Anno X - N° 53

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Settembre/Ottobre 2022

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Anno X - N° 53

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Fuga dal lavoro pubblico:
che fare?


di Matteo Ariano [*]

Matteo Ariano 46

In questi mesi si dibatte molto su di un fenomeno apparentemente inatteso per la sua estensione e dimensione – anche per chi scrive, lo confesso – : la fuga dal lavoro pubblico.

Si è partiti lo scorso maggio con le dichiarazioni del Ministro delle Infrastrutture e Trasporti Giovannini, nell’ambito di un’audizione parlamentare nella quale il Ministro evidenziò la grave difficoltà per la sua Amministrazione di riuscire a reperire personale, in particolare nelle sedi del nord Italia. Nei mesi successivi, praticamente nessuno degli Enti che compone il variegato mondo della Pubblica Amministrazione è stato esentato dal massiccio numero di rinunce da parte di vincitori di concorso: tra gli altri, Ministero della Giustizia, Ministero della Transizione Ecologica, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, INL, INAIL. Questo, solo restando nel comparto delle Funzioni Centrali, ma la musica non cambia se, ad esempio, si passa alle Funzioni Locali: ultima vittima illustre del fenomeno, in ordine di tempo, è il Comune di Roma.

Ariano 53 1Quali possono esserne le cause? Di certo, sono molteplici: lo stipendio, che per un funzionario si aggira mediamente attorno 1.500 euro e resta pressoché cristallizzato per un tempo indefinito; l’organizzazione interna, spesso ancora molto farraginosa, scarsamente informatizzata e non in grado di garantire possibilità di crescita professionale; le sedi di destinazione, che comportano costi a volte insostenibili o ai limiti della sostenibilità (pensiamo ai costi degli affitti e dei viaggi, ma anche all’assenza di una rete di welfare pubblico, come asili nido pubblici per le giovani coppie).

La pandemia ha fatto emergere altri due fenomeni, connessi a questo di cui si discute: il lavoro agile e la fuga dal lavoro più in generale. Il lavoro agile, da strumento di tutela della salute dei lavoratori qual è stato in questi anni, potrebbe diventare uno strumento di moderna organizzazione del lavoro pubblico, ma è tuttora guardato in cagnesco da chi è ancorato a schemi di controllo obsoleti. Pertanto, le difficoltà e le resistenze a concederlo rappresentano un serio scoglio ad accettare il posto pubblico. Il fenomeno delle “grandi dimissioni” o “dimissioni di massa”, venuto in rilievo nel periodo post-pandemico, mette in luce la necessità per le persone di tornare a mettere se stesse al centro della propria vita.

Probabilmente la precarietà dell’esistenza umana, rimessa nuovamente e drammaticamente in luce dalla pandemia mondiale, ha fatto sì che sempre più spesso si preferisca rinunciare a una vita di stress e sacrifici, fatti per un periodo indeterminato senza più la certezza di poter costruire alcunché, per concentrarsi sul benessere immediato, sull’hic et nunc. In altri termini e detto in parole povere: per quali ragioni dovrei trasferire il centro della mia esistenza a centinaia di chilometri da casa, spendere quasi tutto il mio stipendio tra affitto e viaggi, senza avere alcuna prospettiva certa sul mio futuro lavorativo? Meglio rimanere nella situazione in cui mi trovo, non abbandonando le poche certezze di cui già dispongo.

Naturalmente, non si tratta di un fenomeno irreversibile, a patto però che si ritenga di investire concretamente sul lavoro pubblico ed essere conseguenti.

Ariano 53 2In tal senso, per esempio, il CCNL delle Funzioni Centrali 2019-21 nel prevedere che ci si debba dotare di un nuovo ordinamento professionale consente di fare un salto di qualità alla Pubblica Amministrazione, spostando l’attenzione «da cosa viene fatto (mansioni e attività) a come vengono svolti i compiti e a quali conoscenze, capacità tecniche e comportamentali – e di quale profondità e ampiezza – siano indispensabili al loro svolgimento ottimale» (così le Linee guida sui fabbisogni professionali pubblicate quest’estate dal Ministero per la Pubblica Amministrazione e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze), in modo da valorizzare realmente le competenze possedute, dando anche prospettive di carriera. In questo stesso senso, si dovrebbe aumentare gli stipendi dei dipendenti pubblici, considerando il valore dei servizi da questi erogati quotidianamente e si dovrebbe anche dare la possibilità alla contrattazione di Ente – adeguatamente finanziata – di poter intervenire per riconoscere benefit ai propri lavoratori. Così, ad esempio, perché non prevedere che chi va a lavorare in certe sedi “disagiate” possa avere un incentivo economico che bilanci – anche solo temporaneamente – alcune spese sostenute, come l’affitto?

Bisognerebbe che la Pubblica Amministrazione smetta definitivamente di avere remore sul lavoro agile o di considerarlo un mero strumento di contenimento dei propri costi, come sembra emergere da alcune proposte di recente avanzate (penso al Comune di Milano che, per risparmiare sul caro bollette, ha ipotizzato di mettere i propri dipendenti in lavoro agile il venerdì, dando per sottinteso che siano loro a doversi sobbarcare i relativi costi). In una nuova prospettiva, anzi, il lavoro agile potrebbe essere strumento per ripopolare piccoli centri in via di spopolamento o disincentivare la storica migrazione dal Sud Italia.

Bisognerebbe… Tutto ciò, presuppone, però, che vi sia la convinzione che il lavoro pubblico serva realmente al Paese e la conseguente volontà politica di farlo. Quadrato Rosso

[*] Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona

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