Anno XIII - n° 70

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Luglio/Agosto 2025

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Anno XIII - n° 70

Luglio/Agosto 2025

Partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese


di Carlo Iovino e Valeria Brancato [*]

Brancato Iovino 32 33

Libertà è partecipazione, cantava Giorgio Gaber, nel senso che “essere liberi” non significa fare tutto ciò che si vuole ma essere soggetti attivi delle decisioni che ci riguardano, senza lasciar decidere agli altri quali strade dobbiamo percorrere ed in quale compagnia fare il nostro percorso.

Il tema della libertà che si estrinseca in partecipazione riguarda anche il lavoro, la nostra Costituzione che tutela molteplici diritti di libertà, infatti all’art. 46 prevede anche la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Da tanto tempo si è proposta e cercata la piena attuazione dell’articolo 46 che afferma il principio “programmatico” che, ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende, in tal modo «superando l’idea di una partecipazione “conflittuale” come era nell’immediato dopoguerra, quando la funzione dei consigli di gestione era soprattutto volta a dimostrare la maggiore efficacia della linea produttiva dei lavoratori rispetto a quella su cui erano impegnati invece proprietà e management aziendale».

Iovino Brancato 70 1L’art. 46 introducendo il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle imprese, riconosce e rivaluta i consigli di gestione sorti dopo la liberazione e poi man mano scomparsi con lo sviluppo capitalistico e con il “non lasciarsi coinvolgere dei sindacati nelle decisioni di gestione”, “bollando la partecipazione dei lavoratori in azienda come mistificazione, funzionale al depotenziamento delle lotte operaie” (Pietro Ichino), puntando il sindacato a conquistare soltanto il diritto di avere informazioni e di essere consultato su decisioni che riguardano investimenti, dislocazione, incrementi occupazionali, cioè decisioni che incidono su occupazione e politica salariale, quindi un mero “controllo sociale” sulla gestione, nulla che possa qualificarsi come piena ed effettiva partecipazione alla gestione. Teniamo presente, inoltre, che per una partecipazione fattiva, proficua, non soltanto di “facciata”, occorre contestualmente diffondere ed incentivare una formazione specifica dei lavoratori partecipanti alla governance aziendale, per acquisire le necessarie conoscenze e competenze al fine di poter proficuamente e consapevolmente partecipare alle decisioni aziendali. Il Costituente è sembrato infatti attribuire al concetto di collaborazione il significato di partecipazione attiva dei lavoratori alla gestione aziendale e quindi allo sviluppo dell’azienda nell’interesse dei lavoratori e del Paese.

La partecipazione è una leva che porta sia alla responsabilizzazione dei lavoratori “nel buon andamento dell’azienda e nella realizzazione di un capitalismo in cui il portatore di risorse finanziarie non può prevaricare l’interesse delle persone e della società” e, poi, anche alla responsabilizzazione dell’impresa, nel senso di quella “responsabilità sociale” dell’impresa che mette in evidenza tutte le implicazioni di natura etica in ambito sociale ed ambientale del fare impresa, aiutando, infine, anche a trovare e realizzare, insieme datori e lavoratori, efficaci soluzioni al grande problema della sicurezza sui luoghi di lavoro.

La CISL, promotrice della recente legge, auspicava proprio “l’abbandono degli antagonismi ideologici per ripensare nuovi equilibri tra capitale e lavoro, laddove il conflitto lasci spazio alla partecipazione come strumento necessario ed imprescindibile per il raggiungimento di quel bene comune tanto auspicato anche nel solco della Dottrina sociale della Chiesa”. Infatti la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è un argomento ritornato proprio di recente alla ribalta del dibattito pubblico proprio perché nel tentativo di dare finalmente attuazione all’art 46 Cost si è giunti all’approvazione della legge 76 del 15 maggio 2025 che ha disciplinato la materia. All’art.1 il legislatore ha inteso immediatamente chiarire le finalità della normativa, e cioè il voler disciplinare la partecipazione gestionale, economica e finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alla gestione, all’organizzazione, ai profitti ed ai risultati, nonché alla proprietà delle aziende con la finalità non solo di rafforzare la collaborazione lavoratori – datori di lavoro ma anche di aumentare i livelli occupazionali e valorizzare il lavoro sul piano economico e sociale.

Precisiamo subito che esistono differenti tipologie di partecipazione:

  • La partecipazione organizzativa (artt. 7 e 8 Legge n.76/2025) consistente nel coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni relative alle varie fasi produttive e organizzative della vita dell'impresa e che si concretizza nella rappresentanza dei lavoratori all’interno degli organi aziendali decisionali e di controllo. La nuova normativa, al fine di consentire tale forma di partecipazione dei lavoratori prevede la possibilità di istituire commissioni paritetiche con la finalità di predisporre proposte di piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell’organizzazione del lavoro, commissioni composte da rappresentanti dell’impresa e dei lavoratori in egual numero. Altre modalità di attuazione potrebbero proporsi, per esempio, con la previsione di alcuni rappresentanti dei lavoratori direttamente all’interno dei C.d.A. delle aziende, come vedremo dopo.
  • La partecipazione consultiva (art 9 legge n. 76/2025) che avviene attraverso l'espressione di pareri e proposte sul merito delle decisioni che l'impresa intende assumere, cioè l’informazione e poi la consultazione dei lavoratori sui piani di sviluppo o investimento dell’azienda. A tal fine la nuova normativa prevede che le commissioni paritetiche, le rappresentanze sindacali unitarie o le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, i rappresentanti dei lavoratori e le strutture territoriali degli enti bilaterali di settore possono essere preventivamente consultati in merito alle scelte aziendali. Al termine della procedura l’azienda illustrerà il risultato della consultazione e i motivi dell'eventuale mancato recepimento dei suggerimenti proposti nel parere della commissione paritetica. La discussione si è sempre animata sul carattere vincolante o meno, preventiva o meno, di tale partecipazione, in pratica se e come giungere alla auspicata “definizione congiunta” dei progetti aziendali.
  • La partecipazione economica (art 5 legge n.76/2025) nel senso di prevedere modalità di ridistribuzione di una parte degli utili aziendali, eventualmente legati al merito dei lavoratori che maggiormente contribuiscono allo sviluppo dell’azienda ed alla maggiore produttività aziendale, oppure nel senso di disciplinare fondi volti alla realizzazione ed implementazione di un adeguato welfare aziendale.
  • La partecipazione finanziaria (art. 6 legge n. 76/2025), cioè la possibilità di partecipare al capitale aziendale, possibilità che può attuarsi con varie modalità, attraverso l’acquisto diretto di azioni da parte dei dipendenti, diritto di opzione per azioni future, attribuzione di azioni in sostituzione di premi di risultato e così via.
  • La partecipazione gestionale e qui gli artt. 3 e 4 della legge n.76/2025 si richiamano agli artt. 2409 octies e segg. del C.C., indicando discipline differenti a seconda che l’azienda adotti o meno il sistema “dualistico”. Nel sistema cosiddetto “dualistico”, dove lo statuto di impresa prevede che l'amministrazione e il controllo siano esercitati da un consiglio di gestione e da un consiglio di sorveglianza, è possibile prevedere, qualora disciplinata dai contratti collettivi, la partecipazione di uno o più rappresentanti dei lavoratori dipendenti al consiglio di sorveglianza. Nelle società che, invece, non adottano il sistema dualistico, gli statuti possono prevedere, qualora disciplinata dai contratti collettivi, la partecipazione di uno o più amministratori, rappresentanti gli interessi dei lavoratori dipendenti, al consiglio di amministrazione e, altresì, al comitato per il controllo sulla gestione. I lavoratori designati quali rappresentati dei lavoratori all’interno delle commissioni paritetiche o che faranno parte degli organi societari dovranno partecipare ad una specifica formazione che sarà finanziata dagli enti bilaterali.


Se il testo originario della legge aveva previsto una consultazione obbligatoria e preventiva delle rappresentanze sindacali con riferimento ad alcune scelte aziendali, nella stesura definitiva la consultazione preventiva è diventata una mera facoltà. Così come, per quanto riguarda la partecipazione gestionale, la legge nella sua stesura definitiva prevede che la stessa sia regolamentata in primis dagli statuti aziendali e non più dai contratti collettivi come prevedeva, invece, la stesura originaria, finendo in tal modo per rendere più debole l’istituto della partecipazione gestionale.

Iovino Brancato 70 2Inoltre, nella stesura definitiva è stata eliminata la previsione di un accordo di affidamento per la gestione collettiva dei diritti derivanti dalla partecipazione finanziaria che avrebbe consentito ai lavoratori titolari di partecipazioni societarie di avere una voce collettiva senza limitarsi alla sola partecipazione economica relativa al valore delle azioni.

La indicata legge probabilmente non è un punto di arrivo ma un’altra tappa, importante senza dubbio, verso quella elevazione economica e sociale del lavoro voluta dalla nostra Carta Costituzionale. Altra tappa importante negli ultimi decenni è stato l’Accordo Cgil Cisl Uil e Confindustria del 2018 c.d. Patto della Fabbrica ,che disegnava tra l’altro anche nuove relazioni industriali, facendo riferimento alla responsabilità sociale delle parti che ha punto fermo nell’associare i lavoratori alla definizione delle prospettive di impresa, tramite il rafforzamento della contrattazione collettiva, prevedendosi gruppi di lavoro nei quali operino sia responsabili aziendali che lavoratori, prevedendosi anche strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire e delle risorse da utilizzare, nonché di piani periodici che illustrino le attività svolte ed i risultati raggiunti.

Esperienze partecipative, comunque, ci sono già state in Italia, alcune aziende in particolare di grandi dimensioni, nei Contratti hanno previsto organi paritetici con numerose funzioni dell’organizzazione del lavoro.

L’istituto della partecipazione ha avuto ampia ed antica diffusione innanzitutto in Germania, la cd. Mitbestimmung, e qui si sono raggiunte, come ricorda Corti, “vette ineguagliate in Europa e nel mondo, forse perché, dice qualcuno, storicamente l’industrializzazione in Germania nasce da alleanza tra baroni Ruhr e Junker prussiani che vedevano l’impresa come una comunità di produttori al servizio della nazione. La partecipazione dei lavoratori è diffusa già alla fine del 1800 per contrastare il radicalismo dei sindacati, poi con la Costituzione di Weimar i consigli aziendali diventano progetto di democratizzazione dell’economia e poi nel 1952 dopo la guerra si ampliano e rafforzano i diritti di partecipazione nei consigli di azienda, ma c’è sempre il timore che così si possa limitare l’attività sindacale sui luoghi di lavoro. Poi nel 1972 il sindacato si batte per attribuire ai consigli di azienda nuovi e più incisivi poteri di codecisione, fino alla cogestione societaria. Comunque, c’è qui una cultura particolarmente favorevole a tale sviluppo, sintetizzato dal giurista Rathenau negli anni ’20 del 1900, il quale cita la risposta di una società di navigazione ai propri soci che si lamentavano di bassi dividendi, dicendo che “la società esiste per far andare i battelli sul Reno e non per distribuire dividendi”.

Negli Stati Uniti invece quasi non ha trovato cittadinanza, all’opposto, qui soltanto la proprietà e soprattutto il management decide il da farsi.

Dicevamo che le radici dell’istituto partecipativo sono antiche, l’idea che la partecipazione dei lavoratori possa essere funzionale alla performance aziendale ed al miglioramento della condizione lavorativa risale già alla seconda metà del 1800, alla Comune Parigina del 1871, poi alla metà del secolo scorso quando in seguito alle prime inefficienze del sistema Taylorista dell’organizzazione del lavoro cominciarono a diffondersi sperimentazioni organizzative partecipative, in Svezia e Germania. In quegli anni i cambiamenti avvennero generalmente all’interno di una cornice istituzionale, dove anche il sindacato svolse un ruolo importante di promozione del processo di innovazione come dimostrano i contenuti del programma sulla democrazia industriale adottato dalla confederazione svedese dei sindacati nel 1971 e la relativa influenza sull’entrata in vigore della legge sulla codeterminazione nei luoghi di lavoro del 1976. Nuova spinta poi negli anni Ottanta e Novanta, con gli studi di sociologia dell’organizzazione, dall’applicazione della filosofia lean – orientata alla riduzione degli sprechi, alla flessibilità della risposta al mercato, al miglioramento continuo- al settore manufatturiero e dalla diffusione delle metodologie del toyotismo caratterizzato dalla forte motivazione dei dipendenti i quali decidono processi e soluzioni congiuntamente alla dirigenza aziendale. Durante gli anni venti del 900 negli Stati Uniti ci si rese conto che il livello di soddisfazione e la conseguente produttività dei lavoratori non dipendeva unicamente dal livello di benessere economico raggiunto. Fu Elton Mayo il fondatore della scuola delle relazioni umane che analizzò il problema della motivazione al lavoro. Stabilì che non è sufficiente agire sui fattori di natura tecnica, organizzativa ed economica per migliorare i livelli di produttività. L’uomo è un essere sociale che ha bisogno di sentirsi partecipe delle attività aziendali e delle scelte che queste comportano, per cui trattandolo come un mero strumento, prima o poi, si originano delle resistenze individuali e collettive.

Altra forma di partecipazione, che potremmo definire “avanzata”, è l’idea di “autogestione” che ha avuto nuova vita in America latina agli inizi del 2000 con l’economia solidale e le esperienze di “fabbriche recuperate” come risposta alla chiusura ed abbandono delle fabbriche da parte dei padroni durante la crisi Argentina del 2000/2001.

Il giuslavorista Tiziano Treu ricorda che l’apertura di spazi partecipativi risponde a bisogni profondi di valorizzazione del lavoro e di autorealizzazione dei lavoratori ed introduce elementi di responsabilizzazione sociale dell’impresa e di trasparenza dei suoi comportamenti, tanto più importante nell’attuale contesto globale di forti turbolenze economiche e finanziarie. In Italia le prime istanze di partecipazione risalgono agli anni successivi alla Prima guerra mondiale, in FIAT nel 1919. Poi il primo riconoscimento dei consigli di gestione si ebbe con decreto della sedicente RSI nel 1944 nel progetto di socializzazione delle imprese, norma mantenuta dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia nel 1945. Successivamente la Legge n.350 del 2003 che istituiva un fondo per incentivare la partecipazione ai risultati e alle scelte aziendali ma la Corte Costituzionale ne ha dichiarato l’incostituzionalità perché non prevedeva alcuno strumento di garanzia di una leale collaborazione tra Stato e regioni. Nel 2012 la riforma Fornero ha delegato il governo ad adottare decreti finalizzati a favorire il coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa, delega però rimasta inadempiuta.

Concludendo, ricordiamo Giorgio La Pira che in Assemblea Costituente, citando Renard, auspicava che “l’impresa va concepita in maniera istituzionale non secondo la categoria del contratto di diritto privato ma secondo quella visione finalistica per cui tutti coloro che collaborano in una comunità di lavoro sono membri sia pure con diverse funzioni di quest’unica comunità che trascende l’interesse dei singoli”. Quadrato Rosso

Bibliografia

Articolo di Carlo Bruni, partecipazione lavoratori in Fondazione Farefuturo Charta minuta.

Articolo su Cittanuova.it di Gianni Alioti, partecipazione lavoratori gestione azienda.

Ricerca Assolombarda.

Articolo di Giuliano Cazzola in Bollettino Adapt.

Articolo di Matteo Corti la cogestione in Germania.

S.E.&O.

[*] Carlo Iovino e Valeria Brancato sono funzionari INL in servizio presso ITL di Napoli. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero degli Autori e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per la Pubblica Amministrazione.

© 2013-2022 - Fondazione Prof. Massimo D'Antona