Forma... e Riforma... per ridisegnare i futuri centri per l’impiego

di Stefano Olivieri Pennesi [*]

Olivieri PennesiI Centri per l’impiego - CpI sono stati generati sulle spoglie degli ex Uffici di Collocamento. Sorti con il d.lgs. n.496/1997 essi hanno subito ulteriori modifiche normative di cui al d.lgs. n.181/2000 e d.lgs. n.297/2002. Sono stati posti sotto l’egida delle Province, presenti su tutto il territorio nazionale in numero di 553 sedi che vedono impegnato un organico di circa 7200 unità (fonte Upi-unione province italiane).

Cerchiamo quindi di sintetizzare cosa sono e cosa fanno i Centri per l’impiego. Essi sono strutture pubbliche, gestite a livello locale e dipendenti dalle Province con il compito di offrire servizi in tema di collocamento per i lavoratori, come anche per le imprese, quali: accoglienza, orientamento, preselezione, incontro domanda/offerta di lavoro, consulenza; parte di questa attività veniva svolta in passato, come detto, dagli ex Uffici di Collocamento dipendenti dal Ministero del Lavoro. Per beneficiare dei servizi dei Centri per l’Impiego, certificando lo stato di disoccupazione/inoccupazione, è obbligatorio iscriversi attestando al contempo l’immediata disponibilità al lavoro.

Con l’avvento dei Centri per l’Impiego sono state abolite le liste di collocamento (ad eccezione delle liste di collocamento dei disabili di cui alla legge n.68/1999), il tesserino di iscrizione mod.C1, nonché il libretto di lavoro. L’assunzione al lavoro quindi, oggi, non richiede l’obbligatorietà d’iscrizione ai Centri in quanto si può legittimamente procedere per chiamata diretta da parte delle aziende e/o privati imprenditori, con il solo vincolo di comunicazione obbligatoria on line per assunzione, proroga, trasformazione, cessazione, dei rapporti di lavoro, ai sensi del decreto interministeriale 30 ottobre 2007. Modalità e documentazione prevista per l’iscrizione ai Centri può variare da luogo a luogo.

Affiancati ai Centri per l’impiego esistono altre realtà, operative negli stessi ambiti, vale a dire di intermediazione al lavoro, sia private che pubbliche: agenzie, istituzioni scolastiche, università, comuni, camere di commercio, sindacati dei lavoratori e datoriali, patronati, enti bilaterali ecc. che si occupano di collocamento per mezzo della cosiddetta liberalizzazione introdotta dall’art.29 dalla legge n.111/2011. Tali soggetti vengono autorizzati, per l’attività d’intermediazione, previa interconnessione-accreditamento alla Borsa continua nazionale del lavoro, gestita con il portale telematico, del Ministero del Lavoro, denominato Cliclavoro.

Il nostro sempre più asfittico mercato del lavoro dovrebbe però trovare rinnovate spinte propulsive a partire da una missione pensata ed agganciata a più moderni servizi pubblici per l’impiego, non essendo, a parere di chi scrive, sufficienti i nuovi innesti, in ambito privato, di soggetti solo parzialmente interessati a risultati complessivi legati ad una reale ed efficace governance del sistema di welfare-lavoro.

Esempi in tal senso possono esser gli altri sistemi europei di welfare per il lavoro, che si focalizzano, da una parte seguendo i percorsi lavorativi da lavoro a lavoro, nonché, nei periodi transitori di inoccupazione, dall’altra parte sottoponendo il riconoscimento del diritto soggettivo ad una indennità di disoccupazione previo vincolo alla partecipazione obbligatoria ad iniziative di inserimento lavorativo, ricerca delle opportunità occupazionali, progettazione e formazione finalizzata alla concreta occupabilità.

Parallelamente il nostro Paese dovrebbe finalmente completare un intervento organico di riforma degli ammortizzatori sociali, al momento ancora indissolubilmente e sostanzialmente legati ai settori produttivi di appartenenza, ovvero, per la cassa in deroga, a scelte discrezionali mediate dalle istituzioni Regionali.

Ebbene, il suddetto strumento di welfare meriterebbe di essere ripensato anche alla luce di obbligatorie ed essenziali interconnessioni con interventi di politica attiva e reimpiego professionale, tali da offrire fattive tutele nel passaggio tra le diverse condizioni lavorative, più che limitarsi a mero strumento tampone e aggiungo emergenziale, per la garanzia di un quantitativo seppur ridotto di reddito.

Dare efficienza al mercato del lavoro, oltre che essere un fondamentale obiettivo del nostro Paese, è al contempo una necessità per l’intero consesso dell’Unione Europea, talché si possa praticare una fattiva promozione della mobilità sociale, da intendersi come agibilità agli strumenti e alle garanzie che consentono ad ogni cittadino di idearsi un percorso lavorativo e di carriera scevro da lunghi periodi di inoccupazione prodotti da fattori endogeni ed involontari.

Ovviamente, una maggiore efficienza si realizza grazie anche a più consistenti azioni di intervento adeguate, però, non solo per quantità ma anche per qualità della spesa. Di certo il declino dell’economia italiana, riscontrabile concretamente soprattutto nell’ultimo decennio, si configura con una ridotta crescita in termini di Pil come anche per produttività marginale di settori strategici, ad esempio del made in Italy, ma anche sul versante dell’innovazione della ricerca e dello studio. È di tutta evidenza, quindi, come in tale quadro di mancata efficienza del sistema produttivo nonché di istruzione e formazione, incidono negativamente su un più corretto ed efficiente funzionamento del mercato del lavoro in Italia.

Per ragionare più compiutamente sulla tematica generale delle politiche del lavoro è bene descrivere la composizione della spesa, magari con accenni di comparazione con dati della Commissione Europea. Nell’ultimo decennio la spesa italiana per le politiche del lavoro si è attestata a circa 1,5% del Pil con una distribuzione di circa il 55% destinato alle politiche passive (indennità di disoccupazione) il 40% circa per le politiche attive (interventi e incentivi all’occupazione) e il restante 5% circa in servizi per il lavoro (interventi di accompagnamento per assistere i disoccupati, gli inoccupati, i sottoccupati, alla ricerca di impiego). In sostanza il grosso della spesa si concentra sulla categoria dei disoccupati per interventi di reimpiego e/o sostegno passivo e soltanto in minima parte per assistere e seguire chi è alla ricerca di lavoro ovvero i lavoratori, come anche chi non cerca lavoro, non studia, non si forma, vale a dire quella categoria sociologica denominata Neet. In buona sostanza, per tentare di rendere maggiormente efficace e duttile il mercato del lavoro, sarebbe auspicabile una più stretta combinazione tra politiche attive e servizi per il lavoro.

In Italia il sistema dei servizi per il lavoro si è sviluppato, soprattutto nel più recente passato, in una modalità che possiamo definire duale: centri per l’impiego pubblici/agenzie private (spesso di lavoro interinale). Chi cerca un impiego molto spesso lo fa rivolgendosi ai servizi per il lavoro, ovvero quelle strutture pubbliche e private che si occupano sia di orientare che di mediare, con la finalità di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, solo dopo aver percorso altre strade e modalità di ricerca, relegando quindi conseguentemente, al servizio pubblico, le casistiche con profili di maggiore criticità. Nel nostro Paese però, purtroppo, l’effettiva collocazione lavorativa prodotta dal sistema (pubblico/privato) risulta particolarmente inadeguata, soprattutto rispetto agli standard europei, sostanzialmente più elevati.

Negli altri Paesi Eurolandia, anche a causa di un maggior numero di accessi ai servizi specializzati per l’impiego, da parte sia dei lavoratori che delle imprese, l’effettivo collocamento lavorativo raggiunge percentuali maggiormente consistenti. Questo in parte si spiega con la nostra naturale forma mentis, che ci suggerisce un più frequente e aggiungo voluto, ricorso ai contatti interpersonali, amicali, familiari, professionali, che spesso degradano in pura raccomandazione per la ricerca di una qualsivoglia occupazione. In parte però questa reale anomalia si accompagna con una effettiva non adeguatezza e funzionalità e quindi debolezza generale, dei nostri servizi per l’impiego, che d’altro canto soffrono altresì di scarsità generale d’investimenti da parte del più generale sistema paese.

Job Search 2La scarsa efficacia delle politiche attive, come dei programmi di formazione al lavoro, non aiutano ad accompagnare le persone ad un lavoro o ad un nuovo lavoro. Troppo spesso queste politiche risultano inadeguate, limitandosi sostanzialmente a corsi di formazione generici più che a percorsi mirati per l’inserimento lavorativo. Questo avviene anche perché in Italia vige una modalità di concessione dell’erogazioni dell’indennità o ammortizzatore, legandola alla effettuazione e/o partecipazione a misure di politica attiva fornita dal sistema dei servizi per il lavoro. Ogni disoccupato/inoccupato più che venire accompagnato al lavoro viene ad essere considerato attore passivo di interventi formativi troppo spesso inutili o evanescenti. Il nostro Paese avrebbe, di contro, assolute necessità di riformare radicalmente i servizi partendo dall’acquisizione di consistenti numeri di orientatori, utilizzabili dai soggetti passivi, per conoscere e far conoscere i reali fabbisogni delle imprese del nostro Paese che devono necessariamente confrontarsi concorrenzialmente in una economia globale altamente dinamica.

La problematica sopra delineata assume ovviamente caratteri emergenziali anche alla luce dei gravissimi tassi di disoccupazione che registra la nostra Nazione, dove abbiamo una platea di oltre tre milioni di disoccupati un tasso complessivo di circa il 12% e punte del 40% nella coorte dei giovani e dove altresì questi dati peggiorano ulteriormente nelle zone svantaggiate del nostro mezzogiorno e ormai non solo, dove a rendere se possibile più preoccupante la situazione è il dato riguardante la manodopera inutilizzata di genere femminile.

In Italia le politiche del lavoro sono state sostanzialmente attribuite alle Regioni che hanno potuto quindi disporre di competenze e risorse, in modo particolare hanno beneficiato della quasi totalità dei finanziamenti destinati dall’Unione Europea per lo sviluppo e per il lavoro. Segnatamente, sono state implementate finanziariamente le politiche attive, la formazione, i servizi per il lavoro, le pari opportunità, nonché le start up per creare impresa e sviluppo dell’esistente.

È comunque utile segnalare che tali flussi finanziari, più che verificati in termini di efficacia di interventi, sono stati oggetto di meri controlli e rendicontazioni contabili da parte degli organi di verifica nazionali ed europei. D’altro canto, nel nostro Paese, esiste nei fatti una netta separazione tra le risorse destinate agli ammortizzatori sociali e agli incentivi decisi a livello centrale e gravanti sul bilancio statale e le risorse e strumenti destinati alla formazione e alle politiche attive, di erogazione regionale e provenienti in parte anche dall’Unione Europea, ovvero cofinanziati.

È facile quindi immaginare che questa divisione rappresenta un concreto ostacolo ad un indispensabile e reale collegamento tra le misure di sostegno al reddito ed interventi per l’occupabilità, l’inserimento e il reinserimento al lavoro (vedasi anche un futuribile e aggiungo auspicabile, salario d’ingresso o di prima istanza) per i destinatari di tali azioni.

Si rende quindi necessaria una iniziativa che tenda alla proficua interconnessione sul territorio tra indennità, servizi e politiche attive, con una regia complessiva centrale che guidi-orienti le diversità e peculiarità del territorio, modulate spesse volte disarmonicamente tra Regioni e Province, quali attori locali. E’ necessario quindi un funzionamento complessivo del mercato del lavoro che implichi obbligatoriamente il coordinamento tra Regioni e Province al fine di garantire livelli delle prestazioni maggiormente uniformi a livello nazionale, non perdendo di vista il confronto anche con le 267 regioni d’Europa.

È proprio questa disomogeneità dei sistemi regionali italiani, rapportati al sistema nazionale per il lavoro, che costituiscono un gravoso e pericoloso vulnus. Più nel dettaglio si riscontra l’assenza di livelli standard circa la qualità delle prestazioni dei servizi per il lavoro; esistono non uno ma svariati sistemi informativi, spesso disaggregati, relativamente alla rilevazione dei fabbisogni formativi e professionali delle imprese; le risorse e le competenze circa le attribuzioni dei servizi per l’impiego mutano da Regione a Regione; molte Regioni non attuano puntualmente l’obbligo normativo inerente la radiazione delle liste di disoccupazione per coloro che immotivatamente rifiutano più di una volta proposte occupazionali ovvero percorsi di riqualificazione professionale.

Lo snodo fondamentale per rafforzare il ruolo dei servizi per l’impiego è certamente un più intenso collegamento con le cosiddette politiche attive, laddove è necessario sostanziare il diritto/dovere per ogni disoccupato/inoccupato di ricevere un orientamento il più possibile personalizzato a cui legare la partecipazione a processi di reimpiego e occupabilità.

Centro Per LimpiegoÈ lampante come l’attribuzione della responsabilità pubblica si configuri nella verifica della corretta destinazione delle risorse assegnate per la formazione e il lavoro, nonché, del governo del mercato del lavoro a livello territoriale, sia con il sistema dei servizi per l’impiego, coinvolgendo Regioni ed Enti Locali e sia le Direzioni territoriali del lavoro. Non da ultima andrebbe reigegnerizzata la struttura esistente delle agenzie private per il lavoro, rivedendo e attualizzando le autorizzazioni ed accrediti esistenti per meglio vigilare e valutare le distorsioni dell’intero sistema, dove spesso convivono realtà altamente qualificate con altre più approssimative, rispetto alle garanzie di professionalità e trasparenza operanti in settori particolarmente a rischio, quali gli ambiti del mercato del lavoro nel mezzogiorno, ma come anche altre zone d’Italia.

In buona sostanza il sistema complessivo del mercato del lavoro e specificamente i servizi per il lavoro migliorerebbe le proprie performance efficientando ed ottimizzando il rapporto tra servizi pubblici e sistema dei soggetti autorizzati e accreditati ovvero principalmente le agenzie private operanti sul territorio. Attivare al massimo le sinergie tra pubblico e privato anche per mezzo di interconnessioni di banche dati, al momento distinte e separate, sfruttando al contempo l’enorme dote costituita dai diversi database posseduti dall’Inps, per quanto attiene soprattutto il macroaggregato degli Ammortizzatori.

Infine, riconsiderare l’utilità di uno strumento quale un novello Osservatorio del mercato del lavoro nazionale-regionale ma anche distrettuale, sulla scorta di una distribuzione locale dei distretti lavorativi industriali, agricoli, terziari. Il sistema, quindi, dovrebbe tendere a migliorare il governo del territorio, dal punto di vista lavoristico, con lo scopo principe e assolutamente prioritario di omogeneizzare i livelli dei servizi offerti globalmente.

Job SearchInfine, svolgiamo alcune considerazioni circa i migliori strumenti e le migliori idee da mettere in campo per creare un programma articolato di politica attiva necessaria per combattere il gravissimo fenomeno della disoccupazione giovanile. Con sempre maggiore frequenza si sta ragionando, in ambito europeo e conseguentemente nel contesto nazionale, della cosiddetta “garanzia giovani” vale a dire la modalità per la quale alla fuoriuscita dei giovani dal loro percorso scolastico il sistema generale garantisca, in un arco temporale ridotto 4-6 mesi dal termine degli studi, l’inserimento in un percorso lavorativo ovvero di ulteriore formazione/specializzazione.

Per tale missione l’Unione Europea, nella programmazione del Budget periodo 2014-2020, ha stanziato complessivamente 6 miliardi di euro di cui circa 500 milioni per l’Italia. Per l’utilizzo di queste risorse, da parte del nostro Paese, si è aperto, a parere dell’autore, una insensata polemica circa la destinazione di tali fondi a vantaggio del circuito delle Agenzie private ovvero a favore dei troppo vituperati Centri per l’Impiego statali.

La questione si ritiene sia la messa in campo di politiche d’intervento fattive che affrontino il problema dell’inoccupazione o sottoccupazione dei giovani coinvolgendo risorse e professionalità al contempo sia pubbliche che private.

La base su cui certamente operare è altresì il tesoro di banche dati ed archivi distribuiti in modo disaggregato, patrimonio spesso esclusivo di differenti soggetti/istituzioni detentori di una vera e propria essenziale infrastruttura cognitiva, che possa essere apportata in dote ad una sorta di agenzia federale su base nazionale, che si occupi di strategie generali, del coordinamento degli interventi, della misurazione degli standard delle prestazioni offerte, ecc.

In sostanza è bene affermare che pur in presenza di un sistema duale, di governo del mercato del lavoro, questo non deve sfociare in bieca rivalità operativa ma deve fare delle diversità un mezzo per ampliare la qualità/quantità dei servizi offerti per un maggior numero possibile di beneficiari.

Per concludere merita fare un breve accenno ad alcune soluzioni concrete messe in campo, quali buone pratiche, anche se in modalità disomogenea, da parte di amministratori ed amministrazioni illuminate, per poter offrire risposte ancorché parziali, alla grande fame di lavoro di cui soffrono i nostri territori. Mi riferisco ad iniziative quali “orti di città”, dove i sindaci mettono a disposizione anche a dei disoccupati residenti, lotti di terreni agricoli di proprietà comunale, per il loro utilizzo; o anche una sorta di “casa dei mestieri” quale scuola di formazione per giovani o cassaintegrati, per imparare un mestiere o una professione o semplicemente ampliare proprie conoscenze/competenze lavorative.

Anche in passato sono stati utilizzati sistemi innovativi promossi dall’amministrazione pubblica (Ministero del Lavoro e Ministero dell’Agricoltura) orientati alla concreta formazione di manodopera generico ma anche specializzata, si cita al riguardo l’ottima iniziativa dei “campi lavoro estivi” utilizzati in agricoltura anche con la collaborazione dei consorzi agrari, per i raccolti, la bonifica, il rimboschimento, la conversione di terreni agricoli, ecc. tali esperienze, ritengo, si potrebbero certamente replicare apportando e attualizzando, con modeste correzioni, i progetti generali di massima.

A puro esempio esplicativo si citano una sorta di “stage lavorativi agricoli” con riconoscimento di punteggi valevoli quali crediti formativi di studio a favore di studenti diplomandi o laureandi.

Da ultimo è bene anche un accenno circa il ruolo svolto sempre più dai social network e da intenet rispetto alla ricerca di personale e alla cassa di risonanza che lo strumento telematico rappresenta, esempio in tal senso è rappresentato da un portale particolarmente frequentato come LinkedIn.

Job Search 3Degno di nota è anche il ruolo sempre più crescente assunto da organizzazioni di volontariato del tipo Caritas, destinatari di attenzioni, di prima accoglienza ed assistenza per le povertà estreme, ma anche, e in maniera sempre più rilevante e frequente, per richieste di aiuto, finalizzate alla ricerca di lavoro. Ebbene, tali entità oltre ad essere un reale ammortizzatore sociale rappresentano, al contempo, un luogo dove sempre più ci si rivolge da parte di chi perde il lavoro e cerca disperatamente uno nuovo e dove, conseguentemente, si formano interessantissime e fondamentali banche dati dotate anche di una estensione territoriale di assoluta valenza, rispetto alla dimensione strutturale assunta dalla citata organizzazione caritatevole, nella quale, al contempo, si formano figure professionali e competenze conoscitive che dovrebbero potersi innestare ed utilizzare nei macroaggregati e nelle realtà esistenti operanti nell’ambito del welfare lavorativo, come ulteriore terminale attivo, ad uso collettivo.

(*) Professore a contratto c/o Università Tor Vergata – Roma – titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro”.
Il Prof. Stefano Olivieri Pennesi è anche Dirigente del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Ogni considerazione è frutto esclusivo del pro-prio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza ai sensi della Circolare del Ministero del Lavoro del 18 marzo 2004


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