Anno VI/VII - N° 30-31

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Novembre 2018/Febbraio 2019

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Anno VI/VII - N° 30-31

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Tavola Rotonda - “Rilancio dei servizi per l’impiego tra realtà ed utopia”

Conclusioni

Roma, 21 dicembre 2018
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

di Fabrizio Di Lalla [*]

Fabrizio Di Lalla 30 31

Nel ringraziare il moderatore per avermi invitato a trarre le conclusioni di questa tavola rotonda, devo premettere che mi trovo in una situazione ben strana: ero venuto qui per fare delle domande e mi si chiede di dare delle risposte. Ad altri, infatti, spettava questo compito, così proverò a fare delle riflessioni sul dibattito, aiutato dagli interventi di quelli che mi hanno preceduto.

Oggi la presenza del Ministro sarebbe stata indispensabile per fornirci chiare indicazioni sul tema oggetto del dibattito triangolare: vale a dire quando, come e con quali strumenti sarà realizzata la riforma dei centri per l’impiego perché il reddito di cittadinanza diventi un elemento trainante di politica attiva del lavoro e non un mero sussidio.


Fabrizio Di Lalla 30 31 1Se devo dire la mia sull’argomento con franchezza e con un pizzico d’impertinenza, secondo le dichiarazioni fatte a tutt’oggi dal ministro sul suo progetto, è che sono rimasto sconcertato per come questo problema maledettamente complesso venga trattato con incredibile superficialità, Noi conosciamo le carenze dei centri dell’impiego. Sappiamo, anche per il lungo percorso avuto con il loro personale un lungo, che questi organismi non funzionano non da ora, ma, si può dire, da sempre; la loro incapacità a essere il nucleo propulsore del mondo del lavoro è un fatto storico.

Questa realtà istituzionale nella sua negatività ha rappresentato e rappresenta una delle patologie della nostra realtà lavorativa, poiché il mondo del lavoro ha bisogno di un efficace strumento d’intermediazione; di una intermediazione che funzioni, pubblica o privata non ha importanza. E poi che sia in grado di recepire per tempo le trasformazioni delle professionalità e trasferirle ai lavoratori attraverso un’efficace formazione. Non quella attuale che serve solo a soddisfare le clientele.

Concordo sul giudizio negativo emerso negli interventi dei rappresentanti delle parti sociali e del presidente dell’ANPAL, sull’attuale efficienza di questi uffici. Anzi, nelle loro valutazioni, a mio giudizio, sono stati, fin troppo benevoli nei confronti della loro produttività parlando di una percentuale di collocamento del 3,5%, perché sanno che in essa c’è compreso tutto un insieme di elementi che non hanno nulla a che vedere con il vero incontro della domanda e dell’offerta, quella concreta, reale del Paese. E, comunque, ammesso e non concesso che tale cifra sia esatta, non è troppo distante dallo zero assoluto.

Dicevo all’inizio che quello dei centri per l’impiego è un problema molto complesso perché ho conosciuto e conosco bene quella realtà, prima e dopo la riforma avvenuta alla fine degli anni Novanta del secolo scorso con il trasferimento delle competenze dal Ministero del Lavoro alle autonomie locali con l’obiettivo di una più elevata efficienza. E tale motivazione era vera; quelle strutture funzionavano male, anche se un pochino funzionavano, forse perché le condizioni del lavoro erano diverse e c’era ancora il monopolio del collocamento come servizio pubblico. Gli addetti, infatti, nonostante tutte le pastoie burocratiche e la carenza di mezzi, qualcosa facevano. Oggi, purtroppo, sono di fatto disoccupati. Dico questo a ragion veduta perché ho mantenuto i contatti con alcuni di loro e quando li sento, resto sconvolto perché tutti mi dicono la stessa cosa: stiamo impazzendo perché da diciotto anni non ci fanno fare nulla e nessuno del gruppo dirigente si preoccupa di questo fatto; ci sentiamo come se fossimo su una nave dei folli alla deriva.

Fabrizio Di Lalla 30 31 2E chi mi esprime questo stato d’animo è addetto in un centro dell’impiego dove il mercato del lavoro tira, solo che si svolge lontano da esso. Di fronte a tale realtà, come si può credere che fra tre, quattro, cinque o sei mesi avremo degli uffici funzionanti che hanno sotto controllo il mercato del lavoro per collocare i disoccupati percettori del reddito di cittadinanza. Ho l’impressione che ben pochi riescano a confidare in tale risultato e non è detto che tra essi non ci sia anche il Ministro del Lavoro. In altre parole, non è del tutto escluso che tutto ciò serva come una foglia di fico; a mascherare, cioè, la vera natura del reddito di cittadinanza che appare sempre più come indennità di assistenza, facendola passare per strumento di politica attiva del lavoro.

D’altra parte, non è la prima volta che le riforme nel settore pubblico vengano attuate con leggerezza, improvvisazione e inadeguatezza dei mezzi. Ne abbiamo avuto di recente un esempio con la cosiddetta riforma dell’Agenzia per l’Ispezione del Lavoro, un altro fallimento completo perché l’obiettivo posto inizialmente, quello dell’unitarietà dell’ispezione del lavoro, non solo non è stato raggiunto ma ha provocato una forza centrifuga per cui gli operatori son ancora più divisi di prima; anzi, addirittura, si sta sviluppando una conflittualità latente che non consente neanche quella collaborazione che c’era prima, quando erano separati.

Tornando all’argomento oggetto dell’odierno dibattito, le mie valutazioni derivano dall’esperienza e dalle notizie, a volte contraddittorie, dai mass media. Ecco perché ho detto all’inizio, che ero venuto per far domande e per saperne di più. Conoscere dalla viva voce del Ministro del Lavoro il progetto, gli obiettivi, il modello organizzativo, gli strumenti di riqualificazione del personale che, va sottolineato, è quasi al limite della pensione. Questo avrei voluto sapere, ma mi dicono che l’assenza del ministro o di un suo rappresentante è giustificata da sopraggiunti impegni politici improrogabili.

Sarà pure vero ma ciò non diminuisce la mia delusione e la mia amarezza perché di una riforma così importante si sa poco e nulla e si conoscono, per sentito dire, solo le linee generali in modo superficiale con qualche tocco di esotismo come l’introduzione della figura del ‘navigator’. E pensare che fino a qualche tempo fa si conosceva fin troppo dei progetti di riforma perché la classe politica si sentiva in obbligo di coinvolgere le parti sociali interessate alla questione attraverso i suoi rappresentanti. C’era, infatti, il sentire comune che nella nostra società il rapporto dall’alto in basso dovesse essere mediato dei corpi intermedi. Oggi tutto resta incognito, e ogni riforma sembra essere terreno esclusivo delle forze politiche dominanti che governano. L’aver messo da parte le rappresentanze delle categorie produttive è un grave vulnus per la democrazia perché esse svolgono l’importante funzione di mediazione che consente di tutelare il bene comune attraverso la ricerca di equilibrio degli interessi di parte.

Per tutto questo, ammaestrato dai fallimenti del passato in tale delicato settore della nostra società, non posso far altro che esprimere un profondo pessimismo, anche se è contrario alla mia natura. Certo, mi piacerebbe una volta tanto essere smentito dalla realtà; sarebbe uno dei momenti più belli della mia vita. Quadrato Rosso

[*] Giornalista e scrittore. Consigliere d'Amministrazione della Fondazione Prof. Massimo D’Antona

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