Effemeridi • Pillole di satira e costume, per distrarsi un poco
Nei giri che faccio da diversi anni per visitare i borghi della mia terra natale mi è capitato di leggere all’ingresso di uno di essi un cartello in cui si avvertivano gli automobilisti a procedere con cautela perché in quel luogo i bambini facevano ancora i giochi di strada. Una sorpresa gradita perché li ritengo la base della vita associativa e l’inizio dell’apprendimento delle sue regole. Così andando indietro nel tempo mi sono tornati alla memoria quei momenti bellissimi e di alta educazione dello stare insieme, ancora più della scuola perché essa era un obbligo cui sottostare e non una libera scelta. Erano tanti e interessanti e vorrei descriverli tutti, ma dato lo spazio ristretto del mio scritto ne citerò solo, quello tra i più divertenti e creativi.
Nel primo pomeriggio come a un richiamo prestabilito cominciavamo ad affacciarci sugli usci delle nostre case e piano piano il gruppo prima sparuto s'ingrossava, formato da una frotta di ragazzi, con un'età che oscillava dai sei ai quattordici anni. Quando tutti erano presenti, il più delle volte si formavano spontaneamente dei sottogruppi che avevano l'amalgama principale nell'età. Alcuni, tuttavia, quelli mediani, si spostavano da uno all'altro, secondo la convenienza del momento.
Uno dei più belli era il Giro d'Italia, imitazione di quello ciclistico reale molto seguito nel dopoguerra che vedeva la partecipazione dei nostri campioni, Coppi, Bartali, Magni, imbattibili in ogni competizione europea.
Con il gesso disegnavamo sul marciapiede il tracciato simulando le regole del gioco dell’oca, ma a volte lo facevamo anche sull'asfalto della strada, poiché il traffico era inesistente. Durante il giorno erano pressoché assenti anche gli animali da soma, soprattutto muli e asini, che solo al tramonto, a testa bassa e a passo lento rientravano dal duro lavoro della campagna, stanchi come i loro padroni. A volte, forse per lamentarsi della loro sorte, cominciavano un concerto di ragli che continuava anche nelle stalle, finché poi lentamente si attenuava fino a scomparire. Il percorso, abbastanza lungo, era segmentato in più punti per riprodurre le tappe, di cui alcune, come quelle di montagna, venivano modulate con una serie di strette serpentine a guisa di tornanti; iniziava e terminava con due rettilinei così come veniva organizzato nella realtà un vero giro.
Non c'era limitazione di concorrenti e le nostre biciclette erano rappresentate dai tappi di birra, gli unici esistenti in quei tempi. Poiché era merce preziosa, ce la tenevamo cara; li ribattevamo a uno a uno con meticolosità cercando di restituire loro la forma originaria per meglio gestirli e li rendevamo lucidi al punto che al sole brillavano intensamente come fonti di luce propria. Durante la gara erano mossi da colpi ricevuti dalla divaricazione del dito medio e del pollice con la pressione adeguata al grado di difficoltà da superare.
Lungo l’itinerario mettevamo penali che determinavano il salto di una tornata a seconda se il tappo andava a finire fuori dal percorso o entrava in un quadratino particolare e premi che consistevano in un ulteriore tiro o in uno spostamento automatico in avanti. Nei primi tempi la vincita comportava solo l'orgoglio per la bravura dimostrata su tutti, poi quando cominciarono a diffondersi tra noi i giornalini, il primo al traguardo aveva il suo mucchio di fumetti che ciascun concorrente doveva consegnare prima dell’inizio.
I più grandi fra noi amavano giocare a pallone. Il luogo era la parte centrale di Piazza del Municipio, dove non c’era un filo d’erba ma solo polvere e brecciolino. Il pallone, poi, non aveva nulla di simile a quello di cuoio regolamentare, ma era costituito da un ammasso di stracci cui veniva data una forma rotonda, cuciti dalla mano abile di qualche mamma. Si formavano due squadre di pari unità e la partita si concludeva quando lo sfinimento dei protagonisti era arrivato al massimo. Al termine c’era sempre più di qualcuno con le sbucciature e ferite sulle gambe, causate da quel disastroso terreno di gioco.
Oggi i bambini e gli adolescenti non li praticano, chiusi nella solitudine materiale che rappresenta un pericolo per se stessi e per la comunità. Senza il desiderio della socialità, senza l’abitudine alle sue regole, è la democrazia, alla lunga a essere in pericolo, per l’isolamento dei più, facile preda di uomini forti o gruppi di potere.
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