Anno IX - N° 43-44

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Gennaio/Aprile 2021

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Nuove tecnologie nel rapporto di lavoro e tutela delle libertà individuali

Per il Sindacato, indispensabile negoziare gli algoritmi


di Carlo Iovino e Valeria Brancato [*]

Brancato Iovino 32 33

Parafrasando Pascoli potremmo dire “c’è qualcosa di nuovo oggi nel mondo del lavoro, anzi d’antico”. Nel 1936 uscì Tempi Moderni di Chaplin, capolavoro che evidenziava i rischi legati ad una automatizzazione del lavoro finalizzata soltanto al profitto ed alla crescita economica e non anche allo “sviluppo” dell’uomo. Ebbene, dopo più di 80 anni è più che mai attuale la discussione sui termini e le conseguenze di un uso “sfrenato” della tecnologia nel mondo del lavoro che può comportare un attacco alla “dignità del lavoro”. Michele Mezza nel Suo libro “Algoritmi di libertà” dedica un capitolo delle Sue riflessioni proprio al mondo del lavoro. In particolare sottolinea che il venir meno della vecchia contrapposizione tra imprenditori (“padroni”) e lavoratori ha trasferito ora alla potenza di calcolo, ai software, il vero potere, un potere tecnologico nelle mani di chi fornisce i software. Costoro, sono i veri gatekeeper del mondo del lavoro, dice Mezza, difatti i software decidono i profili professionali, ed in base agli algoritmi si decide il lavoratore “cosa” deve fare e “come” farlo.

Ecco quindi la necessità, richiesta a gran voce anche dai Sindacati, di “negoziare gli algoritmi”. Basti pensare che, a proposito del “come” lavorare, con gli attuali sistemi di calcolo della saturazione dei tempi di lavoro si è arrivati a livelli del 160% (!), appunto lavoratori-robot! Ecco quindi che ciò che viene presentato come nuovo ed innovativo non è altro in realtà che un’ulteriore tappa di quella rivoluzione industriale iniziata nella metà del ’700 e fondata sulla medesima necessità di ripartire le diverse fasi del lavoro che dovranno poi essere ancor meglio organizzate al fine di non risultare “semplice somma” ma accrescere la produttività attraverso il valore aggiunto dato dal lavoratore, con giornate di lavoro che diventano di 24 ore grazie ad un algoritmo che scandisce cosa e come fare ed in quali tempi di ciclo, così eliminando i tempi morti. Ieri c’era la catena di montaggio, oggi la rete; ieri il lavoro era separato dalla vita privata, oggi si confonde con essa, è la stessa vita dell’uomo con il suo corpo, le sue emozioni, le sue relazioni ad essere diventata forza lavoro. Infatti, il capitalismo delle piattaforme è stato equiparato al lavoro a cottimo e al caporalato, e lo smart working al lavoro a domicilio, dunque non ci sarebbe “un nuovo” che avanza. Si ritiene allora che perché si possa restituire dignità al lavoro rimasto ripetitivo, governato dall’algoritmo della nuova industria digitale, sarà necessario adesso che l’industria e la rivoluzione industriale si adattino alle esigenze dell’uomo e non più il contrario, per ritornare al tempo dei diritti sociali.

Iovino Brancato 43 44 1La tecnicizzazione del lavoro che doveva essere “liberatrice” e dispensatrice di “Dignità Lavorativa”, liberandoci da lavori manuali faticosi e ripetitivi, può invece compromettere la libertà dell’individuo, dovute all’inserimento inevitabile del lavoratore in un sistema dove non ha scelte da operare. A questo punto la liberazione non passa più per “l’impossessamento degli strumenti di produzione ” (Marx) né dal “rifiuto del sistema costituito” (Marcuse) ma dalla negoziazione degli algoritmi! Le nuove tecnologie, soltanto se gestite e governate al meglio, potranno liberarci dai lavori più noiosi, ripetitivi e faticosi e contribuire a dare dignità al lavoro ed al lavoratore. Lo stesso smart working, la cui diffusione era già in crescita e che si è imposto come modalità di lavoro in questa emergenza dovuta alla pandemia, metterebbe il lavoratore come “persona” al centro dell’organizzazione, conciliando le sue esigenze personali e professionali con quelle dell’azienda per aumentarne il rendimento. I vantaggi in termini economici e sociali sono notevoli, connessi ad un aumento di produttività, ad una riduzione dei costi per le aziende, ad una riduzione delle assenze dei lavoratori, alla riduzione dell’inquinamento legato agli spostamenti per recarsi sul posto di lavoro, alla possibilità per lo stesso lavoratore di conciliare tempi di vita e di lavoro, in particolare per le donne, da sempre e ancora oggi impegnate nella cura dei figli e di tutta la famiglia grazie ad un risparmio di tempo da investire certo nel lavoro ma anche nel tempo libero. Bisognerà però porre l’attenzione su alcuni aspetti che necessitano di una attenta regolamentazione al fine di garantire la tutela dei diritti e della dignità dei lavoratori. Prima fra tutti disciplinare la “reperibilità” del lavoratore e dunque riconoscere un diritto alla disconnessione stabilendo delle fasce orarie. Bisognerà evitare che lo smart working venga imposto al dipendente al solo fine di ridurre i costi. Sarà altresì necessario garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori, con l’utilizzo ad esempio del videoterminale, fornendo la necessaria formazione al lavoratore sui relativi rischi. Infine è bene considerare il venir meno dell’azienda come luogo di confronto, di aggregazione e di crescita umana e professionale. Le nuove piattaforme digitali ipertecnologiche stanno provocando la cd. Digital Disruption, una “rottura” del vecchio sistema che provoca tra l’altro nuove diseguaglianze tra i lavoratori e soprattutto “l’isolamento” dei lavoratori in rete. Uno studio dell’Aspen Institute Italia sottolinea la necessità ed urgenza sia di nuove contrattazioni collettive sia di una nuova e più intensa formazione dei lavoratori se è vero, come è vero, che il futuro vedrà il 65% dei bambini oggi iscritti alla scuola materna svolgere una professione che ancora non esiste. Per l’Italia questo rappresenta un tema urgente da affrontare se consideriamo che secondo l’OCSE siamo il Paese europeo con il più alto tasso di skill mismatch (le differenze fra le competenze possedute e quelle richieste dal mercato). Quindi la sfida è formazione continua e rinnovate tutele a difesa della dignità del lavoratore. Francesco Morace suggerisce che occorrerà scegliere attività che prevedano “relazioni umane”, l’elemento umano in cui nessun robot potrà mai sostituirci.

Fenomeno del tutto nuovo è lo “jobless growth”, lo sviluppo senza lavoro, cioè una maggiore produttività con meno lavoro umano. Difatti grazie allo sviluppo tecnologico si è riusciti ad incrementare la produzione di beni e servizi con miliardi di ore di lavoro in meno rispetto ai decenni passati. E le prospettive sono esponenziali, molti lavori anche intellettuali saranno sostituiti da intelligenze artificiali e microprocessori sempre più potenti e veloci. Forse sarà necessario come propongono tra gli altri Domenico De Masi e Stefano Feltri, accorciare gli orari di lavoro. E proprio la riduzione dell’orario di lavoro, è stata adottata in Germania dove le prestazioni di un lavoratore tedesco equivalgono a 1371 ore annue rispetto alle 1725 ore di un lavoratore italiano. Se anche in Italia si lavorasse 1371 ore avremmo, si è calcolato, 6 milioni di posti di lavoro in più, e la cosa paradossale è che pur lavorando il 20% in più la nostra produttività è del 20% in meno! E ciò sia per la non efficienza dell’ organizzazione e gestione del lavoro che per il gap tecnologico. Siamo vicini (?) al quel 2030 in cui Keynes profetizzò che “basteranno tre ore al giorno di lavoro per aiutare le macchine a produrre tutto ciò che occorre” e così il maggior tempo libero potrà essere dedicato alla bellezza (tesoro nascosto dell’economia secondo Roberto Napoletano), alle passioni, all’amicizia… con un bel guadagno in termini di dignità! Secondo i dati ISTAT di agosto 2018 le aziende che hanno investito di più in tecnologia hanno anche aumentato l’occupazione, e ciò confuta forse la “leggenda” secondo cui nelle fabbriche del futuro ci saranno soltanto due esseri animali, un uomo ed un cane, il primo avrà il compito di dar da mangiare al cane e questi quello di non farlo avvicinare alle macchine! Quadrato Rosso

Bibliografia

Michele Mezza “Algoritmi di libertà”.

Stefano Feltri articoli da “Il Fatto Quotidiano”.

Domenico De Masi “Il Lavoro nel XXI secolo”.

Francesco Morace “Futuro più umano”.

De Michelis “La dignità del lavoro al centro dell’economia sostenibile” da Agendadigitale.eu.

[*] Carlo Iovino e Valeria Brancato sono funzionari INL in servizio presso ITL di Napoli. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero degli Autori e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per la Pubblica Amministrazione.

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