Anno IX - N° 45

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Maggio/Giugno 2021

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Anno IX - N° 45

Maggio/Giugno 2021

Politiche attive del lavoro:
una riforma indispensabile

Per un nuovo mercato del lavoro presidiato da rinnovati Centri per l’Impiego


di Stefano Olivieri Pennesi [*]

Olivieri Pennesi 28

Riprendiamo a trattare, con i seguenti scritti, la spinosa questione delle cosiddette “politiche attive” del lavoro, nel nostro Paese, e quindi di una non più rinviabile azione riformatrice basata su innovative strategie da perseguire.

Un moderno mercato del lavoro esigerebbe il raggiungimento di un ottimale equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, con il relativo conseguimento del risultato della “massima occupazione” in tutti i settori produttivi.

Purtroppo, nel contesto italiano, la situazione è tutt’altro che confortante. Il nostro, evidentemente, risulta essere uno dei mercati del lavoro più complessi ed inefficaci del continente europeo e non solo. Il tasso di attività, ossia la percentuale che misura l'offerta di lavoro (nel breve periodo) che è la risultante del rapporto tra popolazione attiva e popolazione in età lavorativa, a livello nazionale, risulta essere al di sotto del 60%, con una forbice che va oltre il 65% per le regioni del nord, e sotto il 45% per quelle del sud. Abbiamo una differenza del tasso delle forze attive, tra il genere maschile e femminile di circa 20 punti percentuali. Anche il tasso di occupazione della forza attiva giovanile, tra i 15 e fino a 24 anni, è poco sopra il 15%, con un valore assoluto, della disoccupazione giovanile, che raggiunge il 33% (dati Istat).

Ricapitolando, in Italia, a fronte di una platea di popolazione da considerarsi quale forza lavoro disponibile, pari a circa 25,5 milioni, abbiamo poco meno di 23 milioni di occupati e circa, 2,5 milioni di disoccupati, dei quali poco meno del 60% da più di 12 mesi. Rispetto alla spesa inerente le politiche per il lavoro, l’Italia cuba l’1,53% del Pil contro il 2,15 della Spagna e il 2,66 della Francia. (fonte Istat elaborata da dataroom-corriere della sera)

Questo mercato del lavoro offre, al contempo, spaccati molto diversificati fra loro, ciò a causa della frammentazione (quanto mai inopportuna, a parere di chi scrive) in almeno venti ambiti Regionali, distanti e distinti tra di loro. Ciò a causa della ripartizione avvenuta a livello regionale. Quindi aver luogo con venti entità regionali difformità per loro natura, genia e caratteristiche fortemente dissimili tra esse quali: bacini di utenza, tassi di industrializzazione, forza attiva disponibile, tessuto socio-economico, conformazioni geo-ambientali, tradizioni culturali, ecc.

Da qui sorse, tra l’altro, l’esigenza della costituzione, nel 2015 col d.lgs. n. 150/2015, dell’Agenzia Nazionale delle politiche attive del lavoro – Anpal, quale nuovo strumento operativo dotato di autonomia, pur sottoposto al controllo e vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Quindi, una Agenzia Nazionale con la mission fondamentale di promuovere, coordinare, ma soprattutto monitorare standard qualitativi (e aggiungo incrementali) dei relativi servizi per il lavoro presenti e incardinati nei 554 Centri per l’Impiego, attivi in tutto il territorio nazionale.

Aggiungiamo un altro ruolo determinante e non secondario, che risulterebbe in capo all’Anpal, ossia la fornitura di una concreta “assistenza tecnica” ai richiamati CpI, proprio in presenza di una machiavellica parcellizzazione dei molteplici sistemi informativi per il lavoro, sparsi tra le venti Regioni Italiane.

Olivieri Pennesi 45 1È di tutta evidenza, di contro, che ben altra cosa sarebbe, in termini di risultati e raggiungimenti di obiettivi, poter disporre, a cura dell’Anpal, di un sistema informativo riorganizzato, a “carattere unitario”, che possa prevedere e disporre anche di quelle tanto agognate base dati, attuando un imprescindibile coordinamento, appunto, tra banche dati nazionali, partendo da quelle Regionali, provinciali, comunali, ma anche dell’Inps, dell’Inail, dell’Agenzia delle Entrate.

L’elemento che ritengo mancante, rispetto ad una non più rinviabile azione riformatrice, riguardante il mercato del lavoro e il suo complessivo funzionamento, deve certamente basarsi su una rivisitazione del funzionamento, sulla organizzazione ed ammodernamento dei Centri per l’impiego pubblici, a fronte ed in coesistenza con una altrettanto fitta rete di Agenzie per l’impiego private, operanti nei vari territori.

In definitiva sarebbe indispensabile organizzare fattivamente dei servizi uniformi, a favore dei disoccupati e inoccupati, degni di questo nome, dove l’incontro tra domanda e offerta di lavoro sia concreto e disponibile, ma aggiungo anche tempestivo.

Non di meno alcuni concreti esempi di discreto funzionamento, tra le centinaia di CpI, esistono nei territori. Importante sarebbe studiare ed esportare le virtuosità e le buone pratiche che certamente si estrinsecano grazie all’operato di risorse umane adeguate, in grado di interpretare nuove strategie e nuove modalità operative reingegnerizzate, in rapporto ad un mercato del lavoro in continua evoluzione, in via di destrutturazione, sempre più liquido e al contempo fortemente interconnesso.

È comunque innegabile che ogni riforma necessita di adeguati piani d’investimento comprendenti risorse umane e finanziarie, ma non di meno anche strumentali e tecnologiche.

Questo, a mio parere, necessariamente deve supportarsi con una “regia unica nazionale” che volga uno sguardo d’insieme, al fine di ottenere standard di servizi chiaramente uniformi.

Torniamo quindi all’utilità di un “gestore unico dei servizi al lavoro”. In tal senso credo sia utile poter fare una comparazione con gli altri Paesi europei nostri competitor, anche alla luce degli ormai imprescindibili “mercati globali” economici e sociali, dove risiede una sorta di concorrenza universale nella offerta di beni e servizi, e dove economia, finanza, tecnologia, ricerca, cultura, società, subiscono inevitabilmente contaminazioni, influenze, commistioni.

Apprestiamoci quindi a confrontarci con le realtà di altri Paesi EU a noi vicini, come: Germania, Francia, Spagna, Olanda, dove sono operative delle Agenzie per il lavoro a carattere nazionale.
 

Sistema Tedesco


Partendo dalla Germania con il Piano o processo legislativo denominato Hartz, ultimo strumento sorto sulle ceneri della Agenzia Federale per il lavoro. Ebbene, questo programma ha saputo inglobare i sistemi di accompagnamento al lavoro, per categorie di disoccupati, fornendo adeguati servizi di assistenza e consulenza parallela, con la capacità di integrare dei supporti maggiormente confacenti a strumenti di vera e propria assistenza sociale.

Olivieri Pennesi 45 5Quindi si è assistito ad un concomitante processo di integrazione di politiche attive e passive del lavoro, dove queste ultime hanno rappresentato un nuovo modello e strumento di “protezione sociale” diffuso, rivolto ai soggetti in cerca di impiego.

La riforma Hartz (dal nome del suo ideatore Peter Hartz) tesa a riformare i “Servizi moderni per il mercato del lavoro” è una riforma tedesca del mercato del lavoro avviata fin dal 2005, tuttora in vigenza.

Questa riforma, ormai consolidata, ma anche in odore di rivisitazione, ha dato una spinta propulsiva al welfare tedesco grazie a investimenti statali, di cui beneficiano milioni di disoccupati, i quali devono dimostrare di essere alla “ricerca attiva” di lavoro. Si basa sostanzialmente in un bilanciamento tra sovvenzioni e sanzioni e risiede, concretamente, nel fatto che i disoccupati tedeschi vengono anche, per così dire, “sollecitati” con delle proposte/offerte lavorative, che non possono essere rifiutate, pena la riduzione o sospensione, appunto, delle sovvenzioni.

Detta riforma è stata attuata progressivamente attraverso quattro fasi:

  • Hartz I. Con questo questo primo passaggio sono state semplificate le procedure di assunzione e sono stati introdotti dei “buoni” per la formazione, nonché i “job center” (paragonabili ai nostri centri per l’impiego), dove vengono assegnati dei “consiglieri”, che seguono il processo di inserimento nel mercato del lavoro, e dialogano anche con le agenzie interinali;
  • Hartz II. Il secondo step della riforma ha previsto l’introduzione dei contratti di Minijob, contratti di lavoro precari e meno tassati, e Midijob, contratti atipici che prevedono una retribuzione massima fino a 500 euro (non soggetta a contribuzione). Altro strumento contemplato il finanziamento di lavoro autonomo per i disoccupati quali (micro-imprese) comprendente anche il sostegno per gli over 50;
  • Hartz III. La terza fase ha visto la soppressione dell’Ufficio Federale del Lavoro a favore della nascita dell’Agenzia Federale per l’Impiego;
  • Hartz IV. La quarta e ultima fase ha previsto la realizzazione delle misure di inserimento nel quadro di un più generale sistema di assistenza economica unica, anche a scopo di incidere maggiormente sul fenomeno della disoccupazione di lunga durata.


Possiamo anche dire che tale riforma ha consentito di introdurre e perseguire un maggiore equilibrio tra la “responsabilità individuale” e quella “sociale” dello Stato, in un quadro generale di “buona flessibilità”.

L’obiettivo principe è quello di assicurare ai disoccupati l’opportunità di accedere agevolmente al mercato del lavoro, sfruttando magari, in una prima fase, lavori marginali, o per meglio dire della “Gig economy”, reperendo posti anche per soggetti scarsamente o affatto qualificati, riducendo gli ambiti del lavoro nero, grazie alla regolazione, ma anche legalizzazione e trasparenza, del mercato del lavoro.

Viene riconosciuta l’indennità di disoccupazione e concessa a chi, negli ultimi due anni, ha versato contributi per almeno 12 mesi, viene versato per chi abbia lavorato ufficialmente (con contribuzione) per un periodo massimo di 24 mesi ed è calcolato partendo dagli stipendi lordi degli ultimi 12 mesi (con maggiore estensione per gli over 55)

La riforma Hartz IV, introduce concretamente uno strumento di welfare a cavallo tra il reddito di cittadinanza e il reddito minimo garantito, scatta dopo un anno senza lavoro, ed è rivolta anche a coloro che non trovano lavoro dopo aver completato il proprio percorso di studi.

I contributi previsti e riconosciuti non hanno scadenze a fronte di controlli piuttosto rigidi finalizzati ad evitare abusi.

Questa riforma, in salsa germanica, ha evidenziato, comunque, alcuni punti di criticità (rappresentati da alcune organizzazioni sindacali nazionali) quali ad esempio:

  • accorpamento e fusione del sussidio di disoccupazione con il sussidio sociale nell’assegno minimo di sussistenza, o meglio “sussidio sociale” per persone bisognose in cerca d’impiego;
  • aumento delle occupazioni a bassa retribuzione e aumento della precarietà;
  • esclusione dal versamento contributivo, per la tipologia dei minijobs, che conseguentemente non danno diritto né alla pensione, né all’assicurazione sanitaria;
  • obbligo di accettare lavori socialmente utili, pagati un euro l’ora per non perdere i sussidi.


“Reddito di cittadinanza” strutturato con Hartz IV può anche intendersi quale misura di politica attiva del lavoro, un ammortizzatore sui generis, a fronte di scarsità di occasioni i lavoro. Ma è su come funziona questo ammortizzatore, che si possono innestare polemiche, per il vero non sempre infondate, anche rispetto ad effetti diretti e indiretti sulla società e sul modo di costruire un modello sociale condiviso e solidale, come pure sulle ricadute psico-comportamentali.

Olivieri Pennesi 45 8Non si tratta di una classica indennità di disoccupazione, in Germania è considerato un concreto “sussidio sociale” che può essere richiesto da chi risiede stabilmente nel paese, è nella fascia tra 15 e 65 anni, non ha un patrimonio sufficiente per permettersi un mantenimento autonomo, non ha un lavoro, oppure guadagna sotto una determinata soglia di sussistenza.

In questo quadro generale normativo un ruolo centrale, per il modello tedesco, spetta ai cosiddetti Jobcenter (corrispondenti ai nostri dei centri per l’impiego), che stipulano preliminarmente, coi beneficiari di tale sussidio, un “contratto” di servizio, pienamente efficace, in cui sono determinate le misure necessarie e i vincoli (il sistema prevede altresì una serie di sanzioni quali il taglio parziale o completo della prestazione) per il reinserimento professionale dei soggetti cercatori di occupazione.

Facciamo a questo punto un riferimento più diretto al ruolo dei Jobcenter, essi devono poter sviluppare anche e opportunamente un “servizio specifico” finalizzato ai bisogni delle imprese. Per le piccole e medie tale servizio, sostanzialmente di consulenza, verrà organizzato in base ai settori di appartenenza. Le grandi imprese, di contro, si avvarranno di referenti fissi all’interno dei suddetti uffici del lavoro.

Per velocizzare il collocamento e l’inserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro e quindi abbreviare i periodi di disoccupazione, i lavoratori sono tenuti già nel momento in cui hanno notizia della cessazione del rapporto di lavoro, (sia per dimissioni che per licenziamento) ad informare il Jobcenter.

In questo modo si consentirebbe agli uffici di attivarsi immediatamente per trovare al lavoratore un altro posto di lavoro e ridurre, per quanto possibile, il periodo nello stato di disoccupazione.

Altresì, sono state introdotte delle formule contrattuali tese al fine di concedere al lavoratore dei permessi, da parte dei datori di lavoro, affinché egli possa svolgere colloqui di lavoro o anche partecipare a programmi permanenti istituiti dai Jobcenter.

L’obiettivo rimane sempre quello della riduzione dei tempi di collocamento dei lavoratori che dovrebbe essere raggiunto attraverso questo insieme di misure.

I Jobcenter, ribadiamo, devono quindi occuparsi, in maniera fattiva, di consulenza e assistenza verso i giovani disoccupati/inoccupati, fin dal momento di transizione dalla scuola/università verso il mondo del lavoro e attivarsi. Questo anche per far sì che essi siano inoltre correttamente indirizzati anche verso utili percorsi di tirocinio, apprendistato e formazione professionale, da svolgersi in aziende.

Nel caso di giovani di difficile inserimento, nel mercato del lavoro, dovrà essere organizzata dal Jobcenter una forma di assistenza caratterizzata dall’azione concertata con le istituzioni scolastici, universitarie, di formazione professionale, indirizzandola verso le migliori politiche giovanili e del lavoro.
 

Sistema Francese


Il Pôle Emploi, in Francia, è la struttura che sovrintendere ai servizi di politica del lavoro. Nato nel 2008 dalla fusione tra l’Agenzia Nazionale per l’Impiego (che gestiva il sistema nazionale di politiche attive legato ai servizi pubblici per l’impiego) e l’Assedic (l’equivalente della nostra INPS) che era preposto alla gestione dei contributi previdenziali e l’erogazione degli ammortizzatori sociali, come pure dei sussidi di disoccupazione.

Olivieri Pennesi 45 2Gli atti programmatori, delle politiche del lavoro francesi, vengono strutturati a livello di governo centrale che, per mezzo e tramite del Pole Emploi, viene declinato in maniera parcellizzata su tutto il territorio nazionale, interagendo con le amministrazioni locali, al fine di adottare anche misure maggiormente mirate e specifiche.

La struttura si dipana in 26 distretti Regionali, collegati con le Prefetture, da cui dipendono 100 direzioni Dipartimentali che hanno in organico circa 50.000 addetti che coprono l’intero territorio nazionale, interagendo a diretto contatto con lavoratori e imprese. Sono altresì presenti ulteriori 5000 unità a livello centrale. Ogni Pole dispone, in media, di 40 operatori impegnati nelle diverse funzioni.

La rete operativa si compone di circa 1000 agenzie locali che si occupano della registrazione, del supporto e dell’erogazione delle prestazioni ai disoccupati, nonché di gestire le offerte di lavoro e sostenere le aziende nell’assunzione di nuovo personale.

Tra queste 1000, 132 agenzie sono adibite a servizi specializzati che forniscono regimi speciali di assistenza, dotate di esperti in orientamento professionale e valutazioni curricolari, ma anche agenzie deputate a specifici ambiti che si occupano di particolari segmenti di mercato del lavoro (ad es. quelle dedicate all’industria dello spettacolo);

I “sistemi informativi”, evidentemente, hanno un ruolo fondamentale per il funzionamento dei Pole Employ, come di fatto rilevante è la modalità d’interfaccia costruita tra cittadini e servizi pubblici.

Attraverso il sito dedicato, è possibile fruire di tutti i servizi collegati alle politiche attive e passive, quali: servizi per il reclutamento, servizi per la selezione del personale, calcolo e pagamento dei contributi, gestione dichiarazioni amministrative. Attraverso questa rete informativa, PE è in grado di mediare/comunicare circa il 40% delle offerte di lavoro disponibili ogni anno in Francia.

Stiamo parlando quindi di un sistema per il lavoro particolarmente organizzato e strutturato, alla cui base si pongono i relativi servizi gestiti dai Pôle Emploi a loro volta aventi un carattere fortemente individualizzati.

Ai cittadini/utenti, in cerca di lavoro, viene affiancata una figura denominata “conseilleur”, incaricato di redigere il progetto personale di accesso al lavoro composto anche da un dossier contenete percorso di studi, competenze, situazione personale e familiare, ecc. in base a ciò il Pôle Emploi individuerà le offerte di lavoro più adatte al profilo trattato, conseguentemente l’accompagnamento, consistente anche in eventuali percorsi di formazione e concessione di sussidi temporanei.

Per i servizi alle imprese è prevista una diversa figura denominata “conseiller d’emploi” che ha il compito di configurare i bisogni, ma anche perfezionare e accompagnare tutte le fasi della selezione, offrendo consulenza sulle tipologie contrattuali più idonee e vantaggiose finalizzate all’assunzione. Ha inoltre il compito di eseguire gli eventuali percorsi formativi, concordati con le aziende, al fine di perfezionare l’eventuale assunzione.

Per completare l’illustrazione del sistema francese è utile evidenziare che esistono altresì, sul territorio nazionale, 300 consiglieri denominati “Charge d’affaire” che sono dedicati, agli utenti delle maggiori realtà aziendali.
 

Sistema Spagnolo


Il Sistema Nazionale per l’Impiego spagnolo è strutturato con il Servizio Pubblico Statale dell’Impiego (Sepe), in coesistenza con i Servizi Pubblici dell’Impiego incardinati nelle Comunità Autonome; risulta essere organismo autonomo dall’Amministrazione Statale, ha personalità giuridica propria, ed è vigilato dal Ministero del lavoro. Il Sepe ha un organico di circa 10.000 dipendenti

Olivieri Pennesi 45 6Il sistema spagnolo, per così dire, è incardinato in un contesto socio-economico che in questo Paese sta evolvendo in una fase crescente di ripresa, susseguente alla grave crisi finanziaria del 2008 e che prima della pandemia ha segnato valori incrementali del PIL significativi, pari al 2,5%, in EU inferiori solo alla Germania.

Le riforme strutturali, a sostegno della domanda interna, sono state il vero motore, ad esempio la rivisitazione delle politiche fiscali, per quello che il paese è riuscito a realizzare.

Le stesse fondamentali politiche del lavoro sono state significativamente riformate, anche su sollecitazione dalla Commissione Europea, con una incisiva rivisitazione del mercato del lavoro accompagnata da una altrettanto decisa azione per le politiche attive del lavoro.

Le riforme adottate si sono materializzate in un certo decentramento delle competenze, nella gestione delle politiche attive, alle Comunità Autonome, ma col vincolo del raggiungimento di risultati oggetto di attenti monitoraggi a livello centrale e adozione di un sistema uniforme di valutazione delle politiche attuate.

È stata incentivata l’apertura del mercato del lavoro a soggetti privati segnatamente in materia di intermediazione. Al pari quindi la compresenza pubblico-privato si sostanzia su standard di servizio comuni che vicendevolmente attuano un sistema di primalità, rispetto alle prestazioni fornite e sulla base dei risultati effettivamente raggiunti.

Il sistema spagnolo, similarmente a quello italiano, è evidentemente caratterizzato da un sistema delle politiche del lavoro sostanzialmente decentrato, anche se la Spagna, a differenza dell’Italia, è riuscita a costruire una “governance multilivello” caratterizzata da un approccio partecipato e concorde, come pure da una regia chiara di livello centrale.

Altro elemento significativo è la promozione dell’integrazione dei diversi sistemi regionali. A ciò è servita la Carta dei Servizi per l’Impiego, che ha definito gli standard minimi di servizi, da offrire al cittadino, garantiti in maniera omogenea sul territorio nazionale.

Si è anche introdotto un efficace sistema di valutazione delle performance, con un processo ciclico condiviso di programmazione-implementazione-monitoraggio-valutazione, di servizi e programmi gestiti a livello decentrato.
 

Sistema Olandese


Nel mercato del lavoro olandese per il Servizio di Collocamento operano gli uffici pubblici del lavoro, denominati CWI - Centrum voor Werk en Inkomen in inglese "Centre for Work and Income". Essi svolgono un ruolo fondamentale per chi è alla ricerca un’occupazione.

Gli stessi forniscono un tipo di consulenza, e supporto ad azioni di formazione, dispongono, inoltre, di una banca dati nazionale delle offerte di lavoro, per mezzo di un apposito Sito governativo dell’Ufficio del lavoro. www.werk.nl inoltre sono presenti, in tali uffici, delle figure professionali chiamate Relocation Tutor.

L’Olanda detiene tre sistemi di sussidi legati all’assicurazione dei lavoratori: Assicurazione d’Invalidità (Wao) la legge della disoccupazione (Ww). Inoltre è presente il sistema dei sussidi di mantenimento (Abw), dotato di una ampia gamma di tipologie di intervento.

Nel campo dell’intermediazione del lavoro, i “servizi base” (che erano prima coperti da Pes centralmente organizzate, da Uvi e dalle municipalizzate) sono divenute responsabilità della Organizzazione per il Lavoro e per il Reddito (CWI), che gestisce un’ampia rete nazionale di 131 Centri per il Lavoro e per il Reddito, nelle municipalizzate.

Come quindi detto il servizio pubblico per l’impiego è il CWI il Centro per il Lavoro e il Reddito. Questo ente è posto sotto l’autorità del Ministero per il Lavoro e per gli Affari Sociali.

Olivieri Pennesi 45 9L’Olanda ha quindi optato per un modello di autorità indipendente, con parziale decentramento da parte del governo centrale. Il governo nazionale, quindi, stabilisce la politica complessiva e i target generali.

L’obiettivo del governo è di offrire a tutte le persone disoccupate e in cerca di occupazione, un’occasione lavorativa ovvero un programma di reintegrazione lavorativa o attività sociale, prima di essere classificati come disoccupati di lungo termine.

Il CWI (con i suoi uffici regionali) ha compiti nell’ambito della intermediazione nei servizi pubblici per l’impiego. Gli uffici sono anche responsabili per la raccolta dei dati necessari per la gestione delle richieste dei sussidi (sia per le assicurazioni di disoccupazione che per i sussidi di sussistenza).

I compiti dei CWI riguardano specificamente l’incrocio tra la domande e l’offerta nel mercato del lavoro; l’informazione e supporti consultivi alle persone in cerca di lavoro e ai datori di lavoro; l’intermediazione per persone in cerca di lavoro e datori di lavoro; la gestione delle banche date nazionali di posti vacanti e di candidati; l’immissione e la raccolta dati per coloro che fanno domanda di sussidio con un test iniziale.

Il CWI, quindi, per riassumere, è il punto principale di riferimento per tutti i richiedenti di indennità che cercano un lavoro. È un istituto pubblico che si occupa dell’amministrazione di una serie coerente di funzioni comprendenti elementi di servizio differenti, come la gestione della banca dati dei posti vacanti nazionale (ovvero la borsa lavoro), l’intermediazione attiva, la fornitura di informazioni, la funzione consultiva, la preparazione dei candidati al lavoro e al reddito, la determinazione della difficoltà nell’immettere i soggetti nel mercato del lavoro, e l’accertamento della possibilità di reintrodurli nel programma. Inoltre il sistema del CWI si basa sull’idea di un singolo punto di accesso (ovvero uno sportello unico), per lo svolgimento di più funzioni.
 

Quadro d’insieme


Gli aspetti che contraddistinguono l’operatività di queste Agenzie per il lavoro, presenti in Europa, si rifanno, come aspetto comune, alla necessaria “sburocratizzazione” da poter realizzare affrancandosi dall’egida dei governi centrali, quindi si è in presenza di una sorta di cessione di sovranità e pertanto di passaggio delle funzioni inerenti le politiche attive, al fine di fornire alla collettività dei servizi maggiormente efficaci per i variegati territori “socio-economici”, pur lasciando in ambito ministeriale, le indissolubili funzioni a carattere ed indirizzo propriamente politico. Da qui la nascita della nostra Anpal.

Un altro elemento che considero motivo di disfunzioni, delle politiche attive sul lavoro, può rifarsi alla ormai insostenibile contrapposizione tra Stato Centrale con relative funzioni centrali, e autonomie Regionali, in materie tanto rilevanti quanto divisive, quali: il servizio sanitario (lo stiamo percependo e constatando, concretamente, in particolare in questo grave periodo pandemico), i servizi scolastici, le politiche del lavoro, la formazione professionale, solo per citarne alcuni.

Una contrapposizione che si evidenzia, parlando dei servizi al lavoro, in maniera plastica anche tra attori pubblici e privati che ormai da svariati anni operano contestualmente nel mercato del lavoro.

Viceversa, sarebbe di estrema utilità promuovere, anche a livello centrale, la necessità di una maggiore e più costruttiva collaborazione e dialogo, tra il settore pubblico e quello privato.

Che il tema dei servizi al lavoro e conseguentemente di un disegno concretamente riformista anche della concomitante formazione professionale, come pure formazione permanente, per puntare sul miglioramento dei livelli occupazionali, in particolare per giovani, donne (senza dimenticare gli inoccupati di lunga durata) è risultato da subito essere una delle emergenze dell’attuale Governo Draghi.

Infatti, già dal suo intervento di illustrazione alle Camere delle linee programmatiche, il Presidente del Consiglio ha inteso fare menzione della centralità delle politiche attive del lavoro, affinché esse siano migliorabili anche rispetto agli strumenti esistenti come l’assegno di ricollocazione collegato con il reddito di cittadinanza. Ma altrettanto una azione verso il rinvigorimento e quindi riforma delle politiche di formazione professionale dei lavoratori.

Olivieri Pennesi 45 3Al pari sono da considerare opportunamente riformabili, come appena sopra accennato, da un lato il cosiddetto Reddito di cittadinanza, dall’altro lato un serio e fattivo programma rispetto ad un non più rinviabile e sempre più necessario “piano di rafforzamento” e riconfigurazione dei CpI quali irrinunciabili “centri pubblici per l’impiego”.

Per chiarire meglio lo strumento di politica attiva, collegato al reddito di cittadinanza, ossia il già menzionato Assegno di ricollocazione, esso dovrebbe essere il veicolo fondamentale per trovare occupazione, da parte dei beneficiari appunto del RdC.

Per definizione dell’Anpal il suddetto assegno è da intendersi quale “misura intensiva a supporto della ricollocazione di coloro che non riescono ad essere occupati nel mercato del lavoro”.

Allo stato però è a tutti evidente, come emerge anche dalla nota periodica recentemente pubblicata dall’Agenzia, (dopo lunga attesa) di come a fronte di un numero di circa 1.650.000 beneficiari di RdC nella loro qualità di “occupabili” risultano corrispettivamente titolati poco meno di 1.000 gli assegni di ricollocazione-AdR dei quali meno della metà effettivamente attivati, ovvero connessi e trasformati in contratti di lavoro.
 

Politiche attive tra pubblico e privato


L’emergenza occupazione, nel nostro Paese, induce ad una profonda riflessione circa le ormai indispensabili strategie di riforma necessarie a dare a questo mercato del lavoro forzatamente asfittico a causa non soltanto della concomitante crisi sanitaria mondiale di valore pandemico, ma anche aggredire i problemi strutturali presenti in Italia, per quanto riguarda un efficace e moderno sistema di politiche attive e di funzionamento virtuoso della rete esistente nel nostro territorio, dei centri per l’impiego pubblici, che sono altresì affiancati dalle Agenzie per il lavoro private.

Ambedue le realtà pubbliche e private dovrebbero poter operare sinergicamente per superare, o almeno affrontare insieme, la grave crisi occupazionale che stiamo soffrendo da decenni.

Ciò deve potersi affrontare, da parte dei decisori politici, ricorrendo ad una “legislazione specifica e mirata” con carattere di riforma, sostanziale e non emergenziale, che mette nuovamente al centro il tema del lavoro nell’agenda pubblica.

In questo, il recentissimo PNRR-piano nazionale ripresa e resilienza, sembra contenere sfumati e generici presupposti sicuramente utili che però necessitano di specifici programmi ed interventi mirati tesi a promuovere iniziative concrete di rilanci basati su investimenti certi e consistenti.

L’attuale governo, ripetutamente, ha affermato il ruolo di centralità delle politiche attive del lavoro, per dipanare i più generali problemi del mondo del lavoro e le sue dinamiche negative.

La mission è quanto mai chiara e altrettanto sfidante, riuscire nella collocazione, più ampia possibile, della forza lavoro disponibile, iniziando dai giovani in ricerca di prima occupazione, dalle donne, spesso espulse dal mercato lavorativo, dai disoccupati di lunga durata e da coloro in età avanzata che ancora non hanno maturato requisiti pensionistici e si sono trovati ingabbiati in gravi crisi aziendali e pertanto fuoriusciti dalle forze attive, ma necessariamente costretti a ricollocarsi al lavoro.

Il modello di politica attiva che abbiamo in essere, attualmente, si basa sullo strumento primario di RdC Reddito di cittadinanza, (che però al contempo si prefigge anche di affrontare la grave emergenza povertà) con il relativo “incentivo” per la ricerca di un’occupazione, previo riscorso alla azione messa in campo dai CpI pubblici, come pure dalle agenzie private per il lavoro e soggetti accreditati in questa attività.

Ebbene, l’incentivo previsto, di cui parliamo, ovvero l’Assegno di ricollocazione, viene riconosciuto solamente nei casi di assunzione a tempo indeterminato, evidentemente tale vincolo potrebbe essere rivisto permettendone una estensione, magari rivisitandone l’importo, anche alle tipologie altre di occupazione: tempo determinato, part time, collaborazioni, contratti a progetto, ecc.


Olivieri Pennesi 45 7Apriamo ora al tema, tanto sentito quanto spinoso, dei fatidici 2.980 Navigator, assunti per due anni con contratti di collaborazione, ovvero quelle figure professionali acquisite a tempo determinato dall’Anpal per mezzo di una regolare selezione concorsuale che negli intendimenti iniziali avrebbero dovuto seguire, con una veste di tutor, coloro che erano alla ricerca di lavoro e per questo rivoltesi ai CpI.

È sotto l’occhio di tutti come tali figure, ancorché in possesso di elevati standard di conoscenze e dotati di adeguati titoli di studio universitari, in concreto hanno potuto incidere nel mercato del lavoro in maniera pressoché nulla.

Questo, ritengo, anche a causa della loro scarsa formazione pratica, rispetto agli scopi da raggiungere, ma anche al grado di esperienza sostanzialmente ridotta per l’ambito in cui sono stati chiamati ad operare. Ma certamente anche i loro compiti sono stati per così dire nebulosi e avvolti da indeterminatezza.

Le attività per le quali sarebbero stati giustamente impiegati, non credo si dovessero limitare ad una mera catalogazione di curricula e di semplici interviste conoscitive; o ancora maneggiare, come neofiti, le banche dati disponibili o in creazione, ma anche agire come semplici verificatori di dati anagrafici o curriculari o anche erogatori di informazioni in modalità call center.

In definitiva non è ardito affermare che la struttura Anpal, ancorché concepita con degli obiettivi di assoluto valore e perseguibili, unitamente all’esperienza avuta con le figure dei Navigator, non si è rivelata all’altezza della sfida.

Le ragioni credo risiedono anche in una governance particolarmente nebulosa e conflittuale e per questo scarsamente incisiva.

Questo non significa, ritengo, che la stessa Agenzia non possa riscattarsi ma solamente nel caso subisca una profonda revisione e riorganizzazione complessiva, anche per mezzo di una eventuale stabilizzazione di quel gruppo di collaboratori Tutor – Navigator che certamente detengono una base di conoscenze ed una formazione di studi universitari adeguate per nuovi e più chiari compiti da potergli assegnare in ambito politiche del lavoro.

Investire risorse su necessarie stabilizzazioni e/o assunzioni di personale, in ambito pubblico, penso siano delle scelte obbligate se riteniamo irrinunciabile un rafforzamento dei nostri servizi per il lavoro con i relativi CpI e nuovi addetti qualificati per rinnovare i servizi di collocamento, come pure dotate di risorse umane fresche e qualificate per la stessa Agenzia Anpal.

Rilanciare il lavoro in Italia è indubbiamente non più rinviabile. A questo, di sicuro, il rafforzamento dei Centri per l’Impiego con nuove assunzioni e nuova linfa risulterebbe essere un passaggio fondamentale.

Al contempo, si deve ripensare complessivamente il modello di welfare in ambito occupazionale, con un sostegno attivo per la “categoria dinamica” dei disoccupati. La loro concreta presa in carico, da parte del servizio pubblico, accompagnando con un settore della formazione, quale pilastro determinante, per ripensare chances occupazionali di tutti e per essere pronti alle offerte della new e old economy, per il mercato del lavoro così fortemente mutevole.

Un’Agenzia autonoma e sburocratizzata ritengo possa rappresentare oggi, ad ogni modo, una infrastruttura operativa necessaria, al pari di altri esempi europei.

Mai come in questo momento di crisi sanitaria – economica – sociale, a ridosso della data fatidica per lo “sblocco dei licenziamenti”, che ricordiamo sono stati sospesi in Italia agendo come strumento di ammortizzatore sociale indiretto, vero e proprio argine ad una massa prevedibile di espulsioni dalle imprese in gravi difficoltà, saranno quindi necessarie delle risposte vere, a fronte di nuovi disoccupati involontari.

In un sistema generale integrato e “ammodernato” potranno inoltre svolgere un altrettanto ruolo rilevante le Agenzie private per il lavoro, presenti in Italia con circa 2.500 sportelli facenti capo ad Assosom – Associazione italiana agenzie per il lavoro.

Auspicabile, quindi, una sorta di dualità virtuosa, integrando con i servizi pubblici, una rete già esistente e operativa da ormai circa venti anni, di operatori esperti nel mercato del lavoro, dove si affacceranno certamente occasioni di lavoro collegate alla “transizione” “digitale” e “verde” per la nuova economia disegnata anche dal nostro PNRR – Piano Nazionale Ripresa e Resilienza.


Olivieri Pennesi 45 10Il Covid, in questo ultimo anno e mezzo, oltre che stravolgere i sistemi sanitari mondiali, ha altrettanto repentinamente stravolto le realtà occupazionali della stragrande maggioranza dei paesi, soprattutto a forte connotazione industriale.

Questo, sicuramente in Italia, ha prodotto il maggior impatto nelle attività lavorative del settore terziario, dei servizi, del turismo, della ristorazione, della cultura e del tempo libero. Ciò soprattutto impattando sugli occupati giovani e donne che hanno subito, a causa di rapporti contrattuali spesso precari e quindi fragili, le ricadute più pesanti.

Le donne nella recentissima indagine condotta da Save the Children (pubblicata in occasione della Festa della mamma 2021) a conferma delle penalizzazioni del mondo del lavoro rispetto al genere femminile, e in particolare in giovane età, in Italia poco meno di 100.000 neo mamme (o con figli minori) hanno perso il lavoro a causa della pandemia, e 4 su 5 di esse, in quanto genitrici di figli under 5 anni.

Nell’anno 2020, complessivamente, si sono persi 456.000 posti di lavoro; 249.000 donne e 207.000 uomini.
Anche il dato dei part-time si tinge di rosa (per così dire) infatti nel 2020, 3 su 4 di detti contratti sono stati ad appannaggio del genere femminile.

Lo stesso lavoro da remoto, quale lavoro agile o smart working, non può essere la panacea di tutto e al contempo proteggere donne e giovani dal rischio di perdita del lavoro.

La ricollocazione di lavoro, da imprese in difficoltà verso imprese in crescita, richiede un servizio pubblico di collocamento effettivamente strutturato ed efficiente anche dal punto di vista tecnologico.

La capacità di far incrociare correttamente domanda e offerta di lavoro, da parte di rinnovati servizi, sarà il vero banco di prova per la riforma che necessariamente si dovrà attuare nell’immediato futuro.

Molte aziende, per uscire dall’attuale crisi conseguente alla pandemia, dovranno dimostrare di sapersi ridisegnare e ricollocare nel mercato. Alcune “ristrutturazioni” saranno dolorose, in primo luogo per possibili perdite di posti di lavoro che si appaleseranno appena il blocco dei licenziamenti in atto verrà rimosso.

Di sicuro non potranno bastare i tanto decantati “contratti di espansione” e di “solidarietà”. Molti ultra cinquantenni, soprattutto donne, subiranno le maggiori difficoltà di reimpiego o ricollocazione lavorativa, ecco quindi il bisogno di “servizi moderni” di affiancamento, tutoraggio, riqualificazione, formazione, sia pubblici che privati, dotati di banche dati “dinamiche” ed “interconnesse”, disponibili su tutti i territori regionali.

Il Recovery Plan potrà essere opportunamente declinato per una serie molto amplia di esigenze, a partire dall’emergenza del lavoro in ogni sua implicazione. Lo stesso avrà l’onere di far confluire, anche in maniera disaggregata, opportunità evidentemente differenti tra Regione e Regione, territorio e territorio, distretto e distretto, in un contesto economico così variegato, rappresentato nel nostro Paese.
 

Conclusioni


Cercando di fornire, a questo punto, delle linee conclusive alle argomentazioni fin qui illustrate, ritengo fondamentale riaffermare concetti di base che dovrebbero offrire spunti per le strategie complessive da mettere in campo in tempi brevi, rispetto ad un mercato del lavoro maggiormente efficace per questo Paese.

Potenziare le politiche attive, come anche quelle passive, in primo luogo rafforzando fattivamente i Centri per l’impiego pubblici, con specifici investimenti, soprattutto quelli provenienti da PNRR.

Rendere concreta l’azione tesa al fattivo incontro tra domanda e offerta di lavoro, per mezzo di una reale e vincolante “interconnessione” di molteplici banche dati costruite e stratificatesi nel tempo, sul territorio, a cura di vari attori, e fino ad ora mai interconnesse e colloquianti, ne messe a sistema da una “regia unica”.

Olivieri Pennesi 45 4Intraprendere, convintamente, un percorso massivo e territorializzato (in base alle caratteristiche e peculiarità regionali e di distretto produttivo) agendo su formazione e aggiornamento professionale, come pure intraprendere la fondamentale azione di promozione di percorsi specifici di “formazione endogena” presso le stesse imprese/aziende. In definitiva un profondo processo di formazione dei lavoratori e aggiungo formazione e attualizzazione delle competenze.

Non di minor valore risultano anche essere le opportunità offerte dal cosiddetto “sistema duale” realizzato dai “Fondi bilaterali” (presenti nei contratti e nelle intese tra OO.SS. e datoriali) per dare respiro a settori di impiego, allo stato attrattivi in misura minore.

Esistono diffusamente, in tali contesti “duali”, gli Enti bilaterali (che gestiscono appunto i fondi bilaterali) ovverossia Enti privati, di natura contrattuale, costituiti dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale. Questi sono divenuti sempre più lo strumento attraverso il quale realizzare, concretamente, gli obiettivi concordati in sede di contrattazione, sia nazionale che territoriale.

Tali Enti svolgono una serie di importanti compiti e funzioni quali: sostenere e far crescere economicamente le imprese e conseguentemente i loro dipendenti, promuovere la formazione professionale e la sicurezza sul lavoro, favorire il confronto tra datori di lavoro e lavoratori, sviluppare progetti e ricerche di impiego nel mondo del lavoro, ecc.

Lo stesso veicolo formativo dei programmi “scuola-lavoro” potrebbe beneficiare, unitamente alla istruzione professionale e tecnica, di maggiori iniziative promozionali rivolte alle collettività di giovani, con comunicazioni moderne, anche grazie ad un uso pubblico, maggiormente consapevole, delle diverse “piattaforme social” presenti e particolarmente utilizzate dai nostri giovani.

Si dovrebbe, altresì, prevedere nella contrattazione collettiva la presenza di più specifici articoli riguardanti l’occupazione, previo ricorso ai percorsi di “apprendistato” professionalizzante.

Una reale “ripresa e resilienza” come attualmente è in voga dire, deve passare anche da quanto sopra detto.

Riprendendo, da ultimo, il tema del rinnovo funzionale dei CpI, uno dei requisiti irrinunciabili si può sostanziare con un programma operativo ed uniforme, di metodologia, per le prese in carico di coloro che sono in cerca di occupazione, con misurabili erogazioni di specifici servizi, progettando in maniera personalizzata percorsi di formazione/stage/impiego, sotto forma di contratti di servizio premiali.

Tali processi, come detto, devono poter essere adeguatamente misurabili e per questo corrispondere a dei livelli essenziali delle prestazioni sufficientemente omogenee per l’intero territorio nazionale.

Elemento altrettanto fondamentale riguarderà il processo di riqualificazione professionale (ma io dico ammodernamento delle conoscenze e degli skill posseduti dai lavoratori) indispensabile soprattutto per coloro, ancora in età lavorativa, che subiscono crisi aziendali spesso irreversibili, e che potrebbero rientrare tra i soggetti che sono coinvolti nei processi di ricollocazione e transizione, verso nuovi segmenti produttivi.

Questi percorsi dovrebbero affiancare gli strumenti esistenti di sostegno (vedasi Reddito di cittadinanza, Naspi, Discoll), come pure di ammortizzatori sociali straordinari come la Cigs o Cassa Covid.

In definitiva anche ricorrendo ad un rafforzamento dei recenti strumenti ideati, di welfare, come il “Fondo nuove competenze”, a seguito di specifici accordi collettivi tra OO.SS. e datoriali, si è potuto incidere positivamente su “individuali fabbisogni formativi” a livello aziendale e/o di settore.

In tale ambito un ruolo primario deve essere assolto dai già presenti “Fondi interprofessionali”.

Da ultimo, ma non per ultimo, la necessità di pianificare un più stretto scambio tra i CpI pubblici e i relativi servizi per l’impiego e le Agenzie private per il lavoro, facendo in modo che le finalità comuni di collocazione e ricollocazione, nonché intermediazione al lavoro, possano coesistere virtuosamente anche ricorrendo a protocolli di intesa nazionali, vincolanti, ad esempio per la implementazione e condivisione delle Banche dati, come pure garantire programmi comuni di formazione, istruzione, riqualificazione, alle rispettive categorie di utenti.

Per concludere è doveroso altresì affermare che nessuna riforma profonda dei centri per l’impiego pubblici può effettuarsi se non si accompagnerà con un indispensabile rinnovato “patto di collaborazione” con il sistema privato delle Agenzie per il lavoro, al fine di non disperdere quanto di valido realizzato in termini di buone pratiche ed esperienze già collaudate.

Lo stesso mercato del lavoro deve essere, prima che riformato ed ammodernato, adeguatamente “conosciuto”, posto che la modernizzazione delle società, dei sistemi produttivi, dei bisogni sociali, sono immensamente più mutevoli e liquidi rispetto agli ultimi due secoli trascorsi.

Il bisogno primario è quello di garantire, come recentemente affermato, nel consesso Europeo di Oporto, (che con il “Social Summit” ha trattato la materia della tutela dei diritti sociali) dal Capo del Governo Draghi, di condividere una prima forma di coordinamento Europeo dei mercati del lavoro ma anche dei diritti sociali, al fine di trarne beneficio, soprattutto per i più deboli, e come si usa spesso dire, senza che nessuno venga lasciato indietro.

Bisogna attrezzarsi affinché si eviti, per quanto possibile, un eccesso di frammentarietà dei diversi mercati del lavoro europei e quindi a noi più vicini se non concorrenti. Il Presidente Draghi ha giustamente affermato, in tale assise in Portogallo, la possibilità che il programma europeo SURE diventi un viatico, “permanente” per un mercato Comune europeo, rivolto al lavoro in senso ampio e soprattutto vettore per un sussidio comunitario alla disoccupazione, per far fronte ai mutamenti straordinari propri del mercato del lavoro globale, e quindi anche europeo, amplificato inevitabilmente, in questo ultimo anno e mezzo, dagli effetti sfavorevoli della pandemia sull’economia.

In Italia, è un fatto, siamo esposti eccessivamente a divari territoriali e regionali, come pure evidenti disparità e disuguaglianze generazionali e di genere.

Il nostro mercato del lavoro, ma aggiungo anche quello europeo, nell’attuale fase, anche a seguito di questa tremenda pandemia, sta appalesando delle sostanziali ingiustizie in tema di sfruttamento del lavoro, sicurezza sul lavoro, infortuni e perdite di vite umane.

Le donne ed i giovani poi, come detto, risultano quelli maggiormente danneggiati ed esposti a fenomeni di espulsione dalla forza attiva, stanno pagando, in maggior misura, la contrazione lavorativa e quindi vengono proiettati su percorsi di disoccupazione involontaria.

Di contro, maggiormente tutelati e garantiti, sembrano essere coloro che tra le forze attive si annoverano quali appartenenti al genere maschile e in età più avanzata (o non più giovani). Abbiamo quindi estremamente bisogno di un mercato del lavoro effettivamente più inclusivo, in particolare per giovani e donne, sostenendolo anche dal punto di vista finanziario, per proteggere maggiormente gli ambiti variamente interessati dal buco nero che rappresenta la disoccupazione.

Il tutto ritengo debba essere associato ad una presenza vigile, ma anche frutto di un’azione diretta necessariamente da una entità pubblica che sia responsabile di linee uniformi e unificanti, rispetto alle proprie azioni politiche, sociali, economiche, come in ogni Paese democratico che si rispetti. Quadrato Rosso

[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del Lavoro”. Dirigente dell’INL, Capo dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Terni-Rieti. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione cui appartiene

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