Detenuti al lavoro: da costo a risorsa?

di Renato Nibbio [*]

Renato NibbioLe tematiche legate alla carcerazione, o più specificatamente alla vita carceraria, presentano innumerevoli sfaccettature alle quali ci si accosta con visioni, spesso, antitetiche.

A dire il vero, sulle problematiche carcerarie c’è un’intensa attività dottrinale e pubblicistica [1] che rimane, però e non per scelta degli autori, circoscritta nell’ambito degli addetti ai lavori. E ciò nonostante gli sforzi per un sempre maggiore coinvolgimento della c.d. “società civile” anche con iniziative accattivanti che tendono a riconciliare la figura del detenuto con il “normale” contesto socio-culturale [2], affrancandolo dal marchio indelebile che porterà per tutta la sua esistenza, e che spesso “pregiudicherà” anche l’immagine, meglio la vita, dei propri congiunti.

Familiari che spesso verranno visti con sospetto, posto l’assioma che “il sangue non è acqua” e che la propensione a delinquere è spesso conseguenza del contesto ambientale.

L’obiettività dell’analisi del c.d. “pianeta carcere” [meglio, pianeta carceri] è sempre una faticosa ricerca dell’equilibrio delle ragioni della parti; o, più propriamente, della compatibilità tra diritti e doveri, tra imposizioni e tutele, tra regole e libertà, tra ghettizzazione e solidarietà.
Ed anche l’approccio alle numerose tematiche legate alla detenzione, spesso è fuorviato dagli obiettivi che, preconcettualmente, ci si pone.

Da qui un titolo volutamente provocatorio, per richiamare l’attenzione su temi ai quali si pensa distrattamente, magari a seguito di carcerazioni “eccellenti”, di rivolte carcerarie, di episodi delittuosi avvenuti durante la detenzione, di evasioni ridicolizzanti …. o, non da ultimo, al bando "per un progetto sulle carceri" fatto pubblicare anonimamente da Renzo Piano che ha destinato all’iniziativa, che impiegherà sei giovani architetti, il proprio stipendio da senatore a vita [3].

Ma per soddisfare la curiosità ingenerata dal titolo, diciamo subito che un detenuto attualmente costa in media poco più di 120 euro al giorno. O, meglio, costa poco meno di 10 euro di puro mantenimento, al quale si sommano oltre 100 euro di spese per il personale [per altro numericamente insufficiente], oltre ad altri minori oneri vari. Lasciamo al lettore la moltiplicazione di questo importo per i 65.889 detenuti al 30 novembre 2013 (scesi a 60.828 al 28 febbraio u.s.), nonché la curiosità di approfondire, dall’analisi della serie storica dell’ultimo decennio, l’andamento dei costi [4].

Si tratta, se ne converrà, di una spesa decisamente rilevante, e senza una finalità “produttiva”, ma neppure “producente”. Infatti, attualmente, nella quasi totalità dei casi, si deve constatare che il periodo di detenzione non ha altro scopo che tentare di rispondere ad un bisogno di sicurezza dei cittadini, allontanando – per un tempo variabile – il soggetto deviante dalla collettività.

Questa costosa ed inutile “sterilizzazione”, nella quasi totalità dei casi è null’altro che una sospensione dall’attività criminosa, che spessissimo viene reiterata al termine della pena, ma anche durante l’espiazione in occasione della fruizione di misure cd. premiali che consentono un allentamento delle misure detentive. Si consideri, infatti, l’elevata percentuale dei detenuti che sono recidivi [5], con lo svuotamento della finalità rieducativa della pena, e l’inutile sperpero di denaro pubblico [6]. Ed in questo alto numero di recidivi trovano conferma i sostenitori dell’inconsistenza della funzione rieducativi per soggetti che hanno scelto da tempo uno stile di vita deviante e nei confronti dei quali la “terapia penitenziaria” risulta sostanzialmente improduttiva [7]. Interessante anche l’indagine Eures che rileva come dal 1995 sia cresciuto il peso dei condannati che hanno precedenti penali; dato questo che denuncia la scarsa efficacia della attuale c.d. "rieducazione" e del recupero [8]. Da ciò l’imprescindibilità di “ripensare la pena”, anche all’interno di un “nuovo” ordinamento penitenziario [9].

Considerato, come si è detto, che il mero vitto incide per una decina di euro, la spesa pro-capite potrebbe non risentire, almeno nel breve-medio periodo, di incisive decurtazioni a seguito dell’approvazione del recente c.d. “Decreto svuotacarceri” [10], volto a ridurre il numero della popolazione carceraria, costretta a vivere in condizioni di sovraffollamento a causa di endemici ritardi nella politica di edilizia penitenziaria.

Ipotesi che parrebbe confermata anche dall’analisi del trend del già citato “costo medio giornaliero per detenuto” negli anni 2001-2013, che nel 2001 registrava l’impegno economico pro-capite di € 131,90 con la presenza negli istituti penitenziari di [“soli”] 54.895 detenuti.

Ma, poiché non è materia di più diretta riconducibilità alla attuale linea editoriale di questa rivista, non vuole essere questa l’occasione per un’analisi critico-esegetica del provvedimento, e dei risvolti che questo ha sia sotto il profilo giuridico, che sociologico, stante l’accusa di essere, di fatto, un provvedimento di clemenza, che affievolisce la certezza della pena e sancisce ex lege lo scarso allarme sociale di reati legati, ad esempio, al piccolo spaccio di stupefacenti.

Qui ci si limita a sottolineare che la misura era improcrastinabile, per tentare di dare una risposta [tampone?] a seguito della sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo dell’8 gennaio 2013, che impone l’adozione di misure compensative interne per il sovraffollamento; considerato che il tasso di questo sfiora nelle carceri italiane il 140%, mentre la media europea  è [sia pur di poco] inferiore al 100%. Sentenza c.d “Torreggiani” secondo la procedura della sentenza pilota (sette ricorsi riuniti e decisi con un’unica sentenza), che ha condannato l’Italia a pagare a  sette detenuti la  somma di 99.600 euro  per danni morali, più 1.500 euro ciascuno per il pagamento delle spese, ‘’per trattamento inumano e degradante’’; ed inoltre ha fissato nel 28 maggio 2014 il termine entro il quale l’Italia deve conformarsi alla sentenza stessa.

Nibbio 3 1Questione affrontata anche dal Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica che ha stigmatizzato come la situazione delle carceri italiane «non fa onore al nostro paese, ma anzi ne ferisce la credibilità internazionale e il rapporto con le istituzioni Europee» [11], con successiva approvazione da parte della Commissione Giustizia di una relazione da presentare all’Assemblea della Camera [12]. In sostanza, l'Italia, a causa della situazione di sovraffollamento carcerario in cui i sette ricorrenti si sono trovati, ha violato l'articolo 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica “proibizione della tortura”, pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti [13]. Consideriamo che nelle camere di pernottamento, la superficie di spazio vitale non dovrebbe scendere sotto il valore di 4/5 mq per detenuto e/o internato, poiché sotto il valore limite di 3 mq l’individuo è considerato ristretto in condizioni di “tortura”. Dato che dovrebbe essere la sommatoria delle reali singole sezioni detentive, depurate dai reparti chiusi o sottoutilizzati [14].

Sul punto anche il nostro giudice delle leggi ha rivolto un severo monito al legislatore rilevando l’intollerabilità della situazione attuale che “non può protrarsi ulteriormente … poiché il carattere inderogabile del principio dell’umanità del trattamento rende assolutamente necessaria … la sollecita introduzione di misure specificamente mirate a farla cessare”. Questioni non dell’oggi, ove si consideri che già due secoli fa vi era chi affermava che lo Stato dovrebbe assicurare all’imputato detenuto “una condizione di vita non indegna di un innocente” [15].

Sovraffollamento in gran parte determinato da quasi 23 mila detenuti stranieri, per quasi 4/5 extracomunitari, dei quali ci si propone l’[eventuale] espulsione “attraverso un ampliamento della platea dei potenziali destinatari della misura e mediante un più efficace coordinamento dei vari organi coinvolti nell’iter procedurale [16].

Ma lo “Svuotacarceri”, e qui la questione è di nostro più immediato interesse, proroga le agevolazioni e gli sgravi fiscali “in favore delle imprese che assumono lavoratori detenuti o internati, anche ammessi al lavoro esterno”.

Da un punto di vista prettamente storico-ricostruttivo, si inizia a parlare di diritto al lavoro anche per i soggetti reclusi in occasione del XII congresso internazionale penale e penitenziario, tenutosi a L'Aia nell'agosto 1950. A distanza di cinquant’anni [n.b.: il “salto temporale” nell’esposizione è unicamente dovuto alla necessità di non divagare], nella Relazione al Parlamento relativa allo svolgimento da parte di detenuti di attività lavorative o corsi di formazione professionale per qualifiche richieste da esigenze territoriali. Legge 22.06.2000 n. 193 art. 5 comma 3. Anno 2011 [17], il Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dopo avere ribadito che nell’Ordinamento Penitenziario (legge 354/75) il lavoro penitenziario è elemento fondamentale del trattamento e strumento privilegiato di reinserimento sociale, ricordava che esso può essere svolto sia alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria (per lo più nei cosiddetti lavori domestici e, in alcune realtà, presso lavorazioni industriali gestite direttamente dagli istituti penitenziari per le esigenze di casermaggio e di arredo degli stessi), che alle dipendenze di soggetti terzi (imprese o cooperative) che possono gestire lavorazioni presenti all’interno delle strutture detentive o che assumono detenuti ammessi al lavoro esterno, alla semilibertà o comunque in misura alternativa. Per incentivare questo secondo tipo di inserimento lavorativo nel 2000 è stata varata la legge 193 (c.d.Smuraglia) che prevede sgravi contributivi e fiscali per le imprese o cooperative che assumono detenuti [18]. Provvidenze rifinanziate, appunto, con lo “Svuotacarceri” [19]. Ed il Ministero della Giustizia, con schematica efficacia, riassume sul proprio sito istituzionale le possibilità occupazionali sopra ricordate, e che qui non ripetiamo né approfondiamo per sintesi espositiva [20].

Nibbio 3 2Come ben si comprenderà, anche a seguito di quanto testé detto, non siamo né in presenza di lavori forzati, ai quali ci ha “abituato” una certa filmografia (e che vengono tutt’ora invocati da qualche forza politica), né di tipologie simili ai meno noti Laojiao cinesi che, in oltre 600 campi di “rieducazione attraverso il lavoro”, nel 2011 detenevano oltre 450mila prigionieri. Ci si riferisce non ad uno ius puniendi dello Stato ma ad un canale privilegiato [in quanto finanziato] soprattutto di collaborazione tra terzo settore, cooperative sociali, volontariato, istituzioni e realtà del territorio.

Ed è di tutta evidenza che il legislatore può ritenere utile indi­viduare, in linea con l’art. 3, co. 2, Cost., “corsie preferenziali” per consentire ad alcune categorie un accesso ad hoc al mercato [21]. Di­versamente, tale accesso sarebbe reso oltremodo difficoltoso a causa della situazione di svantaggio esistente. L’evidente discrimen a parere di alcuni sta, però, nella situazione di svantaggio subito (si pensi ai disabili), o voluto (come nei casi di specie), svantaggio che non parrebbe equo porre sullo stesso piano. A ciò si aggiunga la gravissima crisi occupazionale che potrebbe ingenerare in qualcuno una distorta correlazione “delinquere per lavorare”; analoga a quanto déjà entendu in tema di ergoterapia e progetti di recupero dei tossicodipendenti [22].

A tacere, poi, delle ulteriori implicanze che il non lavoro, o il “sotto-lavoro”, dei detenuti comporta anche in termini previdenziali. E deve essere rammentato che il lavoro alle dipendenze dell’Amministrazione carceraria viene retribuito avendo come riferimento economico i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di vari settori, in misura non inferiore ai 2/3 del trattamento previsto nei contratti stessi, così come indicato nell’art. 22 dell’Ordinamento penitenziario. Aggiornamento non è stato più effettuato dal 1994 per carenza di risorse economiche [23].

Malgrado le affermazioni di principio, i dati relativi alla quota di detenuti lavoranti presenti nelle nostre carceri non sono, tuttavia, incoraggianti. E lo sono ancor meno ove si consideri che la quasi totalità di costoro risulta occupata in attività d’istituto, quindi alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, mentre solo circa 1.500 (semiliberi, ammessi al lavoro esterno, lavoranti a domicilio) non lavorano alle dipendenze del D.A.P. [24].

L’esiguità delle mercedi, che si attestano in media sui 1.109 euro [N.B.] annui, e la saltuarietà delle attività lavorative impediscono al detenuto di potersi formare una valida posizione contributiva. Da ciò discende che i soggetti reclusi riescono a fruire quasi esclusivamente di prestazioni di natura assistenziale (quali quelle di invalidità civile), dal momento che queste non comportano la necessità di alcuna posizione contributiva, mentre gli sono spesso precluse le prestazioni previdenziali, in particolar modo quelle pensionistiche. Riguardo a quest'ultime, stante l’attuale riforma previdenziale, il problema non è solo quello di non avere al momento della scarcerazione una valida posizione pensionistica, ma anche quello di perdere la possibilità di costituirne una perfino nel caso di un nuovo impiego da libero. Il deficit contributivo creato dal lavoro carcerario è infatti talmente incisivo da non permetterne un recupero nemmeno tramite un successivo lavoro. A ciò si aggiunga che i fondi destinati alle attività lavorative dei detenuti alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria sono estremamente ridotti e ciò, assieme ad un sempre maggior affollamento degli istituti di pena, porta a sempre più frequenti turn-over negli impieghi. Il c.d. lavoro domestico viene spesso concepito dalle direzioni degli istituti come un metodo di controllo della popolazione carceraria, uno strumento per fornire ai detenuti una occasione di distrazione ed una piccola fonte di reddito. Conseguenza di tale impostazione, a metà tra il caritatevole e l'emergenziale, è l'aumento delle turnazioni in maniera proporzionale all'affollamento degli istituti.

A sommesso parere di chi scrive, considerata la nazionalità, le fasce di età, la scolarità, ed anche la posizione giuridica dei detenuti [25] si potrebbero ipotizzare due percorsi, in parte paralleli.

Di questi l’uno potrebbe essere una sorta di “accompagnamento” formativo soprattutto per i cittadini extracomunitari, che - anche all’interno di progetti di Cooperazione allo sviluppo - consenta loro un possibile e più facile ingresso nel mercato del lavoro dei paesi d’origine, che potrebbero avvalersi di nuove e solide professionalità. Inserimento lavorativo che potrebbe, altresì, evitare il futuro tentativo di reingresso nel nostro Paese, come spessissimo avviene per gli espulsi.

Più complesso l’inserimento lavorativo in Italia una volta che dovessero venir meno gli specifici benefici fiscali e contributivi, che oggi consentono in alcuni settori una concorrenza al di fuori delle regole del mercato ed in danno delle “normali” imprese.

Occorre, pertanto, passare con decisione ad un’impostazione manageriale delle problematiche coinvolgendo le imprese (e non solo le cooperative sociali) in progetti che abbiano in primo luogo un riscontro economico, ma anche un ritorno d’immagine afferito alla qualità e/od innovazione del prodotto. Ed in questo campo sono già numerosissime le esperienze positive che potrebbero costituire un importante bacino di c.d. buone pratiche al quale attingere.

Nibbio 3 3Si pensi, a mero esempio, alle enormi potenzialità del settore eno-agro-gastronomico, che l’imprenditore Farinetti, ideatore di Eataly, afferma valere circa 31 miliardi di euro l’anno, con possibilità di lievitare notevolmente, considerato che nel mondo – egli afferma – «si vendono per altri 50 miliardi prodotti che di italiano hanno solo il nome. […] Credo che con ricadute di vario tipo il giro dell’export arriverebbe a 100 miliardi, un fatturato in grado di generare  un milione di posti di lavoro» [26]. Ma anche ai più volte richiamati “lavori non graditi” [27].

Quanto sopra non disgiunto dal beneficio che deriva dalla c.d. Responsabilità sociale d’impresa, e dall’attenzione che questa presta agli stakeholders. La reputazione dell’impresa assume, infatti, sempre maggiore importanza e diviene un fattore competitivo e commercialmente valutabile.

E, in un quadro di riforma generale della legislazione giuslavoristica, iniziata dal Governo Letta, si potrebbero anche ipotizzare forme di detassazione analoghe a quelle previste per l’incremento della produttività ex lege 228/12.

Il lavoro dei/ai detenuti - soprattutto da parte di imprese profit - non pare, pertanto, un’impresa, lontana dal potere essere affrontata.

Quanto sopra non perdendo di vista ipotesi di impiego in lavori socialmente utili, ad esempio nella tutela e recupero dell’ambiente.

Il campo d’indagine e di proposta è decisamente sconfinato ed andrebbe calibrato e finalizzato per consentire ai detenuti di potersi costruire una pensione che li affranchi dall’essere in futuro, immancabilmente, a carico delle casse statali; ma anche introducendo misure premiali a fronte di moderne “corvée” [28], che tenendo conto di quanto sopra esposto, aiutino a riacquistare una coscienza civile, facilitino il reinserimento nella comunità, e diano un contributo concretamente valutabile in termini economici.

Certo, si osserverà, i detenuti non possono (e non devono assolutamente) essere considerati una “risorsa”, e non possiamo assolutamente entrare in una logica perversa che anche solo ipotizzi forme di lavoro sottopagato, o ribalti il disvalore delle loro azioni, ma almeno che costoro non siano solo un inutile e rilevante costo permanente a carico della società della quale hanno violato le regole. Quadrato Verde

Note:

[1] e.g. http://www.ristretti.it/.

[2] e.g. le numerose esperienze teatrali in numerosi istituti carcerari con vere e proprie compagnie stabili; od il premio letterario per il miglior thriller dell’anno al romanzo “Cuts through Bone” scritto dal debuttante Alaric Hunt, rinchiuso nel penitenziario americano di Bishopville per una condanna a 30 senza condizionale per omicidio; o la presenza al Festival del cinema di Cannes di Aniello Arena, attore detenuto della Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra [non senza polemiche da parte dei familiari delle sue due vittime].

[3] http://genova.repubblica.it/cronaca/2013/12/20/news/piano_con_lo_stipendio_da_senatore_far_lavorare_sei_giovani-74137977/

[4] Costo medio giornaliero per detenuto - Anni 2001-2013 http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.wp?previsiousPage=mg_1_14&contentId=SST957890

[5] http://www.penalecontemporaneo.it/area/2-/-/-/1884-carcere_e_recidiva__avviata_una_ricerca_dal_ministero_della_giustizia__/

[6] E già Filippo Turati si doleva che “Noi ci gonfiamo le gote a parlare di emenda dei colpevoli, e le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti, o scuole di perfezionamento dei malfattori”, Discorso alla camera dei deputati, 18 marzo 1904.

[7] G. Mosconi, La crisi postmoderna del diritto penale e i suoi effetti sull’istituzione penitenziaria, p. 362.

[8] Indagine Eures su criminalità e certezza della pena in Italia, http://www.ristretti.it/commenti/2004/marzo/eures.htm

[9] e.g.: “Nuovo ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle pene e delle altre misure privative o limitative della libertà”, proposta di legge n. 6164 ad iniziativa dei deputati: si tratta della presentata alla Camera il 3 novembre 2005, nota peraltro agli addetti ai lavori del settore penitenziario come “proposta Margara“ dal nome del principale ispiratore dell’elaborato. 

[10] D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, recante Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria, convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10.

[11] Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla questione carceraria, 8 ottobre 2013.

[12] Anche sulla scorta delle audizioni di Giovanni Tamburrino Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, e dell’allora Ministro della Giustizia Paola Severino.

[13] La Corte ha affermato, in particolare, che “la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone” e che “la situazione constatata nel caso di specie è costitutiva di una prassi incompatibile con la Convenzione”.

[14] http://www.poliziapenitenziaria.it/public/post/blog/statistiche-carceri-il-dap-ammette-discordanze-tra-i-dati-pubblicati-1872.asp

[15] G. Filangieri, La scienza della legislazione, 1807.

[16] Detenuti presenti e capienza regolamentare degli istituti penitenziari per regione di detenzione al 28.02.2014
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.wp;jsessionid=D3671B5514156A43A31359F939E43B01.ajpAL01?previsiousPage=mg_1_14&contentId=SST990555

[17] Camera dei Deputati, XVI Legislatura, Doc. CXCIV, n. 4, Relazione sullo svolgimento da parte dei detenuti di attività lavorative […], Anno 2011.

[18] Per i vantaggi economici per l’impresa, e per altro, vds. http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_4_5_1.wp

[19] i.e., L. 21 febbraio 2014, n. 10, art. 8.

[20] http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_4_5.wp

[21] M. Mazziotti Di Celso, 1973, p. 339; U. Romagnoli, Sub art. 3, 2° comma, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione. Princìpi fondamentali (Art. 1-12), Bologna - Roma, Zanichelli-Il Foro Italiano, 1975, p. 166.

[22] Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, recante: "Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope , prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza".

[23] Sul punto, la Commissione ex art 22 O.P., nel 2006, stimava la necessità di una integrazione sui corrispondenti capitoli di bilancio - per il solo anno preso in esame - di circa € 27.344.958, 82. Non va, altresì, sottaciuto che il mancato adeguamento ai CCNL vigenti ha dato vita ad un contenzioso in cui l’Amministrazione è costantemente soccombente, con ulteriori costi a carico della finanza pubblica.

[24] Fonte Cestim.org

[25] i.e. Anni 2005 – 2013: detenuti per classi di età; per titolo di studio. Per posizione giuridica al 28 febbraio 2014
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.wp?facetNode_1=3_1_6&previsiousPage=mg_1_14&contentId=SST990555

[26] http://www.lavocedellabellezza.it/farinetti-firma-coi-cinesi-e-dice-la-bellezza-ci-salvera/

[27] e.g. Il lavoro che c'è, ma non piace ai giovani; http://www.corriere.it/opinioni/12_giugno_18/zuanna-lavoro-non-piace-giovani_7b0dc9d2-b916-11e1-a52c-a7a9b914e823.shtml

[28] e.g. “Lavoro … per i detenuti in Puglia”, La Gazzetta del Mezzogiorno, 08.03.2014, pag. 10.

[*] L’avv. Renato Nibbio, è funzionario di area amministrativa giuridico-contenzioso presso la DTL di Ferrara; specializzato in Discipline del lavoro, dottore di ricerca in Diritto delle relazioni di lavoro - Diritto del mercato del lavoro, ed ha conseguito un master di II livello in Scienze criminologiche.
Ogni considerazione è frutto esclusivo del libero pensiero dell’autore e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza ai sensi della circolare del Ministero del Lavoro del 18 marzo 2004.


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