L’introduzione del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) in attuazione della Direttiva UE 2019/1023, ha portato una profonda revisione degli strumenti di regolazione delle crisi con particolare attenzione alla continuità aziendale e alla protezione dell’interesse dei creditori.
Tra le novità più rilevanti figura la ristrutturazione trasversale dei debiti, disciplinata dall’art. 112, comma 2 CCII che introduce nel nostro ordinamento il meccanismo del cross-class cram down.
Questa tecnica consente l’omologazione del concordato anche in presenza di classi dissenzienti a condizione che siano rispettati alcuni criteri di equità e coerenza distributiva tra le diverse categorie di creditori. Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 39/2024, ha offerto un’applicazione concreta di questo strumento in un contesto complesso: un gruppo di tre società legate da vincoli patrimoniali e industriali ha presentato un piano unitario di continuità articolato in più classi di creditori. Due delle tre società hanno raggiunto la maggioranza prevista, mentre la terza ha ottenuto il consenso dell’unica classe prevista. Nonostante il dissenso di alcuni creditori pubblici, il Tribunale ha proceduto all’omologazione forzosa, riconoscendo il rispetto dei requisiti di cui all’art. 112, co. 2, lett. a-d CCII.
Tra questi assume rilievo la previsione secondo cui almeno una delle classi favorevoli sia composta da creditori privilegiati. Inoltre, è richiesto che i creditori dissenzienti non ricevano un trattamento deteriore rispetto a quello riservato a classi di pari o inferiore rango che nessun creditore percepisca più dell’ammontare del proprio credito, e che il valore di liquidazione sia distribuito secondo l’ordine delle prelazioni. Si tratta di condizioni tese a garantire l’equilibrio tra le esigenze del debitore e i diritti dei creditori, in una prospettiva di riequilibrio funzionale dell’impresa.
L’elemento di maggiore novità risiede però nel superamento delle resistenze tradizionali opposte dagli enti impositori. La normativa prevede oggi in modo esplicito che la mancata adesione dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali non precluda l’omologazione del concordato purché la proposta risulti più conveniente della liquidazione giudiziale. Tale valutazione asseverata da un professionista indipendente (avvocato, commercialista, manager), assume un ruolo determinante nel giudizio del tribunale che può così superare l’inerzia o il dissenso degli enti pubblici.
La sentenza del Tribunale di Napoli si inserisce in un solco giurisprudenziale che ha trovato riscontro anche presso la Corte d’appello di Firenze (sent. 1647/2023), dove è stato confermato un concordato in continuità malgrado l’opposizione di tre classi formate da creditori pubblici. Il progressivo consolidarsi di questa interpretazione apre nuove prospettive per le imprese in crisi che possono costruire percorsi di risanamento più flessibili senza essere ostacolate da posizioni rigide o formalistiche. In questo scenario, non può essere trascurato l’impatto sul lavoro e sulle politiche occupazionali. La continuità aziendale non è solo un concetto economico ma anche sociale: implica la prosecuzione dell’attività produttiva, il mantenimento dei livelli occupazionali e la salvaguardia del patrimonio professionale dell’impresa. Le procedure di ristrutturazione specie quelle che si fondano sul cram down, devono quindi tenere conto delle conseguenze sui lavoratori e sul contesto territoriale in cui l’impresa opera. Il legislatore, pur non prevedendo obblighi espliciti in tal senso, riconosce l’importanza delle tutele occupazionali nell’ambito del piano concordatario. In molti casi, la presenza di accordi sindacali piani di riqualificazione del personale o l’utilizzo di strumenti come la CIGS per crisi e riorganizzazione, rappresentano elementi valutati positivamente dal tribunale in sede di omologazione. Questo rafforza la funzione sociale del concordato in continuità, trasformandolo in uno strumento non solo di ristrutturazione economica, ma anche di coesione e resilienza del tessuto produttivo. In conclusione l’istituto della ristrutturazione trasversale rappresenta una leva cruciale per il rilancio dell’impresa in crisi.
L’evoluzione giurisprudenziale ne ha esteso l’applicazione, rafforzando il ruolo del tribunale come garante dell’equilibrio tra interessi economici, fiscali e sociali. L’esperienza concreta delle sentenze richiamate mostra che è possibile conciliare l’efficienza giuridica con la giustizia sostanziale, favorendo soluzioni che pur nel rispetto dei vincoli normativi, mettano al centro la continuità dell’impresa e la dignità del lavoro.
[*] Dottore commercialista e dottorando di ricerca in “Gestione finanziaria d’impresa e gestione della crisi” presso l’Universitas Mercatorum di Roma
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