Un’occasione da non perdere

di Fabrizio Di Lalla [*]

Fabrizio Di Lalla 2La Commissione Lavoro del Senato ha approvato in sede referente il disegno di legge delega sulla riforma del lavoro, attualmente in discussione in aula, comprensivo dell’emendamento governativo sul contratto di lavoro a tutele crescenti e il potenziamento dell’attività di controllo pubblico con la previsione della creazione di un’agenzia unica per le ispezioni del lavoro. Quest’ultimo aspetto rappresenta, dopo un lungo periodo d’indifferenza dei vertici politici succedutisi nel tempo, il primo vero atto di volontà per una radicale inversione di tendenza alla parcellizzazione delle funzioni in materia di lavoro, teso a correggere la manifesta inadeguatezza delle molteplici strutture disseminate sul territorio non in grado di garantire servizi che abbiano un minimo di efficienza. Prestazioni scadenti causate da organizzazioni del lavoro che trovano la loro principale ragion d’essere nella cultura burocratica, strumentazioni inadeguate e, soprattutto, frantumazione dei compiti, avvenuta attraverso un processo durato decenni.


Si cominciò a esaudire appetiti irrazionali con l’attribuzione delle funzioni di vigilanza all’INPS in materia contributiva e la conseguente creazione di appositi accertatori. A seguire, esse furono estese ad altri soggetti pubblici grazie al loro potere contrattuale. Poi, nel 1978, si continuò con il trasferimento di quasi tutte le competenze in materia di sicurezza alle regioni e vent’anni più tardi, con il decentramento del collocamento alle autonomie locali. Di quest’ultimo evento fui testimone diretto in qualità di rappresentate sindacale e in tale veste ebbi un confronto con Elena Montecchi all’epoca sottosegretario con delega all’attuazione del decentramento.


A una mia osservazione sul fatto che non ritenevo né rivoluzionaria né finalizzata al miglioramento dei servizi una riforma che modificava solo le targhe all’ingresso degli uffici, mi sentii rispondere con una sicurezza dogmatica al limite dell’arroganza, che non era proprio il caso di denigrare un progetto che avvicinava finalmente una funzione così importante ai cittadini. Si è visto, poi, com’è andata a finire.


Di Lalla 6 1Una decadenza senza limiti, fino all’irrilevanza, al punto che oggi il collocamento pubblico rappresenta una frazione infinitesimale dell’insieme, fermo restando un mastodontico apparato di uffici che brucia risorse, dove, oltretutto, molti nostri ex colleghi in presenza del nulla quotidiano, soffrono di depressione esistenziale. C’è anche chi dice che questa operazione è servita, come un cavallo di Troia, a sviare l’opinione pubblica dall’unico vero cambiamento, vale a dire l’introduzione massiccia del sistema privato di reclutamento che è diventato il vero strumento per le assunzioni.


Il primo segnale che bisognava tornare sul cammino dell’unità ci fu con il tentativo della Fornero di accorpare Inpdap ed Enpals all’Inps, andato a buon fine, nonostante un'opposizione furibonda tentata da alcune forze politiche e sociali delegate da quanti del sottobosco dei partiti, del sindacato e della burocrazia traggono benefici, piccoli o grandi non importa, dai loro incarichi nei consigli d’amministrazione e negli organismi di controllo. Più enti significano più posti disponibili, altro che spirito istituzionale. Al grido di dolore che si stava attentando al sacro valore della specificità, non si sono preoccupati di cadere nel ridicolo. Strano Paese il nostro, dove si fanno guerre di religione per la difesa di un ente inutile come, ad esempio, l’Enpals dove circa cinquanta addetti dovevano vigilare su un settore, il mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento, che nel corso del tempo ha assunto una dimensione enorme. Avendo, oltretutto, poche strutture sul territorio, molti di questi operatori malcapitati venivano fatti girare da un posto all’altro come in un perenne giro d’Italia, dando loro in cambio qualche piccolo vantaggio economico, di entità, tuttavia, cospicua se paragonato a quanto percepito dagli operatori del Lavoro.


Tornando all’oggi, l’approvazione del Jobs Act apre interessanti prospettive per un ricompattamento delle funzioni in materia di lavoro in un organismo che ci sembra quello più idoneo alla bisogna. Non un antistorico ritorno al passato, ma una riunificazione in una nuova struttura. Noi stessi siamo stati precursori dell’idea, quando, sentendoci traditi da uno spoglio continuo, che veniva contrabbandato come strumento finalizzato al ripristino dell’efficienza, mentre nella realtà era il risultato di uno scontro di potere, pensammo che un organismo dotato di ampia autonomia e non rallentato da una pesante burocrazia fosse lo strumento più idoneo per gestire la complessa materia del controllo sulla corretta applicazione delle norme del welfare.


Di Lalla 6 2Il cammino è ancora lungo e irto di pericoli, che sono già apparsi evidenti nella Commissione Lavoro del Senato sotto forma di emendamenti, per fortuna respinti, che intendevano cancellare questo progetto. Ci proveranno in mille modi per bloccarlo, facilitati, dobbiamo dirlo, dallo stesso proponente, che non ha brillato in chiarezza nella formulazione dell’articolato. Un’ambiguità e una limitatezza dei suoi confini sicuramente consapevoli. La creazione dell’agenzia, infatti, è prevista solo come alternativa allo strumento, ormai abusato, del coordinamento tra enti. Peraltro, qualora si dovesse pervenire all’approvazione definitiva della norma senza modifiche sostanziali e si optasse per la sua creazione, la riunificazione funzionale sarebbe solo parziale. Rimarrebbe fuori, purtroppo, la vigilanza in materia di sicurezza e questo vulnus sarebbe un elemento di non poco conto, non sanabile neanche dal più raffinato dei coordinamenti. Tutti sanno che tale termine, di scarsa utilità sul piano pratico, serve solo a mascherare un’impotenza politica; una foglia di fico, in questo caso, che nasconde il potere d’ostruzione delle regioni.


Manca, infine, tra i compiti previsti per il nuovo organismo, e questo a mio parere è l’aspetto più grave, tutta la parte riguardante le politiche del lavoro; un’omissione questa che esclude uno degli aspetti più rilevanti del welfare. Se fosse questa la conclusione, il nuovo organismo nascerebbe zoppo e le conseguenze sarebbero sicuramente negative perché una funzione è legata all’altra, anzi ne è propedeutica. La cultura da sempre imperante, anche al nostro interno, della netta separazione dei due aspetti essenziali che tanti danni ha provocato in termini di efficienza, sembra una condanna da scontare per l’eternità. Con tali integrazioni, invece, si potrebbe fare veramente quel salto qualitativo verso l’efficienza di cui i cittadini hanno bisogno e che meritano. Quadrato Azzurro

[*] Fabrizio Di Lalla è stato per lungo tempo rappresentante sindacale nel Ministero del lavoro e opinionista apprezzato del periodico Il Corriere del Lavoro. Come direttore dell’Ufficio Studi della Pubblica Amministrazione della Uil ha ideato una collana di libri di notevole successo, tra cui “Il rapporto di lavoro degli statali”. Da tempo si dedica agli studi storici sul colonialismo italiano con la pubblicazione di diversi saggi, l’ultimo dei quali, “Le italiane in Africa Orientale”, è apparso di recente nelle librerie.


© 2013-2022 - Fondazione Prof. Massimo D'Antona