Dal 7 ottobre 2023, i palestinesi stanno vivendo uno degli attacchi più gravi alla loro esistenza nella storia recente. Il 16 settembre 2025, la Commissione Internazionale Indipendente di Inchiesta sui Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme Est, e su Israele ha pubblicato un’analisi legale dettagliata delle operazioni delle forze di sicurezza israeliane a Gaza tra il 7 ottobre 2023 e il 31 luglio 2025, alla luce della Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.
La Commissione ha documentato crimini contro l’umanità e crimini di guerra, tra cui sterminio, torture, stupri e violenze sessuali, trattamenti inumani, trasferimenti forzati, persecuzioni basate sul genere e uso della fame come strumento di guerra. Ha inoltre evidenziato che le autorità israeliane hanno parzialmente distrutto la capacità riproduttiva dei palestinesi e imposto condizioni di vita finalizzate alla distruzione fisica del gruppo, configurando atti di genocidio secondo lo Statuto di Roma e la Convenzione sul genocidio[1].
Va ricordato che la Commissione era stata istituita già il 27 maggio 2021 dal Consiglio ONU dei Diritti Umani per indagare su tutte le presunte violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario nei territori palestinesi occupati e in Israele, sia prima sia dopo il 13 aprile 2021.
Il lavoro dei palestinesi in Israele, nelle colonie, in Cisgiordania e a Gaza non può essere considerato dignitoso: si tratta di un sistema fondato sulla dipendenza economica, sul ricatto e sullo sfruttamento. Come sottolinea l’ultimo rapporto della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, siamo ormai davanti a un passaggio netto: da una logica di occupazione e apartheid a una vera e propria economia del genocidio. Il colonialismo d’insediamento si fonda sull’espulsione dei legittimi abitanti e sulla conquista della terra, trasformata in risorsa da sfruttare. Non è un caso che, dal 7 ottobre ad oggi, Israele abbia preso di mira principalmente le terre agricole di Gaza: Al 28 luglio 2025 l’86,1% dei campi è stato deliberatamente distrutto, affamando tutta la popolazione sopravvissuta, di cui l’80% è stata dichiarata in emergenza alimentare. In pratica, dei 15.000 ettari coltivati a Gaza ne sono rimasti solo 2.090. Di questi, soltanto 232 ettari sono coltivabili in sicurezza, ovvero l’1,5% delle aree agricole di tutta la striscia di Gaza. praticamente, niente. Si parla di un vero e proprio ‘ecocidio’ [2].
A partire da ottobre 2023, i vecchi sistemi di controllo, sfruttamento e spoliazione si sono trasformati in infrastrutture economiche, tecnologiche e politiche messe in campo per infliggere violenza di massa e devastazione su larga scala. Le stesse realtà che in passato favorivano e traevano profitto dall’eliminazione e dall’annientamento dei palestinesi all’interno dell’economia dell’occupazione, invece di ritirarsi, sono ora direttamente coinvolte nell’economia del genocidio.
Le operazioni genocidarie hanno portato l’economia della Striscia di Gaza al collasso. Gli asset produttivi del settore privato sono stati distrutti, l’accesso ai mercati bloccato e i servizi finanziari interrotti. La maggior parte dei luoghi di lavoro, comprese le istituzioni formative, è ridotta in macerie. Migliaia di lavoratori sono stati uccisi sul posto di lavoro — tra loro almeno 280 membri del personale ONU, 200 giornalisti e oltre 1.000 operatori sanitari[3].
Secondo l'OCHA, al 18 settembre 2025, a lmeno 65.062 palestinesi sono stati uccisi dal 7 ottobre 2023 di cui il 75% sono donne e bambini [4] . Il numero di bambini uccisi nei bombardamenti ha superato quello complessivo registrato in oltre venti Paesi coinvolti in guerre negli ultimi quattro anni[5]. In Cisgiordania, i dati OCHA indicano che fino al 15 settembre 2025, sono stati uccisi 186 palestinesi e 16 israeliani, in conflitti diretti nella Cisgiordania[6].
La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), analizzando immagini satellitari e dati delle luci notturne, stima che oltre l’80% delle strutture commerciali di Gaza sia stato danneggiato e quasi tutte le risorse agricole distrutte. La pesca, un tempo fonte di sostentamento, è ferma; il porto, le imbarcazioni e i magazzini sono ridotti a macerie. Anche sanità ed educazione sono gravemente colpite, con danni alle scuole e università che potrebbero far arretrare la società gazawi di anni, se non decenni. Le attività economiche sono praticamente paralizzate, con la maggior parte della popolazione sfollata e in grave carenza di beni essenziali[7], il PIL di Gaza ha subito una contrazione dell'83% nel 2024 e un ulteriore 12% nel primo trimestre del 2025. Il risultato di queste analisi porta una stima agghiacciante, che conferma che il livello di distruzione della striscia di gaza è tale da renderla inabitabile e invivibile [8].
Anche in Cisgiordania, l’occupazione israeliana si è ulteriormente inasprita e l’espansione degli insediamenti prosegue a ritmo accelerato. Basti pensare che nel 2024 la gestione delle colonie è passata dal comando militare al governo civile e il budget del Ministero delle Costruzioni e dell’Edilizia abitativa è raddoppiato, con 200 milioni di dollari stanziati per la costruzione di nuovi insediamenti. Tra novembre 2023 e ottobre 2024, Israele ha istituito 57 nuove colonie e avamposti, con aziende israeliane e internazionali che hanno fornito macchinari, materie prime e supporto logistico[9]. Il numero di ettari dichiarati “terre statali” da Israele — e dunque sottratti all’uso dei palestinesi — ha superato, nel corso dell’ultimo anno, l’intera superficie resa inaccessibile con la stessa procedura dal 2000 a oggi[10].
Sul fronte legale, due nuove proposte di legge rischiano di ridurre ulteriormente la disponibilità di terre per i palestinesi, compromettendo la tenuta dell’economia, le opportunità di lavoro, e la possibilità stessa di uno Stato palestinese futuro. La prima, approvata in lettura preliminare alla Knesset all’inizio del 2025, consentirebbe ai cittadini israeliani privati di acquistare terreni in Cisgiordania occupata — una svolta rispetto allo status quo giuridico che finora limitava tali operazioni ai soli cittadini giordani o palestinesi. La seconda proposta prevede l’annessione di 29 insediamenti nei pressi di Gerusalemme Est, con l’effetto di isolare ulteriormente le comunità palestinesi situate tra questi e la città, rendendo sempre più difficile l’accesso alle opportunità di lavoro[11].
La libertà di movimento dei lavoratori è fortemente compromessa e gli attacchi israeliani nelle regioni settentrionali hanno già provocato sfollamenti di massa. Le restrizioni nell’Area C, che copre oltre il 60% della Cisgiordania, sono più severe rispetto alle Aree A e B. Inoltre, Il 70% dell’Area C in Cisgiordania occupata, sotto pieno controllo militare e amministrativo israeliano, rientra nei confini dei consigli regionali delle colonie israeliane, dedicati alla loro espansione e alle attività imprenditoriali, e risulta completamente “vietato all’uso e allo sviluppo palestinese”[12]. Secondo l’UNCTAD, un allentamento delle limitazioni in Area C ai livelli delle Aree A e B potrebbe generare fino a 4,4 miliardi di dollari in spese aggiuntive per le famiglie palestinesi ogni anno [13]. Al contrario, anche in questa zona, la produzione industriale è diminuita del 15% in due anni, l'attività di mercato è scesa del 10%, e molti agricoltori e commercianti stanno affrontando gravi difficoltà a causa delle restrizioni israeliane e della scarsità di investimenti[14].
Anche Gerusalemme Est non è stata risparmiata dalla brusca crisi economica, con restrizioni sempre più severe che hanno colpito settori chiave, in particolare turismo e commercio, con gravi conseguenze sull’occupazione. Secondo l’ufficio statistico palestinese (PCBS), nel primo semestre del 2024 gli ospiti negli hotel di Gerusalemme Est sono stati 5.135, meno di un decimo dei 57.619 dello stesso periodo del 2023. La marginalizzazione economica della città si è aggravata nel contesto dell’occupazione: si stima che circa l’80% delle imprese nella Città Vecchia abbia sospeso parzialmente o completamente le attività, erodendo ulteriormente la base economica locale[15]. Nel 2024, quasi tre quarti delle demolizioni di edifici di proprietà palestinese autorizzate da Israele in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, sono state motivate dalla mancanza di permessi edilizi israeliani — documenti che per i palestinesi è quasi impossibile ottenere. Più della metà delle strutture abbattute era destinata ad attività agricole o ad altre fonti di sostentamento[16].
L’insicurezza, la disoccupazione crescente e le difficoltà sociali stanno raggiungendo livelli che non si registravano da mezzo secolo, delineando un quadro di emergenza che segna un punto di non ritorno e richiede un’urgente presa di posizione della comunità internazionale. La popolazione palestinese, nel suo insieme, è colpita da una povertà multidimensionale che tocca ogni aspetto della vita quotidiana, le cui ripercussioni sulla salute fisica e mentale si ripercuoterebbero nel lungo periodo anche se il cessate il fuoco venisse raggiunto alla data di scrittura del presente articolo e fosse duraturo.
Dopo l’attacco di Hamas e di altri gruppi armati del 7 ottobre 2023, le autorità israeliane hanno revocato i permessi che consentivano a circa 13.000 lavoratori palestinesi della Striscia di Gaza di lavorare legalmente in Israele[17]. Questi lavoratori non hanno ricevuto i salari relativi alle settimane lavorate prima del 7 ottobre 2023, includendo così l’intero mese di settembre (che sarebbe stato normalmente pagato il 9 o 10 ottobre) e la prima settimana di ottobre.
Analogamente, quasi 200.000 lavoratori palestinesi della Cisgiordania, impiegati in Israele fino al 7 ottobre 2023, non sono stati più autorizzati a entrare nel Paese. Poiché non sono stati licenziati formalmente, i loro contratti di lavoro rimangono in vigore, nonostante l’impossibilità di recarsi al lavoro a causa delle restrizioni imposte da Israele. Di conseguenza, a questi lavoratori spettano i salari di settembre, della prima settimana di ottobre e di tutti i mesi successivi, che ammontano attualmente a circa 24 mesi di retribuzione non percepita. I sindacati internazionali hanno sostenuto un reclamo contro Israele presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che deve ancora risolversi nel pagamento delle compensazioni dovute ai lavoratori palestinesi[18].
Sono solo 8.000 circa i palestinesi che dispongono di autorizzazioni rilasciate in base alla circolare governativa del 2023, che consente l’impiego in settori diversi da agricoltura e costruzioni. Altri lavorano con permessi di natura diversa, alcuni apparentemente emessi dai servizi di sicurezza. Nelle colonie israeliane in Cisgiordania occupata, inoltre, l’impiego di manodopera palestinese dipende dalla discrezionalità dei coordinatori di sicurezza delle colonie, senza garanzie di diritti o tutele sindacali. In molti casi, il lavoro si ottiene grazie a conoscenze personali e resta precario.
Un numero crescente di palestinesi, infine, lavora in Israele senza permesso, vivendo per mesi in condizioni di clandestinità. Alcuni hanno versato somme ingenti a mediatori o caporali nella speranza di ottenere permessi medici o di altro tipo, che spesso non si sono mai concretizzati. Nonostante il drastico calo del numero di palestinesi impiegati in Israele, l’organizzazione Kav LaOved ha segnalato che nel 2024 14 lavoratori palestinesi hanno perso la vita in incidenti sul lavoro, pari al 20% di tutte le morti sul posto di lavoro registrate nel Paese[19].
Oltre 4.000 lavoratori palestinesi sono stati arrestati nei primi tre mesi del 2025 per essere entrati in Israele senza permesso. La maggior parte di loro ha subito l’apertura di procedimenti penali; alcuni sono stati trattenuti per pochi giorni senza accuse formali, mentre altri sono stati condannati a pene detentive fino a un anno[20].
È necessario sottolineare lo stato di precarietà e sfruttamento dei lavoratori palestinesi in Israele e nelle colonie in Cisgiordania occupata, anche prima del 7 ottobre, come è stato, fortunatamente, ampiamente documentato anche dalla Confederazione Internazionale dei Sindacati[21] e dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro nei rapporti annuali presentati alla conferenza internazionale del lavoro a Ginevra, fornendo dati utili sul mondo del lavoro, che altrimenti, non sarebbero disponibili.
Di base, il lavoro in Israele e negli insediamenti illegali offre ai palestinesi opportunità con salari più del doppio rispetto al mercato del lavoro dei territori della Cisgiordania: I lavoratori palestinesi impiegati legalmente nell’economia israeliana, con un permesso valido, hanno diritto al salario minimo israeliano e a una retribuzione netta e lorda comparabile a quella dei lavoratori israeliani nello stesso settore, in conformità ai contratti collettivi.
Nonostante questo, è necessario sottolineare che anche prima del 7 ottobre, i lavoratori palestinesi subivano una forte discriminazione salariale. I salari lordi mensili dei lavoratori palestinesi impiegati in Israele si attestano in media a circa 1.872 dollari nel settore delle costruzioni e 1.503 dollari negli altri settori. Tuttavia, quanto effettivamente percepito è significativamente più basso: sommando le trattenute obbligatorie che includono tasse sul reddito (tra il 10 e il 14% dello stipendio) e contributi sociali (8,02% per i lavoratori edili e 7,42% negli altri settori), le commissioni dei ‘caporali’ che trattano i permessi di lavoro illegalmente e a prezzi esorbitanti, che possono oscillare tra 591 e 740 dollari (pari al 45% dello stipendio per molti lavoratori), i pagamenti a terzi contrattisti e le spese di viaggio a carico dei lavoratori (circa 148 dollari), il salario netto nelle costruzioni oscilla intorno ai 640 dollari, e 400 dollari negli altri settori.
Secondo le stime dell’ILO, basate sul Quarterly Labour Force Survey 2023 del Palestinian Central Bureau of Statistics (PCBS), il salario giornaliero medio dei lavoratori migranti palestinesi in Israele era di 297,30 shekel (circa 79 USD). Per i lavoratori senza documenti, il salario settimanale medio è stimato tra 2.100 e 2.600 shekel (circa 565-700 USD). Per capire la portata del problema: sempre secondo il PCBS, una famiglia palestinese di 5,2 membri in Cisgiordania spende in media 1.601,85 dollari USA al mese per sopravvivere — quasi quattro volte il salario minimo. In altre parole, lavorare non basta: per milioni di palestinesi, il lavoro non è un mezzo per vivere dignitosamente, ma una lotta quotidiana contro la povertà e l’insicurezza[22].
Il quadro delineato evidenzia uno sfruttamento sistemico dei lavoratori palestinesi e che richiede un’immediata presa di coscienza e un’azione concreta da parte della comunità internazionale. Milioni di lavoratori e cittadini e cittadine in tutto il mondo, compresa l’Italia, si sono mobilitati per chiedere la fine del genocidio, l’applicazione del diritto internazionale e per sostenere l’isolamento politico, economico e commerciale di Israele, in linea con quanto indicato dall’Opinione Consultiva della Corte Internazionale di Giustizia.
[6] OCHA Territorio Palestinese Occupato
[8] https://unctad.org/system/files/official-document/osginf2024d1_en.pdf
[9] /HRC/58/73, par. 14 e 19.
[10] https://www.ilo.org/sites/default/files/2025-05/ILC113%282025%29-DG-APP-%5BRO-BEIRUT-250402-001%5D-Web-EN.pdf, par. 52.
[11] Peace Now, “A Bill for the Annexation of Settlements around Jerusalem”, 2 March 2025.
[12] Office for the Coordination and Humanitarian Affairs. “Area C of the Occupied West Bank Key Humanitarian Concerns,” August 2014.
[13] UNCTAD, Occupation, Fragmentation and Poverty in the West Bank, 2024, 31, 33.
[14] IMEMC News
[15] PCBS, “The Palestinian Central Bureau of Statistics and the Ministry of Tourism and Antiquities jointly issue a press release on the occasion of the World Tourism Day, 27/09/2024”.
[16] January 2025. 48 OCHA, “Breakdown of data on demolition and displacement in the West Bank”, accessed on 21 March 2025.
[17] Government of Israel, Decision No. 1752: Efficiency and improvement of supervision and enforcement of the employment of foreign workers and amendment of government decisions (in Hebrew), 15 May 2024.
[18] https://www.ituc-csi.org/Palestine-Global-unions-file-ILO-complaint
[19] https://www.ilo.org/sites/default/files/2025-05/ILC113%282025%29-DG-APP-%5BRO-BEIRUT-250402-001%5D-Web-EN.pdf, par. 68.
[20] https://www.ilo.org/sites/default/files/2025-05/ILC113%282025%29-DG-APP-%5BRO-BEIRUT-250402-001%5D-Web-EN.pdf, par. 67.
[21] https://www.ituc-csi.org/workers-rights-in-crisis-palestine
[22] https://www.ituc-csi.org/IMG/pdf/ituc_palestinereport_en.pdf
[*] CGIL Nazionale – Area delle Politiche Europee e Internazionali
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