Anno X - N° 49

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Gennaio/Febbraio 2022

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Anno X - N° 49

Gennaio/Febbraio 2022

Dispersione contrattuale e rischio dumping: alcune considerazioni


di Marco Biagiotti [*]

Marco Biagiotti 2

I dati sui contratti collettivi nazionali di lavoro diffusi dall’ultimo report periodico del CNEL confermano la situazione di grande frammentazione del panorama contrattuale italiano, che al 31 dicembre 2021 ha raggiunto il record storico di 992 accordi collettivi nazionali vigenti nei vari settori produttivi[1]. Fra essi rientra anche un certo numero di accordi di cui, per diverse ragioni, non ha tenuto conto l’analisi fornita nel XXIII Rapporto CNEL sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva, presentato il 21 dicembre scorso[2]: si tratta degli accordi nazionali relativi ai comparti del settore pubblico, di quelli relativi ai lavoratori parasubordinati e degli accordi economici collettivi che si applicano ad alcune categorie di lavoratori autonomi. Ma anche sottraendo questo pacchetto dal totale, il numero dei CCNL vigenti nel lavoro privato rimane enorme: ben 933 alla data del 22 novembre 2021.

Il dato in sé non permette di trarre alcuna conclusione sull’andamento qualitativo delle dinamiche negoziali nel nostro Paese, né sui loro riflessi in ordine alla produttività e competitività delle imprese o alle condizioni di svolgimento delle attività lavorative. Il fatto che in Italia esistano così tanti contratti nazionali può, dopo tutto, essere considerato semplicemente espressione dei principi di libertà sindacale, di autodeterminazione della categoria contrattuale e, in senso più esteso, di pluralismo associativo secondo i principi dell’articolo 39 della Costituzione. La molteplicità non è un disvalore in assoluto, a condizione che sia rapportata alla possibilità di leggere in chiave comparativa i contenuti dei vari accordi che insistono all’interno di uno stesso settore, magari con l’ausilio di una griglia di indicatori condivisi in grado di offrire parametri obiettivi di riferimento per collocare ciascun accordo nazionale nell’ambito di una scala di congruità delle clausole contrattuali ritenute più significative. Un esercizio del genere può essere svolto solo dalle parti sociali firmatarie degli accordi di contrattazione collettiva nazionale e dai soggetti istituzionali che possiedono la competenza e l’esperienza necessarie per impostare una lettura comparativa dei CCNL. Ma poiché i numeri contengono una propria forza che si traduce spesso in risonanza mediatica, riteniamo valga la pena soffermarsi su quel dato di 992 accordi nazionali vigenti divulgato dal CNEL e ripreso con una certa enfasi dagli organi di informazione, per cercare di capire se – in attesa di poter disporre di chiavi di lettura più sofisticate – il mero dato quantitativo sul numero dei CCNL esistenti possa fornirci qualche indicazione utile ad inquadrare meglio un fenomeno tutt’ora sfuggente e in continua evoluzione.

Biagiotti 49 2Occorre innanzitutto chiarire che il CNEL, adempiendo a un preciso obbligo di legge, raccoglie e classifica nel proprio Archivio nazionale i contratti collettivi di lavoro depositati (oggi esclusivamente per via telematica) a cura delle parti firmatarie, indipendentemente dal fatto che esse siano o meno rappresentate in seno al Consiglio, dal campo di applicazione o dall’estensione della platea di riferimento. Tuttavia, sebbene previsto da una legge dello Stato, il deposito dei nuovi CCNL firmati non viene sempre eseguito con tempestività, il che può determinare un certo sfalsamento nelle rilevazioni che l’Archivio effettua attraverso i suoi report periodici. Pur tenendo conto di questo fenomeno, colpisce il fatto che ben 622 accordi nazionali risultano scaduti al 31 dicembre 2021 rispetto alla data di scadenza riportata nel testo contrattuale, con incidenza pari al 62,7% del totale depositato, mentre ‘solo’ 370 (pari al 37,3%) risultano in corso di validità alla stessa data. Peraltro, nel novero dei 622 scaduti rientra un numero non trascurabile di accordi rispetto ai quali il CNEL da diversi anni non riceve alcuna segnalazione: sono infatti ben 202 gli accordi nazionali di settore produttivo che risultano scaduti nel periodo tra il 2012 e il 2016, mentre quelli scaduti da 10 anni e oltre sono 42.

Per una migliore lettura di questi dati è opportuno scorporare gli accordi del settore privato da quelli del settore pubblico presenti nella banca dati in esame[3], così come dagli accordi economici collettivi relativi alle categorie del lavoro autonomo e parasubordinato. Al netto di ciò, è possibile calcolare il numero di imprese e di lavoratori a cui si applicano i CCNL (scaduti e non) utilizzando le elaborazioni presenti nella sezione Archivio contratti del sito internet del CNEL[4], attraverso le quali ciascun CCNL può essere agganciato ai dati delle rilevazioni UNIEMENS che le imprese inviano mensilmente all’INPS per le denunce dei dati contributivi e retributivi dei propri dipendenti. Tali elaborazioni, in continuo aggiornamento, coprono solo la parte di accordi (al momento poco più di 400) per i quali le associazioni datoriali firmatarie hanno richiesto l’attribuzione di uno specifico codice presso l’INPS. Ma per effetto della recente attivazione del Codice Unico alfanumerico CNEL-INPS[5], tutti i CCNL esistenti saranno ben presto classificati in modo univoco e sarà possibile calcolare con maggiore precisione il peso (in termini di numero dipendenti e di imprese interessate) anche del corposo sciame di accordi nazionali settoriali sinora sfuggiti alle rilevazioni UNIEMENS. In ogni modo, i dati aggiornati al 2 febbraio 2022 consentono di farsi un’idea dell’incidenza dei mancati rinnovi contrattuali nei diversi settori del lavoro privato: considerando una base pari a 835 CCNL vigenti[6], i lavoratori interessati sono complessivamente 12.991.632, i CCNL rinnovati riguardano 5.259.320 addetti, mentre quelli non rinnovati riguardano 7.732.312 unità. Si tratta comunque di dati molto aggregati che obliterano informazioni preziose ai fini di un’indagine più approfondita del fenomeno, come ad esempio le differenze settoriali e territoriali o la distribuzione dei CCNL rinnovati/scaduti secondo la dimensione d’impresa.

Con riferimento alla rappresentatività dei soggetti che firmano gli accordi collettivi nazionali, pur in assenza di rilevazioni ufficiali a causa della mancata attuazione degli accordi interconfederali, può essere considerato di un certo interesse il fatto che quasi totalità dei 408 accordi nazionali per i quali è possibile effettuare con sicurezza l’abbinamento INPS risulta sottoscritta da organizzazioni datoriali e/o sindacali presenti al CNEL, la cui periodica individuazione discende – come noto – da una complessa istruttoria svolta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed è ratificata con specifici provvedimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Allargando l’orizzonte alla totalità dei CCNL depositati (escluso il settore pubblico, i parasubordinati e gli accordi economici collettivi per specifiche categorie di lavoratori autonomi) risulta che oltre un terzo dei 933 accordi sono sottoscritti da organizzazioni non rappresentate al CNEL, ma il numero dei lavoratori interessati è piuttosto ridotto: appena 33mila su oltre 12 milioni, pari allo 0,3%. Per contro, i 128 contratti collettivi sottoscritti da soggetti sia datoriali che sindacali rappresentati al CNEL, pari ad ‘appena’ il 14% dei CCNL vigenti, riguardano più di 10 milioni e mezzo di lavoratori, pari a circa l’87% del totale dei lavoratori oggetto delle denunce[7].

Se analizziamo l’andamento nel tempo del numero dei CCNL censiti, si nota un costante incremento nel corso degli ultimi 10 anni; dai 347 accordi vigenti che risultavano depositati al 1° gennaio 2011[8], il trend di crescita si è mantenuto infatti abbastanza regolare e può ben essere illustrato dalla seguente tabella, tratta dall’ultimo Rapporto CNEL sul mercato del lavoro e della contrattazione collettiva presentato il 21 dicembre 2021[9]:


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Balza agli occhi il fatto che nell’arco di un decennio gli accordi collettivi nazionali vigenti (scaduti e non) sono quasi raddoppiati, rivelando una crescente propensione del mercato del lavoro italiano alla moltiplicazione dei soggetti rappresentativi. Ma il dato grezzo sul numero dei CCNL in vigore non permette di ricavare indicazioni sulla effettiva dimensione del dumping contrattuale nel nostro Paese. D’altronde, il tema implica complessi risvolti sul piano economico e sociale, a cominciare dal fenomeno della diffusione del lavoro povero che è stato oggetto di approfondimento anche presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella recente relazione del “Gruppo di lavoro per gli interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia”, presentata il 18 gennaio scorso. Il progressivo aumento della povertà lavorativa in Italia trova una singolare corrispondenza nel moltiplicarsi di contratti collettivi che incidono sugli stessi settori produttivi[10], ma che spesso si applicano a un numero esiguo di lavoratori e in aree geografiche limitate, con l’effetto di determinare una aziendalizzazione di fatto dei contratti nazionali che innesca una vera e propria competizione al ribasso del costo del lavoro.

Come vedremo fra poco, alcuni ambiti contrattuali mostrano una proliferazione abnorme di CCNL, tale da indurre il sospetto che il fenomeno possa esservi più radicato. La rilevazione fa riferimento ai 14 macro-settori a suo tempo creati e organizzati dalle parti sociali per finalità – è bene sottolinearlo – diverse dalla possibile emersione dei fenomeni di dumping: si tratta di contenitori che raccolgono al proprio interno tipologie di attività produttive piuttosto variegate, il cui numero è cresciuto negli anni a discapito della loro omogeneità, accompagnando la progressiva segmentazione del nostro mercato del lavoro. Fermo restando che una lettura comparata degli accordi nazionali in ottica di indagine qualitativa richiederebbe una migliore e più puntuale definizione dei perimetri contrattuali (da affidare comunque alle parti sociali), qualche informazione interessante si può ricavare analizzando la distribuzione dei CCNL nei macro-settori: al 31 dicembre 2021, sono censiti ben 282 contratti nazionali vigenti nel Commercio, 125 nelle Istituzioni private, 80 nei Trasporti e Logistica, 68 nell’Edilizia, 57 nell’Agricoltura, 48 nei Poligrafici e Spettacolo, 42 nei Meccanici, solo per citare i più affollati. Ma sono territori da esplorare con cautela, poiché – come già accennato – presentano al loro interno una geografia contrattuale alquanto complessa. Ad esempio, il macro-settore Istituzioni private è un arcipelago di sotto-settori che contiene case di cura, cooperative sociali, enti di formazione professionale, enti previdenziali privati, scuole private, ecc.. A sua volta, il macro-settore Commercio include un novero sterminato di attività che spazia dagli agenti di commercio ai call-center e dai centri di elaborazione dati alla grande distribuzione e al turismo. L’entrata a regime del codice unico di classificazione dei CCNL renderà più facile scoprire la reale incidenza di ciascun contratto nazionale nel proprio ambito produttivo di riferimento. Quello che però si può sin d’ora evidenziare è che in tutti i macro-settori la grande maggioranza dei lavoratori e delle imprese risultano coperti da un ristretto numero di CCNL. Anche in questo caso, l’ultimo Rapporto CNEL fornisce un interessante spunto di lettura informandoci che su 12.219.346 lavoratori i cui CCNL sono trattati nelle dichiarazioni UNIEMENS, più dell’80%, in media, rientra al massimo in 5 CCNL all’interno di ciascun macro-settore, ma con punte notevoli nei Meccanici (99%), negli Alimentaristi (96%) e nel Credito-Assicurazioni (95%)[11]. Avremo modo, in un prossimo contributo, di ritornare con maggiore dovizia di argomentazioni su questo tema e sulle reali possibilità di organizzare un’indagine sistematica di tutti gli accordi nazionali settoriali esistenti nel data-base unico CNEL-INPS-Ministero del lavoro, anche su base comparativa, al fine di rendere oggettivamente riconoscibili quelli che in ciascun settore possono costituire il parametro di riferimento in termini di qualità dei contenuti. Quadrato Rosso

Note

[1] 14° Report periodico dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro vigenti depositati nell'Archivio CNEL, Roma, CNEL, 2022.

[2] Venturi L., Ambroso R., Biagiotti M., Tomaro S., “L’archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro. Evidenze aggiornate a fine 2021”, in “XXIII Rapporto CNEL mercato del lavoro e contrattazione collettiva”, Roma, CNEL, 2022, pp. 377-391.

[3] Per inciso, tutti gli accordi del settore pubblico considerati nel 14° Report CNEL (vedi nota n. 1) risultano scaduti alla data del 31 dicembre 2021.

[4] https://www.cnel.it/Archivio-Contratti > poi cliccando al link: CCNL-settore privato

Biagiotti 49 3[5] L’art. 16 quater del D.L. n. 76/2020 (cd. decreto semplificazioni), ha stabilito che nelle comunicazioni obbligatorie di cui al d.lgs. 297/2002 e nelle trasmissioni mensili di cui al D.L. 269/2003 sia indicato il contratto collettivo nazionale, identificato mediante un codice unico alfanumerico attribuito dal CNEL, secondo criteri stabiliti d'intesa con il Ministero del lavoro e l'INPS. Con la circolare n. 170 del 12 novembre 2021 l’INPS ha fissato nella dichiarazione UNIEMENS di competenza di febbraio 2022 l’utilizzo esclusivo del nuovo codice. Nei mesi successivi, l’utilizzo del codice unico verrà esteso alle comunicazioni obbligatorie delle imprese al Ministero del Lavoro con riferimento al CCNL applicato al lavoratore. “Inizia in tal modo a prendere forma e sostanza la cosiddetta Anagrafe Unica Nazionale dei contratti collettivi di lavoro, che a regime consentirà a tutte le pubbliche amministrazioni e agli utenti a qualsiasi titolo interessati all’indagine dei contenuti contrattuali di abbinare, in modo univoco, a ciascun codice identificativo un preciso testo contrattuale, depositato e classificato presso un unico repository pubblico, gestito in collaborazione con le parti sociali, per facilitare la conoscenza di tutti gli elementi rilevanti in termini di pubblico interesse che costituiscono la disciplina contenuta negli accordi collettivi sottoscritti.” (XXIII Rapporto CNEL, cit., pag. 381):

[6] Dal totale complessivo dei quasi 1.000 CCNL censiti, vengono sottratti (oltre, come già ricordato, agli accordi del settore pubblico e agli accordi economici collettivi relativi ad alcune categorie del lavoro autonomo e parasubordinato) anche i CCNL dell’agricoltura e del lavoro domestico, in quanto settori non coperti dal canale informativo UNIEMENS.

[7] XXIII Rapporto CNEL mercato del lavoro e contrattazione collettiva, cit., pag. 384.

[8] XXIII Rapporto CNEL mercato del lavoro e contrattazione collettiva, cit., pag. 388.

[9] Ibidem. I dati della tabella sono aggiornati alla scadenza del 30 settembre di ogni anno, a partire dal 2012, per allinearli alla data di chiusura del Rapporto. Si tenga presente che nel numero di CCNL considerati sono ricomprese tutte le tipologie di accordi presenti in Archivio, inclusi gli accordi nazionali del settore pubblico e gli accordi economici collettivi relativi ad alcune categorie del lavoro autonomo e parasubordinato.

[10] Relazione del gruppo di lavoro sugli interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia, Roma, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2022, pag. 22: “Uno strumento chiave per evitare situazioni di salari bassi o molto bassi, è quello di minimi salariali validi per tutti i lavoratori dipendenti. Come noto, in Italia questa funzione è svolta dai contratti collettivi che, sulla carta, coprono tutti i lavoratori dipendenti (anche se, nelle imprese che non applicano un CCNL, questo avviene solo ex post ad opera del giudice o della vigilanza ispettiva e in misura del tutto eventuale). In pratica, però, la capacità del sistema di contrattazione collettiva di proteggere i più deboli è intaccata dalla larga e crescente diffusione di ‘contratti pirata’ che mirano esplicitamente a fissare minimi salariali inferiori a quelli previsti dai principali contratti collettivi”.

[11] XXIII Rapporto CNEL mercato del lavoro e contrattazione collettiva, cit., pag. 383.

[*] Già dipendente del Ministero del Lavoro, attualmente presta servizio presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro occupandosi di mercato del lavoro e relazioni industriali. In passato ha collaborato alla realizzazione, per la UIL Pubblica Amministrazione, della collana di volumi su “Lavoro e contratti nel pubblico impiego”. Dal 1996 al 2009 è stato responsabile del periodico di informazione e cultura sindacale “Il Corriere del Lavoro”. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

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