguenze in termini di pressione morale o penalizzanti sotto l’aspetto professionale[6].

Biagiotti 43 44 2Con riguardo al terzo fattore [“Intelligenza artificiale (IA) e garanzia del principio del controllo umano”], le parti sociali europee mostrano consapevolezza del fatto che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale da parte delle imprese in Europa si trova ancora nelle prime fasi; il che le conduce implicitamente a riconoscere di trovarsi dinanzi a un fenomeno sostanzialmente nuovo, i cui effetti sull’organizzazione del lavoro sono ancora poco conosciuti. Forse per questo nell’accordo esse si limitano a porre una serie di principi che, come vedremo fra poco, si traducono in misure la cui esigibilità non appare ancora connotata da una chiara matrice negoziale. Fra i principi generali posti a base del confronto sull’intelligenza artificiale nelle imprese dello spazio economico europeo si segnala l’affermazione secondo cui il controllo degli esseri umani sulle macchine e sull'IA dovrebbe essere garantito sul posto di lavoro e dovrebbe essere alla base dell'uso della robotica e delle sue applicazioni, rispettando e ottemperando ai controlli di sicurezza e protezione. Ma che ci si muova su un terreno contrattualmente ancora poco esplorato si evince dalla successiva formulazione dell’auspicio che le rappresentanze datoriali e sindacali, “a livello di impresa e ad altri livelli appropriati” agiscano “in modo proattivo” rispetto al “potenziale della tecnologia digitale e dell'intelligenza artificiale per aumentare la produttività dell'impresa e il benessere della forza lavoro, compresa una migliore assegnazione dei compiti, un aumento dello sviluppo delle competenze e delle capacità lavorative, la riduzione dell'esposizione a condizioni di lavoro dannose”.

In realtà, nel prosieguo dell’accordo si accenna solo di sfuggita al tema della dialettica organizzativa tra macchina e operatore umano, anche sotto la prospettiva delle possibili conflittualità correlate ai nuovi modelli di subordinazione cui l’IA può dare luogo nei contesti produttivi. Riguardo alle “misure da prendere in considerazione”, quindi, l’accordo europeo sembra voler lasciare margine ai possibili sviluppi della contrattazione nei settori e nelle imprese maggiormente interessati/e all’introduzione di questa speciale tecnologia, limitandosi a circoscrivere pochi campi di azione riconducibili all’appannaggio del sistema partecipativo, come, ad esempio, le procedure selettive di risorse umane (assunzione, valutazione, promozione e licenziamento, analisi delle prestazioni), per le quali si rivendica la necessità di trasparenza attraverso il ricorso all’istituto dell’informazione e il diritto dei lavoratori interessati a richiedere l’“intervento umano” al posto della macchina, anche per verificarne i risultati. E sebbene non vi sia un chiaro riferimento al ruolo della contrattazione nella programmazione degli algoritmi e nell’utilizzo delle ingenti masse di dati raccolti ed elaborati dalle macchine intelligenti, l’accordo quadro sottolinea come i sistemi di IA debbano essere progettati e gestiti in conformità con le vigenti norme in materia di protezione dei dati personali, per garantire la privacy e la dignità del lavoratore.

Proprio il tema della raccolta e dell’utilizzo dei dati (di qualsiasi natura) che provengono dall’interazione delle macchine intelligenti con l’attività delle persone in carne e ossa apre la strada all’analisi del quarto e ultimo fattore lavorativo-sociale a cui debbono fare riferimento le azioni congiunte datoriali e sindacali per rendere sicuro l'ambiente di lavoro, garantire migliori condizioni di lavoro e migliorare l'efficienza dell'impresa. Sotto l’etichetta “Rispetto della dignità umana e sorveglianza”, l’accordo affronta il tema del rispetto della dignità dell’essere umano che interagisce con la tecnologia digitale e con i sistemi di controllo del lavoro da parte dei sistemi operativi dipendenti, in tutto o in parte, dall’intelligenza artificiale. Le parti sociali europee mostrano di essere ben consapevoli del rischio che un tale tipo di controlli finisca per strutturare organizzativamente vere e proprie forme di intromissione nella sfera personale, con conseguente “deterioramento delle condizioni di lavoro e del benessere dei lavoratori”.

Biagiotti 43 44 4Al riguardo, appare molto più di un semplice richiamo l’evocazione dell’art. 88 (e dell’annesso Considerato 155) del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016[7] che, non casualmente, assegna alla contrattazione collettiva negli Stati membri dell’UE un ruolo equivalente a quello della legge nel definire la disciplina regolatoria in materia di trattamento dei dati personali nell’ambito dei rapporti di lavoro[8]. Conseguentemente, le misure concrete da adottare nella prassi delle relazioni partecipative dovranno, da oggi in poi, essere tali da consentire sempre ai rappresentanti dei lavoratori di affrontare e discutere le questioni relative ai dati, al consenso, alla protezione della privacy e alla sorveglianza; ma soprattutto – e in questo risiede forse l’aspetto più innovativo di quest’ultima sezione dell’accordo – dovranno sempre assicurare il collegamento della raccolta dei dati personali effettuata dalle aziende e dalle amministrazioni pubbliche a uno scopo concreto e trasparente, evitandone l’indebito accumulo per finalità non chiaramente identificate e definite. Quadrato Rosso

Note

[1] European Social Partners Framework Agreement on Digitalisation. BusinessEurope, con sede a Bruxelles, è l’organizzazione che raggruppa circa 40 associazioni di imprese di 35 Paesi europei; SMEunited, a sua volta, riunisce circa 70 associazioni di artigianato e PMI in Europa appartenenti a oltre 30 paesi europei; CEEP rappresenta i datori di lavoro pubblici e le imprese che forniscono servizi pubblici e di interesse generale (SGI) in settori quali le amministrazioni centrali e locali, l’assistenza sanitaria, la formazione scolastica, l’abitazione, la gestione dei rifiuti, l’energia, il trasporto, l’acqua, l’ambiente, le comunicazioni; infine, la confederazione europea dei sindacati CES (in inglese European Trade Union Confederation, ETUC), creata nel 1973, raggruppa 89 confederazioni sindacali nazionali di 39 Paesi europei e costituisce il principale interlocutore delle istituzioni dell'Unione Europea in materia di relazioni industriali, tutela e rappresentanza dei lavoratori.

[2] Articolo 155 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE):
“1. Il dialogo fra le parti sociali a livello dell'Unione può condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi.
2. Gli accordi conclusi a livello dell'Unione sono attuati secondo le procedure e le prassi proprie delle parti sociali e degli Stati membri o, nell'ambito dei settori contemplati dall'articolo 153 e a richiesta congiunta delle parti firmatarie, in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione. Il Parlamento europeo è informato. (omissis)”
Per completezza di informazione, ricordiamo che i “settori” di cui all’art. 153 del TFUE sono i seguenti:
a) miglioramento, in particolare, dell'ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori; b) condizioni di lavoro; c) sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori; d) protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro; e) informazione e consultazione dei lavoratori; f) rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la cogestione (omissis); g) condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio dell'Unione; h) integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro, fatto salvo l'articolo 166; i) parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed il trattamento sul lavoro; j) lotta contro l'esclusione sociale; k) modernizzazione dei regimi di protezione sociale, fatto salvo il disposto della lettera c).

[3] Nel contesto dell’accordo, per una “migliore comprensione del processo”, le parti firmatarie forniscono la seguente definizione di organizzazione del lavoro: “L'organizzazione del lavoro è la distribuzione e il coordinamento dei compiti lavorativi e dell'autorità in un'organizzazione. L'organizzazione del lavoro è il modo in cui i compiti sono distribuiti tra gli individui di un'organizzazione e il modo in cui questi sono poi coordinati per realizzare il prodotto o servizio finale. L'organizzazione del lavoro o la struttura dice chi fa cosa, in team o meno, e chi è responsabile di cosa.”

[4] Per il presente contributo si è utilizzata una traduzione non ufficiale, le cui citazioni testuali sono state riportate in virgolettato.

[5] Da alcuni anni, in Italia, anche la contrattazione decentrata del settore privato fornisce esempi sempre più frequenti di regolazione condivisa dei riflessi dell’introduzione delle nuove tecnologie nell’organizzazione del lavoro. Peraltro, l’insorgere della pandemia, con la conseguente diffusione emergenziale di modalità lavorative da remoto organizzate attraverso supporti digitali e piattaforme on line dedicate, ha stimolato in tutta Europa l’interesse ad approfondire la risposta offerta dal sistema delle relazioni industriali a livello settoriale e di impresa. Per l’Italia, segnaliamo il recente contributo “Contrattazione decentrata in tempo di Covid-19” a cura delle parti sociali datoriali e sindacali (CGIL, CISL, UIL, Confindustria, Confcommercio, Confesercenti, CNA, ABI), nell’ambito del XXII Rapporto CNEL sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, presentato il 12 gennaio 2021
(https://cdcpcnelblg01sa.blob.core.windows.net/documenti/2021/7f332850-99a2-4b7a-9bc6-91d9f20c6476/XXII%20RAPPORTO%20MERCATO%20DEL%20LAVORO%202020_def.pdf).

Biagiotti 43 44 5[6] Il 21 gennaio 2021 il Parlamento Europeo ha approvato la risoluzione 2019/2181 (INL) concernente “Raccomandazioni alla Commissione europea sulla proposta di direttiva in materia di diritto alla disconnessione” che si inserisce nel solco dei principi sanciti dall’accordo quadro europeo del giugno 2020. Fra i richiami contenuti nei Considerato iniziali della Risoluzione, ad esempio, emerge quanto enunciato nei vari punti della lettera J, in particolare al punto n. 2, dove si sottolinea che “l'essere costantemente connessi, insieme alle forti sollecitazioni sul lavoro e alla crescente aspettativa che i lavoratori siano raggiungibili in qualsiasi momento, può influire negativamente sui diritti fondamentali dei lavoratori, sull'equilibrio tra la loro vita professionale e la loro vita privata, nonché sulla loro salute fisica e mentale e sul loro benessere”. Il successivo punto n. 16, a sua volta, evidenzia che il diritto alla disconnessione “consente ai lavoratori di astenersi dallo svolgere mansioni, attività e comunicazioni elettroniche lavorative, come telefonate, email e altri messaggi, al di fuori del loro orario di lavoro, compresi i periodi di riposo, i giorni festivi ufficiali e annuali, i congedi di maternità, paternità e parentali nonché altri tipi di congedo, senza conseguenze negative” e insiste sulla necessità di garantire “autonomia, flessibilità e il rispetto della sovranità sul tempo, secondo il quale ai lavoratori deve essere consentito di organizzare il loro orario di lavoro in base alle responsabilità personali, in particolare l'assistenza ai figli o ai familiari malati”, senza che ciò comporti “discriminazioni o conseguenze negative in relazione alle assunzioni o agli avanzamenti di carriera”. . Il fulcro centrale attorno a cui ruota la Proposta del Parlamento UE è rappresentato dall’art. 3, dove si stabilisce che: 1) gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro prendano i provvedimenti necessari per fornire ai lavoratori i mezzi per esercitare il diritto alla disconnessione; 2) gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro istituiscano un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell'orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, nel rispetto del diritto dei lavoratori alla vita privata e alla tutela dei dati personali. I lavoratori possono richiedere e ottenere il registro del loro orario di lavoro; 3) gli Stati membri provvedono affinché “i datori di lavoro attuino il diritto alla disconnessione in modo equo, lecito e trasparente”.

[7] Garante per la Protezione dei Dati Personali. “Regolamento generale sulla protezione dei dati, arricchito con riferimenti ai Considerando Aggiornato alle rettifiche pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea 127 del 23 maggio 2018” (www.garanteprivacy.it)

[8] Considerato 155:
“Il diritto degli Stati membri o i contratti collettivi, ivi compresi gli «accordi aziendali», possono prevedere norme specifiche per il trattamento dei dati personali dei dipendenti nell'ambito dei rapporti di lavoro, in particolare per quanto riguarda le condizioni alle quali i dati personali nei rapporti di lavoro possono essere trattati sulla base del consenso del dipendente, per finalità di assunzione, esecuzione del contratto di lavoro, compreso l'adempimento degli obblighi stabiliti dalla legge o da contratti collettivi, di gestione, pianificazione e organizzazione del lavoro, parità e diversità sul posto di lavoro, salute e sicurezza sul lavoro, e ai fini dell'esercizio e del godimento, individuale o collettivo, dei diritti e dei vantaggi connessi al lavoro, nonché per finalità di cessazione del rapporto di lavoro”.
Articolo 88:
Biagiotti 43 44 6“1. Gli Stati membri possono prevedere, con legge o tramite contratti collettivi, norme più specifiche per assicurare la protezione dei diritti e delle libertà con riguardo al trattamento dei dati personali dei dipendenti nell'ambito dei rapporti di lavoro, in particolare per finalità di assunzione, esecuzione del contratto di lavoro, compreso l'adempimento degli obblighi stabiliti dalla legge o da contratti collettivi, di gestione, pianificazione e organizzazione del lavoro, parità e diversità sul posto di lavoro, salute e sicurezza sul lavoro, protezione della proprietà del datore di lavoro o del cliente e ai fini dell'esercizio e del godimento, individuale o collettivo, dei diritti e dei vantaggi connessi al lavoro, nonché per finalità di cessazione del rapporto di lavoro.
2. Tali norme includono misure appropriate e specifiche a salvaguardia della dignità umana, degli interessi legittimi e dei diritti fondamentali degli interessati, in particolare per quanto riguarda la trasparenza del trattamento, il trasferimento di dati personali nell'ambito di un gruppo imprenditoriale o di un gruppo di imprese che svolge un'attività economica comune e i sistemi di monitoraggio sul posto di lavoro.
3. Ogni Stato membro notifica alla Commissione le disposizioni di legge adottate ai sensi del paragrafo 1 entro il 25 maggio 2018 e comunica senza ritardo ogni successiva modifica”.

[*] Marco Biagiotti, già dipendente del Ministero del Lavoro, lavora presso il CNEL. In passato ha collaborato alla realizzazione, per la UIL Pubblica Amministrazione, della collana di volumi “Lavoro e contratti nel pubblico impiego”. Dal 1996 al 2006 è stato responsabile del periodico di informazione e cultura sindacale “Il Corriere del Lavoro”

© 2013-2022 - Fondazione Prof. Massimo D'Antona