Anno IX - N° 45

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Maggio/Giugno 2021

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Anno IX - N° 45

Maggio/Giugno 2021

Obbligatorietà vaccinale COVID-19 alla luce delle novità legislative e giurisprudenziali


di Alberto Del Prete [*]

Alberto Del Prete 26

Evoluzioni in materia di obbligatorietà vaccinale


Dopo aver trattato, in termini generali, la problematica dell’ammissibilità di un possibile obbligo di vaccinazione contro il virus noto come COVID-19 (Lavoro@Confronto, Anno IX - N° 43-44, Gennaio/Aprile 2021), alla luce delle successive evoluzioni di questa tematica, si rende necessario, a questo punto, un certo approfondimento per riuscire a tracciare le recenti linee evolutive della stessa tematica, al fine di poter prefigurare, per quanto possibile, le successive evoluzioni con le quali, presto o tardi, l’intera collettività sarà comunque chiamata a misurarsi, visto che si tratta di una tematica d’interesse generale, rispetto alla quale nessuno può chiamarsi fuori.

Non c’è dubbio, in proposito, che quest’analisi debba senz’altro partire dalle novità sul punto emerse prima dalla giurisprudenza, seppur con modalità estremamente ristretta e circostanziata, e, subito dopo, dal legislatore, che, invece, ha tentato di costruire un approccio di più ampia portata, di carattere sistematico, seppur entro certi limiti, alla tematica in esame, non senza, tuttavia, talune criticità che sarà necessario far emergere.
 

Considerazioni preliminari


Del Prete 45 1Ma prima di spingere la presente analisi lungo il percorso suindicato, si rende necessario chiarire, in via preliminare, qualche aspetto su cui si dovrà, poi, ritornare successivamente.

In primo luogo dev’essere evidenziato come se, da un lato, è certamente vero che l’utilizzo dei vaccini riduce in primis il tasso mortalità e in secundis anche il tasso di contagiosità del virus, è altrettanto vero, dall’altro lato, soprattutto per quanto riguarda quest’ultimo, che nessuno dei vaccini attualmente in circolazione garantisce la totale immunità dal contagio, prova ne sia che tutte le campagne vaccinali finora utilizzate, ad ogni latitudine, hanno sempre raccomandato a tutti coloro che, man mano, vengono vaccinati, di continuare ad utilizzare tutti i presidi sanitari (mascherine facciali e guanti monouso) e tutti gli accorgimenti necessari (distanziamento fisico tra persone, lavaggio o igienizzazione frequente delle mani ecc…) che sono, ormai, entrati nella quotidianità di tutti, esattamente così come accadeva quando i vaccini non erano ancora disponibili. È stato anche chiarito che esistono vaccini più o meno efficaci, visto che alcuni offrono una copertura immunologica fino al 70% circa, mentre altri superano il 90% di efficacia. Ma questo significa, implicitamente, che anche per chi è stato vaccinato, esiste pur sempre la possibilità di risultare contagiati, seppur in misura nettamente inferiore rispetto a coloro che, invece, non hanno ricevuto il vaccino.

In secondo luogo dev’essere anche chiarito che l’effettiva necessità della vaccinazione si configura in modo assolutamente particolare, rispetto alla generalità delle altre categorie di lavoratori, per tutti coloro che svolgono la propria attività professionale nell’ambito sanitario, laddove, per forza di cose, questi lavoratori si trovano sicuramente maggiormente esposti ad un potenziale contagio, proprio perché vengono quotidianamente a trovarsi a stretto contatto con persone contagiate o che hanno già sviluppato la malattia ad un livello più o meno avanzato. È anche vero, però, che per dette categorie di lavoratori, soprattutto qualora si trovino ad operare in reparti riservati ai malati di COVID, le protezioni normalmente adottate, attraverso specifici presidi sanitari, sono sicuramente maggiori rispetto al solo uso di mascherine facciali e guanti monouso “consigliati” per le altre categorie di lavoratori. Quindi, in sintesi, a fronte di un maggior rischio, esiste comunque una maggiore protezione, anche a prescindere dal ricorso alla vaccinazione che, ad ogni buon conto, contribuisce ad alzare notevolmente il livello di protezione.
 

La sentenza del Tribunale di Belluno


Del Prete 45 2Ritornando, a questo punto, alle predette linee evolutive in materia di obbligatorietà vaccinale, va presa in esame una recentissima pronuncia giudiziale, di particolare rilevanza, se non altro perché è stata la prima in questo specifico ambito.

Nello scorso mese di Marzo due operatori sanitari di una R.S.A. in Veneto hanno esplicitamente rifiutato l’invito del proprio datore di lavoro di sottoporsi a vaccinazione COVID. Così, a fronte di detto rifiuto, il datore di lavoro ha deciso di vietare ai due lavoratori di tornare nella struttura sanitaria dove operavano, mettendoli entrambi in ferie d’Ufficio. A quel punto, i due dipendenti si sono rivolti al Tribunale di Belluno chiedendo, in via di urgenza, ex art. 700 cod. proc. civ., di poter rientrare al lavoro. Tuttavia, il Giudice, nel caso di specie, con pronuncia del 19/03/2021, ha respinto l’istanza dei ricorrenti, confermando, in buona sostanza, la liceità dell’operato del datore di lavoro.

Naturalmente la pronuncia, vista anche la totale assenza di precedenti in materia, ha avuto immediatamente un grande risalto su tutti i mezzi di informazione, che hanno presentato la sentenza in parola come una sorta di ratifica giurisprudenziale sull’obbligatorietà del vaccino per gli operatori sanitari. Tuttavia va subito chiarito che, a ben vedere, la pronuncia ha avuto un contenuto molto più ristretto di quanto fosse stato proclamato, poiché, in effetti, si è limitata a valutare positivamente la collocazione in ferie forzate dei lavoratori che, invece, avrebbero voluto esercitare il diritto di scegliere autonomamente il periodo più consono per godere delle proprie ferie. Su questo soltanto si è pronunciato il Giudice, tenendo conto esplicitamente che, dalla parte datoriale, non era stata neppure ipotizzata, nel caso di specie, alcuna intenzione di addivenire ad un’eventuale sospensione dal lavoro senza retribuzione ovvero ad un licenziamento. Perciò appare ragionevole ritenere che, qualora si fossero ravvisate tali circostanze, la decisione giudiziale avrebbe potuto assumere un contenuto diverso, anche se, ovviamente, non è dato sapere con certezza.

Ora, al di là di questa significativa e tutt’altro che trascurabile limitazione della fattispecie presa in esame dal Giudice, ciò che rende comunque interessante detta pronuncia può essere riscontrato nella parte motivazionale della stessa.

Il Giudice adito, infatti, dopo aver preliminarmente richiamato il disposto di cui all’art. 2087 cod. civ. per escludere la ricorrenza, nel caso di specie, del fumus boni iuris nelle argomentazioni sostenute dalla parte ricorrente, ha ritenuto di poter fondare la propria decisione sulla notorietà dell’efficacia del vaccino rifiutato dai ricorrenti che, anche in Paesi stranieri quali Israele e U.S.A., ha drasticamente ridotto il numero dei decessi dovuti al virus SARS-CoV-2. Subito dopo, però, scorrendo la parte motivazionale, appare un’evidente contraddizione, poiché, previo riferimento alle mansioni svolte dai lavoratori ricorrenti, passava a considerare come scientificamente non provato “che il vaccino per cui è causa prevenga, oltre alla malattia, anche l’infezione”. E dopo una siffatta affermazione, previo espletamento di ulteriori passaggi, concludeva ritenendo giustificato il comportamento materialmente posto in essere dal datore di lavoro, e così respingendo, per l’effetto, il ricorso.

A ben vedere, le conclusioni alle quali è pervenuto il Giudice nel caso di specie, appaiono, in qualche modo, slegate rispetto alla motivazione. Infatti, la decisione del datore di lavoro, di non permettere ai due operatori sanitari di continuare a svolgere il proprio lavoro in mancanza della protezione, attiva e passiva, offerta dal vaccino rifiutato, deve ritenersi fondata proprio sul potenziale rischio di contagio. Decisione, di fatto, avallata dal Giudice, pur avendo quest’ultimo considerato, però, che non risulta scientificamente provata l’assenza di possibilità di infezione indotta dal vaccino. Del resto era già stato evidenziato in precedenza, come nessun vaccino, allo stato attuale, garantisca l’immunità al 100%. Di talché, la sentenza, che nel merito può essere condivisa o meno, risulta comunque viziata da un’apparente contraddittorietà della motivazione, atteso che risulta confermata la posizione assunta dalla parte datoriale, pur in mancanza della prova scientifica che possa supportare detta decisione. Per un vizio siffatto, a ben vedere, la lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. prevede il ricorso per Cassazione. Vero è che trattasi, nel caso di specie, di pronuncia su un procedimento d’urgenza e, dunque, di natura cautelare, quindi già di per sé dotato di una sua precarietà intrinseca, caratteristica comune a tutti i provvedimenti cautelari che, per acquistare maggior stabilità, necessitano di riassunzione e trattazione nel merito, ma è pur vero che non si può, seppur soltanto in sede di commento, non evidenziare una siffatta anomalia.
 

D.L. 44 del 01/04/2021


Del Prete 45 3Altro passo significativo a proposito dell’evoluzione dell’obbligatorietà vaccinale si è compiuto, a distanza di pochi giorni dalla sentenza suindicata, con l’entrata in vigore di un apposito Decreto Legge con cui, tra le altre cose, viene anche disciplinato l’obbligo di un trattamento sanitario, così come previsto dall’art. 32 Cost. II° comma.

Infatti, l’art. 4 I° comma prevede espressamente che “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio – assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento di prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati”. Nei commi successivi, poi, è previsto che, salvo i casi “di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale”, nel qual caso non scatta l’obbligatorietà della vaccinazione che, dunque, può essere omessa o differita, invece, in caso di rifiuto della vaccinazione, invece, si “determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che indicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”. Per effetto di tale sospensione “il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni anche inferiori (…) con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione (…) non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento comunque denominato”. Tutto ciò resta valido “fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale, o in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31/12/2021”.

Dunque, ci si trova di fronte, in questo caso, ad una previsione di carattere sistematico, dotata di una propria organicità, sebbene prevista in un provvedimento d’urgenza, come il Decreto Legge, di portata ben superiore alla pronuncia giudiziale del Tribunale di Belluno.

La tendenziale sistematicità, a ben vedere, si evidenzia, oltre che per effetto della previsione di un vero e proprio obbligo vaccinale a carico degli esercenti le professioni sanitarie nonché delle relative sanzioni predisposte, di carattere pecuniario e professionale, ma soprattutto del tentativo di costruire una sorta di limite ontologico allo svolgimento di dette professioni sanitarie. Infatti, quando si arriva a sostenere, in una norma di legge, tale è quella inserita in un Decreto Legge, che la vaccinazione rappresenta un requisito essenziale per l’esercizio di tali professioni, si cerca di introdurre surrettiziamente un limite finora inesistente nell’ordinamento, anche professionale, che, tuttavia, ha poco a che fare con lo svolgimento di tali professioni, in sé per sé considerate. Prova ne sia il solo fatto che, se così non fosse, l’obbligo della vaccinazione in tal modo introdotto potrebbe essere assimilato alla Laurea in Medicina per i medici, ovvero alla patente di guida per gli autisti, solo per fare qualche esempio, ossia a dei veri e propri requisiti abilitanti e, come tali, resi indispensabili per l’esercizio della professione di riferimento. Dal momento, invece, che l’obbligo vaccinale in parola si esaurirà, di fatto, con il completamento del piano vaccinale, dev’essere chiarito che, quel che si voleva far passare per un requisito essenziale, in realtà, è soltanto un mero obbligo di natura legislativa posto in conformità, almeno apparente, della disposizione di cui all’art. 32 Cost.

È evidente che si tratta di un obbligo in linea con l’esigenza di prevenire al massimo ogni possibile forma di contagio, ragion per cui potrebbe anche essere considerato astrattamente giustificabile, quantomeno nelle finalità perseguite. Ciò che, invece, non appare tollerabile è che venga considerato alla stregua di un requisito abilitante per l’esercizio di una professione, quando, a ben vedere, tale non può essere, poiché in tal caso, avrebbe dovuto essere introdotto a tempo indeterminato, piuttosto che con una limitazione temporale intrinseca, sebbene, allo stato attuale, non esattamente quantificabile, visto che, presumibilmente, il completamento della campagna vaccinale si realizzerà soltanto al momento della cessazione dell’attuale fase di emergenza epidemiologica, evento certamente auspicabile da tutti, ma che nessuno è in grado, allo stato attuale, di collocare con certezza nel tempo.

Ora, visto che si tratta di una disposizione inserita in un Decreto Legge, come tale soggetto alla successiva approvazione parlamentare, sarebbe auspicabile che, in tale sede, si possa eliminare tale indicazione che, in effetti, nulla aggiunge alla disciplina introdotta, ma che, almeno potenzialmente, contribuisce soltanto a generare incertezza sull’effettiva natura giuridica dell’obbligo di vaccinazione che, per com’è formulato dall’art. 4 D.L. 44/2021, deve considerarsi vigente soltanto nel corso dell’attuale fase di emergenza epidemiologica.
 

Considerazioni conclusive


Del Prete 45 4Dall’esame coordinato della pronuncia del Tribunale di Belluno, nonché delle disposizioni normative inserite nel Decreto Legge recentemente varato dal Governo se ne deduce, se non altro, una netta limitazione delle ipotesi di obbligo vaccinale riferite ai soli esercenti le professioni sanitarie. Si è preferito evitare, dunque, un obbligo generalizzato, riferito, cioè, all’intera popolazione, che avrebbe, presumibilmente, avuto seri problemi di compatibilità con i limiti costituzionali in materia. Così come sono state anche opportunamente distinte le ipotesi in cui singoli individui appartenenti al personale sanitario non si trovino in condizione di salute tali da poter ricevere la vaccinazione; ciò in ossequio ai “limiti imposti dal rispetto della persona umana”, espressamente richiamati dalla disposizione di cui all’art. 32 II° comma Cost. Quest’ultimo aspetto, tuttavia, appare meritevole di una specifica riflessione.

Esentare, giustamente, dall’obbligo vaccinale tutte le persone che, pur svolgendo le professioni sanitarie, si trovano comunque in condizioni di salute tali da non poter ricevere la vaccinazione in parola, implica necessariamente che, per doverosa coerenza, a tali soggetti non siano applicate le misure sanzionatorie previste, invece, per i dissenzienti. Ciò, se da un lato, appare senz’altro condivisibile, dall’altro non esclude, però, che detti soggetti non vaccinati, nel proseguire lo svolgimento delle rispettive prestazioni professionali, che ad essi non siano state interdette, possano venirsi a trovare, di fatto, maggiormente esposte a possibili contagi rispetto ai propri colleghi vaccinati. Il testo normativo, in effetti, non disciplina tali ipotesi, ma è naturale che il Sistema Sanitario Nazionale debba sforzarsi di trovare, in questi casi, le opportune soluzioni organizzative per consentire a tali persone la continuazione del proprio lavoro in condizioni quantomeno di relativa sicurezza.

Se questo è vero, deve ritenersi, allora, che il limite costituzionale del rispetto della persona umana dovrebbe doverosamente contemplare anche coloro che, per motivi personali, comunque pur sempre nell’esercizio di una facoltà costituzionalmente garantita, scelgono di non sottoporsi a vaccinazione. Proprio questo, a ben vedere, resta il vero nodo da sciogliere per valutare, a tutto tondo, la compatibilità di questa nuova disciplina con le tutele previste dall’art. 32 Cost. Questo significa che, in buona sostanza, se per il personale sanitario con problemi di salute si possono, anzi si debbono, trovare le opportune soluzioni organizzative alternative, un’attenta riflessione si impone, a questo punto, sulla necessità di cercare di trovare analoghe soluzioni anche per i dissenzienti, almeno fin dove possibile, se non altro per non creare possibili disparità di trattamento contestabili anche in funzione di quanto previsto all’art. 3 Cost.

Del Prete 45 5Del resto la ricerca di opportune soluzioni che possano prevedere il rispetto della persona umana sarebbe agevolato anche dal fatto che, tra le fila del personale sanitario, pur essendo presenti taluni soggetti restii a sottoporsi a vaccinazione, il numero di quest’ultimi è relativamente basso[1], visto che la grandissima maggioranza dei lavoratori appartenenti a dette categorie si sono già da tempo sottoposti a vaccinazione. Quindi, in definitiva, la ricerca di una possibile soluzione condivisa, piuttosto che imposta dall’alto, dovrebbe essere agevolata anche dalle relative dimensioni del fenomeno, piuttosto ristretto tra le fila del personale sanitario. Cosa che, da ultimo, consentirebbe di recuperare al servizio attivo anche quella quota di personale che, invece, con la nuova disciplina, finirebbe per esserne escluso, magari da indirizzare alla cura di altre patologie, al di là del COVID-19, delle quali non ci si può neppure dimenticare. D’altra parte detta soluzione di compromesso risulterebbe comunque agevolata anche dal numero sempre crescente, di giorno in giorno, di persone vaccinate le quali, dunque, nel sottoporsi a cure per altre patologie, non rischierebbero, a loro volta, di diffondere il contagio al personale sanitario che, in ipotesi, non risultasse vaccinato per necessità oppure per scelta. Quadrato Rosso

Note

[1] Messaggero Veneto del 28/03/2021, articolo “I medici: noi quasi tutti vaccinati no a licenziamenti per chi rifiuta”, di Maurizio Cescon, pag. 10.

[*] Avvocato, Funzionario Area Amministrativa e Giuridico – Contenzioso – F5 in servizio presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Teramo. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per la relativa Amministrazione di appartenenza.

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