Anno XII - n° 61

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Gennaio/Febbraio 2024

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Anno XII - n° 61

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Effemeridi • Pillole di satira e costume

Prima credevo


di Fadila

Credevo che rappresentasse il successo al femminile, il simbolo della raggiunta parità uomo donna. Un’affermazione ottenuta senza padri o padrini, un traguardo raggiunto con le sue sole forze, volontà e intelligenza. Ad allargare alle donne il significato del motto self made man avevano contribuito lei e tante altre come lei. Un percorso difficile e faticoso che era partito da lontano in un Paese, il nostro, in ritardo rispetto ad altre società del mondo occidentale. Insieme, poi, ai requisiti della sua personalità mi affascinava l’immagine dotata di una raffinata e rara bellezza che si trasformava in grazia e fascino. Armonia fisica e personalità avevano formato una miscela esplosiva.

Credevo, altresì, che i milioni di seguaci, o come si dice oggi follower, fossero meritati come i suoi incredibili guadagni, accumulati nel giro di un tempo tanto breve. Una cifra da capogiro di cui una persona normale come noi forse riesce a guadagnare a malapena un centesimo nell’arco dell’intera esistenza.

Ritenevo, infine, che le sue dichiarazioni a favore delle battaglie per i diritti civili fossero autentiche; che il suo continuo prodigarsi a favore dei meno agiati e d'istituzioni benemerite con una costante azione di beneficenza legata alla vendita dei prodotti che pubblicizzava, fosse la manifestazione di un agire che meritava rispetto e ammirazione. Non è da tutti, pensavo, rinunciare a una parte cospicua degli introiti per indirizzarla verso scopi altamente sociali.

Poi è scoppiato lo scandalo. Inizialmente ho pensato che si trattasse del solito tentativo senza una solida base di riscontro, posto in essere al fine di delegittimare, magari per invidia, una persona di alto profilo, una moda al giorno d’oggi non proprio rara. Ma quando l’ho osservata in un video con addosso un indumento simile a un saio da penitente e un viso truccato abilmente per nascondere la sua prorompente bellezza, mentre ammetteva di aver sbagliato, mi sono cadute le braccia e dentro di me si è infranta l’immagine di un mito che, purtroppo, dietro una splendida apparenza era fatto di stracci e cartapesta. 

Col passare del tempo la situazione sembra ancora più grave di quanto era apparsa all’inizio perché la beneficenza, promessa e non effettuata se non in piccole dosi, sembra essere stata un mezzo costante per maggiori guadagni. Le conseguenze di tale comportamento, oltre gli aspetti specifici della vicenda, riguardano soprattutto il pericolo che la gente di fronte a queste frodi si astenga dal partecipare a una funzione tanto importante che concorre a supportare l’attività pubblica in favore delle fasce più deboli del tessuto sociale. Un anno fa era la più splendente tra le stelle del festival di Sanremo, ammirata da milioni di telespettatori, ora è caduta nella polvere. Com’è aleatorio il successo basato sulle menzogne e attuale il motto sic transit gloria mundi. Il mio augurio è che la giovane imprenditrice tragga da tale vicenda l’insegnamento che il denaro deve essere considerato un mezzo necessario per vivere e migliorare la propria posizione ma non il fine della propria esistenza.

Ai falsi miti odierni mi sembra giusto contrapporne uno vero che il tempo non ha cancellato e non cancellerà facilmente. Mi riferisco a Gigi Riva, l’eroe della nostra gioventù, l’uomo dalla struttura possente che non temeva rivali neanche sotto l’aspetto fisico, ponendo fine a un lungo periodo in cui gli italiani, come diceva Gianni Brera, erano ancora degli abatini, esseri con una struttura corporea mingherlina, retaggio di secoli di fame e privazioni.

In una partita di calcio, affermava, era inutile contrastare l’avversario, magari i tedeschi o gli inglesi, sul piano della fisicità perché si andava incontro a una sconfitta certa. Bisognava difendersi e affidarsi al contropiede, contrastando la forza con l’intelligenza tattica e una buona dose di furbizia, una dote quest’ultima, nel bene e nel male, prettamente italica. Poi era arrivato lui, espressione di un popolo che stava diventando benestante e ben nutrito. Al suo fianco aveva ancora tanti abatini come Rivera e Mazzola che supplivano, tuttavia, la potenza con la fantasia. E si era rivelato un vero campione, inarrivabile non solo nel gioco del calcio ma anche nei vari aspetti della vita: l’etica, la socialità, l’amore, la riconoscenza. Una conferma di quel che scrivo è stata il netto rifiuto al richiamo milionario delle sirene dei grandi club del nord. Gli sarebbe parso un tradimento verso la Sardegna che considerava la sua terra d’adozione. Questa manifestazione d’amore è la dimostrazione che per lui, diversamente, purtroppo, dal pensare e agire odierno di tanti, forse di troppi, i soldi erano solo un mezzo per realizzare la sua vita a misura d’uomo. Quadrato Rosso

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