Effemeridi • Pillole di satira e costume, per distrarsi un poco
Durante alcuni giorni di vacanza trascorsi nel paesino d’origine della mia famiglia e rifugio di molti villeggianti romani, sono affiorate in me alcune riflessioni che desidero condividere con voi lettori.
Tra una passeggiata e un’altra, assorta nel dolce rumore dell’acqua e il suono delle campane, di tanto in tanto giungevano alle mie orecchie alcune note stonate: scambi di dialoghi frammentati e battute veloci esclamavano: “non voglio sembrare uno sfigato“, “così sembri più figo!”, “ero l'unico sfigato…”. Delusa di sentirle provenire sia da voci adulte che adolescenti, quelle note si erano insinuate tra i miei pensieri, intenti ad intercettarne il lato criptico e rivelatore. Mi era difficile immaginare infatti che all’interno di una mente, all’apparenza ampia, de- condizionata oppure in fase di sviluppo, potesse dimorare o insistere annidato un popolare aggettivo e sostantivo, popolare e pregiudizievole.
Per quanto a volte ci venga suggerito di non darle peso, le parole hanno comunque il potere di emanare stereotipi, di pietrificarsi in un’automatica convinzione, diventando “filtri”, attraverso cui si proiettano giudizi, perlopiù etichette rivolte ad altri o a se stessi. Vocaboli somministrati e annidati nel tempo, giungono all’ascolto amplificati, tanto da potersi trasformare in preconcetti o in risonanze culturali.
Sul vocabolario Treccani si legge: -sfigato, der. di sfiga, pop. -agg. di persona, che ha sfortuna; è nato s.; disgraziato, scalognato, sfortunato, sventurato [persona sfigata], iellato; infelice.
Questo vocabolo sembra abbia iniziato a diffondersi negli anni ’70, segnati anche da un’importante crisi economica. Mi ero chiesta se all'interno di una qualsiasi crisi, potrebbe sorgere una esigenza/urgenza lessicale, orientata a tamponare un disagio, o a doverlo giudicare e in particolare, se nell’uso del vocabolo “sfigato” ci fosse anche un sottile desiderio di invocare la dea “Fortuna”... Quella dea che, bendando se stessa, può oscurare la vista di chiunque a lei si sottometta per essere conformato. Così, le imposte identificazioni si fanno interferenze, frapponendosi tra il rumore del verbo ‘apparire’ e la sacra vibrazione del verbo ‘essere’. Vibrazione sacra, perché intonata, che si muove senza temere sguardi e guida verso la scoperta della propria autenticità. Quel luogo in cui soltanto l’assenza di maschere bendate può svelarci liberi di illuminare ogni parte di noi, rendendo omaggio ad una “krisis” che giunge proprio per indicarci le nostre fragilità, e diviene “Fortuna versus Sapientia”. ![]()
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