
Nel contesto della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il tema dell’inidoneità alla mansione specifica riveste un ruolo di primaria importanza. L’inidoneità può essere definita come l’impossibilità, totale o parziale, permanente o temporanea, a svolgere una determinata attività lavorativa per motivi legati allo stato di salute del lavoratore, accertati dal medico competente. Tra le varie forme, particolare rilievo assumono l’inidoneità temporanea e l’inidoneità assoluta, che pongono sfide concrete nella gestione del rapporto di lavoro.
La disciplina dell’idoneità al lavoro trova fondamento nel D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro), che all’art. 41 definisce la sorveglianza sanitaria come l’insieme di atti medici finalizzati a valutare l’idoneità del lavoratore rispetto ai rischi specifici della mansione.
L’esito della visita medica può comportare una delle seguenti formulazioni:
L’inidoneità, dunque, non è una condizione generica, ma una valutazione clinica che tiene conto della specifica mansione e dei rischi ad essa connessi. L’obiettivo è tutelare il lavoratore da un possibile aggravamento delle proprie condizioni di salute.
L’inidoneità temporanea si verifica quando il lavoratore, a causa di una patologia o condizione transitoria, non può svolgere le attività previste dalla propria mansione, ma tale condizione è destinata a rientrare in un determinato arco temporale.
Il medico competente può stabilire l’inidoneità temporanea per un periodo definito, al termine del quale il lavoratore dovrà essere sottoposto a una nuova visita per la rivalutazione della propria idoneità.
In questi casi, il datore di lavoro è tenuto a:
Dal punto di vista retributivo, se non è possibile assegnare il lavoratore ad altre mansioni, si applica la disciplina della malattia, con il trattamento economico previsto dal contratto collettivo applicato.
Diversa è la situazione in caso di inidoneità assoluta permanente, ovvero quando il medico competente certifica che il lavoratore non potrà più svolgere la mansione in modo stabile e definitivo.
In questo caso, l’art. 42 del D.Lgs. 81/2008 prevede che il datore di lavoro debba, ove possibile, adibire il lavoratore a una mansione diversa compatibile con il suo stato di salute, anche modificando l’organizzazione del lavoro. L’art. 2103 c.c., nella formulazione riformata dal Jobs Act (D.Lgs. 81/2015), consente la modifica delle mansioni (anche inferiori) a condizione che venga garantita la conservazione della retribuzione.
Solo nel caso in cui non sia possibile alcun ricollocamento, il datore di lavoro può valutare la risoluzione del rapporto, configurando l’inidoneità come giustificato motivo oggettivo.
La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che, prima di giungere a una risoluzione del contratto per inidoneità, il datore di lavoro è tenuto a valutare concretamente ogni possibile soluzione organizzativa. Non basta un generico riferimento all’impossibilità di reimpiego: è necessario dimostrare che sono state esplorate tutte le alternative compatibili con le condizioni cliniche del lavoratore.
In particolare, la Cassazione n. 15058/2021 ha evidenziato come il datore debba attivarsi proattivamente per evitare la cessazione del rapporto, anche mediante una riorganizzazione interna delle mansioni. L’inerzia può integrare una condotta discriminatoria o illegittima.
Nel caso in cui l’inidoneità derivi da una patologia di origine professionale, è fondamentale attivare le tutele previste dall’INAIL, come l’assegno per l’assistenza personale continuativa o l’eventuale riconoscimento di invalidità civile e inabilità lavorativa (parziale o totale).
In presenza di inidoneità assoluta, il lavoratore può presentare domanda per il riconoscimento della pensione di inabilità (ex art. 2, legge 222/1984) se sussistono i requisiti sanitari e contributivi, oppure per la pensione anticipata se rientra tra i lavoratori “precoci” o gravosi.
È essenziale che la gestione dell’inidoneità avvenga nel rispetto della riservatezza del lavoratore, nel rispetto della normativa GDPR e della deontologia medica.
Il medico competente comunica l’esito della visita in termini di idoneità o inidoneità, senza specificare la diagnosi. Solo il lavoratore ha facoltà di comunicare, se lo desidera, i dettagli clinici al datore.
Tutta la documentazione deve essere conservata nel fascicolo sanitario aziendale e ogni decisione relativa al rapporto di lavoro deve essere adeguatamente motivata e documentata, per evitare contenziosi.
La dichiarazione di inidoneità, sia temporanea che assoluta, rappresenta un momento delicato della vita lavorativa, che coinvolge aspetti sanitari, giuridici, organizzativi e umani. È compito del datore di lavoro, coadiuvato dal medico competente e dal RSPP, gestire tali situazioni con attenzione e responsabilità, evitando soluzioni affrettate o discriminatorie.
La corretta applicazione delle norme, unita a una gestione trasparente e documentata, consente di tutelare non solo il diritto alla salute del lavoratore, ma anche la sostenibilità dell’organizzazione aziendale nel rispetto dei principi di equità e giustizia. ![]()
[*] Responsabile Ufficio Vertenze CISAL di Udine
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