È stato recentemente presentato a Montecitorio dal Presidente Gabriele Fava, alla presenza di importanti figure istituzionali, il XXIV Rapporto annuale dell’INPS. Il Rapporto Annuale – leggiamo – insieme ai suoi allegati (l’Appendice statistica e l’Allegato Visitinps), arricchisce il panorama degli strumenti di conoscenza delle politiche sociali e di come tali misure rispondano a una domanda di protezione sociale in costante evoluzione. Ciò è reso possibile grazie all’accesso ad un patrimonio informativo che permette di analizzare i fenomeni sociali con un livello di dettaglio e di profondità pressoché senza pari nel contesto nazionale.
Fra i diversi temi trattati, il Rapporto ci offre uno spaccato dettagliato e cruciale sull’evoluzione del lavoro dipendente in Italia nel quinquennio 2019-2024. Un periodo denso di sfide e trasformazioni, che ha visto il mercato del lavoro reagire agli impatti della pandemia e intraprendere un percorso di ripresa. L’analisi approfondita dei dati evidenzia un quadro complesso, caratterizzato da un incremento complessivo degli occupati, ma anche da dinamiche settoriali e qualitative che meritano un’attenta riflessione e, soprattutto, un intervento mirato da parte del legislatore e delle parti sociali.
Un bilancio occupazionale positivo, ma con sfide aperte. Nel periodo esaminato, che ha incluso la fase pandemica e la successiva ripartenza, il numero dei dipendenti privati e pubblici è aumentato di 1,7 milioni di unità, passando da 19,1 milioni a 20,8 milioni. Un incremento significativo, che testimonia la resilienza e la capacità di adattamento del sistema produttivo italiano. Il tasso medio annuo di crescita dell’1,7% conferma una dinamica positiva dei livelli occupazionali, con il 2024 che si allinea a tale media.
Tuttavia, l’analisi delle singole componenti rivela un andamento meno uniforme. L’occupazione femminile, seppur in aumento, ha registrato un incremento molto contenuto, passando dal 44,9% al 45,2% sul totale dei dipendenti. Un dato che sottolinea la persistenza di divari di genere nel mercato del lavoro e la necessità di politiche più incisive per promuovere una maggiore e più equa partecipazione delle donne.
Di contro, si è assistito a un elevato incremento dei lavoratori extracomunitari, con un aumento di 665 mila unità nel periodo, e un tasso medio annuo di crescita pari al +6,9%, ben quattro volte quello complessivo. Questo dato evidenzia il ruolo sempre più centrale della manodopera straniera nel sostenere la crescita occupazionale, in particolare in settori chiave dell’economia italiana.
L’industria manifatturiera: una crescita modesta che interroga. Un punto di particolare attenzione emerge dall’analisi dell’industria manifatturiera. Qui, lo sviluppo occupazionale si è mostrato modesto, con un aumento di 135 mila unità e un tasso medio annuo dello 0,7%. Se da un lato ciò suggerisce una “deindustrializzazione solo relativa” (dovuta alla crescita più marcata del terziario), dall’altro impone un’attenta riflessione. Il cuore pulsante del “Made in Italy” – settori come il tessile, abbigliamento, calzature e mobilio – vede un apporto degli stranieri pari al 24%. La modesta crescita complessiva del manifatturiero, pur in un contesto di aumento generale dell’occupazione, solleva interrogativi sulla capacità del settore di attrarre e mantenere forza lavoro qualificata e sulla necessità di investimenti mirati per il suo rilancio e la sua modernizzazione.
Turismo e terziario: crescita sostanziosa, ma con rischio di precarietà. I settori della ricettività, turismo e intrattenimento, insieme ad altri comparti del terziario (trasporti, logistica, comunicazione, istruzione, salute e cura), hanno registrato un sostanzioso incremento degli occupati. In particolare, il turismo ha visto un tasso medio annuo del +2,4%, con un’accelerazione al 4,7% nell’ultimo anno. Questi settori, sempre più dipendenti dalla forza lavoro straniera (che nel turismo costituisce il 24% dei dipendenti totali), sono stati un motore fondamentale della ripresa.
Tuttavia, è proprio qui che si annidano le maggiori preoccupazioni in termini di qualità e stabilità dell’occupazione. L’incremento del part-time, seppur con un tasso di crescita inferiore a quello generale, e l’aumento dei rapporti a termine, specialmente stagionali e intermittenti, segnalano una maggiore diffusione di forme contrattuali meno stabili e, talvolta, meno tutelati. Se da un lato il 40% della crescita occupazionale totale è ascrivibile all’apporto dei lavoratori stranieri (che nel settore delle costruzioni rappresentano il 27% degli occupati, con un picco del 33,9% tra i giovani), dall’altro lato, la dinamica dei contratti a termine nel settore privato, in particolare quelli stagionali (+30,1% nell’intero periodo), e nel pubblico (nel comparto scuola, dove il tempo determinato si avvicina alle 600 mila unità) impone un’azione decisa.
È indispensabile che questa significativa crescita, trainata da settori strategici, sia accompagnata da una decisa azione tesa alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Ciò implica una limitazione dell’utilizzo distorto del part-time, promuovendo ove possibile il passaggio a contratti a tempo pieno e indeterminato. Inoltre, è cruciale aprire alla formazione “dal basso”, superando l’impiego dei contratti di tirocinio come mero strumento di ingresso nel mondo del lavoro, spesso privo di prospettive concrete. La formazione deve essere pensata per qualificare realmente i lavoratori e accompagnarli in percorsi di carriera più solidi.
In conclusione, il rapporto INPS dipinge un quadro di crescita occupazionale confortante sul piano quantitativo, ma che non può prescindere da un’attenta valutazione delle sue dinamiche qualitative. Il compito del legislatore e delle parti sociali è ora quello di tradurre questa crescita in occupazione di qualità, garantendo stabilità, tutele e opportunità di sviluppo per tutti i lavoratori, con un’attenzione particolare alle categorie più vulnerabili e ai settori chiave per il futuro del Paese. n
[*] Direttore Esecutivo della Fondazione Prof. Massimo D’Antona ETS
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