Anno IX - N° 43-44

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Gennaio/Aprile 2021

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Anno IX - N° 43-44

Gennaio/Aprile 2021

Organizzare il lavoro agile e riformare la Pubblica Amministrazione

Costruendo un buon POLA per tutti…


di Stefano Olivieri Pennesi [*]

Olivieri Pennesi 28

Tutte le Pubbliche Amministrazioni si stanno misurando rispetto ad un ripensamento circa l’indispensabile nuova organizzazione del lavoro, relativamente alla messa in campo dei cosiddetti POLA (Piano organizzativo del lavoro agile), come introdotti dal decreto legge n.34 del 19 maggio 2020 convertito dalla legge n.77 del 17 luglio 2020, e precisamente art.263 comma 4bis.

Il tema di una indispensabile “rinnovata organizzazione del lavoro pubblico” (ma io aggiungo anche di quello privato, in primo luogo nelle aziende medio-grandi del nostro tessuto produttivo) deve poter essere affrontato in un quadro più generale delle “riforme strutturali” necessarie per il nostro Paese, anche rispetto alla non più replicabile occasione che ci viene offerta all’interno del più ampio consesso europeo, sotto forma di “Recovery Fund” o più precisamente “Next generation EU”, ovverosia il piano per la ripresa dell’Europa, pensato dai governanti del nostro continente al fine di stimolare la ripresa, anche rispetto ad una ricostruzione dell’Europa contestuale e susseguente la pandemia da Covid19 in atto (questo tipo di iniziativa senza precedenti per i Paesi UE).

Parliamo quindi di finanziamenti pluriennali finalizzati alla ricerca, innovazione, transizioni digitali, transizione climatica, transizioni sanitarie, per politiche agricole di coesione territoriale, alla protezione di biodiversità, per la lotta alle mutazioni climatiche, per un impegno verso la parità di genere e per riformare le Pubbliche Amministrazioni.

Sottolineo volutamente il seguente aspetto, vale a dire il fatto di condurre una “azione riformatrice” della PA che riguardi solamente soluzioni di corto respiro, magari influenzate dalla emergenza pandemica che oramai da più di un anno si è materializzata a livello mondiale, ma bensì si realizzi con lo scopo di migliorare fattualmente, le nostre vite dal punto di vista lavorativo, ambientale, sociale, economico, giuridico, culturale, sanitario.

Solo al fine di rendere più immediato e comprensibile il significato e contenuto del sopra citato (POLA), appare utile fare cenno al contenuto del richiamato art.263 del decreto legge n. 34/2020 rubricato come: “disposizioni in materia di flessibilità del lavoro pubblico e di lavoro agile”.

In questo articolo l’incipit si concretizza… “Al fine di assicurare la continuità dell’azione amministrativa e la celere conclusione dei procedimenti… le Amministrazioni… adeguano l’operatività di tutti gli uffici pubblici alle esigenze dei cittadini e delle imprese connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali… A tal fine… organizzano il lavoro dei propri dipendenti e l’erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell’orario di lavoro… introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l’utenza, applicando il lavoro agile…”.

E ancora nel comma 3: “… le Amministrazioni assicurano adeguate forme di aggiornamento professionale alla dirigenza”.

Come anche innovativo e modificativo rispetto all’art.14 della legge n.124/2015 nel comma 4bis, sempre dell’art.263 si sancisce che: “… le Amministrazioni Pubbliche redigono, sentite le Organizzazioni Sindacali, il piano organizzativo del lavoro agile (POLA)… Il Pola individua le modalità attuative del lavoro agile prevedendo… e definisce, altresì, le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi nonché della qualità dei servizi erogati anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative”.

“… ulteriori e specifici indirizzi per l’attuazione dei commi 1 e 2 del presente articolo e della legge 22 maggio 2017 n.81, per quanto applicabile alle Pubbliche Amministrazioni, nonché regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere il lavoro agile e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti. Presso il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri è istituito l’Osservatorio Nazionale del lavoro agile nelle Amministrazioni Pubbliche”.

Olivieri Pennesi 43 44 1Partendo da un assunto generale inerente il necessario adattamento delle molteplici realtà della nostra Pubblica Amministrazione, sia centrale che periferica, avvenuto “forzosamente” ed “emergenzialmente”, a causa del materializzarsi della crisi pandemica, cerchiamo di dare una prospettiva ampia al massiccio e repentino ricorso allo svolgimento delle molteplici prestazioni lavorative, nel lavoro pubblico, non in presenza.

Sintetizzando, lo smart working cosiddetto semplificato, introdotto, a causa dell’evento pandemico da Covid19, nel nostro Paese, dall’art. 87 del Decreto Cura Italia (d.l. n. 18 del 17 marzo 2020), viene regolato dall’art. 263 del Decreto Rilancio (d.l. n. 34 del 19 maggio 2020), come anche integrato dall’art. 31 del Decreto Semplificazioni (d.l. n. 76 del 16 luglio 2020)

Iniziamo col dire che evidentemente, in tale fase, si è surrettiziamente ricondotta la generica prestazione di lavoro agile assistendo alla sua concreta esplicazione sotto forma, però, di un difforme “home working”. Questo ha significato limitare, o meglio confinare, le varie sperimentazioni a timidi tentativi, rispetto ad una vera innovazione organizzativa.

Il carattere emergenziale, che ha contraddistinto scelte di radicale cambiamento, in ambito HR, non di meno ha fatto appalesare elementi positivi, come pure criticità, sulle modalità organizzative nell’effettuazione del cosiddetto lavoro agile diffuso.

Si è dovuto ricorrere, quale modalità ordinaria, allo svolgimento di prestazioni di lavoro. da attuarsi in maniera semplificata e derogatoria alla normativa che comunque era già presente nel nostro ordinamento, (mi riferisco agli accordi individuali per il ricorso allo smart working, all’adozione di atti generali organizzativi interni, regolatori delle prestazioni di lavoro agile).

Risulta quindi, di tutta evidenza, come il vertice politico dovrà intervenire quando le fasi emergenziali volgeranno al loro esaurimento, al fine di indicare con chiarezza un percorso ed una metodologia di riforma complessiva del lavoro pubblico che vedrà, come nuovo orizzonte (nelle molteplici declinazioni e ambiti settoriali), i Piani organizzativi per il lavoro agile - POLA e conseguentemente un appropriato “nomenclatore” articolato e complesso, comprendente puntuali “indicatori di performance”, attagliati ai diversi segmenti della P.A. in ambito centrale e territoriale, ovvero sia per le funzioni centrali che per funzioni locali.

Andrà, in un certo senso, approntato un diverso approccio organizzativo, dovranno essere messe in campo delle “professionalità di nuova generazione” in grado di progettare innovativi modelli e strumenti di organizzazione, concepiti per rispondere con immediatezza ed adeguatezza alla vastità di bisogni collettivi ed individuali di servizi pubblici, attuando, di fatto, un ripensamento complessivo nell’ordinamento del lavoro pubblico.

È un dato acclarato che la vigente normativa e contrattualistica, per coloro che lavorano alle dipendenze della P.A., si sostanzia su modelli organizzativi pensati in base alla effettiva presenza fisica in ufficio/sede.

Con questo si evidenzia la criticità rappresentata dal bisogno di un diverso applicarsi di variegati e fondamentali istituti contrattuali, inerenti il trattamento giuridico ed economico dei lavoratori pubblici, in rapporto allo svolgimento del lavoro agile. Solo per citarne alcuni: la sicurezza sul lavoro e relativa sorveglianza sanitaria sui lavoratori agili, il diritto al buono pasto, la disciplina dei permessi personali e permessi sanitari, lo svolgimento di lavoro supplementare e straordinario, le varie aspettative, le attribuzioni delle prerogative sindacali (quali assemblee, scioperi, incontri, proselitismo, ecc.), i diritti per le lavoratici madri lavoratori padri, diritti allo studio, diritto all’assistenza dei conviventi diversamente abili, e non da ultimo il più recente e dibattuto diritto alla disconnessione, ecc.

A questo, è bene dirlo, si abbina la necessità delle Amministrazioni di adottare modifiche organizzative in base alla velocità dei cambiamenti esterni e/o alle mutate e mutabili esigenze dei servizi pubblici e della relativa utenza, sapendo creare dei team composti da personale operante, intercambiabile e flessibile.

Domandiamoci ora cos’è e cosa rappresenta, in concreto, lo smart working. Facciamo quindi riferimento a concetti e categorie ampie e ben comprensibili, tutte riconducibili all’assioma che lo incardina quale “nuovo approccio all’organizzazione del lavoro” fondato su tre pilastri fondamentali che sono appunto:

  • La flessibilità
  • L’autonomia operativa
  • La collaborazione (tesa al raggiungimento di obiettivi ben definiti – singoli e/o interconnessi


Olivieri Pennesi 43 44 2Nel nostro Paese il prof. Mariano Corso, docente al Politecnico di Milano e responsabile scientifico degli Osservatori sullo Smart Working, ma anche – di recente – nominato componente dello “Osservatorio nazionale sul lavoro agile” costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha elaborato una definizione proprio dello s.w. che ritengo altamente esplicativa e chiarificativa, ovvero:

“Modello di organizzazione del lavoro che si basa sulla maggiore autonomia del lavoratore che, sfruttando appieno le opportunità della tecnologia, ridefinisce orari, luoghi, e in parte strumenti della propria professione. È un concetto articolato, che si basa su un pensiero critico che restituisce al lavoratore l’autonomia in cambio di una responsabilizzazione sui risultati, mentre il Telelavoro comporta dei vincoli ed è sottoposto a controlli sugli adempimenti”.

È indubitabile che con il ricorso al lavoro agile si concretizza una “visione nuova”, anche nelle cosiddette “relazioni industriali”, che ha come nucleo fondamentale il fatto di “rimettere al centro la persona”, la sua libertà di azione associata ai relativi livelli di responsabilità personale.

Con lo s.w. si sopravanza la tradizionale logica del rigido controllo sulle prestazioni, confidando nel patto fiduciario tra Amministrazione e lavoratore.

Torniamo quindi a ragionare sul ruolo strategico che assume la “cultura organizzativa” strettamente connessa, è bene dirlo e affermarlo consapevolmente, rispetto alle nuove od evolute “tecnologie digitali”. A questo si abbinano specifici bisogni proprio conferenti la cultura organizzativa, legata alla riprogettazione di competenze e comportamenti. Come anche un nuovo modello di organizzazione con connotati chiari per quanto attiene la gerarchia, il coordinamento, i programmi, i monitoraggi sui risultati da raggiungere.

È vero anche che ogni cambiamento delle organizzazioni va puntualmente gestito verificato, a maggior ragione in questa epoca di forte spinta all’uso delle nuove tecnologie disponibili, che devono essere viste come un’opportunità da cogliere e sviluppare.

Proprio le tecnologie digitali, soprattutto nella P.A., possono rendere concrete le possibilità di lavorare in modi, luoghi e tempi diversi. Ce ne siamo resi conto con l’esplosione di questa crisi pandemica iniziata nel 2020.

Un elevato livello di digitalizzazione, come sperimentato da diversi Enti Pubblici e Amministrazioni (già ben posizionati, per il vero, a mio vedere, rispetto ai sistemi tecnologici posseduti), si possono rinvenire.

A mero esempio, volutamente cito: l’INPS, l’INAIL, l’Agenzia delle Entrate, l’Agenzia del Demanio, alcuni Atenei Universitari (per qualità di offerta formativa a distanza e attività delle segreterie amministrative e Rettorati), alcuni Tribunali Civili (per attivazione processi telematici, udienze e audizioni da remoto, digitalizzazioni fascicoli di cancelleria) e Procure della Repubblica, il MEF-Dipartimento RGS (per la gestione dei sistemi di contabilità Sicoge, SicogeEnti e Sistemi pagamenti personale NoiPA, Sistemi identificazione digitale-SPID), alcune Aziende Ospedaliere (per l’applicazione della tele-medicina, ma anche per l’istituzione dei fascicoli sanitari digitali, la gestione telematica certificazioni dei medici di base), svariate amministrazioni locali (per svolgimento servizi anagrafici, autorizzazioni servizi tecnici e urbanistici, servizi annonari, ecc.) diverse Regioni (per le attivazioni reti di volontariato, assistenza sociale, servizi vaccinazioni sanitarie collettive, sistemi di prenotazioni sanitarie CUP, gestione servizio unico pronto soccorso-118, servizi politiche per il lavoro e Centri per l’Impiego, operatività delle centrali uniche di Protezione civile regionale) Forze di Polizia (gestione unica chiamate di emergenza).

Olivieri Pennesi 43 44 3Questi indicati solo per citare alcuni esempi concreti di relativamente recente innovazione nella PA, hanno offerto uno spaccato sulle fattuali potenzialità circa l’implementazione delle tecnologie digitali e il rendere possibili nuovi modi di lavorare, anche a distanza.

Si è dovuto constatare che a seconda del livello di digitalizzazione si è potuta permettere la creazione di spazi di lavoro “virtual-digitali” ma anche tipologia di “co-working” e conseguentemente comunicare, collaborare, socializzare in maniera avulsa da orari, momenti e luoghi di lavoro.

Non di minore importanza, al contempo, risulta essere, però, l’incentivazione da parte dei datori di lavoro privati, ma non di meno pubblici, per far emergere, per il proprio personale dipendente, competenze digitali trasversali, magari rivisitando e riattualizzando, al contempo, i diversi “profili professionali”.

A questo, parallelamente, bisogna affiancare la questione ineludibile delle “misurazioni e valutazioni delle performance” in quanto evidentemente strategica, per la piena e complessiva attuazione e diffusione del lavoro agile, e più in generale di tutte le prestazioni lavorative in ambito pubblico.

Esiste quindi un nesso stringente tra performance e Smart Working, ed in particolare su quanto siano adeguati i differenti e peculiari sistemi di misurazione e valutazione della performance, adottati dalle singole Amministrazioni ed Enti.

Di certo la metodica e le procedure dei vari SMVP (detto in acronimo) richiederanno ridefinizioni coerentemente con i nuovi modelli organizzativi che verranno attuati, con un riguardo particolare rispetto alle performance e i comportamenti individuali, impattando, questi, sull’efficacia e l’efficienza della più generale azione amministrativa, e quindi sulla qualità ed estensione dei molteplici servizi erogati.

Le reali e mutate neo misure organizzative, che potranno essere adottate, avranno inoltre una diretta ricaduta sull’altro fondamentale tema interconnesso con lo s.w., vale a dire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti.

Parliamo ancora di POLA partendo dalla considerazione che la quasi totalità delle Amministrazioni ed Enti pubblici, ad oggi, non hanno dato corso alla revisione dei loro modelli organizzativi, ma più che altro si sono limitate a meri adattamenti basati sugli utilizzi frammentati e parziali delle tecnologie digitali alle attività per così dire “smartabili o smartizzabili”, come state definite.

È giusto quindi affrontare i problemi scaturenti dalle fattibili o meno accessibilità dall’esterno alle molteplici banche dati, alla creazione massiva delle cosiddette “scrivanie virtuali”, alla predisposizione di appositi “cruscotti digitali”, alla diffusione capillare dei cosiddetti “ambienti digitali Cloud”, (a mio sommesso parere in maniera spesso disomogenea) realizzati per singola Amministrazione ed Ente, alla diffusione capillare, su tutto il territorio nazionale (in particolare montano, appenninico, meridionale e insulare) delle reti tecnologiche infrastrutturali (tra le quali la fibra ottica, la banda larga, come anche la diffusione del 5G).

Tentando di fare maggiore chiarezza, rispetto al tema più complessivo della riforma della PA, è bene spiegare, ulteriormente, che in base alla vigente normativa, ogni Piano della Performance, di ciascuna Amministrazione ed Ente pubblico, dovrà necessariamente contenere una specifica sezione dedicata al POLA, che tratterà dei processi di innovazione amministrativa finalizzati a programmare e gestire organicamente il lavoro agile.

È quindi da intendersi il POLA quale strumento per programmare il lavoro agile modulandone realizzazione e sviluppo, ma non anche adibito alla programmazione di obiettivi concreti per strutture articolazioni e relativi smart workers.

La diffusione del lavoro agile porta con se, oltre che un inevitabile ripensamento di modelli organizzativi esistenti, un altrettanto inevitabile ricaduta per quanto riguarda una serie di atti e programmazioni pluriennali concepiti dalle diverse Amministrazioni, quali:

  • Piano triennale della formazione del Personale e della Dirigenza,
  • Piano triennale dei fabbisogni del personale,
  • Piano triennale per l’Innovazione e l’Informatica.


Il POLA, quale documento di programmazione organizzativa, come adottato dalle Amministrazioni, sentite le OO.SS., come punti fondamentali si sostanzia con il “programma di sviluppo del lavoro agile” ossia il concreto piano di attuazione con una serie di contenuti qualificanti, vale a dire:

  • Condizioni abilitanti del lavoro agile (organizzazione, tecnologia, formazione)
  • Modalità e stato di implementazione del lavoro agile
  • Strumenti di rilevazione e verifica periodica risultati conseguenti (miglioramento, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, qualità dei servizi, ecc.)
  • Impatti esterni ed interni del lavoro agile.


Olivieri Pennesi 43 44 4Ma torniamo ancora sul termine POLA, inteso come un vero e proprio atto programmatorio da realizzarsi in ogni Amministrazione/Ente pubblico, al fine di definire obiettivi organizzativi connessi alla indispensabile revisione di modelli e architetture per strutturare il lavoro anche rispetto a ben definiti indicatori e target di breve, medio e lungo periodo.

Giusto ricordare che nel caso non vengano adottati i POLA, da parte delle Amministrazioni/Enti, la vigente Legislazione stabilisce che comunque il lavoro agile dovrà essere adottato nella misura di almeno il 30% dei dipendenti/organico.

Elementi cardini, rispetto a questi Programmi, sono certamente le figure dei Dirigenti della PA, direttamente coinvolti nella programmazione e monitoraggio degli obiettivi ivi contenuti, ma anche nella veste di “promotori e protagonisti” dell’innovazione nei sottostanti momenti organizzativi, in un nuovo sistema del lavoro che muove su assi intesi quali obiettivi concreti e realizzabili nell’azione della PA.

Gli stessi Dirigenti, oltre che attori primari, risultano essere, di fatto, i primi destinatari delle misure inerenti l’esplicazione delle prestazioni lavorative come già introdotte dal menzionato art. 14 della legge n. 124/2015 relativamente al lavoro agile.

Primi attori quindi, i Dirigenti, rispetto al loro coinvolgimento per mappare e reingegnerizzare, innovativamente, i processi di lavoro evidentemente smartizzabili. I POLA, quindi, quali atti organizzativi interni alle Amministrazioni, (e definibili di alta amministrazione) saranno concepiti per individuare le attività da svolgere concretamente in modalità agile/smart.

Compito ancora dei Dirigenti è certamente anche quello di agire sul personale loro assegnato, in modo tale da garantirne l’effettività e proficuità delle variegate prestazioni, in ordine di priorità e concreti obiettivi da raggiungere nel breve, medio periodo, assegnati agli uffici da essi diretti.

È altrettanto necessario, attuando il lavoro agile, nell’ottica anch’essa generale delle politiche di conciliazione dei tempi di lavoro, tempi di vita, garantire per quanto possibile, il famigerato ed impalpabile (alla luce delle mie esperienze professionali) “miglioramento del benessere organizzativo”.

Viceversa, il compito preliminare delle Amministrazioni/Enti, prima di predisporre il proprio POLA è quello di procedere ad effettuare concrete verifiche per far emergere possibili criticità che potrebbero impattare ed ostacolare il diffuso ricorso allo smart working.

Utile, ma aggiungo necessario, quindi, un’attenta mappatura di tutti i processi e attività svolte e organizzazione del lavoro in essere. Non di meno, ritengo, sia anche necessaria una ulteriore mappatura, per il personale, delle conoscenze e degli skill posseduti (meglio se soft skill) come usa indicarsi per gli addetti ai lavori delle HR, le cosiddette “soft skill” ossia competenze trasversali non specialistiche, quali: capacità di comunicare, capacità di ragionamenti analitici, capacità empatiche, gestione degli imprevisti, attitudini al lavoro di team, capacità creative, capacità di elaborare informazioni complesse, ma anche il possesso delle doti di adattabilità e affidabilità, relativamente al complessivo organico (dirigenziale e non) e al contempo prevedere, per ciascuna Amministrazione Pubblica, una fase progettuale con adeguati e permanenti percorsi di formazione anche per acquisire o consolidare nuove competenze tecniche e/o soft-trasversali.
 

Caratteristiche del Lavoro Agile


Il lavoro agile possiamo anche definirlo come lavoro intelligente. Come più volte detto si basa fondamentalmente su una serie di fattori:

  • Obiettivi lavorativi (individuali e di team),
  • Soddisfazione garantita all’utenza (per quanto riguarda, nel nostro caso, la PA),
  • Stretta connessione alla capillare diffusione e accessibilità alle infrastrutture tecnologiche, possesso di strumentazioni informatiche moderne,
  • Sostenibilità dal punto di vista ambientale, in quanto a totale beneficio della qualità della vita, inerente ridotte mobilità urbane delle popolazioni, inquinamento atmosferico da poter abbattere (polveri sottili), contrasto al riscaldamento globale, ripopolamento delle zone rurali (piccoli borghi e province minori),
  • Gestione più attenta e oculata alle esigenze di conciliazioni dei tempi di vita e tempi di lavoro.


Olivieri Pennesi 43 44 5Questi solo per citare gli aspetti più impattanti rispetto al nostro vivere e lavorare quotidiano, anche quando le situazioni emergenziali, legate all’attuale stagione pandemica, potranno considerarsi contenute e superate.

Improvvisazione nello s.w. non è ammissibile, questo risulta essere di certo il punto debole per la PA. A ciò può contrapporsi, in primis, una particolare attenzione ai momenti di formazione, di confronto, di consulenza organizzativa e di prassi normativa, in costanza, però, di fondamentali requisiti tecnologici e innovativi, di innovati approcci culturali, non escludendo la “fatica del cambiamento”.

In sintesi una organizzazione innovativa per essere al passo coi tempi deve puntare su due elementi cardine:

  1. La creazione e il governo dei processi, implementando al massimo nuove procedure digitali vocate alla semplificazione, con uno sguardo attento almeno alle esigenze basiche dei cittadini, questo mettendo in campo piattaforme di interoperabilità (esempio in tal senso l’uso vincolante e massivo dello SPID, recentemente messo in atto);
  2. Le persone poste al centro dell’azione della PA, quale elemento indispensabile anche per indurre ai cambiamenti dei processi e aumentarne l’incisività dell’azione della funzione pubblica, producendo conseguentemente servizi efficienti degni di questo nome.


Un’oggettiva criticità, nel contesto del lavoro agile, è rappresentata dall’età media dei dipendenti pubblici italiani - secondo il Rapporto ARAN 2017 è attestata ai 55 anni – ma non di meno emerge anche una scarsa propensione, o quanto meno una ritrosia, verso l’utilizzo e la diffusione di nuove e innovative procedure digitali e di dematerializzazione.

Altrettanto evidente risulta essere una difficoltosa propensione ad accogliere innovativi modelli di flessibilità organizzativa, abbinati alla disponibilità e capacità di collaborare e lavorare in team. Tali elementi è evidente debbono essere affrontati pragmaticamente e risolti perché il lavoro agile si realizzi in concreto e metta le ali.

Altro elemento fondamentale per lo s.w. risulta essere, è bene dirlo, la diffusione e qualificazione del già sopra citato “benessere organizzativo”, ossia della capacità di un’organizzazione di promuovere standard adeguati di benessere psicofisico delle persone, in qualità di lavoratori, ricercare spirito e orgoglio di appartenenza, perseguire la convivenza sociale, saper crescere, accompagnare l’esigenza di cambiamento necessaria per gli adattamenti alle mutate esigenze di contesto.

Le lavoratrici e i lavoratori della PA debbono poter confrontarsi in un ambiente fattivamente meritocratico, devono poter fruire della formazione permanente offerta loro dall’Amministrazione.
 

Contemplare e contemperare turnover personale della PA e formazione permanente


Olivieri Pennesi 43 44 6La patologia cronica della nostra Amministrazione Pubblica risiede, tra le altre cose, nel fatto che il turnover è generalmente molto basso a causa della scarsità (almeno fino ad oggi) di occasioni concorsuali, per garantirsi nuovi ingressi di risorse umane. A questa carenza cronica di contingenti, neo assunzionali, frequentemente si è provato a rispondere con un diverso strumento, il cosiddetto life long learning vale a dire la concreta soluzione per adeguare le molteplici e spesso sconosciute professionalità del personale, nel corso del tempo, alle mutabili quanto inevitabili trasformazioni tecnologiche del mondo del lavoro.

La formazione permanente, deve rappresentare un presidio fondamentale per ottenere un trasferimento di saperi, ma al contempo quale sostegno per apprendere e sviluppare nuove metodologie di lavoro e questo influenzando positivamente ogni cambiamento organizzativo che si rende necessario.

La mutevolezza delle attività e delle prestazioni, svolte nella PA, dovrebbe risultare ormai un fatto acclarato, con mansioni che si fanno sempre più “fluide” e fungibili. Ciò si è ampiamente appalesato con l’emergenza COVID-19 che ha indotto un significativo numero di dirigenti a ragionare e conseguentemente ridisegnare, se non commutare, le attività dei propri funzionari, riadattando sistemi e modalità di prestazione lavorative (quand’anche non alcuni contenuti), ciò al fine di poter permettere, al maggior numero di persone, di lavorare da remoto.

Quando si verificherà la possibilità di ricostituire un livello di vita e di lavoro “normale”, trascorsi i momenti più bui ed emergenziali di questa pandemia, non escluderei la possibilità teorica di constatare che alcune attività saranno progressivamente soppiantate da nuove funzioni e modalità lavorative, certamente caratterizzate da maggiore autonomia ma anche propositività e creatività (evidentemente per quanto possibile rispetto alla tipologia di funzioni da svolgere)

Al riguardo, penso che il lavoro agile non sia direttamente la causa per la quale possono considerarsi desuete o superate alcune tipologie di attività, ma più tosto che alcune categorie lavorative, esercitate da remoto, diventino inconcepibili.

Al contempo una puntuale analisi di contesto, sulle declinazioni occupazionali, potrebbe condurci a risultati interessanti, quali ad esempio la naturale esclusione di alcune funzioni dal ciclo produttivo di servizi, con la conseguenza di non concorrere più agli obiettivi fondamentali d’ufficio.

Viene con se che non essendo sostanzialmente prevista nella PA la casistica degli esuberi, il personale in questione, “opportunamente riqualificato”, potrebbe destinarsi verso competenze comunque intrinsecamente umane e fondamentali per il lavoro del futuro: competenze su gestione banche dati, pianificazione periodica di gruppi, programmazione singoli obiettivi, lavoro per processi e in team.

Parlando di riqualificazione è giusto affermare che, oltre al bagaglio detenuto di conoscenze, fornito dalla formazione accademica, nonché puntando su un apprendimento multidisciplinare, bisogna saper indirizzare e orientare sulle competenze per così dire di natura “non cognitiva”, ovvero le famigerate “soft skills”, mutuati dal carattere e dalla personalità, competenze legate ad esempio alla vita vissuta. Ma al contempo si parla di competenze emozionali e sociali, curiosità e attitudine a cambiare, apertura mentale, flessibilità, innovazione, creatività, resilienza, responsabilità, comunicazione, spirito di iniziativa, empatia, capacità di collaborare, controllo delle emozioni e positività, per riassumerle tutte si può parlare di competenze genericamente umane.

Questo tipo di competenze, spesso a noi stessi sconosciute, si sono potute appalesare, durante questo periodo straordinariamente critico e al contempo tragico, per le nostre esistenze, le quali sono state necessariamente testate e stressate nei diversificati momenti lavorativi che si sono forzatamente svolti da casa, quando abbiamo dovuto da un giorno all’altro, adattarci, cambiare, essere flessibili, inventare nuove modalità di cooperazione da remoto, garantendo per noi e gli altri un approccio positivo.

Olivieri Pennesi 43 44 7Risulta evidente, come già detto, che le cosiddette “competenze non cognitive”, possedute, ci aiuteranno a superare più agevolmente l’emergenza COVID-19 e ritengo a poterci permettere di volgere e quindi iniziare una nuova fase di “smart working di tipo ordinario”.

Il mondo del lavoro in genere, in questo caso pubblico, è un mondo sempre più sensibile alle esigenze del cittadino-utente della PA, più condizionato agli stimoli che provengono dall’esterno, più interconnesso.

La grande riforma che riguarderà la Pubblica Amministrazione del futuro, implicherà primariamente, per la dirigenza, il saper ascoltare il mondo esterno con le relative esigenze di servizi pubblici funzionali, facilmente fruibili, anche grazie a nuove modalità e sistemi da poter definirsi “interinali”.

Il compito della dirigenza pubblica dovrà essere quindi legato alle innovazioni e in grado di immaginare, creare, sostanziare, modelli e visioni, quale garante capace di stimolare il meccanismo evolutivo delle organizzazioni lavorative. Saranno quindi fondamentali anche le competenze trasversali, che consentiranno alla dirigenza di avere uno sguardo d’insieme, sapendo decifrare il sistema relazionale e le dinamiche socio-lavorative che si prospetteranno.

Questo tipo di competenze, permetteranno alla dirigenza e alle alte professionalità di guidare la Pubblica Amministrazione verso servizi più esigibili ed immediati per i cittadini, attraverso processi snelli opportunamente misurati e valutati e possibilmente omogenei, quali realizzabili dalle singole Amministrazioni, con obiettivi chiari all’interno delle molteplici Mission, in capo agli uffici pubblici.
 

Innovare cosa, in PA


Passiamo ora a fare un ragionamento circa i bisogni della PA inerenti la trasformazione/innovazione delle modalità organizzative e gestionali, in essere, al fine di attuare le politiche pubbliche con adeguate caratteristiche di flessibilità gestionale ed aggiungo con un occhio attento ai bisogni socio-economici della collettività, scaturenti anche da un ruolo crescente assunto dalla estensione sempre più variegata dei sistemi di welfare state collettivi.

Il Pubblico impiego, nel nostro Paese, ha visto negli ultimi venticinque anni una serie di interventi di riforma, (Bassanini nel 1997, Brunetta nel 2009, Madia nel 2015) non sempre, ritengo, in un solco di continuità ed omogeneità.

Un dato comune, forse rinvenibile, si può evincere nella comunanza di intenti volti a modificare/rinnovare, con sincero spirito di “modernizzazione”, la macchina Stato per mezzo dei sui processi, procedure, direttive, circolari, testi unici, libri bianchi, ecc. senza però, osservo, incidere prioritariamente su altre componenti a mio parere essenziali.

Citiamo al riguardo, ad esempio: professionalità, competenze e ruoli, in particolare quelli dirigenziali, sperimentazioni di nuove forme organizzative, se vogliamo mediate dalla cosiddetta “privatizzazione della PA”, in questo potrebbe rientrare la figura del dirigente-datore di lavoro, immissione, anche se in via sperimentale, di innovativi strumenti di misurazione e valutazione delle produttività, introduzione di modelli di monitoraggi oggettivi e periodici dei valori di efficienza amministrativa, solo per citarne alcuni significativi per chi scrive.

In evidenza al contempo però, è giusto segnalare che anche se parzialmente si è andato affievolendo ed erodendo il cosiddetto rigido elemento gerarchico, che si basava su una organizzazione prettamente burocratica.

Olivieri Pennesi 43 44 8Per alcune Amministrazioni ma in particolare per gli Enti Pubblici, almeno, si sono tentate di intraprendere nuove modalità lavorative: lavoro in staff come anche team, un’iniziale gestione maggiormente partecipata, flessibilità organizzativa, una maggiore agibilità dei tavoli sindacali, come anche consultazioni pubbliche, questo è potuto avvenire anche grazie alla crescente diffusione, di nuovi modelli direttivi-manageriali che si basano su una più attenta programmazione (spesso annuale ma anche triennale, al pari della stesura dei bilanci economico-finanziari), gestione per obiettivi, maggiore attenzione ai monitoraggi e verifiche dei risultati, definizione degli strumenti di primalità (anche in virtù della nuova contrattualistica collettiva sottoscritta dopo un’assenza di svariati anni), digitalizzazione spinta dei sistemi e delle piattaforme tecnologiche di lavoro.

Come sopra detto la legge n. 81 del 2017, quale nuovo indirizzo normativo, si è improntata al fine della flessibilizzazione ed innovazione nella PA, agendo direttamente sulla sperimentazione del Lavoro Agile da attuare nelle Amministrazioni ed Enti Pubblici, quale nuovo strumento di flessibilità gestionale-organizzativa, ma anche elemento d’innovazione manageriale, orientato sia al benessere organizzativo, con le mutate nuove commistioni di vita e di lavoro dei dipendenti, sia anche al miglioramento della produttività e della performance del pubblico impiego.

Non a caso, quindi, in tale contesto, anche per dare maggiore evidenza e fattualità allo s.w. teso a diffondere capillarmente nelle Amministrazioni ed Enti Pubblici lo strumento di innovazione, per il tramite del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si è inteso attivare il Progetto nazionale “Lavoro Agile per il futuro delle P.A.” finanziato con i fondi PON - Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020.

Come ampiamente anzidetto la crisi pandemica si è innestata prepotentemente nelle dinamiche lavorative generali e in particolare influendo “emergenzialmente” nella fase di attivazione della sperimentazione del Lavoro Agile curata da numerose amministrazioni, obbligando di fatto tutte le PA, all’adozione massiva per la quasi totalità degli organici pubblici di questo sistema lavorativo, necessitando l’incentivazione della flessibilità lavorativa previa implementazione dei sistemi informativi pubblici.

Questi nuovi sistemi informativi debbono essere orientati, ad esempio, verso nuove opportunità in termini di programmazione, misurazione e monitoraggi sulla performance, valutazioni del personale, (per fasi interne) ma anche per la puntuale gestione dei servizi resi ai cittadini/utenti, alle imprese, ai portatori di interessi diffusi, allo svolgimento delle gestioni finanziarie-contabili, e non di meno alla comunicazione istituzionale.

Le Amministrazioni, al contempo, debbono avviare, al fianco di una estesa azione di informatizzazione dei variegati sistemi, anche funzioni di interoperabilità con le altre coesistenti Amministrazioni, migliorando ed ampliando per il proprio personale, dirigenziale e non, le competenze per l’utilizzo dei rinnovati e rinnovabili sistemi informativi.

In questo quadro va per lo più intesa un’azione stringente che presumibilmente verrà messa in atto dal nuovo responsabile della Funzione Pubblica, in ossequio alla legge dispone che per mezzo dei Pola i dirigenti sono chiamati ad organizzare il lavoro inteso per obiettivi, facendo sì che almeno il 60 per cento del personale che può farlo, lavori in modalità agile.

In carenza dei Pola, è previsto comunque l'obbligo che lo s.w. venga applicato al 30% del personale, certamente un importante stimolo per la PA, tanto più con l’approssimarsi della gestione del Recovery Fund. Per questo è stata costituita presso il Dipartimento Funzione Pubblica l’apposita “Commissione Tecnica” formata da esperti indiscussi, dell'Osservatorio nazionale del lavoro agile.

Lo smart working è indubbio sia stato fondamentale, fin ora, rispetto alla pandemia e ha contribuito a segnare un iniziale cambiamento culturale e di rotta per la PA, da cui partire per ulteriori analisi e implementazioni.

Olivieri Pennesi 43 44 9È necessario, ritengo, collocarlo come il principale degli strumenti per una nuova architettura del lavoro delle singole Amministrazioni, ineludibilmente connesso al livello di qualità dei servizi pubblici da fornire alla collettività. Non potrà inoltre non essere un ulteriore caposaldo per attuare la “nuova stagione di contrattazione collettiva pubblica” e di “rinnovate relazioni industriali”, in cui confrontarsi OO.SS. e Aran, per parte pubblica.

Il fenomeno deve essere sviscerato a fondo con l’accompagnamento di rilevanti investimenti tratti dal Recovery found, anche rispetto le strategie legate alla transizione digitale che l’Europa ha impresso nel suo consesso.

Rispetto alla presentazione entro il 31/1/2021 dei piani Pola da parte delle Pubbliche Amministrazioni, è bene non sottacerlo, solamente il 33,3% delle amministrazioni vi ha adempiuto (dato DFP), questo rappresenta credo un campanello di allarme circa oggettive difficoltà da parte di chi dovrebbe costruire una nuova riorganizzazione degli uffici, rivedendo probabilmente norme interne, regolamenti, circolari, e possibilmente in maniera condivisa tra tutti gli attori.Allo stato comunque lo smart working emergenziale viene attuato fino al prossimo 30 aprile 2021.
 

Conclusioni


Andando verso la conclusione di queste riflessioni credo utile fare un passaggio con citazioni normative su aspetti, non marginali, inerenti la metamorfosi del lavoro agile, massivo, nella PA. Mi riferisco al tema sempre scottante della “sicurezza cibernetica” in generale e in particolare per i Piani Pola.

Lo stesso Decreto Semplificazioni al tema s.w., dedica con l’art.31 comma 2 un passaggio per l’adozione di strategie digitali in materia di “sicurezza nazionale cibernetica”.

“Al fine di agevolare la diffusione del lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a), acquistano beni e progettano e sviluppano i sistemi informativi e i servizi informatici con modalità idonee a consentire ai lavoratori di accedere da remoto ad applicativi, dati e informazioni necessari allo svolgimento della prestazione lavorativa, nel rispetto della legge 20 maggio 1970, n. 300, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e della legge 22 maggio 2017, n. 81, assicurando un adeguato livello di sicurezza informatica, in linea con le migliori pratiche e gli standard nazionali ed internazionali per la protezione delle proprie reti, nonché a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione sull'uso sicuro degli strumenti impiegati, con particolare riguardo a quelli erogati tramite fornitori di servizi in cloud, anche attraverso la diffusione di apposite linee guida, e disciplinando anche la tipologia di attività che possono essere svolte, previa informazione alle organizzazioni sindacali».

Anche l’art. 32 dello stesso decreto Semplificazioni in tema così recita:

“… l’istituzione del Codice di condotta tecnologica, emanato dal Capo del Dipartimento della trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Codice detta regole omogenee per tutte le PA al fine di favorire la digitalizzazione e garantire la sicurezza attraverso “il necessario coordinamento sul piano tecnico delle varie iniziative di innovazione tecnologica in coerenza con gli obiettivi dell’agenda digitale italiana ed europea e nel rispetto del codice di condotta tecnologica adottato dal Capo dipartimento della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri competente per la trasformazione digitale, sentita l’AgID e il nucleo per la sicurezza cibernetica…”.

Quali considerazioni finali ritengo valido riferirmi alla esigenza primaria, secondo il mio pensiero, che per modernizzare i servizi pubblici, la tecnologia da sola poco incide, se non accompagnata e supportata da una classe lavorativa del pubblico impiego, sia essa “new od old”, da formare anche in ambito digitale e sulle nuove tecnologie. Questa è la vera sfida che abbraccia la riforma della PA. Una formula comunque organica, in tal senso, necessita proprio per rendere il nostro Paese maggiormente competitivo.

Avremo bisogno di investire sui miglioramenti per tutto il Paese dei sistemi di connettività (banda larga, fibra ottica, 5G). Altrettanto fondamentali saranno le ideazioni e creazioni di piattaforme “facilmente utilizzabili” dai cittadini ed utenti e per questo maggiormente efficienti.

Al riguardo si potrebbe lanciare l’idea, da parte di chi scrive, di una sorta di periodo di “volontariato diffuso” svolto da giovani neo diplomati e neo laureati, in convenzione tra protezione civile e il sistema d’istruzione secondaria e universitaria, ai quali far svolgere compiti di “alfabetizzazione tecnologica” cui far beneficiare cittadini over 50 come pure personale della PA, utilizzando ad esempio il già sperimentato sistema degli “stage”.

E ancora un uso proattivo della “formazione permanente” specialistica e soft per dirigenti, professionisti e funzionari del pubblico impiego. Attuare una nuova stagione assunzionale basata su innovativi modelli di selezione, e concorsi mirati, possibilmente distante dalle ormai obsolete ed estenuanti oltre che lunghissime procedure concorsuali pubbliche, che in passato sono state orientate più che ai saperi effettivi e conoscenze oggettive, su modelli nozionistici e dottrinali.

Olivieri Pennesi 43 44 10Questo ha reso per così dire fragile la Pubblica Amministrazione centrale, come pure periferica, con un progressivo depauperamento delle risorse umane, sia dal punto di vista numerico che da quello qualitativo e cognitivo.

Si dovrà colmare, con nuovi ingressi, il gap deficitario di personale per il quale sarà necessario possedere un bagaglio di competenze non solo o prettamente giuridiche, ma soprattutto dotato di competenze tecniche, informatiche, economiche, socio-statistiche, umanistiche quand’anche filosofiche e psicologiche.

In conclusione, una considerazione sempre rispetto all’elemento fondante della formazione permanente. Prevedere dei progetti appositi, possibilmente sfruttando un nuovo vettore, similarmente al nascente “Fondo nuove competenze” istituito presso l’Anpal per il settore privato, da poter realizzare anche nella PA, impiegando le risorse del Recovery Fund, proprio con la finalità di innalzare il livello del capitale umano statale.

Nei processi formativi risulta indispensabile, ritengo, includere un piano specifico e straordinario rivolto alla particolarmente vasta platea degli ultra cinquantenni, operanti nella PA, coloro cioè non appartenenti alle coorti dei cosiddetti “nativi digitali” e proprio per questo maggiormente bisognosi di essere accompagnati, progressivamente e capillarmente, verso una “nuova alfabetizzazione”, di tipo digitale e tecnologica, in considerazione anche del fatto di essere, tuttora, troppo distanti dal momento della possibile quiescenza, ma non di meno poter risultare necessari, quali risorse umane giustamente spendibili, per gli scopi primari e le destinazioni alle varie mission del complessivo “servizio pubblico”. Quadrato Rosso

[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del Lavoro”. Dirigente dell’INL, Capo dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Terni-Rieti. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione cui appartiene

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