Anno XIII - n° 72

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Novembre/Dicembre 2025

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Effemeridi • Pillole di satira e costume, per distrarsi un poco

Natale ieri e oggi


di Fadila

Proprio in questi giorni, quand’ero bambino, cominciavo a sentire l’aria di Natale grazie all’agire di mio padre. Avvisava i miei fratelli più grandi che era arrivato il tempo di andare in campagna a cercare il muschio, che chiamavamo comunemente vellutello, nei luoghi ombrosi e umidi dove cresceva. Serviva per il presepe, il simbolo unico ed esclusivo della festività più importante del Cristianesimo. Quando andavano via lasciandomi in casa, ci rimanevo male e il dispiacere era grande, attenuato solo dal pensiero che a breve ci sarebbero state le vacanze, quindici giorni lontano dalla scuola che non amavo come la maggioranza dei ragazzi dell’epoca. Soprattutto per le rigide regole di comportamento la cui violazione comportava sanzioni dure e umilianti come la bacchettata dolorosa sulle nocche della mano. Era il timore a prevalere, non l’invito alla socialità.

Una volta raccolto e messo ad asciugare, la casa diventava tutto un cantiere perché il plastico era grande e complesso soprattutto per l’apparato elettrico e il sistema idraulico. Alla conclusione dei lavori si presentava ai nostri occhi e a quelli dei visitatori uno spettacolo da sogno che stimolava la fantasia; un mondo affascinante e fiabesco così diverso dalla dura realtà.

Mia madre non stava a guardare, impegnata a organizzarsi per la parte di sua competenza. Qualche giorno prima dell’evento, con la pasta lievitata nel corso della notte, predisponeva diverse pagnotte e strisce di pizza bianca. perché all’epoca il pane si faceva prevalentemente in casa. La provvigione doveva servire per un paio di settimane; così nell’ultimo periodo se non si bagnava c’era il rischio che saltasse qualche dente. Poi preparava i dolci i cui ingredienti erano farina, uova e zucchero. Si trattava di un ciambellone, vari tipi di paste e per me, il più piccolo di casa, un paio di angeli cosparsi di tubetti variopinti. Portarli al forno richiedeva molta abilità e attenzione. Sistemato il carico su una tavola di oltre due metri, la poneva con grande maestria derivata dall’esperienza sulla testa protetta da un panno a forma di ciambella che faceva da ammortizzatore e si dirigeva al forno procedendo con cautela, soprattutto d’inverno, sul lastricato spesso bagnato o addirittura ghiacciato.

Il pranzo rappresentava il momento più importate della giornata. La tavola era predisposta per accogliere anche la famiglia di mio zio e le portate erano varie e appetitose, con il piatto forte rappresentato dalla carne, cibo riservato solo per eventi particolari; era quello un tempo in cui la fame non era estranea a tante famiglie. Pertanto prima di iniziare, era doveroso e sentito profondamente il ringraziamento a Dio per quel modesto benessere.

Si sa che i bambini, diversamente dagli anziani, hanno la sensazione che il tempo scorre lentamente, eppure per me quelle due settimane di vacanza passavano troppo velocemente. L’ultimo giorno era quello della Befana addetta a portare doni ai bambini. Dopo una notte pressoché insonne per l’attesa, la mattina, diversamente da quando dovevo andare a scuola, saltavo dal letto per raggiungere il camino e prendere la calza gonfia e allungata per il peso del contenuto che tuttavia provocava qualche delusione. Infatti, l’elemento prevalente era il carbone, quello vero, che rappresentava l’elemento punitivo, come c’era scritto nella lettera di accompagnamento, per le numerose marachelle compiute nel corso dell’anno. Era purtroppo tutto vero, ma ho avuto sempre il sospetto che fosse anche una giustificazione per le difficoltà economiche in un periodo così difficile come l’immediato dopoguerra. Il resto era formato da mandarini, torroncini e un libro di lettura per ragazzi.

Oggi è tutto diverso e anche il Natale non si sottrae ai riti di una società ricca, basata sul consumismo. La pubblicità sui mezzi di comunicazione inizia con largo anticipo, un mese prima e lo stesso vale per le vetrine dei negozi sfavillanti di luci e addobbi per invogliare l’acquisto dei beni di ogni tipo. Babbo Natale ha sostituito la Befana, risultando vincente per una serie di motivi tra cui l’immagine gioviale rispetto alla vecchia megera e la data della sua presenza, la notte di Natale che consente ai destinatari, soprattutto bambini e ragazzi, di godersi i doni ricevuti per il lungo periodo delle vacanze, prima di tornare a scuola. Anche se ho qualche rimpianto per la vegliarda, devo dire che la sua sostituzione ci può stare. Meno accettabile è quella del presepe con l’albero, simbolo dei paesi nordici e anglosassoni. Purtroppo con le nuove generazioni sembra un fatto compiuto, salvo i nostalgici delle passate generazioni. Sebbene sia festoso con le sue luci sfavillanti e gli addobbi variopinti non lo ritengo paragonabile al simbolo della nostra tradizione, un luogo dove ancora si sprigiona la mia fantasia e un simbolo di un mondo pacifico e felice. Comunque sia, nonostante tutti i cambiamenti, Natale da riferimento fondante del cattolicesimo si è trasformato nella festa di tutti, credenti e non; oggi appare sempre più la festa dell’umanità. Quadrato Rosso

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