Un robot per amico

di Stefano Olivieri Pennesi [*]

Olivieri Pennesi 4La crisi economica vissuta globalmente, in questo ultimo decennio, ha portato alla ribalta nel nostro e negli altri paesi, soprattutto quelli maggiormente industrializzati, il tema ormai ineludibile di quanto la forza di lavoro “umana” sia determinante ai fini della produzione economica di beni e servizi.

Per dirla con maggior chiarezza in una economia proiettata nel futuro, con la cosiddetta “industria 4.0”, ma aggiungo anche per l’economia basata sul terziario avanzato, sull’agricoltura di eccellenza, sulla green economy, sulla produzione di energie rinnovabili, sui servizi alla persona come anche nel welfare diffuso e globale; il nostro rapporto con i robot, l’automazione, la digitalizzazione, la tecnologia in genere, dovrà essere necessariamente sempre più spinto e cogente.

Nell’ultimo WEF - world economic forum 2017, tenutosi come di consueto a Davos, è stata illustrata la ricerca condotta da Manpower Group, dal titolo illuminante: “Skills Revolutions”. Indagine svolta su 18.000 datori di lavoro di 43 diversi paesi nel mondo, con l’intento di affrontare il tema di come impatta la digitalizzazione sull’occupazione e soprattutto del bisogno di sviluppare nuove competenze da parte dei lavoratori. Con una sola percentuale forse inattesa viene evidenziato che l’83% dei manager/imprenditori ritiene che l’automazione per così dire spinta nelle fabbriche ovvero siti di produzione di vario genere, farà innalzare i posti di lavoro, facendo però i conti con il bisogno assoluto di “investire in competenze”.


A livello mondiale, è risultato dalla ricerca che il 90% dei datori di lavoro ritiene in prospettiva medio tempore, che le proprie aziende subiranno un concreto impatto dalla menzionata 4° rivoluzione industriale e che certamente, tale fattore, influenzerà la conformazione delle competenze dei lavoratori verso una crescente digitalizzazione, come pure, però, creatività e agilità professionale, garantita da costante aggiornamento ed innalzamento culturale complessivo.

Ovviamente, l’aspetto formativo implica, da parte delle aziende stesse, il compito non secondario, di accompagnare, ma direi anche favorire, i propri dipendenti/collaboratori, in un percorso di aggiornamento e innalzamento del personale bagaglio di competenze in proiezione futura. Evidentemente, la formazione intesa fino ad oggi come strumento contingente, limitato, minimale, ipersettoriale, non può ritenersi più sufficiente ne idonea. Come pura la ormai stratificata e polverosa “Responsabilità sociale dell’impresa”, anche in campo formativo, di welfare, ecc. deve sapersi riattualizzare e ammodernare per i crescenti innovativi bisogni della moderna impresa e dei suoi interpreti.


Pennesi 21 2Per tornare brevemente alla recente ricerca di Manpower, le aspettative dei vari paesi, circa la capacità di creare nuovi posti di lavoro, in virtù delle nuove metodiche e tecnologie digitali di produzione, varia fortemente; ci sono paesi come il nostro dove i manager scommettono in una crescita di posti superiore al 30% (stante però una economia in forte ripresa e crescita) altri paesi, come gli Stati Uniti o il Sud Africa, che vedono possibile una crescita superiore al 10% e fino al 20%; paesi come UK, Spagna o Giappone, una crescita inferiore al 10%; e paesi come Germania, Francia o Svezia che vedono un impatto nullo o leggermente negativo.

Come vedremo la previsione su crescita o decrescita dei posti di lavoro con l’avvento della 4° rivoluzione industriale risulta, quanto meno, fortemente differenziata e articolata. L’unico aspetto sostanzialmente condiviso appare essere la necessaria e ineluttabile contrazione dei tempi di lavoro (cosa da un certo punto di vista positiva anche per il miglioramento della qualità della vita). Come anche chi a beneficiare degli effetti positivi della digitalizzazione del lavoro, è facile prevedere, siano le professioni legate alla Information Tecnology IT, come le risorse umane, quelle inerenti ad attività scientifiche e di ricerca, quelle ad alto contenuto culturale.

Nostro malgrado, però, l’Italia pur avendo avviato un percorso di ammodernamento generale, risulta ancora essere molto distante, in particolare in alcune estese zone del mezzogiorno, con un rilevante “gap digitale” rispetto ad altri Paesi Europei, ma non solo. Siamo indietro per competenze ITC, autostrade informatiche, infrastrutture tecnologiche come 5G, velocità rete dati, copertura e diffusione internet, utilizzazione del web, sviluppo nuove tecniche di informatizzazione e digitalizzazione, ecc.

Robot…. e poi?

Pennesi 21 1La domanda che sempre più aleggia nella nostra società, con risvolti economici, politici, sociali, culturali, antropologici, è di questo tipo: i robot, nel prossimo immediato o anche medio futuro, ci ruberanno il lavoro? e se si in quale misura e con quali conseguenze per il nostro vivere quotidiano?

È facile immaginare che i prossimi anni saranno scanditi da una presenza sempre più estesa dell’uso e delle applicazioni della tecnologia, dei robot, della robotica in genere. Già osserviamo l’aumento di sperimentazione ed applicazioni di robot anche in forma di umanoidi, grazie a fiere espositive, eventi universitari, laboratori di ricerca avanzata.

Citando il volume “umani e umanoidi” di due studiosi dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, Cingolani e Metta, stiamo evidentemente assistendo ad una rivoluzione che probabilmente ci porterà a rapportarci costantemente, ogni giorno, con la presenza dei robot. Per il disbrigo di faccende domestiche, per la sorveglianza delle nostre abitazioni, per assistere gli anziani, per accompagnare i figli a scuola, tanto per parlare di servizi alla persona.

È già presente in Giappone un hotel gestito con robot umanoidi. Così come negli Stati Uniti nello stato del Nevada, la Daimler ha iniziato una sperimentazione di un camion operante in assenza di autista. Ma anche Google sta sperimentando auto senza guidatore, la Google Car, ossia una self-driving car, in particolare con applicazioni ad esempio per il servizio taxi. Tornando al Giappone un robot chiamato Pepper, pensato dai laboratori della Aldebaran Robotics, ha avuto le prime sperimentazioni e applicazioni quale commesso di negozi. Anche lo stesso prototipo di nave portacontainer, completamente automatizzato, ideato dalla Rolls Royce, rappresenta un esempio in tal senso.

Il grande dibattito che si sta aprendo in tema di impiego dei robot, il largo uso in ambiti e in quantità tali da pregiudicare sempre più la necessità de “lavoro umano”, evidentemente tocca corde sensibili della nostra società e del nostro futuro, in particolare il mondo del lavoro.

Una domanda naturale che dobbiamo porci è legata alla possibilità che la crescente tecnologia, ed in particolare la robotica, rappresenta una reale minaccia non soltanto per le tipologie di lavoro manuali, ma oggi anche per lavori svolti dai cosiddetti colletti bianchi, non certo quindi i soli operai.

Le prime avvisaglie si possono scorgere nelle professioni di: insegnanti, giornalisti, impiegati nel settore dei servizi, assistenti alla persona, autisti, receptionist, ecc. quindi tecnologia non più solamente applicata per aumentare margini di produttività, ma pensata in sostituzione di lavoro umano, nei più diversi settori: agricoltura, industria, settore alberghiero, sicurezza pubblica, P.A., solo per citarne alcuni.

Da nuovi studi nel nostro paese, in particolare quelli fatti dall’Istituto di Biorobotica della Scuola superiore S.Anna di Pisa, emergerebbe il fatto che verosimilmente, in futuro, la robotica più che sostituire il lavoro umano, agevolerà le produzioni per mezzo di un massivo impiego, soprattutto per le attività lavorative maggiormente pesanti e ripetitive, non dimenticando che i robot devono rimanere uno strumento nelle mani dell’uomo, che certamente causerà modifiche al mercato del lavoro ridisegnandolo completamente nei prossimo 10-20 anni.

Futuro + Robot - Lavoro… forse!

L’evoluzione tecnologica, è acclarato, sta producendo cambiamenti radicali nel mondo del lavoro aumentando da un lato la capacità produttiva, ma dall’altro riducendo il bisogno di forza lavoro umana. Per portare un esempio concreto la Foxconn, società statunitense tra le maggiori aziende manifatturiere, del settore elettronica, realizzatrice per conto di marchi quali: Apple, Nokia, Sony, Amazon, Nintendo, ecc. negli ultimi anni ha inserito in produzione migliaia di robots, che stanno progressivamente sostituendo lavoratori in carne ed ossa, prevedendo la possibilità di sostituire, nei prossimi tre anni, il 30% della propria manodopera, con una utilizzazione nei più svariati settori e aree operative di tale società elettronica.

Pennesi 21 3Introducendo l’argomento della utilizzazione crescente della intelligenza artificiale, considerando l’effettivo aumento della capacità elaborativa abbinata alla maggiore disponibilità di dati, risulta agevole immaginare cosa accadrà in futuro rispetto al progressivo avvicinamento del modo di pensare dei robot e delle macchine, rispetto all’umano.

In tutto ciò si pongono ovviamente una serie di questioni di ordine etico, morale, antropologico, tutte legate alla possibilità, ma anche timore, che un giorno, prossimo, si dovrà convivere con macchine robotiche capaci di apprendere da sole, imparando appunto dall’esperienza.

Già oggi gli sforzi dell’industria robotica, di tutto il mondo, sono rivolti alla realizzazione di macchine “sempre più indipendenti” e sempre più intelligenti. È ovvio quindi comprendere come automazione e robotica risultino essere le questioni tra le più pressanti della nostra società contemporanea.

Quello che palesemente ingenera maggiore preoccupazione è il fatto che il robot, in senso lato, sia ormai sulla strada di sostituirci nei lavori e nelle attività prettamente umane. Se guardiamo però al recente passato della storia umana ad esempio l’agricoltura era di fatto la maggiore attività lavorativa, completamente affidata alle cure lavorative dell’uomo, e oggi non è più così almeno in gran parte; come pure l’industria manifatturiera, da fine 800 fino agli anni successivi alla seconda guerra mondiale, era sostanzialmente gestita con forza lavoro umana, oggi sta progressivamente evolvendo grazie alle nuove tecnologie e al minor apporto di lavoro umano.

Una opportuna ulteriore analisi del tema che stiamo affrontando, ci accompagna nella riflessione circa la proposta “dirompente” avanzata da chi ha fatto della tecnologia, della modernità dell’innovazione, una icona per la propria e altrui esistenza.

Mi riferisco a tale Bill Gates fondatore e ideatore della statunitense Microsoft, oggi particolarmente impegnato in ambito filantropico, pur restando un esempio e un punto di riferimento anche per i promulgatori ed attori delle più avanzate imprese operanti nella new economy, e per l’industria 4.0.

Ebbene Gates ha immaginato di proporre alla comunità globale la possibilità di “tassare i robot” in considerazione del loro impiego in continua espansione, al fine di generare risorse per la collettività. Da subito tale proposta ha scatenato un dibattito circa la logicità ed opportunità di questa azione. Si è immediatamente posto il tema di cosa sia o meglio quanto sia difficile definire l’elemento robot. Più esattamente della possibilità e anche facilità di tassarlo, con una “sicura individuazione”, come anche gli stessi software, che sono il cervello o meglio l’interfaccia tecnologico di cui sono dotate le macchine fisiche, ponendoci il problema se sono anch’essi in via teorica tassabili.

Pennesi 21 4Altro tema è la possibile opzione avanzata al fine di poter disporre di risorse finanziare utili anche al sostentamento economico di masse di lavoratori umani che probabilmente nel prossimo futuro potranno essere espulse o marginalizzate dal sistema produttivo mondiale. Ma una scelta di questo tipo dovrà inevitabilmente trovare una applicazione univoca da parte di tutti i paesi tecnologicamente avanzati, in quanto primari produttori di “modernità” che all’unisono potranno scegliere la strada di una tassazione generalizzata della tecnologia, sia essa un robot, un software avanzato, una intelligenza artificiale, un cyborg, una rete di server, ecc. tale da garantire vantaggi competitivi paritari, nell’ottica di una concorrenza leale tra paesi.

In sostanza l’ipotesi avanzata, inaspettatamente, dall’imprenditore statunitense per antonomasia, B. Gates è basata sull’idea che come il lavoro umano viene tassato, parimenti anche il lavoro delle macchine dovrebbe essere tassato.

Se tale prospettiva venisse sposata dai governi e dalla politica mondiale, si riuscirebbe, almeno in parte, a ridurre l’impatto negativo della crescente sostituzione del lavoro umano con quello diciamo automatizzato.

Le risorse conseguenti potrebbero convogliarsi per finanziare anche l’occupazione nei settori/attività dove le “persone” sono ancora fondamentali, finanziare altresì la formazione umana di chi rimarrebbe senza lavoro, ovvero, sostenere i sopramenzionati “redditi minimi di cittadinanza”-

B. Gates profetizza che l’impiego dei cosiddetti robots avverrà in progressione crescente, dove l’azione politica e propositiva dei governi, dei paesi trainanti l’economia mondiale, deve anticipare l’azione, inevitabilmente egoistica, soprattutto delle maggiori company multinazionali, che potrebbero dimostrarsi foriere di nuovi stadi di ineguaglianza come anche disoccupazione di massa, causata dai bisogni di utili crescenti raggiungibili sulla testa della forza lavoro umana.

Insomma poter tassare il lavoro dei robot/macchine anche al fine di creare posti di lavoro, incrementando il settore lavorativo dei servizi alla persona, dove ancora forse l’aspetto “empatico” umano può considerarsi determinante. Seguire le persone anziane e/o malate, insegnanti e tutor per gli studenti e le giovani generazioni, servizi sanitari medici ed infermieristici, come anche psicologici, ecc.

Per dirla a chiare note, poter tassare le macchine sarebbe, di tutta evidenza, uno strumento se vogliamo di “giustizia sociale” ovviamente da distinguere rispetto a ciò che si dovesse decidere circa la finalizzazione delle derivanti risorse finanziarie collettive.

Una menzione particolare, a questo punto, merita l’autore di un volume di recente edizione, sto parlando di “Al posto tuo” curato dal giornalista Riccardo Staglianò, avente un sottotitolo emblematico per il tema fin qui trattato: “Così web e robot ci stanno rubando il lavoro” … “il tuo posto di lavoro. quello che internet e le macchine si portano via. Ieri la tecnologia sostituiva i colletti blu, oggi quelli bianchi. E domani?”, in un viaggio ai confini delle conoscenze tecnologiche attuali dove l’industria 4.0 è già nel vivere quotidiano.

Agli inizi di questa nuova rivoluzione industriale, basata su tecnologie sempre più sofisticate, si ipotizzava la presenza di macchine in grado di sostituire i nostri colletti blu, i lavori di fatica in genere, agire in funzione di braccia instancabili.

Oggi e probabilmente in futuro i mestieri intellettuali, dei cosiddetti colletti bianchi, che volentieri terremmo per noi, potrebbero ricadere nell’alveo di algoritmi complessi, tali da essere elemento fondamentale di pertinenza dei robot, capaci oramai di autoformarsi ed istruirsi.

Professioni cognitive ad alto contenuto quali: giornalisti, medici, avvocati, interpreti, professori, architetti, analisti finanziari, potrebbero assumere delle sembianze robotiche e quindi esercitare comunemente attività lavorative fino ad oggi inimmaginabili. Forse così sarà!

Pennesi 21 5Conclusioni

Tutto quanto fin qui argomentato per dire che i cambiamenti continui, anche epocali, stanno nelle cose della vicenda umana e il progresso non può certamente subire rallentamenti dovuti ad eventi contingenti o preclusioni teoriche e apodittiche, legate a visioni oscurantistiche quali forse declinate alle moderne concezioni “luddistiche”.

È difficile immaginare una “società senza lavoro” perché esso è stato e sarà al centro del nostro vivere sociale. Il lavoro produce ricchezza in tutti i sensi e non meno ricchezza interiore. Il lavoro assegna e consolida, per ciascuno, un ruolo e uno spazio nella società, ci consegna un compito di responsabilità civile verso la comunità esterna, come anche la micro comunità familiare.

Il lavoro ritengo, sommessamente, cambierà per quanto attiene la sua implicazione operativa e spazio temporale, potranno esserci nuovi tipi di lavoro, nuovi bisogni degli uomini di beni e servizi, nuovi paradigmi e priorità esistenziali, maggiori capacità redistributive di beni essenziali e di qualità della vita, in tutte le latitudini del globo, una popolazione mondiale in grado di tenersi assieme in una visione di coesistenza necessaria e reciproca, con esigenze e bisogni sempre più unificanti.

Ciò in qualche modo dovrà trovare risposte anche con il “bene lavoro” svolto, governato e prima ancora pensato dall’uomo e non da robot che dovranno rimanere meri strumenti agevolativi per le nostre esistenze.

Infine, per concludere appare opportuno segnalare che proprio in questi giorni, il Ministro del Lavoro ha presentato e aperto un “Forum” intitolato: “Lavorochecambia”.

Tale iniziativa intende dare avvio ad una riflessione organica sul tema modernizzazione e tecnologia, sviluppato e dibattuto in tutto il mondo, prendendo spunto dalla ricorrenza del centesimo anniversario dalla costituzione dell’OIL Organizzazione Internazionale del Lavoro. Durante il prossimo G7, che quest’anno è previsto si svolga in Italia, verrà discusso anche il tema riguardante il rapporto tra “Scienza tecnologia e lavoro” con l’obiettivo di tracciare un quadro d’insieme sul lavoro che cambia, con attenzione specifica dell’impatto che la trasformazione tecnologica, ispirata dalla maggiore automazione e digitalizzazione, potrà gravare sul lavoro, oggetto quindi, questo, di pregevole opportunità ma al contempo sfida in termini di sostenibilità sociale.

Occorre mettere in campo strategie di lungo respiro, in un quadro di riferimento generale, possibilmente condiviso tra tutti gli attori. Per tali ragioni il Ministro del Lavoro ha voluto appunto attivare detto Forum, in sede pubblica, per dibattere e far si che tutti gli stakeholder possano dare un contributo ideale su tale piattaforma: www.lavorochecambia.lavoro.gov.it anche per proporre e suggerire idee, pensando ad un futuro inclusivo e dando forma (almeno ideale) al mercato del lavoro che sarà. Quadrato Arancione

[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata di Roma, titolare della cattedra di “Sociologia dei processi economici e del lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del Lavoro”. Il Prof. Stefano Olivieri Pennesi è anche Dirigente dell’Ispettorato Unico del Lavoro, Capo dell'Ispettorato Territoriale di Potenza-Matera. Ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.

© 2013-2022 - Fondazione Prof. Massimo D'Antona