Anno XIII - n° 71

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Settembre/Ottobre 2025

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Anno XIII - n° 71

Settembre/Ottobre 2025

Lo stato della contrattazione integrativa nella Pubblica Amministrazione

Alcune evidenze dall’ultimo rapporto ARAN


di Marco Biagiotti [*]

Marco Biagiotti 2

Anche quest’anno il rapporto ARAN sul monitoraggio della contrattazione integrativa nel lavoro pubblico, pubblicato alla fine di settembre[1], offre un quadro aggiornato dell’attività negoziale svolta presso le amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 40, comma 3-bis, del decreto legislativo 165/2001[2] negli anni 2023 e 2024[3] e un’analisi comparativa dei dati risultanti dagli esiti delle contrattazioni effettuate in base alle regole fissate nei CCNL della tornata contrattuale 2019-2021. Preliminarmente, può essere utile ricordare che, in base ai dati del Conto Annuale della Ragioneria Generale dello Stato[4], il personale pubblico in regime di diritto privato presente nelle amministrazioni dei comparti di contrattazione collettiva ammonta a circa 2 milioni e 700mila unità fra dirigenti e non dirigenti (anno di riferimento 2023), rilevati ai sensi dall’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001[5] e a cui si applicano le disposizioni del Libro V del Codice civile e le leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, suddivisi come segue: Funzioni Centrali, 205.204 unità; Funzioni Locali, 493.967; Istruzione e Ricerca, 1.306.941; Sanità, 701.170. Il rapporto annuale dell’ARAN copre l’attività contrattuale svolta all’interno dei comparti secondo le regole fissate e per le materie delegate dai rispettivi contratti collettivi nazionali di lavoro riguardanti il personale di cui sopra, dirigenziale e non dirigenziale, nel quale non rientra il personale in regime di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3 del decreto legislativo 165/2001 (579.322 unità).

Come precisato nella premessa del rapporto, esso viene redatto ai sensi dell’art. 46, comma 4, del decreto legislativo n. 165/2001. A tal proposito, sembra opportuno ricordare che, ai sensi dell’art. 40-bis, comma 5, dello stesso decreto 165/2001[6] e dell’art. 21, comma 2 del decreto legislativo n. 33/2013, ai fini dell'attuazione dell’articolo 46, comma 4, le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di trasmettere all'ARAN e al CNEL il testo degli accordi di contrattazione integrativa sottoscritti, per via telematica ed entro cinque giorni dalla sottoscrizione, allegando la relazione tecnico-finanziaria ed illustrativa e indicando le modalità di copertura dei relativi oneri con riferimento agli strumenti annuali e pluriennali di bilancio[7].

Il primo dato rilevante che balza all’attenzione è rappresentato dall’incremento del numero di contratti integrativi trasmessi complessivamente dalle amministrazioni di tutti i comparti pubblici di contrattazione collettiva all’ARAN e al CNEL nell’anno 2024 rispetto all’anno precedente. In termini assoluti, si tratta di 18.116 accordi trasmessi nel 2024 rispetto ai 16.863 dell’anno prima, con un incremento di circa il 7%. Nell’anno di riferimento sono aumentate anche le sedi di contrattazione – sia di sede nazionale e di sede unica, che territoriale – che hanno inviato almeno un contratto integrativo, raggiungendo la percentuale complessiva più alta mai registrata per entrambe le tipologie (rispettivamente, 71,6% e 26,8%). 

Pur tenendo conto del fatto che il numero assoluto di accordi trasmessi dalle amministrazioni non indica, di per sé, il grado di reale diffusione della contrattazione integrativa nella p.a., è da notare che già nel 2023 si era registrato un consistente incremento di trasmissioni rispetto al 2022 (+12,4%).

La maggior parte degli accordi trasmessi nel 2024 proviene dalla Scuola (7.987) e dai Comuni (7.170), coerentemente con il fatto che in questi settori è presente la maggior parte delle sedi di contrattazione integrativa: 7.619 per la Scuola e 8.818 per le Autonomie locali, che assommano insieme circa l’81% delle 20.336 sedi contrattuali esistenti in tutta la p.a.[8]. Con riguardo alle tipologie della produzione contrattuale si deve tener presente che, ai sensi dell’art. 2 dell’Accordo Nazionale Quadro 12 aprile 2022 per l’elezione e il funzionamento delle Rappresentanze Sindacali Unitarie[9], queste ultime possono essere costituite in tutte le sedi delle amministrazioni che occupino più di 15 dipendenti “individuate dai contratti o accordi collettivi nazionali come livelli di contrattazione collettiva integrativa”, nazionale o territoriale. Com’è noto, tuttavia, non vi è omogeneità fra i comparti in merito alla distribuzione delle tipologie di sedi contrattuali integrative: in alcuni comparti prevalgono infatti le “sedi di contrattazione nazionale” o “sede unica”, mentre altrove è più diffuso un doppio livello di contrattazione integrativa, poiché al contratto integrativo nazionale (di ministero o ente) si aggiungono gli accordi stipulati nelle sedi decentrate articolate su base geografica e, in alcuni enti di maggiori dimensioni, di Direzione o Dipartimento. I dati relativi al 2024 evidenziano l’incidenza del rapporto fra la predetta articolazione e il “tasso di contrattazione” nei vari comparti, desumibile in base al numero delle sedi di contrattazione che hanno trasmesso almeno un atto negoziale. Nell’anno considerato, il “tasso di contrattazione” è risultato particolarmente elevato nel comparto Istruzione e Ricerca, caratterizzato dalla presenza di ben 7.806 sedi di contrattazione nazionale o unica (per lo più nella Scuola) e di appena 155 sedi di contrattazione territoriale, quasi tutte concentrate negli Enti di ricerca. In questo comparto, le sedi nazionali o uniche hanno fatto registrare la performance migliore di tutta la p.a. con un tasso di contrattazione del 90,6%, distaccando nettamente gli altri comparti, dove le sedi nazionali hanno registrato un 60,5% per le Funzioni Locali, un 51,6% nella Sanità e un modesto 17,2% nelle Funzioni Centrali.

È lecita una riflessione sul modesto risultato delle Funzioni Centrali (peraltro in linea con quelli degli anni precedenti), dove sono presenti 824 sedi di contrattazione integrativa di sede nazionale o unica, delle quali solo 142 hanno trasmesso almeno un accordo integrativo; e 2.460 sedi di contrattazione integrativa territoriale, che pure non sembrano aver brillato per vitalità contrattuale con un tasso di contrattazione del 28,4% (698 le sedi che hanno trasmesso accordi). Occorre tener conto della complessa composizione di un ‘contenitore’ assai poco omogeneo, nel quale confluiscono tipologie di amministrazioni profondamente diverse fra loro per struttura organizzativa e tradizioni contrattuali. In tale situazione, il dato medio può obliterare peculiarità e caratteristiche specifiche interne di quello che appare come il comparto più frammentato di tutta la p.a., sebbene in termini di personale rappresenti solo il 6,2% di tutto il settore pubblico contrattualizzato[10]. Ad esempio, le due componenti principali fra le categorie di amministrazioni che formano il comparto, ossia i Ministeri e gli Enti pubblici non economici, presentano una spiccata asimmetria per quanto concerne il numero delle sedi di contrattazione integrativa nazionale o unica: gli Enti pubblici non economici ne contano 786 (pari al 95,4% nel comparto), i Ministeri 33 (4%). Per contro, le sedi di contrattazione integrativa territoriale dei Ministeri sono 1.793 (72% di tutto il comparto) contro le 380 degli Enti pubblici non economici (15,4%). La contrattazione territoriale è dunque un fenomeno non esclusivo, ma sicuramente tipico delle Funzioni Centrali, segnatamente dei Ministeri ed ancor più, in proporzione al numero complessivo di sedi contrattuali esistenti, delle Agenzie fiscali, che presentano ben 266 sedi di contrattazione territoriale su 268 totali. Ciò è dovuto principalmente alle dimensioni nazionali delle amministrazioni interessate e alla loro articolazione organizzativa sul territorio. Osservando i dati ARAN[11], si direbbe che la contrattazione integrativa nazionale o di sede unica sia in buona salute nei Ministeri (tasso di contrattazione del 78,8%) e in sofferenza negli Enti pubblici non economici (14,2%), ma il rapporto si inverte per la contrattazione territoriale (28,6% contro 48,9%).

Pur nella consapevolezza che occorre molta cautela nell’avanzare conclusioni, non si può sfuggire all’impressione che, ad oltre 30 anni dalla ‘privatizzazione’ del rapporto di lavoro, la contrattazione decentrata di secondo livello nella pubblica amministrazione faccia ancora fatica a svilupparsi e consolidarsi, malgrado la disciplina contenuta nei contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti o, in altri contesti, i documenti e le enunciazioni che ne hanno auspicato/previsto il rafforzamento[12]. Le sedi RSU territoriali delle Funzioni Centrali sembrano incontrare le maggiori difficoltà ad affermare il proprio ruolo negoziale, come forse si può indirettamente evincere attraverso i dati sui contenuti degli accordi sottoscritti. Nell’insieme, infatti, i dati di tutta la p.a. per il 2024 appaiono distribuiti in modo abbastanza equilibrato tra accordi a contenuto “solo economico” (51%) e accordi a contenuto “normativo” (44%), ma rispetto all’anno precedente si nota una diminuzione dei secondi (da 8.118 a 7.937) e un incremento piuttosto sensibile dei primi (da 7.911 a 9.228)[13]. Comunque, l’incidenza delle due tipologie di accordi varia molto da un comparto all’altro. Ad esempio, dei 901 accordi di contrattazione integrativa trasmessi dalle amministrazioni delle Funzioni Centrali, l’incidenza dell’attività negoziale incentrata esclusivamente sul riparto delle risorse decentrate e sugli istituti del trattamento economico (“indennità variabili, premi performance, ed altri trattamenti accessori, maggiorazioni delle tariffe base nazionali previste per talune indennità, criteri per le progressioni economiche”)[14] prevale in modo schiacciante (83%) su quella a contenuto normativo, il che induce la stessa Agenzia a sottolineare che “molte amministrazioni di tale comparto (…) non hanno attivato le trattative su aspetti a contenuto non economico demandate dal contratto nazionale sottoscritto a maggio 2022 (triennio 2019/2021)”[15]. Se però consideriamo i dati degli altri comparti, si può notare come nelle Funzioni Locali, a fronte di una netta prevalenza di accordi di tipo economico (63%), sia presente anche un discreto numero (2.779) di contratti a contenuto normativo, pari al 33% del totale. Anche nella Sanità prevalgono nettamente gli accordi a contenuto economico (46%) rispetto a quelli normativi (18%), ma vi è anche un 38% di accordi che riguardano discipline specifiche; una suddivisione simile si riscontra nelle Università, con un 39% di accordi economici e un 21% di accordi normativi, però superati entrambi in percentuale dagli “atti che regolano specifiche materie”.

Il dato sulla sottoscrizione degli accordi conferma anche per il 2024 la partecipazione mediamente piuttosto elevata delle RSU già rilevata negli ultimi anni[16], con un tasso del 92% corrispondente a 15.594 accordi integrativi sottoscritti su 16.971 sedi contrattuali, nazionali e territoriali, che ne prevedono la presenza. Nel comparto Istruzione e ricerca (dove il 98% delle sedi negoziali è rappresentato da sedi di contrattazione nazionale o unica, il 95% delle quali rientrano nella Scuola), il tasso di adesione delle RSU agli accordi integrativi è altissimo (95,7%, ma sale addirittura al 96,2% considerando solo la Scuola), come pure nella Sanità, dove in 299 casi su 330 (90,6%) le RSU hanno aderito agli accordi. La percentuale scende leggermente nelle Funzioni Locali (88,6%, ricordando che in questo comparto la percentuale di sedi di contrattazione integrativa nazionale o unica è del 100%) e flette ulteriormente nelle Funzioni Centrali attestandosi su un valore medio dell’84,1% che, tuttavia, nasconde una forte divergenza fra Ministeri (94,8%) e Enti pubblici non economici (45,8%). Quest’ultimo dato merita forse un piccolo supplemento di riflessione. Nei Ministeri, dove la maggior parte delle sedi di contrattazione integrativa sono decentrate sul territorio, il tasso di contrattazione è basso (28,4%), ma il tasso di adesione delle RSU agli accordi sottoscritti è alto; il che può forse essere interpretato come il segnale di un forte potenziale partecipativo non ancora pienamente espresso, seppure agibile per effetto dei miglioramenti introdotti nel sistema di relazioni sindacali con il CCNL 2019-2021 e della disciplina sulle prerogative delle RSU di cui all’Accordo Nazionale Quadro del 12-4-2022. Per contro, il tasso di adesione modesto che si registra negli Enti pubblici non economici può essere in buona misura ascritto al fatto che in questo settore “sono presenti molti enti di piccolissime dimensioni (ad esempio le sedi ACI o gli Ordini professionali) in cui non è presente la RSU”[17].

Infine, sembra d’uopo dedicare un cenno al dato riguardante gli atti adottati unilateralmente dalle amministrazioni ai sensi dell’art. 40, comma 3-ter, del decreto legislativo 165/2001. Si tratta della norma (a suo tempo introdotta dall’art. 54 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e modificata in modo sostanziale dall’art. 11, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75)[18] che prevede la possibilità per le amministrazioni di definire autonomamente e in via provvisoria le materie oggetto di trattativa, nel caso che non si raggiunga l’accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo e qualora “il protrarsi delle trattative determini un pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa”, fino alla successiva sottoscrizione, proseguendo nel contempo le trattative “al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell'accordo”[19]. Dei 18.116 accordi trasmessi (compresi quelli delle aree dirigenziali), sono appena 120 i casi in cui è stato adottato un atto unilaterale da parte delle amministrazioni (pari allo 0,7%, stessa percentuale del 2023 su 119 casi), oltre la metà dei quali nel settore Scuola dove, fra l’altro, si registra un incremento del 35% rispetto all’anno prima. Il secondo comparto con la maggiore presenza di atti unilaterali è quello delle Funzioni Locali, con 43 provvedimenti su 8.288 accordi (0,5%, in calo rispetto ai 55 provvedimenti su 7.501 accordi del 2023), mentre nelle Funzioni Centrali e nella Sanità la consistenza del fenomeno è quasi impalpabile (rispettivamente 0,4% e 0,2% nel 2024 a fronte di 0,5% e 0,3% nel 2023). Al di là dell’esiguità dei numeri, che comunque mette in risalto la sostanziale efficacia del sistema relazionale delineato nei contratti collettivi nazionali, sembra di poter osservare che il maggiore ricorso agli atti unilaterali si verifichi nei comparti dove è maggiore la presenza di sedi contrattuali di piccole dimensioni. In ogni caso, per un monitoraggio più dettagliato del ricorso agli atti unilaterali da parte delle amministrazioni, lo stesso comma 3-ter dell’art. 40 ha previsto l’istituzione di un apposito “osservatorio paritetico” presso l’ARAN, a cui è demandato il compito di verificare che l’adozione degli atti stessi sia adeguatamente motivata “in ordine alla sussistenza del pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa.” Quadrato Rosso

Note

[1] www.aranagenzia.it/wp-content/uploads/2025/09/14-2025.pdf. Nelle successive citazioni del presente articolo sarà indicato sinteticamente come “Rapporto sul monitoraggio”.

[2] “3-bis. [evidenziazioni nostre] Le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa (…), nel rispetto (…) dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l'impegno e la qualità della performance, destinandovi, per l'ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati (…). La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni.”

[3] Come annunciato nel titolo, il Rapporto presenta le “risultanze di sintesi dell’anno 2024” e una “analisi di dettaglio dell’anno 2023”.

[4] contoannuale.rgs.mef.gov.it/it/web/sicosito/occupazione

[5] “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.”.

[6] La norma citata recita testualmente (l’evidenziazione è nostra): “L'ARAN effettua il monitoraggio sull'applicazione dei contratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa e presenta annualmente al Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell'economia e delle finanze nonché ai comitati di settore, un rapporto in cui verifica l'effettività e la congruenza della ripartizione fra le materie regolate dalla legge, quelle di competenza della contrattazione nazionale e quelle di competenza dei contratti integrativi nonché le principali criticità emerse in sede di contrattazione collettiva nazionale ed integrativa ”.

[7] In particolare, il comma 2 dell’art. 21 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (“Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”) ha previsto per le pubbliche amministrazioni l’obbligo di pubblicare i contratti integrativi stipulati, con la relazione tecnico-finanziaria e quella illustrativa. Quest’ultima deve tra l’altro evidenziare “gli effetti attesi in esito alla sottoscrizione del contratto integrativo in materia di produttività ed efficienza dei servizi erogati, anche in relazione alle richieste dei cittadini.” Per soddisfare tali obblighi e contemperarli al meglio con quelli previsti dall’art. 40-bis del decreto 165, ARAN e CNEL hanno attivato dal 1° ottobre 2015 una piattaforma telematica condivisa per la pubblicazione on-line dei contratti integrativi e delle relative relazioni. La pubblicazione avviene a cura delle amministrazioni stipulanti e la consultazione della banca dati di tutti gli accordi integrativi (di livello nazionale e decentrato) stipulati e depositati nella piattaforma, suddivisi per anno di sottoscrizione dal 2015 al 2025, è liberamente accessibile all’indirizzo www.contrattintegrativipa.it. Alla data di redazione del presente contributo, gli accordi di contrattazione integrativa presenti nella banca dati ARAN-CNEL e consultabili sulla piattaforma on-line ammontano ad oltre 155mila testi contrattuali corredati dalle rispettive relazioni tecniche e illustrative.

[8] Il totale comprende sia le sedi di contrattazione nazionale o di sede unica (17.721) che le sedi di contrattazione territoriale decentrata (2.615). Torneremo più avanti su questo dato, la cui peculiarità consiste nella quasi totale concentrazione delle sedi decentrate territoriali nel comparto delle Funzioni Centrali (2.460, pari al 94% delle analoghe sedi di tuta la p.a.) a fronte di una relativamente modesta presenza di sedi di contrattazione nazionale o di sede unica (824, ovvero appena il 4,6% di tutte le analoghe sedi di contrattazione della p.a.). Per inciso, va osservato che, in generale, dai dati degli ultimi anni si evince che il numero delle sedi di contrattazione integrativa appare in lenta, ma progressiva diminuzione: 21.115 sedi complessive nel 2018; 20.973 nel 2019; 20.747 nel 2022; 20.661 nel 2023; fenomeno che appare proporzionalmente più significativo per le sedi territoriali delle Funzioni Centrali (circa 9% in meno rispetto al 2018) per effetto degli accorpamenti definiti negli accordi di mappatura definiti a livello di singole amministrazioni in occasione delle varie tornate elettorali per il rinnovo delle RSU.

[9] Accordo collettivo nazionale quadro in materia di costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle Pubbliche Amministrazioni e per la definizione del relativo regolamento elettorale

[10] La maggior parte dei dipendenti pubblici contrattualizzati, con qualifica sia dirigenziale che non dirigenziale, si concentra nei comparti Istruzione-Ricerca e Sanità, che insieme assorbono oltre il 60% del personale contrattualizzato. Segue il comparto delle Funzioni Locali con il 14,8%, mentre il personale non contrattualizzato (in regime di diritto pubblico) vale il 17,4% dell’intera forza lavoro della p.a. Per un’analisi approfondita dei dati della Ragioneria Generale dello Stato su struttura e distribuzione del personale della p.a. nei diversi comparti, aggiornati al 12 dicembre 2024, si rimanda al Commento ai principali dati del conto annuale del periodo 2014-2023 pubblicato sul sito del conto annuale e linkabile all’indirizzo: contoannuale.rgs.mef.gov.it/ext/Documents/ANALISI%20E%20COMMENTI%202014-2023.pdf

[11] ARAN, Rapporto sul monitoraggio, cit., pag. 8, tavola 2.

[12] Senza dilungarsi in una sterile teoria di richiami e citazioni, ci limitiamo a ricordare (per l’elevato spessore politico del documento) che in un passaggio cruciale del “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione” sottoscritto da CGIL, CISL e UIL con l’allora Presidente del Consiglio Mario Draghi, si concordava che: “Al fine di sviluppare la contrattazione collettiva integrativa il Governo, previo confronto, individuerà le misure legislative utili a valorizzare il ruolo della contrattazione decentrata”.

[13] ARAN, Rapporto sul monitoraggio, cit., pag. 11, nota 7, avverte peraltro che la distinzione fra le due tipologie “è operata dalle amministrazioni invianti” con criteri non sempre omogenei, come ad esempio nel caso degli accordi di ripartizione annuale delle risorse decentrate.

[14] ARAN, Rapporto sul monitoraggio, cit., pag. 11.

[15] ARAN, Rapporto sul monitoraggio, cit., pag. 12.

[16] Dai rapporti ARAN sulla contrattazione integrativa degli anni precedenti si ricava che il tasso medio di sottoscrizione delle RSU era stato del 94% nel 2023, dell’85,6% nel 2022 e del 90.5% nel 2021.

[17] ARAN, Rapporto sul monitoraggio, cit., pag. 15.

[18] Al riguardo, è utile ricordare che l’accordo governo-sindacati del 30 novembre 2016 sul rinnovo dei contratti pubblici e sul rafforzamento delle relazioni sindacali nella pubblica amministrazione aveva previsto – al paragrafo 1, lettera c) - l’impegno dell’allora governo a “riformare l’art. 40, comma 3-ter, del D.Lgs. 165/2001”, limitando il ricorso delle amministrazioni all’atto unilaterale motivato ai soli casi nei quali “il perdurare dello stallo nelle trattative, per un periodo di tempo che sarà definito nei contratti collettivi, determini un pregiudizio economico all’azione amministrativa” e prevedendo che gli stessi contratti collettivi determinassero “la durata massima della vigenza dell’atto unilaterale”. A titolo di esempio, il CCNL Funzioni Centrali 2022-2024 (riprendendo un’analoga clausola del CCNL 2019-2021), art. 8, comma 5, ha circoscritto il perimetro di applicazione dell’art. 40, comma 3-ter, delimitando il novero delle materie di contrattazione integrativa (fra quelle previste nell’art. 7 dello stesso CCNL) per le quali il protrarsi delle trattative “determini un oggettivo pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa” con conseguente possibilità per l'amministrazione interessata di provvedere autonomamente, in via provvisoria, con proprio atto fino alla successiva sottoscrizione, ma anche con l’obbligo di proseguire comunque le trattative “al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell'accordo”.

[19] Fra le modifiche introdotte dal D.Lgs. 75/2017 vi è anche la previsione che i contratti collettivi nazionali possano “individuare un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata”, decorso il quale l'amministrazione interessata possa adottare un atto unilaterale sulle materie oggetto del mancato accordo. Ad esempio, la clausola contrattuale del CCNL Funzioni Centrali ricordata nella nota n. 18 ha fissato un termine minimo di durata delle sessioni negoziali, prima che scatti l’art. 40, comma 3-ter del d. lgs. n. 165/2001, pari a 45 giorni, eventualmente prorogabili di ulteriori 45.

[*] Dipendente del Ministero del Lavoro dal 1984 al 2009 e, dal 2009 ad oggi, del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Ha collaborato alla realizzazione della collana di volumi “Lavoro e contratti nel pubblico impiego” per la UIL Pubblica Amministrazione. Dal 1996 al 2009 è stato responsabile del periodico di informazione e cultura sindacale “Il Corriere del Lavoro”. Dal 2011 al 2023 ha collaborato alla redazione del notiziario “Mercato del lavoro e Archivio nazionale dei contratti collettivi” del CNEL.

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