Anno X - N° 50

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Marzo/Aprile 2022

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Anno X - N° 50

Marzo/Aprile 2022

Il dibattito sulla previdenza

Quale futuro
per le pensioni ai giovani


di Ezio Cigna [*]

Ezio Cigna 50

Da sempre il tema delle pensioni è al centro dell’attenzione e del dibattito pubblico, in particolare nell’ultimo decennio a seguito della Legge Fornero, che appositamente non chiamerò mai riforma, visto che si è trattato di un provvedimento normativo servito principalmente a fare cassa, ben 80 miliardi dal 2012, che ha modificato strutturalmente l’impianto del nostro sistema previdenziale. La discussione attorno alla riforma del sistema pensionistico si è di fatto consumata su una linea di confine, tutta politica, senza mai ripensare al sistema alla luce del nuovo contesto sociale, economico e demografico, per dare finalmente certezza alle persone.

Anche l’attuale Governo, dopo pressioni sindacali, ha deciso di inserire nell’agenda politica il capitolo “Pensioni”. Il sindacato da tempo ha chiesto un ripensamento complessivo del sistema previdenziale tenendo assieme le ragioni della sostenibilità economica e sociale, assumendo come centrali i profili della flessibilità, dell’equità e della solidarietà. Ha elaborato una piattaforma unitaria (dal 2015), che prova a superare l’attuale impianto, partendo dall’introduzione di una flessibilità a partire dai 62 anni di età o con 41anni di contributi e che faccia leva sul fatto che non possono esistere regole uguali per lavori diversi, che è necessario valorizzare il lavoro di cura e delle donne, tutelando coloro che il lavoro lo hanno perso, rilanciando la previdenza complementare e in ultimo, ma non per importanza, l’introduzione di una pensione di garanzia per i giovani. Il sindacato ha chiesto che sia proprio la pensione di garanzia il punto di partenza del confronto. Una scelta opposta a quella della politica, che si rende ben conto che non si guadagnano voti con un provvedimento di questo tipo, che vede distanti i giovani, seppur sfiduciati dal proprio futuro previdenziale, ma sempre più attenti all’ “oggi” piuttosto che al “domani”.

Non vi è dubbio che in qualsiasi sistema previdenziale (ancora di più nel sistema contributivo) ciò che serve è il lavoro, possibilmente di qualità e non a tempo determinato.

Il mercato del lavoro è profondamente cambiato negli ultimi 20 anni, la crisi del 2007 e l’emergenza sanitaria sono solo i due fari accessi su un mercato che ha regole diverse, tante forme contrattuali nuove spesso caratterizzato da basse retribuzioni. La discontinuità nel lavoro è una condizione trasversale per tutte le generazioni, in particolare per i giovani e per le donne. La riforma Dini ha introdotto dal 01.01.1996 il sistema contributivo, basato su regole strettamente attuariali, determinando di fatto un equilibrio fra anni di lavoro e livello della prestazione. Sistema che prevede uno stretto legame all’attesa di vita, attraverso i coefficienti di trasformazione, che trasformano il montante contributivo versato in assegno mensile di pensione (utilizzando l’attesa di vita media, attualmente 82 anni).

Lo schema di quella riforma, molto discussa nel nostro paese, ha portato ad un referendum nei luoghi di lavoro, con una forte responsabilità delle lavoratrici, dei lavoratori e del sindacato, che fecero prevalere, seppur con sofferenza, le ragioni della sostenibilità economica del sistema. Questo il motivo per cui è stata scelta questa strada.

Impianto, quello contributivo, che possiamo dire profondamente cambiato e compromesso dalla Legge Fornero (legge n. 214/11), invocata come necessaria per garantire un futuro ai giovani e che, proprio a loro, ha riservato un futuro previdenziale irraggiungibile e poco equo. Infatti, viene introdotta una flessibilità in uscita anticipata a 64 anni di età con almeno 20 anni di contributi, ma con un importo soglia da raggiungere pari al 2,8 volte l’assegno sociale (nel 2022 pari a 1.310 euro). L’altra uscita a 67 anni di età, con almeno 20 anni di contributi e il perfezionamento, anche qui, di un importo di pensione di almeno 1,5 volte l’assegno sociale (nel 2022 pari a 710 euro). In alternativa, a 71 anni di età con almeno 5 anni di contributi, senza alcun importo di pensione da raggiungere. Continuerà, ovviamente, ad esistere la pensione anticipata (che ha sostituito la pensione di anzianità), con 42 anni e 10 mesi di contribuzione (un anno in meno per le donne).

Considerando che i requisiti sopra riportati, sono quelli attuali, ed essendo strettamente legati all’adeguamento dell’attesa di vita, possiamo ipotizzare quali requisiti di accesso pensionistico potremo avere, per tutte le coorti che hanno versamenti successivi al 1995 e che si pensioneranno, presumibilmente, a decorrere dal 2035.

 
Requisiti pensionistici – sistema contributivo – a partire dal 2035
 
  Età    Contributi    Importo soglia    Importo soglia 2022 
66 anni 20 anni 2,8 AS € 1.310
69 anni 20 anni 1,5 AS € 710
73 anni 5 anni Nessuno Nessuno
 
Indipendentemente da età e importo, si potrà ottenere la “pensione anticipata”
in presenza di 44 o 45 anni di contribuzione (rispettivamente se donna o uomo)
 

Non bisogna essere dei profondi conoscitori della materia per comprendere che con la Legge Fornero, quella flessibilità invocata a partire – attualmente – da 64 anni è apparente, visto che presenta un requisito di importo da maturare troppo elevato (1.310 euro nel 2022) che permetterà solo a pochi di poterlo raggiungere, dall’altra vi è il rischio concreto, che coloro che potranno raggiungerlo e decidere, quindi, se accedere o meno al pensionamento anticipato, siano coloro che già nel mercato del lavoro hanno avuto una buona carriera lavorativa. Proprio in considerazione di quest’ultimo aspetto, potrebbe allora determinarsi il paradosso che un lavoratore – magari anche gravoso – con il doppio degli anni di contributi di un altro coetaneo, ma, con una retribuzione di poco superiore a 1.000 euro, vada in pensione più tardi, facendo probabilmente della solidarietà “al rovescio” nel sistema.

Infatti, potremo trovarci di fronte a due lavoratori, entrambi di 64 anni, lui un quadro, con soli 20 anni di contribuzione, ma con una retribuzione mensile di 4.000 euro. Con gli attuali requisiti potrà accedere al pensionamento subito perché ha perfezionato una pensione di 1.320 euro (superiore al 2,8 volte l’assegno sociale), l’altra, una lavoratrice part-time che fa le pulizie, che di anni di lavoro ne ha 40 e che avendo una retribuzione di 650 euro al mese, avrà raggiunto a 64 anni una pensione pari a 360 euro e quindi inferiore a 1.310 euro - 2,8 volte l’assegno sociale. Se la stessa non dovesse proseguire il lavoro, non potrà nemmeno collocarsi in quiescenza a 67 anni di età, perché non raggiungerebbe l’1,5 volte l’assegno sociale. Sarebbe, quindi, costretta a pensionarsi a 71 anni con un importo di pensione di 430 euro (i contributi sono rimasti invariati ma è cresciuto il coefficiente di trasformazione).

In questo caso sono due gli elementi di criticità che andrebbero affrontati: il primo, che si consentirebbe a persone che hanno meno contribuzione, ma retribuzioni elevate, di accedere al pensionamento prima, ed il secondo, che un lavoratore gravoso (le pulizie è già considerata attività gravosa), andando in pensione più tardi, ma, utilizzando un coefficiente di trasformazione identico per tutti, avendo un’attesa di vita inferiore alla media almeno di tre anni, non riuscirà (in termini assoluti) a “recuperare” l’intero montante contributivo accumulato. Infatti, con un’attesa di vita più bassa, non raggiungerà gli attuali 82 anni (attesa di vita media), su cui sono calcolati i coefficienti di trasformazione, lasciando, quindi, parte della contribuzione accantonata, in favore di quei soggetti, con un’attesa di vita superiore alla media.

Quindi, un elemento su cui porre molta attenzione è anche il coefficiente di trasformazione, che rischia, proprio perché identico per tutti, di non valorizzare quelle situazioni di fragilità, legate al lavoro che si svolge o alle condizioni di salute, ed in ogni caso a quei fattori che determinano un’attesa di vita più bassa della media. Di sotto sono riportati i coefficienti di trasformazione, con attuale revisione biennale.

 
Coefficienti di trasformazione dal 1996 al 2022
 
  Età  del lavoratore alla decorrenza (anni) Anni di decorrenza della pensione
  1996-2009   2010-2012   2013-2015   2016-2018   2019-2020   2021-2022
57 4,720% 4,419% 4,304% 4,246% 4,200% 4,186%
58 4,860% 4,538% 4,416% 4,354% 4,304% 4,289%
59 5,006% 4,664% 4,535% 4,447% 4,414% 4,399%
60 5,163% 4,798% 4,661% 4,589% 4,532% 4,515%
61 5,330% 4.940% 4,796% 4,719% 4,657% 4,639%
62 5,514% 5,093% 4,940% 4,856% 4,790% 4,770%
63 5,706% 5,297% 5,094% 5,002% 4,932% 4,910%
64 5,911% 5,432% 5,259% 5,159% 5,083% 5,060%
65 6,136% 5,620% 5,435% 5,326% 5,245% 5,220%
66 6,136% 5,620% 5,624% 5,506% 5,419% 5,391%
67 6,136% 5,620% 5,826% 5,700% 5,604% 5,575%
68 6,136% 5,620% 6,046% 5,910% 5,804% 5,772%
69 6,136% 5,620% 6,283% 6,135% 6,021% 5,985%
70 6,136% 5,620% 6,541% 6,378% 6,257% 6,215%
71 6,136% 5,620% 6,541% 6,378% 6,513% 6,466%


Un altro focus su cui è decisamente importante porre un’attenzione particolare, se parliamo di giovani, è quello relativo all’adeguatezza delle future prestazioni e della condivisione di una serie di rischi fra i diversi attori sociali, vista la frammentarietà delle carriere, il basso livello retributivo, i rischi di disoccupazione e una differenza delle aliquote di contribuzione.

Se è chiaro il funzionamento attuariale del sistema e del suo fondato equilibrio in termini economici, è altrettanto chiara l’assenza di uno strumento che garantisca pensioni adeguate e consenta una redistribuzione esplicita e solidaristica, in un sistema, come quello contributivo, dove non esiste nemmeno l’istituto dell’integrazione al trattamento minimo (524,35 euro nel 2022).

È necessario, quindi, introdurre strumenti, per consentire una riduzione dei rischi, in favore dei lavoratori più fragili. Diverse le proposte possibili, come quella di ipotizzare aliquote figurative di computo o tassi di rendimento sui contributi versati più favorevoli per i lavoratori precari, atipici e a basso reddito. Altre proposte prevedono l’introduzione di una quota di pensione aggiuntiva finanziata dalla fiscalità generale e di importo slegato dall’entità complessiva dei contributi e strutturata con una formula di tipo progressivo, dalla sola anzianità lavorativa. Rimane ancora presente, seppur poco sostenuta, tra le proposte avanzate, quella dell’estensione dell’integrazione al trattamento minimo, come per i soggetti destinatari del sistema retributivo (sicuramente disincentivante, considerando che garantisce un importo uguale per tutti a prescindere dall’importo di pensione maturato o dagli anni di attività – in Italia attualmente vi sono poco più di 2 milioni di pensioni integrate al minimo, molte di queste in favore di donne).

Allora, proprio in considerazione della situazione del mercato del lavoro degli ultimi decenni, abbiamo la necessità di introdurre nel sistema alcune modifiche che siano in grado di inserirsi all’interno dell’archiviare contributiva, garantendo una vera tutela ai soggetti più fragili, con misure adeguate.

Con quelle “ex ante” vi sarebbe il rischio concreto di destinare risorse in favore di soggetti che in futuro potrebbero avere carriere lavorative in evoluzione e quindi potrebbero non trovarsi più nella necessità di avere bisogno di un’integrazione di garanzia, perché autonomamente in grado di raggiungere un assegno pensionistico dignitoso.

Un’altra ipotesi, anche questa poco condivisibile, è quella di istituire una pensione universale, uno zoccolo uguale per tutti, sulla quale i lavoratori costruiscano la loro pensione in aggiunta di quella che sarebbe garantita a tutti. Sarebbe nuovamente un errore. A mio avviso, sarebbe un errore perché si utilizzerebbero risorse della fiscalità generale per distribuirle fra tutti i pensionati, senza alcuna distinzione e quindi nessun vantaggio per i più deboli, a meno che si voglia ipotizzare una pensione universale di importo consistente alla quale aggiungere la propria pensione, fortemente decrescente con il crescere del reddito individuale. Vi sono anche ulteriori proposte che fanno leva sull’assegno sociale, con una modulazione diversa dell’attuale possibilità di cumulo tra pensione contributiva erogata e assegno sociale (attualmente 1/3 dell'importo della pensione contributiva non concorre ai fini dei predetti limiti di reddito). Di altra portata e in linea con la proposta della Cgil, invece, è quella di garantire una pensione contributiva di garanzia, da inserire all’interno delle logiche dell’attuale schema contributivo, nel mix tra anzianità e età di uscita.

Ossia, più cresce la contribuzione e l’età più l’assegno di garanzia cresce. In questo modo, si incentiva il versamento e il posticipo al pensionamento. Alla contribuzione effettivamente versata, sarà necessario sommare quella che chiamiamo “valorizzata” – ovviamente entro certi limiti – di tutti quei periodi di non versamento contributivo, come, la formazione, le politiche attive, stage, tirocini, buchi contributivi, lavoro di cura, potremmo dire tutti quei periodi che si ritiene abbiano la necessità di essere “presi in carico”. Quindi, la somma della contribuzione, legata ad una certa età di uscita, determinerà un importo di pensione, che con il crescere degli anni di età (o dei contributi versati) aumenta. Di fatto questa misura destinerebbe le risorse unicamente a quei soggetti che effettivamente hanno problemi di inadeguatezza della pensione e incentiverebbe a stare nel mercato del lavoro (versando contribuzione), visto che la garanzia cresce con l’aumento della contribuzione o dell’età di ritiro. Questa misura non necessiterebbe un impegno economico nell’immediato e comunque una parte rilevante delle risorse che saranno necessarie, potranno essere ricavate dalla spesa per assegni sociali che dovranno servire per integrare le pensioni contributive di importo basso e le altre misure di natura assistenziale, come la pensione di cittadinanza. Forse allora oggi non mancano le proposte o le idee, ma manca una reale volontà politica di affrontare seriamente questo tema. Una soluzione di questo tipo, seppur concepita per il futuro, potrebbe già garantire nel presente un trattamento pensionistico dignitoso ai “giovani” che attualmente si ammalano, che nonostante il riconoscimento dell’inabilità assoluta al lavoro – con le relative maggiorazioni contributive – ricevono pensioni di inabilità molto basse.

È necessario rafforzare il patto intergenerazionale, soprattutto in un sistema previdenziale a ripartizione come il nostro, dove i contributi dei lavoratori attivi servono a pagare le pensioni di chi si trova già in pensione. Se questa sfida non verrà colta, si potrebbe determinare una crisi profonda dell’attuale sistema, visto che proprio i giovani saranno disincentivati a rimanere nel mercato del lavoro e a versare i contributi, se non avranno in cambio certezze sulla loro futura pensione. In questi mesi è ripreso il confronto fra il Governo Draghi e Cgil, Cisl, Uil, sulle questioni previdenziali, che però ha subito anch’esso i contraccolpi dalla drammatica situazione internazionale legata all’Ucraina. Non è quindi al momento prevedibile se vi siano le condizioni e le volontà politiche per arrivare, finalmente, alla positiva conclusione di un percorso di riforma o, al contrario, come è avvenuto nelle diverse fasi recenti, si ripiegherà su ulteriori interventi parziali o temporanei. Sarebbe un peccato non proseguire quel confronto che era stato avviato a gennaio 2022, con 4 tavoli tecnici su tre temi principalmente: flessibilità in uscita, giovani e previdenza complementare.

Non vi è dubbio che questa discussione che si era aperta a gennaio e conclusa il 15 febbraio 2022, con l’ultimo tavolo tecnico, è rimasta “sospesa” dagli eventi internazionali, che non hanno permesso nemmeno quella verifica politica con il Presidente del Consiglio prima del Def, come era stato concordato preventivamente.

Per il sindacato, nonostante la situazione che si è determinata, il tema delle pensioni e di una riforma del sistema, deve continuare ad essere un punto dell’agenda politica di questo Governo, motivo per cui sosterremo le nostre proposte, anche intensificando la nostra azione, visto che siamo alle porte del nuovo anno e sullo sfondo delle prossime elezioni politiche, che potrebbero essere, ancora una volta, come nel 2018, il “luogo” dove lanciare promesse o misure spot, come spesso abbiamo visto nel passato. Quadrato Rosso

[*] Responsabile politiche previdenziali CGIL Nazionale

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