Anno X - N° 50

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Marzo/Aprile 2022

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Anno X - N° 50

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Lavoro agile nel settore pubblico, le prospettive


di Matteo Ariano [*]

Matteo Ariano 46

Uno degli elementi di maggiore innovazione del CCNL delle Funzioni Centrali riguarda la disciplina del lavoro agile.

Nato come strumento di conciliazione vita-lavoro esso assume, nel nuovo CCNL la veste di leva organizzativa capace di coniugare l’efficienza del servizio con una maggiore flessibilità, per andare incontro alle esigenze personali di lavoratrici e lavoratori.

Bisogna, peraltro, essere onesti e ammettere che se non ci fossero stati due anni di pandemia mondiale, il lavoro agile sarebbe diventato con ogni probabilità quello che il telelavoro è stato per molto tempo: uno strumento scarsamente utilizzato nel pubblico, con picchi di utilizzo nelle Amministrazioni che più avevano investito nella propria informatizzazione. Difatti, fino a marzo del 2020 la stragrande maggioranza delle Pubbliche Amministrazioni delle Funzioni Centrali aveva dimostrato tutta la sua diffidenza verso questa nuova e diversa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ponendo i più svariati limiti e paletti (si pensi alla possibilità di concedere il lavoro agile al massimo per un giorno a settimana, solo a determinate categorie di lavoratori, solo entro una certa percentuale di personale e solo per determinate attività). In pratica, il lavoro agile sembrava più una generosa concessione del sovrano/datore di lavoro pubblico, che uno strumento per migliorare l’attività lavorativa.

Dietro a questa malcelata diffidenza verso tale strumento di lavoro si nascondeva forse un pregiudizio culturale che probabilmente affligge parte della dirigenza della PA: “l’ossessione del controllo”. In parole povere: non importa cosa il lavoratore stesse facendo mentre era davanti alla postazione di lavoro in ufficio, quel che conta è che vi fosse davanti, così che da poterlo sempre ipoteticamente controllare. Quest’impostazione rivelava la persistenza di un paradigma difficile da scalzare: il ragionare per meri adempimenti e non per obiettivi.

L’avvento della pandemia mondiale ha costretto la Pubblica Amministrazione a misurarsi obbligatoriamente con lo svolgimento delle attività lavorative da remoto, mettendo a nudo sia le fragilità culturali appena evidenziate, sia quelle informatiche (buona parte delle Amministrazioni non aveva investito su reti e infrastrutture adeguate). In questi due anni, nonostante periodicamente sia riaffiorato il pregiudizio verso i dipendenti pubblici fannulloni (da “furbetti del cartellino” trasformati in “furbetti del divano”), il lavoro agile ha comunque imposto la sua presenza.

In questo contesto, radicalmente mutato, il CCNL delle Funzioni Centrali disciplina il lavoro a distanza, introducendo anzitutto una distinzione: da un lato il lavoro agile propriamente detto, dall’altro il lavoro da remoto.

Anzitutto, il lavoro agile stricto sensu, come già scritto, cessa di essere mero strumento eccezionale per diventare ordinario strumento di organizzazione del lavoro. In tal senso, il CCNL non fa riferimento ad attività lavorabili o non lavorabili da remoto, prevedendo che il lavoro agile possa riguardare anche solo fasi di attività; similmente, non si fa cenno a percentuali o categorie di personale da porre in lavoro agile ovvero a un numero massimo di giornate da poter riconoscere in tale modalità.

Si supera, in questa modalità di lavoro, lo storico paradigma del sinallagma tra prestazione del dipendente pubblico e del datore di lavoro: la messa a disposizione del proprio tempo per lo svolgimento di alcune attività in cambio di una retribuzione. Nella nuova prospettiva resta ferma, naturalmente, la natura subordinata del rapporto di lavoro in quanto il dipendente pubblico continua a ricevere direttive e indicazioni dal proprio datore di lavoro ma, al tempo stesso, gli si riconosce la capacità di auto organizzare il proprio tempo e di saper realizzare in autonomia gli obiettivi che il datore gli ha affidato, nelle scadenze previste. In sostanza, il lavoratore può decidere di iniziare a lavorare quando vuole e impiegare il tempo che vuole o che può per lo svolgimento delle attività richieste.

In questa nuova dimensione, quindi, ciò che viene ancor più in rilievo è il rapporto fiduciario su cui si fonda la prestazione lavorativa: proprio in quanto il datore non ha possibilità di controllare direttamente dove si trovi e cosa faccia il lavoratore, egli “deve” fidarsi potendo però monitorare costantemente che le sue direttive siano eseguite e che l’attività sia svolta nei tempi previsti. Da qui la distinzione contrattuale tra due fasce: la fascia di contattabilità e quella di inoperabilità. Nella prima, il lavoratore è contattabile per e-mail, telefono o in altro modo, mentre nella seconda il lavoratore non svolge alcuna prestazione ed esercita il proprio diritto alla disconnessione. Inoltre, al fine di evitare che il lavoro agile si trasformi in strumento di compressione dei diritti, anche nella prima fascia può esercitare il diritto alla disconnessione, ad es. nel momento in cui fruisce di un permesso personale ovvero per partecipare a un’assemblea sindacale (magari svolta in modalità telematica).

Ancora, per evitare che dall’applicazione del lavoro agile si determini una perdita di trattamento economico per il lavoratore, il CCNL precisa che il lavoratore agile conserva i medesimi diritti e gli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro in presenza, ivi incluso il diritto ad un trattamento economico non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’Amministrazione. Con questa precisazione ci si augura che si possa definitivamente superare il mancato riconoscimento del buono pasto al personale in lavoro agile, avvenuto in moltissime Amministrazioni. L’unica eccezione che si pone a questo divieto di discriminazione nei confronti dei lavoratori agili è rappresentata dal mancato riconoscimento del lavoro straordinario; si tratta, peraltro, di eccezione comprensibile, considerando che è la logica conseguenza della possibilità, per il lavoratore, di scegliere quando collocare la propria prestazione lavorativa.


La seconda tipologia di lavoro a distanza disciplinata dal CCNL è il lavoro da remoto, che comprende il telelavoro domiciliare, il coworking o il lavoro decentrato da centri satellite. In questo secondo caso, a differenza del lavoro agile vero e proprio, si resta saldamente ancorati allo scambio di prestazioni che già conosciamo: il lavoratore mette a disposizione una parte del proprio tempo in favore del datore di lavoro in una precisa fascia oraria. In tal caso, quindi, non solo permane ben delineato il vincolo temporale, ma anche quello spaziale, in quanto il lavoratore deve svolgere la propria prestazione in un luogo predeterminato, sebbene diverso dal proprio ufficio. Quest’ultimo aspetto potrebbe assumere particolare rilievo se le Amministrazioni avranno la capacità di far squadra tra loro. In tal senso, si potrebbero ad esempio ipotizzare convenzioni tra più Amministrazioni per individuare un centro satellite nel quale far convergere parte dei propri lavoratori al fine di ridurre i tempi del pendolarismo (con possibili benefici economici ed ambientali), ma anche per migliorare l’efficienza dei servizi (in quanto lavoratori di diverse Amministrazioni, magari di servizi connessi tra loro, lavorerebbero “gomito a gomito”) e la professionalità degli stessi lavoratori interessati.


Questa, in pochissime battute, la disciplina del lavoro agile che verrà, al netto di come sarà ulteriormente sviscerata dalla contrattazione integrativa di Amministrazione. Che si tratti di una disciplina innovativa è dimostrato dal fatto che il CCNL delle Funzioni Centrali italiano è il primo esempio di contrattazione collettiva nazionale, nel panorama europeo, a disciplinare il lavoro agile nel pubblico impiego. Naturalmente, le norme – legislative o contrattuali – non vivono di vita propria ma sono parte di un processo applicativo e interpretativo che potrà dirci se avrà vinto il misoneismo che caratterizza in modo profondo il nostro Paese o se si sarà stati in grado di affermare un cambiamento radicale nel mondo del lavoro pubblico. Ciò che occorre constatare è che, nel mondo privato, il lavoro agile è una realtà affermata e consolidata da tempo, così come non è fantascienza ipotizzare spazi di coworking ovvero centri satellite nel pubblico impiego, se consideriamo che il coworking è molto aumentato sempre nel privato. Molto probabilmente, la resistenza al cambiamento deriva da più fattori: ad esempio dalla necessaria messa in discussione di consolidate (rectius anacronistiche) modalità di lavoro e di organizzazione del lavoro.

Naturalmente, non è tutto oro quel che luccica e non si deve affatto sottovalutare “il lato oscuro del lavoro agile”, che è rappresentato da una serie di rischi di rilievo: il rischio dell’isolamento dal posto di lavoro e dai colleghi; il rischio di un sovraccarico di lavoro, di un’iperproduttività e di una iperconnessione; last but not least, i rischi muscolo-scheletrici derivanti dall’essere troppo fissi dinanzi alla postazione di lavoro. Occorrerà un bilanciamento tra presenza in ufficio e lavoro da remoto che si ritiene debba essere affidato alle scelte della contrattazione integrativa delle singole Amministrazioni ma, certamente, nella realtà lavorativa moderna – in cui il lavoro pubblico deve fare i conti con un mercato del lavoro dai confini ormai mondiali e non più meramente nazionali – il lavoro agile può diventare una delle leve attrattive per le giovani generazioni che intendono lavorare per lo Stato. Quadrato Rosso

[*] Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona (Onlus)

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