La conciliazione monocratica

di Elena Fucile [*]

Elena Fucile 1. Introduzione e profili generali

L'istituto della conciliazione monocratica è stato introdotto dall'articolo 11 del D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, che ha dato attuazione all'articolo 8, 2° comma, lett. b), della Legge Delega n. 30/2003 (cd. Legge Biagi), la quale prevedeva “la razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro”.

Tramite l'emanazione dei decreti attuativi il governo, su proposta del M.L.P.S., intese istituire un sistema di tutela del lavoro attraverso interventi finalizzati anche “alla prevenzione delle controversie individuali in sede conciliativa, ispirato a criteri di equità ed efficienza”.

Appaiono istituti altamente innovativi in tal senso sia la conciliazione monocratica che la diffida accertativa, rispettivamente previsti dagli artt. 11 e 12 del D.Lgs. n. 124/2004 istituti che, se incrementati e ben usati, possono contribuire non poco alla deflazione del contenzioso giudiziario in materia di lavoro.

Con riguardo più specifico alla conciliazione monocratica caratteristica peculiare è, appunto, la sua “monocraticità”: essa infatti non si svolge davanti ad una commissione a composizione collegiale, come avviene per quella prevista dall'art. 410 c.p.c., ma davanti ad un singolo funzionario della Direzione Territoriale del Lavoro competente per territorio (la competenza è desumibile dal luogo in cui il rapporto di lavoro si è svolto), scelto dal dirigente “tra i funzionari con adeguata e specifica professionalità maturata in tale ambito o tra i funzionari in possesso di qualifica ispettiva”[1]. A tale proposito alla scrivente risulta importante sottolineare che la scelta della figura del conciliatore è di fondamentale importanza in quanto tale figura dovrebbe riassumere in sé non solo una preparazione tecnica almeno soddisfacente ma anche delle caratteristiche personali che risultano fondamentali per il buon esito dell'attività: autorevolezza, professionalità, capacità mediatoria, capacità nell'individuazione del punto di accordo tenendo conto non solo dell'interesse delle parti ma anche di terzi potenzialmente interessati, quali gli istituti previdenziali. Ciò in quanto il compito assegnato è particolarmente delicato considerando, altresì, che è anche quello di consigliare il lavoratore, anello debole della catena spesso senza assistenza, circa la soluzione migliore da perseguire. Si può dire, pertanto, che buona parte della credibilità dell'ufficio discende proprio dal buon esito di tale incarico. Di fatto all'inizio la funzione del conciliatore, e specialmente la caratteristica della sua monocraticità, fu oggetto di critiche anche accese, che pervennero sia da parte della dottrina che anche dal mondo sindacale.

Si riteneva il lavoratore “poco assistito” rispetto all'assistenza che questi avrebbe potuto avere dinanzi ad una commissione di conciliazione o in sede sindacale. In effetti il conciliatore agisce da vero e proprio mediatore, terzo ed imparziale, che assiste le parti nel raggiungimento dell'accordo, anche per prevenire liti presenti e future e per garantire la legittimità della transazione, atto che rimane sottoposto alla volontà delle parti medesime. A sancire la veridicità di tale assunto intervenne sul punto la Cassazione[2] ritenne “sufficiente l'intervento del solo funzionario per sottrarre il lavoratore dalla condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro”.

Ma quando è possibile attuare la conciliazione monocratica? Il succitato art. 11 ci riporta alle ipotesi di richieste di intervento ispettivo dalle quali emergano elementi per una soluzione conciliativa della controversia. In tali casi la DTL territorialmente competente “può” avviare il tentativo di conciliazione monocratica sulle questioni segnalate. E' da notare, quindi, che trattasi dell'esercizio di un potere da parte dell'amministrazione che presuppone una attenta valutazione della richiesta di intervento. Infatti, qualora da tale analisi dovessero emergere gravi irregolarità a rilevanza penale o fenomeni elusivi interessanti una pluralità di lavoratori o il ricorso a tale istituto non dovesse apparire consigliabile anche per motivi di opportunità (si pensi ai datori di lavoro contravventori abituali) oppure la richiesta riguardasse solo profili di natura esclusivamente contributiva, previdenziale e assicurativa, non si darà corso alla conciliazione monocratica ma la richiesta sarà messa a visita ispettiva[3]. Vale la pena sottolineare che la non disponibilità del denunciante al tentativo di conciliazione non condiziona l'ufficio, che ha la possibilità di convocare le parti per tentare un accordo anche se il lavoratore ha preventivamente manifestato la propria indisponibilità a definire la controversia in via conciliativa.

Oggetto della conciliazione monocratica possono essere sia i rapporti di lavoro subordinato che autonomo. Non è possibile procedere a conciliazione monocratica nel caso di rapporti di lavoro certificati: in tal caso, se si intende presentare ricorso giurisdizionale contro la certificazione, bisogna previamente rivolgersi alla commissione di certificazione per espletare tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c.

2. La conciliazione monocratica preventiva

Fucile 3 1La conciliazione monocratica può essere attuata in due distinte forme: preventiva e contestuale.

La prima, preventiva, è quella che viene attivata in sede pre-ispettiva, a seguito della presentazione di una richiesta di intervento dalla quale “emergano elementi per una soluzione conciliativa della controversia” (art. 1, 1° comma, D.Lgs. n. 124/2004). Essa ha ad oggetto richieste di carattere patrimoniale derivanti dallo svolgimento di un rapporto di lavoro. In tali ipotesi il funzionario designato quale conciliatore convoca le parti per l'esperimento del tentativo avvertendole che potranno farsi assistere da associazioni o organizzazioni sindacali o da professionisti abilitati di cui alla Legge 11 gennaio 1979, n. 12 (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro) a cui abbiano conferito specifico mandato, oppure, se non vogliono comparire personalmente, possono farsi rappresentare da persone munite di valida delega a transigere e conciliare (art.11, 2° comma, D.Lgs. n. 124/2004). I termini previsti dall'art. 14 della Legge n. 689/1981 sono sospesi dal momento in cui viene inviata la convocazione e fino alla conclusione del procedimento. Questo significa anche che il conciliatore può far maturare la transazione per il tempo che ritiene necessario.

Il tentativo si conclude o con esito positivo o con il mancato accordo; in caso di esito positivo il conciliatore, in posizione di assoluta terzietà, raccoglierà le dichiarazioni delle parti e redigerà il verbale nel quale saranno indicati i termini dell'accordo e che sarà sottoscritto dalle parti stesse e dal conciliatore.

Il verbale acquisisce piena efficacia con effetto immediato rispetto al procedimento ispettivo, che si estingue con il pagamento integrale della somma concordata e con il versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi dovuti in favore del lavoratore, determinati secondo le norme in vigore e riferiti alle somme concordate correlate al periodo lavorativo riconosciuto da entrambe le parti. Tale versamento va effettuato entro il 16 del mese successivo rispetto alla data di redazione del verbale[4][5].

Al verbale di conciliazione con esito positivo non si applicano le disposizioni di cui all'art. 2113 commi 1,2 e 3 del c.c.; esso diviene, perciò, inoppugnabile.

Inoltre, a seguito della sottoscrizione del verbale di accordo, non vengono applicate al datore di lavoro le sanzioni amministrative connesse al rapporto di lavoro in questione, conseguenti alle eventuali contestazioni. E' questo l'effetto premiale subordinato alla puntuale ottemperanza di quanto stabilito nello stesso verbale.

Il processo verbale di accordo viene trasmesso in copia agli istituti interessati, al fine di consentire agli stessi gli opportuni controlli di competenza.

Una novità di assoluto rilievo, che ha colmato una carenza evidente della prima stesura del D.Lgs. n. 124/2004, è stata quella introdotta dall'art. 38 della Legge 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. collegato lavoro), che ha aggiunto il comma 3 bis all'art. 11 del citato D.Lgs. n. 124/2004, stabilendo l'efficacia di titolo esecutivo del verbale di accordo con decreto del giudice competente su istanza dell'interessato.

Ciò consente al lavoratore, in caso di inottemperanza del datore di lavoro a quanto stabilito nel verbale, di escuterlo direttamente senza il preventivo esperimento né del procedimento sommario di ingiunzione e né del giudizio di lavoro, con notevole risparmio di tempo e di denaro in favore del lavoratore stesso!

Di notevole importanza è sottolineare che la circolare MLPS n. 36/2009, stabilisce che l'accordo deve prevedere, in ogni caso, il riconoscimento di un periodo lavorativo intercorso tra le parti. Questo significa che non si possono concludere conciliazioni monocratiche a carattere novativo (c.d. a saldo e stralcio) a solo fine transattivo, che si risolvono nella mera corresponsione del datore di lavoro al lavoratore di una somma di denaro.

La stessa circolare vieta al conciliatore di sottoscrivere accordi che appaiono manifestamente volti “ad eludere l'applicazione della tutela pubblicistica prevista a favore dei lavoratori oppure a precostituire false posizioni previdenziali.

Il verbale di conciliazione monocratica può essere anche negativo, sia nell'ipotesi in cui tra le parti, nonostante a volte anche lunghe ed estenuanti discussioni, non sia stato possibile raggiungere alcun accordo e sia in caso di assenza di una o di entrambe le parti. In entrambi i casi si determina la necessità di procedere con sollecitudine agli accertamenti ispettivi, tenuto conto che il datore di lavoro, ormai a conoscenza della R.I., potrebbe precostituirsi le prove. E' appena il caso di sottolineare che l'ispettore incaricato degli accertamenti, nello svolgimento degli stessi, può non limitarsi alle sole richieste avanzate dal lavoratore denunciante ma essere “a tutto campo”.

3. La conciliazione monocratica contestuale

La conciliazione monocratica contestuale, per come disposto dal comma 6 dell'art. 11 del D.Lgs. n. 124/2004, viene avviata in costanza di visita ispettiva. Infatti, nel caso in cui nel corso dell'attività di vigilanza l'ispettore ritenga che vi siano i presupposti per addivenire ad una soluzione conciliativa della controversia, acquisito per iscritto il consenso di entrambe le parti al tentativo di conciliazione, informa con apposita relazione la propria Direzione. Si procede, di seguito, come per la conciliazione preventiva.

Ovviamente l'ispettore incaricato dovrà innanzitutto accertare che esistono buoni presupposti per giungere ad una soluzione conciliativa della controversia, e qui è evidente il suo potere discrezionale, ed inoltre la sua relazione dovrebbe essere il più possibile chiarificatrice, ossia precisa e puntuale in modo da porre l'accento sugli elementi in base ai quali egli ritiene possibile l'accordo.

La conciliazione contestuale può essere però avviata solo fino all'emanazione di un qualsiasi provvedimento amministrativo sanzionatorio.
Nell'ipotesi in cui le parti, o una sola di esse, non si presentino o non raggiungano accordo, l'accertamento ispettivo riprende e viene portato a termine dall'ispettore che l'aveva iniziato.

Si chiarisce che non si può procedere a conciliazione contestuale nel caso in cui la richiesta di intervento, per qualche valido motivo, non era stata ammessa a conciliazione monocratica preventiva.

4. La conciliazione monocratica a seguito di diffida accertativa

Fucile 3 2Infine, ultima ipotesi di conciliazione monocratica da trattare per completezza di informazione, è quella prevista dall'art. 12, 2° comma, del D.Lgs. n. 124/2004, cioè quella richiesta dal datore di lavoro a seguito di ricezione di diffida accertativa. Entro il termine perentorio di 30 giorni dalla notifica di tale atto il datore di lavoro può promuovere tentativo di conciliazione.

Si deve precisare che in quest'ultimo caso la convocazione delle parti non è ad iniziativa dell'ufficio ma su impulso del datore di lavoro, che all'accordo raggiunto consegue la perdita di efficacia della diffida accertativa in oggetto ma non l'estinzione del procedimento ispettivo, che i contributi e premi dovranno essere relativi agli importi retributivi ex art. 1 della Legge 7 dicembre 1989 n. 389 e ciò comporta sia l'applicazione delle sanzioni civili che degli interessi legali.

Nell'ipotesi in cui il datore di lavoro, entro i 30 giorni dalla notifica della diffida accertativa non chieda di essere ammesso a conciliazione o se non viene raggiunto l'accordo oppure una o entrambe le parti, seppure regolarmente convocate non si presentino, la diffida accertativa, mediante l'emanazione di un ulteriore atto a firma del dirigente della DTL (cd. di validazione) “acquista valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo”, che il datore di lavoro può impugnare entro 30 giorni dalla sua notifica dinanzi al Comitato Regionale per i Rapporti di Lavoro di cui all'art. 17 del D.Lgs. n. 124/2004, il quale deciderà in merito entro i successivi 90 giorni.

5. Conclusioni

Fucile 3 3Dopo circa 10 anni dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 124/2004, è possibile procedere ad un'analisi obiettiva dei risultati concretamente raggiunti dalla conciliazione monocratica.

Dopo un iniziale contrasto, proveniente specialmente da parte delle organizzazioni sindacali che avversarono in tutti i modi tale istituto, e dopo un iniziale scetticismo mostrato dagli stessi uffici chiamati ad applicarlo, oggi si può dire, ad avviso della scrivente, che la conciliazione monocratica presenta indubbi vantaggi non solo per i lavoratori ma per tutte le parti interessate alla sua applicazione.

Di fatto il lavoratore ha la possibilità di definire la sua controversia in tempi più rapidi incassando subito le somme concordate, con l'assistenza di un funzionario imparziale dotato di adeguata competenza tecnica e professionale e di avere riconosciuto il suo rapporto di lavoro con conseguente versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi. Il tutto senza costi aggiuntivi assistenziali o legali.

Da parte sua il datore di lavoro evita l'accertamento ispettivo con tutte le conseguenze del caso e le sanzioni amministrative conseguenti alle eventuali contestazioni ed inoltre versa i contributi previdenziali ed assicurativi sulle somme concordate in sede conciliativa.

Ma indubbi vantaggi sono presenti anche per gli istituti previdenziali ed assicurativi, i quali hanno la possibilità di riscuotere i contributi sulle somme concordate in sede conciliativa o sui minimali nel caso tali somme fossero inferiori ai minimali stessi, applicando la sanzione civile prevista dall'art. 116, comma 8, lettera b) della Legge 23 dicembre 2000, n. 388.

Infine, anche le stesse DTL, attraverso l'applicazione di tale istituto, hanno avuto la possibilità di definire celermente tante R.I. giacenti negli uffici, consentendo una maggiore razionalizzazione delle risorse disponibili.

In effetti la conciliazione monocratica può essere considerata come una moderna concezione dell'attività di vigilanza in un mercato del lavoro profondamente cambiato ed in continua evoluzione. Anche la stessa attività delle DTL non appare più solamente come repressive bensì conciliativa.

In tal senso muovono le circolari e le direttive successive all'emanazione del D.Lgs. n. 124/2004, in particolar modo la direttiva MLPS del 18/9/2008, la circolare MLPS 36/2009, la nota 7165 del 16/4/2012, che hanno inteso valorizzare tale istituto dando ad esso un ruolo sempre più importante, anche al fine di permettere un'attività di vigilanza di iniziativa nei settori considerati ad alto rischio sempre più efficace. Quadrato Verde

Note:

[1] MLPS – Circolare 24 giugno 2004, n. 24.

[2] Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 12 dicembre 2002, n. 17785.

[3] MLPS – Circolare 26 novembre 2009, n. 36.

[4] INPS – Circolare 20 settembre 2004, n. 132.

[5] INAIL – Circolare 17 dicembre 2004 n. 86.

[*] La dott.ssa Elena Fucile è funzionario amministrativo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in servizio presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Cosenza. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del libero pensiero dell’autore e non impegnano, in alcun modo, l’amministrazione di appartenenza.


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