La bocciatura della riforma sulla dirigenza pubblica

L'esclusione dei corpi intermedi non paga
di Pietro Napoleoni

Pietro Napoleoni“Pensate che abbiamo fatto una legge delega con i decreti legislativi, per rendere licenziabile un dirigente pubblico che non si comporta bene, e la Corte Costituzionale ha detto che siccome non c'è l'intesa con le Regioni, e avevamo chiesto i pareri, il decreto è illegittimo”. È il piccato commento dell'ex premier Matteo Renzi dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicato illegittime fondamentali norme della legge del 7 agosto 2015, n. 124, contenente le deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni.

In modo particolare la sanzione della Corte si è abbattuta sulle parti riguardanti la dirigenza pubblica, il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale.

Un ampio ventaglio di norme riguardanti la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni comprese quelle regionali e locali che, secondo la Corte, incidono in ambiti riconducibili alla competenza dello Stato ma che interferiscono in misura rilevante con le competenze regionali in materia di organizzazione amministrativa.

Un palese concorso di competenze inestricabilmente connesse, nessuna delle quali si rivela prevalente, ma ciascuna delle quali concorre alla realizzazione dell'ampio disegno riformatore delle amministrazioni pubbliche. Quindi, l'intervento del legislatore statale, dice la Corte, deve muoversi nel rispetto del principio di leale collaborazione indispensabile a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie. E il luogo idoneo di espressione della leale collaborazione deve necessariamente essere individuato nella Conferenza Stato-Regioni, ma solo attraverso una intesa, e non già attraverso il semplice parere non idoneo a realizzare un confronto autentico, con gli enti territoriali coinvolti.

Solo l'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, contraddistinta da una procedura, garantisce lo svolgimento di genuine trattative finalizzate al contemperamento delle rispettive competenze. La mancanza della previsione dell'intesa con la Conferenza Stato-Regioni e conseguentemente il mancato rispetto del principio di leale collaborazione ha determinato la sanzione della illegittimità costituzionale. L'intesa presuppone un accordo, il parere è semplicemente un’opinione, un avviso, che lascia poi il campo libero alla conseguente iniziativa governativa.


Napoleoni 19 20 2Che le norme oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale non fossero conformi alla Costituzione lo aveva già sottolineato il Consiglio di Stato in sede di espressione del parere sullo schema di decreto delegato riguardante la riforma della dirigenza pubblica. L'Alta Magistratura nello svolgimento dell'ampio e articolato parere, non privo di rilievi nel merito, ha in più riprese sottolineato il dubbio della conformità alla Costituzione di numerose norme della legge di delega n. 124/2015 sotto il profilo della previsione del parere, in luogo dell'intesa, con la Conferenza Stato-Regioni pur in presenza della competenza legislativa esclusiva regionale in materia di organizzazione amministrativa, ai sensi dell'articolo 117,comma 4, della Costituzione.

La bocciatura da parte della Corte Costituzionale di uno dei più importanti atti del Governo Renzi, e il clamore che ha suscitato, va evidentemente al di là del mero aspetto tecnico-procedimentale della formazione delle leggi e del controllo di legittimità delle leggi stesse ad opera della Corte. E le ragioni non paiono essere ascrivibili ad insufficienze burocratiche o ad insufficienze dello staff tecnico del ministro proponente.

La bocciatura della Corte colpisce il cuore della filosofia della cosiddetta disintermediazione cui si è ispirata l'azione di governo dell'ex premier nel contesto dei circuiti della rappresentanza democratica e degli interessi organizzati il cui risvolto è costituito dalla leaderizzazione, cioè da una comunicazione politica che trova la sua sintesi nella comunicazione stessa e nel comportamento del leader. Una forma di disconoscimento della complessità e degli stessi corpi intermedi, anche quando, questi trovano ragione nello stesso sistema normativo nell'ottica di una produzione legislativa che sappia interpretare e contemperare gli interessi delle componenti di una società moderna con il più complessivo interesse generale.

E la scorciatoia intrapresa dall'ex premier nel prevedere il semplice parere della Conferenza Unificata anziché l'intesa rappresenta in modo paradigmatico la filosofia della disintermediazione che si spinge fino ad eludere l'approfondimento della concorrente potestà legislativa, tra Stato e Regioni, nella appropriata sede istituzionale.


Napoleoni 19 20 1Un Parlamento chiuso agli apporti esterni che sarebbero potuti venire dalla società era quello dello Stato liberale ove la legge si configurava come atto unilaterale, sul piano formale e sostanziale, del Parlamento stesso, quale organo rappresentativo della sovranità nazionale, collocato in una posizione di preminenza rispetto agli altri poteri dello Stato, nel quale non avrebbero potuto avere luogo condizionamenti dell'attività legislativa da parte di gruppi esterni. E non poteva essere altrimenti solo che si consideri che lo Stato liberale si proponeva pochi fini essenziali: ordine e conservazione. Non rientravano nella sfera dell'azione dello Stato i cosiddetti fini sociali che potevano condizionare lo svolgimento delle attività economiche, che dovevano invece essere riservate alla libera iniziativa dei privati. D'altro canto il suffragio per censo comportava che il Parlamento fosse ristretta espressione della borghesia.

Con il superamento dello Stato liberale e l'avvento dello Stato sociale si afferma il pluralismo e la proliferazione delle formazioni sociali intermedie tra il cittadino e lo Stato.


Tra il livello statale e il livello individuale si inserisce un terzo livello che è quello dei gruppi intermedi che hanno dato luogo ad una progressiva affermazione degli schemi di partecipazione all'attività di produzione legislativa che comprende la mera consultazione nelle sedi istituzionali, parlamentari e governative, come le audizioni con esponenti di categoria, gruppi di interessi, comunità territoriali, ma anche fasi di più intensa partecipazione come la negoziazione legislativa, ferma restando in capo al Parlamento la sovranità della funzione legislativa.

Certo, la fase della negoziazione pre-legislativa con i gruppi di interesse intermedi rende più complesso il procedimento di produzione legislativa ma, in una società ad ordinamento democratico articolata e complessa, il legislatore ha la necessità di avere la disponibilità oltre che di competenze anche di rappresentanze che possano dare un contributo diretto rispetto ai problemi. Nella sostanza il legislatore ha la responsabilità di produrre atti normativi sempre più aderenti al complessivo interesse del corpo sociale nel quale gli stessi dispiegano gli effetti.

La insufficiente comprensione della complessità della materia nella quale si intende intervenire genera inevitabilmente quel processo di semplificazione che conduce poi a risultati impropri che, come nel caso della legge n. 124, in materia di riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, ha indotto la Corte Costituzionale a porre, almeno sul piano tecnico-giuridico, un rimedio con la sanzione della illegittimità.

Ma permane il problema politico del contemperamento degli interessi dei gruppi intermedi, portatori di istanze specifiche presenti nella società, con il più complessivo interesse generale che coincide con la finalità dello Stato volta ad instaurare più equi rapporti sociali. E la soluzione non è quella della disintermediazione. Un semplicismo che non risolve, anzi, aggiunge ulteriori problemi.

[*] Pietro Napoleoni è nato nel 1941. Uscito dalla esperienza della Scuola di specializzazione di diritto sindacale, del lavoro e della previdenza sociale presso l'Università La Sapienza di Roma, ha maturato una significativa esperienza svolgendo l'attività di ispettore nell'Ispettorato del lavoro. Lasciato l'Ispettorato del lavoro, dopo un periodo di attività nell'Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, è stato dirigente presso il Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Successivamente è stato dirigente del settore legislativo della Regione Campania. È inoltre stato dirigente delle Relazioni sindacali del Comune di Roma. Attualmente è consulente del lavoro iscritto all'ordine dei consulenti del lavoro di Roma e provincia. Ha pubblicato La busta paga, come si legge come si controlla, ed. Ediesse ,1983; Guida alla lettura e al controllo della busta paga, Ediesse, 1984. Ha inoltre pubblicato numerosi articoli in materia di organizzazione amministrativa del lavoro in riviste e periodici specializzati. Quadrato Verde

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