Anno IX - N° 47-48

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Settembre/Dicembre 2021

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Anno IX - N° 47-48

Settembre/Dicembre 2021

Lavoro: le insicurezze…
della sicurezza


di Stefano Olivieri Pennesi, Angelo Romaniello ed Eugenio Straziuso [*]

Olivieri Pennesi Straziuso Romaniello 26

Le riflessioni sotto riportate riprendono, in parte, gli argomenti affrontati in materia di sicurezza sul lavoro e le proposte avanzate sulla revisione o, meglio, la riattualizzazione del D.lgs. 81/2008 a dieci anni dalla sua entrata in vigore, sempre in queste pagine della rivista edita dalla Fondazione Prof. Massimo D’Antona – Lavoro@Confronto, nei numeri 26/2018 e 27/2018.

La necessità di parlare ancora di sicurezza sul lavoro trae spunto dall’ormai insostenibile bilancio di infortuni gravi, gravissimi e mortali che si sono verificati nel corso dell’anno oltre che dal notevole incremento delle patologie croniche e delle malattie invalidanti cagionate, ai lavoratori, da esposizioni a rischi di vario tipo presenti negli ambienti di lavoro.

La ripartenza post lockdown da Covid-19, l’intensa ripresa in particolare dell’attività edilizia dovuta ai vari bonus fiscali, la riscontrata obsolescenza di macchine, macchinari ed attrezzature utilizzate, soprattutto in agricoltura, possono spiegare, anche se solo in parte, l’incremento del numero degli infortuni accaduti.

La scarsa attenzione nell’uso e nella manipolazione di materiali contenenti amianto, ancora molto presenti in vari ambiti lavorativi, specialmente, nel settore delle costruzioni, nonostante tale materiale, per i suoi provati effetti cancerogeni, sia ormai vietato fin dal 1992, così come l’utilizzo incosciente, nel settore agricolo, di prodotti altamente nocivi per la salute quali fitofarmaci, pesticidi e anticrittogamici sono, invece, esempi non esaustivi di fattori che determinano, ancora oggi, un elevato numero di malattie professionali.

L’ondata di infortuni sul lavoro ed il contesto mediatico con cui sono stati raccontati, unitamente al monito del Presidente della Repubblica che nella ricorrenza dello scorso 1° maggio ha ribadito che il diritto al lavoro, sancito nella costituzione, si lega indissolubilmente al diritto alla sicurezza nei luoghi di lavoro, certamente hanno influenzato non solamente l’opinione pubblica, ma altrettanto, come abbiamo avuto modo di osservare in queste settimane, l’agire politico e quindi le funzioni del Legislatore.

Ci riferiamo esplicitamente al D.L. n. 146/2021, pubblicato in G.U. il 21 ottobre 2021, che va a riattualizzare nel Capo III° rubricato “Rafforzamento della disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro” e precisamente art. 13, il tema della sicurezza sul lavoro. Si tratta di un provvedimento di “assoluta rilevanza” e necessità che richiama l’esigenza, non soltanto per gli addetti ai lavori, di voler considerare la questione della “prevenzione” degli infortuni sul lavoro e “la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori” quale impegno prioritario del Legislatore in ambito lavoristico.

Per questo, forse, le recenti morti di giovani lavoratrici-operaie, non sono state totalmente vane.

Laila, deceduta in una azienda di produzione imballaggi in provincia di Modena, e Luana, anch’essa spentasi stritolata da un “orditoio”, macchinario presente nella ditta tessile di Prato dove lavorava, sono solamente due recenti e drammatici esempi di come si muoia lavorando in realtà produttive forse troppo legate al profitto “massimo” rispetto a livelli di sicurezza “minimi”, talvolta ulteriormente comprimibili oltre il minimo.

Pennesi 47 48 1Da una prima lettura del testo in parola, tuttavia, appare opportuno sottolineare il fatto che, per rispondere al bisogno di maggiore sicurezza sul lavoro, appare non del tutto sufficiente aver dato ulteriore risalto alla repressione delle inadempienze riferite ai rischi aziendali, per chi fa impresa, con conseguenze assai pesanti dal punto di vista sanzionatorio, ivi comprendendo l’ancora più gravosa “sospensione” dell’attività di impresa, la cui adozione, nei casi previsti, è stata resa “obbligatoria” tout court per il personale ispettivo, senza alcuna discrezionalità legata al contesto dell’accertamento.

Rispondere con una preponderanza di repressione, alle esigenze di tutela dei lavoratori, denota quanta strada sia ancora da percorrere per dare piena attuazione ai principi costituzionali che tutelano il lavoro in ogni sua forma, a partire dal lavoro “manuale”, da non percepire come una “diminutio” nel ruolo sociale, ma che, anzi, depurato dagli evidenti livelli di elevata rischiosità, torni ad essere un’esperienza possibile quanto remunerativa e, al contempo, dignitosa e per questo idonea alla realizzazione umana.

Riservandoci di tornare in seguito sull’aspetto sanzionatorio, previsto dal decreto, nei confronti delle imprese inadempienti, sia di quelle che non abbiano posto in essere le misure previste dal D.lgs. 81/2008, sia di quelle presso le quali siano individuati lavoratori irregolarmente assunti (in nero), si è inteso inasprire la lotta all’insicurezza sul lavoro che ancora appare troppo diffusa, anche mediante il rafforzamento del ruolo assegnato all’Ispettorato Nazionale del Lavoro sia nell’ambito dell’attività di coordinamento a livello provinciale degli organi ispettivi, sia riguardo all’attribuzione delle competenze in materia modificando le previsioni di cui alla Legge 833/1978 istitutiva del SSN che assegnava, in toto, ai servizi di prevenzione delle Ausl, la vigilanza sulla sicurezza ed igiene sul lavoro.

Altrettanto importante, in relazione al rafforzamento del ruolo dell’INL, appare la statuizione che gli introiti derivanti dall’adozione delle sanzioni emanate dal personale dell’Ispettorato del Lavoro in materia di prevenzione degli infortuni, in analogia a quanto già avviene per le sanzioni adottate dal personale ispettivo delle Asl, vadano a integrare un apposito capitolo dell’INL, finalizzato a finanziare l’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro.

Siccome alla base di qualsivoglia coordinamento vi è sempre la condivisione delle informazioni, il decreto ha modificato e integrato il D.L. 81/2008 prevedendo il potenziamento del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), gestito e curato, allo stato, dall’Inail per il quale si punta a una definitiva messa a regime e a una maggiore condivisione delle informazioni in esso contenute con gli altri attori istituzionali della prevenzione che oltre all’Istituto assicurativo sono, al momento: il Ministero del Lavoro, della Salute, dell’Interno, le Regioni e le Province autonome, ai quali si è aggiunto proprio l’INL.

Dal punto di vista sanzionatorio, le misure adottate appaiono particolarmente gravose ed impegnative per quanto attiene l’aspetto squisitamente “tecnico”: il D.L. precisa, infatti, che gli Ispettori che constatano gli illeciti ivi previsti “adottano”, senza nessuna discrezionalità, la misura di sospensione dell’attività imprenditoriale eliminando la locuzione “possono adottare” presente nel testo previgente dell’articolo 14 del D.lgs. 81.

Circa le condizioni necessarie per l’adozione del provvedimento cautelare della sospensione dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni, il nuovo decreto riduce, opportunamente, dal 20% al 10% la presenza di personale “in nero” fra quello presente ed identificato sul luogo di lavoro.

Pennesi 47 48 2Per quanto attiene, invece, le condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro, il decreto definisce, in modo più puntuale e analitico, gli illeciti in materia di salute e sicurezza da dover considerare “gravi” ai fini della sospensione dell’attività lavorativa per i quali non è più richiesta alcuna “recidiva” ai fini della adozione del provvedimento cautelare. Le condizioni per le quali va adottato il provvedimento in parola sono, allo stato attuale, riportate nell’Allegato I che modifica la corrispondente tabella del D.lgs. n. 81/2008.

Opportuno evidenziare che la sospensione, per ragioni di sicurezza, è adottata in relazione alla “parte” dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni o in relazione alle attività svolte dai lavoratori privi di formazione ed addestramento o dei dispositivi di protezione individuale.

Con il nuovo decreto viene, infine, dato maggiore risalto allo strumento giuridico della disposizione ex articolo 10 del D.P.R. 520/1955 nella parte in cui afferma che, unitamente al provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, l’INL può imporre specifiche e cogenti misure tese ad inibire il palese pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori.

Il decreto in argomento disciplina pure in modo diverso, rispetto al passato, le procedure per la revoca dei provvedimenti di sospensione dell’attività lavorativa, procedure che sono state oggetto, fra l’altro, di specifiche indicazioni contenute nella circolare INL n. 3/2021 del 9 novembre 2021.

Per consentire di dare una concreta risposta alla richiesta di tutela della salute dei lavoratori e per garantire una capillare applicazione delle norme vigenti in materia, con il D.L. 146/2021 è stato inoltre previsto, non a caso, l’incremento di organico per l’INL di ulteriori 1.024 nuovi ispettori del lavoro, oltre all’aumento di n. 90 unità di militari del reparto speciale Tutela del lavoro dell’Arma dei Carabinieri.

Detto delle ulteriori misure di contrasto emanate a tutela della salute dei lavoratori, va comunque considerato che il vigente apparato legislativo in materia di sicurezza sul lavoro, rappresentato in primis dal Testo Unico (D.lgs. n. 81/2008) evidentemente pur nella sua specificità, vastità e completezza non ha fornito al “sistema sicurezza”, del nostro Paese, un significativo “argine” al fenomeno che mina l’esistenza e la salute dei lavoratori attesi i troppi infortuni e malattie professionali verificatisi in questo ultimo decennio.

Uno dei motivi va probabilmente ricercato nel fatto che l’intensificazione degli interventi prevalentemente repressivi, in quanto basati più sull’aspetto sanzionatorio che della prevenzione operata sul campo, non ha fornito i risultati attesi anche per l’insufficienza numerica dei controlli ispettivi svolti.

L’eccessiva burocrazia, la farraginosità normativa, la scarsità di risorse umane deputate ai controlli, la disarticolazione e scarsa comunicazione e coordinamento dei molteplici Enti preposti ai controlli sono altri elementi che hanno fatto diminuire le capacità di rispondere alle più che legittime istanze dei lavoratori e delle loro rappresentanze sindacali finalizzate ad una maggiore tutela del lavoro.

Andiamo ora a sintetizzare gli elementi di maggior pregnanza del menzionato D.L. 146.

Pennesi 47 48 3Dal lato disposizioni, lo stesso art. 13 del D.L. prevede un oggettivo rafforzamento del ruolo assegnato all’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Tra le misure introdotte, il significativo e necessario coordinamento tra INL e Aziende sanitarie locali – servizi Spresal – Dipartimenti della prevenzione – rispetto all’attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro svolta a livello provinciale, apportando le conseguenti modifiche in materia al DPCM del 21 dicembre 2007 e prima ancora alla legge 822/1978 di riforma sanitaria che affidava al SSN, e specificamente ai servizi di prevenzione delle Ausl, la vigilanza sulla sicurezza ed igiene sul lavoro.

Altresì, vengono integrate le modifiche del D. Lgs. 81/2008, tra le quali quelle di cui all’art. 8, che include anche il rafforzamento del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), gestito e curato, allo stato, dall’Inail per il quale si punta a una definitiva messa a regime e a una maggiore condivisione delle informazioni in esso contenute con gli altri attori istituzionali che oltre l’Istituto assicurativo sono al momento: il Ministero del Lavoro, della Salute, dell’Interno le Regioni e le Province autonome, ai quali si aggiungeranno proprio INL e Asl.

Esemplificando si precisa che la norma prevede che la sospensione per ragioni di sicurezza è adottata in relazione alla parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni o alle attività svolte dai lavoratori privi di formazione ed addestramento o dei dispositivi di protezione individuale.

Inoltre, unitamente al provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale l’INL può imporre specifiche e cogenti misure tese ad inibire il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro. Al contempo su istanza dell’impresa interessata, l’Ispettorato può addivenire alla “revoca” della sospensione ma solo se sussistano le seguenti condizioni:

  • Regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, anche sotto il profilo degli adempimenti in materia di salute e sicurezza quali la sorveglianza sanitaria nonché la formazione ed informazione in materia di salute; ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di violazioni generali della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
  • Rimozione delle conseguenze pericolose delle gravi violazioni di sicurezza.
  • Per la parte sanzionatoria il D.L. introduce la previsione dell’obbligo del pagamento di una somma aggiuntiva per ottenere la revoca e riprendere lo svolgimento delle attività sospese:
  • Nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare il soggetto sospeso deve pagare una somma pari a 2.500 euro fino a cinque lavoratori irregolari ed a 5.000 euro se sono impiegati più di cinque lavoratori irregolari. Finora la sanzione era pari a euro 2.000, a prescindere dal numero dei lavoratori;
  • Nelle ipotesi di sospensione in materia di salute e sicurezza la somma aggiuntiva da pagare varia a seconda delle violazioni riscontrate secondo quanto indicato nell’adottando decreto ministeriale e, nelle more, nell’Allegato I al D.L. 146/2021 con riferimento a ciascuna fattispecie di illecito.


Pennesi 47 48 4A tal fine sono individuate tre soglie: euro 3.000, euro 2.500 oppure euro 300 per ciascun lavoratore interessato, dalle violazioni, in linea rispetto alla situazione precedente.

È bene sottolineare che le somme aggiuntive, così determinate, sono raddoppiate se, nei cinque anni precedenti alla adozione del provvedimento, la stessa impresa è stata destinataria di un provvedimento di sospensione (art. 14, comma 9, d.lgs. n. 81/2008).

Continua ad esserci la possibilità di ottenere la revoca della sospensione senza pagare subito l’intera somma prevista, se su istanza di parte e fermo restando il rispetto delle altre condizioni richiamate, l’imprenditore sospeso paga immediatamente il 20% della somma aggiuntiva dovuta (era il 25% nel testo precedente).

L’imprenditore sospeso che non rispetti la sospensione è punito:

  • con l’arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
  • con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.

La nuova disciplina del provvedimento cautelare prevede infine l’impossibilità, per l’impresa destinataria del provvedimento, di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione per tutto il periodo di sospensione e a tal fine detto provvedimento interdittivo di sospensione, viene comunicato all’Anac.
 

Storiografia della sicurezza sul lavoro


Il Legislatore nel lontano 1978, con la legge n. 833, è intervenuto in questa materia con un radicale cambiamento dell’assetto istituzionale inerente i servizi di prevenzione degli infortuni e più in generale, sulla sicurezza ed igiene nel lavoro attribuendo alle Aziende unità sanitarie locali i compiti svolti fino ad allora dall’Ispettorato del lavoro.

Di tutta evidenza, quindi, che la scelta legislativa maturata con la citata legge n. 833/1978 si fondasse sul bisogno storico di “decentrare” a livello territoriale il tema della sicurezza e prevenzione sul lavoro, anche, ma non soltanto, in considerazione della scarsità del personale ispettivo appartenente alle strutture dello Stato centrale.

Ne è conseguito che le medesime Regioni, presso le quali si incardinavano i Servizi delle Ausl deputati alla sicurezza, hanno avuto bisogno di strutturarsi adeguatamente organizzando appositi Dipartimenti/Servizi denominati Spresal (Servizi di prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro) e dotandoli di personale sufficiente ed idoneo dal punto di vista tecnico professionale e, quindi, adeguato ai compiti assegnati.

Pennesi 47 48 5Solo nel 1997, con un decreto attuativo il D.Lgs. 626/1994, i servizi tecnici dell’allora Ispettorato del lavoro (portatori di professionalità e memoria storica), che avevano nel frattempo conservato le proprie competenze nelle infrastrutture ferroviarie, nei cosiddetti ambienti lavorativi confinati ed in altri microsettori marginali, sono stati nuovamente utilizzati nell’ambito della sicurezza sul lavoro pur se limitatamente al settore delle costruzioni.

Tutto questo lasso di tempo ha, di fatto, disperso buona parte del bagaglio culturale e professionale proprio degli ispettori del lavoro anche nei settori produttivi diversi dall’edilizia.

Le Regioni, cui la norma assegnava la piena competenza in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, in questi quaranta anni hanno adottato, è inutile nasconderlo, politiche della sicurezza sul lavoro “influenzate” sia dai diversi momenti storici ed economico-sociali, sia dalle mutevoli, cangianti e spesso contrapposte sensibilità del potere politico locale alternatosi nel tempo e nelle diverse epoche.

In questo non sempre omogeneo, univoco e conseguente agire del Legislatore, si è innestato l’attuale T.U. ossia il D.lgs. 81/2008 che, a modesto parere di chi scrive, contiene elementi di eccellenza tecnica e teorico-normativa che però ugualmente vanno ad intersecarsi e, forse, confliggere, per una sua corretta attuazione, con il “sistema istituzionale” rubricato nel Capo II – artt. da 5 a 14 – alquanto complesso dato il rimando a Comitati, Commissioni, sistema informativo, informazione e assistenza, attività promozionali, interpello, ecc.

Certo è che una mescolanza di commissioni consultive, coordinamenti di comitati, (appartenenti alle diverse strutture pubbliche cointeressate), condivisione di banche dati, tutto produce ma meno attiene al bisogno di “semplificazione amministrativa” per ottenere risultati concreti sul versante sicurezza sul lavoro, soprattutto se si pensa alla immediatezza e risolutezza di azioni da parte degli “operatori ispettivi” in ogni luogo di lavoro dove si trovano ad agire, per lo più in situazioni spesso “critiche” e psicologicamente pesanti dal punto di vista della “accoglienza” che ricevono, non sempre benevola, ben disposta e collaborativa.

È giusto anche osservare che obiettivo delle ispezioni, di tutte, e di qualunque operatore ispettivo agisca, devono essere egualitariamente le tutele fisico-sanitarie, economico-lavoristiche, previdenziali, assicurative, e non di meno morali ed umane. Con controlli quali-quantitativi più incisivi, con il potere rafforzato di sospendere ed inibire l’attività di impresa che si dimostri “inequivocabilmente” pericolosa per la sicurezza, la salute e benessere dei lavoratori impiegati, con l’aggiunta che la prevenzione al contempo diventi una costante ed un imperativo.

Altrettanto interessante dovrebbe ritenersi l’ipotesi avanzata recentemente da Confindustria per una più stretta collaborazione all’interno delle aziende per individuare preventivamente, con la fattiva collaborazione delle maestranze, anche in un contesto “duale”, gli elementi di reale criticità degli aspetti concernenti la sicurezza (attiva e passiva) e i relativi interventi “migliorativi” da poter validamente eseguire.

Il tutto organizzato magari a livello di “commissioni paritetiche” interne alle imprese o anche territoriali e di distretto, (coinvolgendo ad es. nel settore edilizia il sistema delle casse edili) che avrebbero lo scopo di agire preventivamente per tentare di scongiurare i vari possibili sinistri.
 

Le ragioni dell’opzione di una “Procura Nazionale del Lavoro”


Pennesi 47 48 6Dal 2008 si parla dell’istituzione di una Procura Nazionale specializzata in materia di infortuni sul lavoro, sul modello di quella Antimafia. L’idea, lanciata anni orsono dai giudici Caselli e Guariniello, è stata oggi ripresa e portata in commissione lavoro al Senato con un apposito ddl.

Questo, evidentemente, per non disperdere il bagaglio di conoscenze specialistiche, esperienze e professionalità che in molte Procure, alcuni magistrati ed organi di polizia giudiziaria. hanno acquisito sul campo in materia di sicurezza, infortuni sul lavoro e malattia professionali.

Infatti, proprio presso la Procura di Torino, dove hanno operato per lunghi anni i menzionati magistrati, si sono svolti procedimenti che hanno fatto “giurisprudenza” nella materia della sicurezza sul lavoro; ci riferiamo, segnatamente, alle vicende della ThyssenKrupp ed al caso Eternit, che sono diventate procedure operative di riferimento per quanto attiene al “metodo” di lavoro seguito.

In una delle tante audizioni svolte in anni passati dal dott. Guariniello venne sottolineato che l’azione dell’autorità giudiziaria, a tutela della sicurezza sul lavoro, non risulta sempre adeguatamente soddisfacente. In diverse aree del paese i processi in materia di sicurezza vengono svolti in maniera ordinaria e poco pregnante; in altre Procure l’azione svolta da volenterosi magistrati spesso si protrae anche per la farraginosità degli accertamenti, delle perizie, delle indagini subendo un conseguente rallentamento tale da portare, spesso, alla prescrizione dei reati.

L'idea rinnovata di una Procura nazionale del lavoro nasce quindi da esperienze e buone pratiche svolte da taluni magistrati, particolarmente impegnati sul versante infortuni sul lavoro, e tende a delineare un'organizzazione giudiziaria innovativa in questo campo.

In tale contesto, potrebbero trovare risposte le note difficoltà delle piccole Procure, come altresì evidenziato da diversi Procuratori della Repubblica.

Appare quindi di tutta evidenza come un processo di centralizzazione potrebbe rivelarsi estremamente efficiente ed efficace, sia per la Magistratura nel suo insieme, sia per gli organi ispettivi, dovendo soddisfare, al meglio, l’esigenza di assicurare uniformità di intervento e di giudizio in tutte le situazioni dove si verifichino rischi per l’esposizione dei lavoratori all’ipotesi di contrarre una malattia professionale o di subire infortuni gravi, gravissimi e, talvolta, mortali.

In tali casi diventa fondamentale procedere in tempi rapidi con le giuste indagini opportunamente finalizzate alla ricerca dei concreti profili di responsabilità, anche plurima, attribuibili in modo certo.

Naturalmente, sulla proposta di istituzione della Procura nazionale in materia di infortuni sul lavoro si sono registrate opinioni e posizioni diversificate anche all’interno della Commissione parlamentare competente pur se alcuni commissari hanno correttamente sottolineato che la sua creazione potrebbe agevolare l’opera di prevenzione e conferire maggiore celerità alle indagini, grazie ad un più elevato livello di specializzazione dei magistrati e alla possibilità di acquisire e valorizzare le esperienze ed i metodi investigativi più all’avanguardia.

La Procura Nazionale del Lavoro potrebbe, inoltre, regolamentare, in modo uniforme sul territorio nazionale, (ricorrendo se del caso anche alle cosiddette “deleghe” tecniche) le modalità di coordinamento tra i soggetti pubblici preposti alla vigilanza e alla prevenzione che, al momento, risultano essere estremamente variegati e caratterizzati dagli estremi opposti, dalla totale assenza di coordinamento alla costante vigilanza congiunta o permanentemente coordinata attuata in poche, virtuose, realtà locali.

Pennesi 47 48 7Il dottor Guariniello ha infine ricordato che la proposta di istituire una Procura nazionale in materia di sicurezza del lavoro nasce proprio dalla constatazione della attuale inefficienza del sistema giudiziario, in relazione all’insoddisfacente livello di applicazione di una normativa – quella antinfortunistica – che, come è noto, trae la sua origine dalla disciplina europea e, pertanto, andrebbe applicata in modo uniforme non solo all’interno dei singoli Stati, ma, sostanzialmente, in tutti i Paesi dell’Unione.

Nel dibattito si è anche osservato come nel settore della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro si registrino, purtroppo frequentemente, conflitti di competenze tra organi di vigilanza e a volte anche carenze di professionalità, che riguardano soprattutto le Procure di medio-piccole dimensioni come esplicitamente sottolineato dal dottor Caselli e dal dottor Guariniello.

È evidente, pertanto, che l’istituzione di una Procura nazionale potrebbe produrre risultati più efficaci, anche in considerazione di specifici poteri d’inchiesta, come pure la possibilità di svolgere le fondamentali funzioni di reale coordinamento che la caratterizzerebbero.

Non bisogna inoltre tralasciare che una costituenda Procura Nazionale potrebbe, plausibilmente, assicurare una maggiore velocità sia nella fase delle indagini istruttorie, sia evidentemente nelle fasi di giudizio, scagionando dal rischio troppe volte verificatosi (aggiungiamo, immoralmente) relativo alla possibile “prescrizione” del reato, allo scadere del 15° anno, tempo comunque lunghissimo per arrivare ad una sentenza “definitiva” a seguito dei tre gradi di giudizio. Tornerebbe quindi cogente, anche per queste delicate fattispecie, la questione della durata ragionevole dei processi, tema quantomai scottante ed ancora non risolto, complessivamente, nel nostro Paese, sia in ambito civile che penale.

Parimenti la diffusione di una cogente “cultura della sicurezza” deve poter essere affiancata da un perfezionamento delle tecniche di indagine e aggiungiamo ispettive, per tale aspetto, una Procura “sovraordinata” potrebbe a ben vedere svolgere un ruolo propulsivo, promuovendo la diffusione delle “best practice” e magari intervenendo parallelamente sulle grandi inchieste per sostenere le Procure di dimensioni più contenute.

L’istituzione della Procura in questa materia risponderebbe a diverse, sentite, esigenze. Il bisogno di una giustizia certa, celere e giusta. Attività di prevenzione efficace e cogente. Sistema sanzionatorio applicato con uniformità e ponderazione per una declinazione equa della vigente legge antinfortunistica. Depotenziamento degli esiti giudiziali non uniformi sul territorio nazionale e relative inefficienze.

Strutturazione e coordinamento di una squadra di magistrati specializzati ed esperti del settore sicurezza del lavoro e malattie professionali, con una capacità di velocizzare gli interventi a fronte di infortuni spesso mortali, come pure indagini sulla contrazione di patologie sanitarie contratte per attività lavorative svolte.

In concreto un Organo di riferimento per gli addetti ai lavori sottoforma di “Magistratura altamente specializzata”.

A questo punto, però, bisogna essere comunque chiari su un concetto di fondo, ovverosia che le Procure, tutte, hanno come obiettivo principe il tema della “repressione” dei reati e solamente in maniera incidentale un ruolo sul versante della cosiddetta “prevenzione” (se non altro per i casi di scuola che si sostanziano nelle “sentenze”) cosa eminentemente strategica quando si parla di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro, quali essi siano.
 

La concreta applicazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro alla luce delle novità introdotte dal D.L. 146 e le conseguenti criticità


Pennesi 47 48 8Il D.L. 146/2021, ove non sostanzialmente modificato dalla prossima legge di conversione, ha introdotto nell’ordinamento normativo della sicurezza sul lavoro quello che, a ragione, è stato definito dal dottor Giordano, neo Direttore dell’INL, un vero e proprio “terremoto” con tutte le conseguenze che questo comporta.

L’ampliamento delle competenze in capo all’INL, pur se inquadrato nell’ambito del coordinamento previsto con gli altri organi di vigilanza, pone non poche problematiche applicative soprattutto se riferite al ruolo ordinario del personale ispettivo che, a differenza del ruolo tecnico, comunque presente, di fatto, in ogni sede territoriale dell’agenzia, non ha mai svolto accertamenti specifici e diretti in materia di sicurezza sul lavoro.

Detto personale infatti, almeno nella prima fase di applicazione delle nuove norme in materia di sospensione dell’attività lavorativa, si troverà a confrontarsi con problematiche quali l’obbligo della sorveglianza sanitaria, nei vari settori di attività imprenditoriale o le modalità di adempimento degli obblighi formativi in funzione dei diversi livelli di rischio in cui si inquadra l’attività ispezionata che, tranne in rari casi, non sono mai state oggetto puntuale degli accertamenti svolti a tutela dei lavoratori.

La circolare n. 3 del 9 novembre 2021 del Direttore dell’Ispettorato ha solo parzialmente fornito chiarimenti in merito, rimandando la problematica in argomento a successive e necessarie note esplicative, comunque già previste ed anticipate, per gli addetti ai lavori.

Al riguardo appare condivisibile l’orientamento adottato da molti uffici territoriali dell’INL di supportarsi con gli esiti delle riunioni dei “comitati di coordinamento”, previsti dallo stesso decreto legge, prima di coinvolgere integralmente anche ai profili ordinari del personale ispettivo per la citata vigilanza in materia di sicurezza sul lavoro.

Diverso discorso riguarda il caso della sospensione dell’attività lavorativa in presenza di personale in nero in misura superiore al 10% del personale occupato nel luogo di lavoro ispezionato.

In questo caso, gli obblighi di verifica degli adempimenti in materia di sicurezza sono limitati all’aspetto legato alla sorveglianza sanitaria ed alla formazione dei lavoratori per cui, l’ispettore ordinario potrà procedere già in sede di accesso ispettivo alla contestazione di tali fattispecie di violazione del Testo Unico riservandosi l’annullamento parziale o totale del provvedimento, in via di autotutela, nel caso in cui il datore di lavoro sia in grado di dimostrare la non assoggettabilità del lavoratore irregolare a tali obblighi.

Problema che riguarda, invece, l’intero corpo ispettivo e che merita di essere affrontato è quello riferito all’ulteriore “inasprimento” dell’apparato sanzionatorio legato ai provvedimenti di sospensione dell’attività lavorativa che va ad aggiungersi alle fattispecie penali ed amministrative già esistenti in materia di lavoro.

Abbiamo già avuto modo di considerare nella parte iniziale di questo contributo che agli incrementi dell’apparato sanzionatorio già introdotti con precedenti interventi legislativi non è corrisposto un decremento del fenomeno infortunistico e delle malattie professionali. Le statistiche INAIL al riguardo, al contrario, evidenziano un trend in crescita di tali fenomeni.

Evidentemente, il solo incremento delle sanzioni non raggiunge l’obiettivo prefissato probabilmente perché destinatari dei provvedimenti sono persone che o tendono a sottovalutare le condizioni di pericolo presenti nei luoghi di lavoro o, seppur coscienti di ciò, non hanno le necessarie capacità tecniche e professionali per individuare ed attuare le misure di sicurezza a protezione dei propri dipendenti.

Limitatamente al settore delle costruzioni il Testo Unico ha inserito un più che altro formale obbligo, da parte del committente, di “verificare” l’idoneità tecnico-professionale delle imprese e dei lavoratori autonomi a cui affidare l’esecuzione dei lavori oggetto di appalto.

La previsione dell’articolo 90, comma 9, lettera a) posta in capo al committente, nella sua generica accezione ha portato, in sporadici casi, alla mera acquisizione dei documenti di cui all’Allegato XVII che è cosa diversa rispetto alla “verifica preventiva” dell’effettiva capacità di impresa in grado di assolvere gli impegni contrattuali assunti, per la realizzazione dell’opera affidata, da parte del committente.

Né è ipotizzabile, per un’efficace azione di contrasto al fenomeno infortunistico, che una verifica importante e preventiva, quale la capacità tecnico-professionale delle imprese e dei lavoratori autonomi, possa essere relegata al solo personale ispettivo che, materialmente, opera il controllo sul luogo di lavoro (cantiere).

Un utile ed efficace contributo, in tal senso, potrebbe essere dato dagli enti locali a cui pervengono le istanze di autorizzazione all’esecuzione dei lavori che ricadono nel Titolo IV del Testo Unico, ossia i lavori edili.

La semplice verifica del possesso dei requisiti tecnico-professionali delle imprese e lavoratori autonomi individuati dal committente e debitamente comunicati all’Ente deputato al rilascio del titolo autorizzativo, se fatta da questo preventivamente al rilascio del nulla osta all’esecuzione dei lavori per la realizzazione dell’opera, ridurrebbe drasticamente la presenza nei cantieri di imprese e lavoratori autonomi “privi” dei necessari requisiti professionali atti ad assicurare un minimo di tutela per i lavoratori.

Le considerazioni sopra fatte rendono ancor più incomprensibile il motivo per cui, a distanza di più di 10 anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 10/2009 correttivo della prima versione del Testo Unico, non sia stata data attuazione alle previsioni di cui all’articolo 27 sul “sistema di qualificazione” delle imprese e dei lavoratori autonomi (c.d. patente a punti).

Finalizzare l’azione di contrasto del fenomeno infortunistico al solo apparato sanzionatorio rendendolo sempre più gravoso per le imprese e per i lavoratori autonomi, con tutte le oggettive difficoltà applicative che ne conseguono, per il personale ispettivo, potrebbe avere una sua utilità nel caso in cui il datore di lavoro fosse una figura quasi astratta, eterea, mai presente sul luogo di lavoro, piuttosto che condividere spesso, con gli stessi lavoratori, i pericoli presenti nel luogo di lavoro.

La situazione che si rileva sul campo, nel corso dell’attività ispettiva, denota di contro una realtà ben diversa rispetto al modello teorico che vede il datore di lavoro quale “padrone delle ferriere”.

La realtà di molti luoghi di lavoro, laboratori artigianali, piccole imprese manifatturiere e dei canteri edili in particolare, descrive, invece, un datore di lavoro impegnato in prima persona nell’attività lavorativa al fianco dei propri dipendenti, nei cui confronti andrebbe applicato un modello di azione maggiormente indirizzato alla prevenzione rispetto alla repressione che, per evidenti ragioni di sintesi, non è possibile approfondire in questo articolo.

È forse arrivato il momento di cominciare a pensare ad un’analisi critica del Testo Unico che, partendo dall’esperienza diretta di chi, dovendone applicare i contenuti, ha avuto modo di apprezzarne pregi e criticità, possa apportare dei correttivi mirati che possano renderlo maggiormente e concretamente efficace nell’azione di contrasto al grave e preoccupante fenomeno delle morti sul lavoro.
 

Criticità


Pennesi 47 48 9Fondamentale risulterebbe essere il prioritario coordinamento tra i servizi di prevenzione delle Asl e l’INL, ma anche con Vigili del Fuoco, Carabinieri, GdF e altre forze di Polizia sia a livello centrale (mettendo in campo la necessaria interlocuzione in sede di Conferenza Stato-Regioni e autonomie locali) che a livello territoriale ed interregionale, proprio in relazione agli attuali compiti di vigilanza antinfortunistica nel settore edilizio, come anche in altri limitatissimi settori produttivi, allo stato è sostanzialmente mancato.

Ciò stante non è difficile prevedere che molto probabilmente l’estensione a beneficio dell’INL, delle attuali competenze non diminuirà i problemi ma più plausibilmente, almeno in una fase iniziale, li aumenterà, questo in considerazione delle evidenti differenze circa le ottiche di intervento e modalità operative delle varie Amministrazioni coinvolte.

Di conseguenza ciò, inevitabilmente, impatta altresì sulle questioni attinenti all’organizzazione del lavoro, per la vigilanza, da parte degli Ispettorati territoriali del lavoro, la ripartizione e specializzazione di competenze ispettive, l’adeguata formazione, anche di natura tecnica, da somministrare al corpo ispettivo per affrontare al meglio le criticità di azione, sul versante sicurezza ed igiene dei luoghi di lavoro, nei vari settori produttivi diversi da quelli dell’edilizia.

Non possiamo inoltre fare a meno di evidenziare il fatto che la vigilanza “completa” nei luoghi di lavoro, attribuita all’INL da ultimo col dl 146/2021, affiancandola in maniera “concorrente” ai servizi di prevenzione delle ASL, già operativi in tale contesto con la legge 833/1978, non si può verosimilmente “improvvisare”, dovendo riassumere in capo all’INL specifiche ed adeguate competenze necessarie per la vigilanza sulle imprese, in virtù del fatto che le rinnovate attribuzioni non sono state più assolte da oltre un quarantennio.

Prevedibili, quindi, saranno le ulteriori oggettive difficoltà di coordinamento ed interazione soprattutto tra i servizi di prevenzione delle Asl e l’INL sia rispetto a “metodi di intervento” sul campo, come pure nel merito delle problematiche lavoristiche amministrative e sanzionatorie nonché, più prosaicamente, di tecnica ispettiva, laddove si dovrebbero meglio tarare tempi e svolgimento avveduto degli accessi ispettivi, ma anche esaustività e qualità redazionale dei fondamentali verbali di “primo accesso” e delle successive “rivisite”.

È anche un fatto che con questo provvedimento legislativo, in trattazione, la mera funzione di vigilanza viene, in parte, suddivisa dalla funzione più propriamente di prevenzione, assegnandola ad un organo diverso dal servizio sanitario nazionale. Da quaranta anni a questa parte, infatti, la legge ha conferito al Ministero della Salute le competenze sulla salute di tutti i cittadini, e nello specifico la prevenzione, anche quella nei luoghi di lavoro.

La stessa vigilanza, pertanto, come potrebbe declinarsi a seguito di questi ultimi interventi legislativi, rischia di divenire avulsa dal sistema prevenzionistico (nell’accezione più aulica e nobile), divenendo invece genuina azione repressiva finalizzata a sanzionare le aziende come ultimo argine nell’agire “pedagogico” e per questo limitato e scarsamente idoneo a prevenire maggiormente e più incisivamente i rischi infortunistici.

Interessante potrebbe essere ad esempio la creazione di bacini di “professionisti della sicurezza” dipendenti da Agenzie/Enti, siano esse nazionali o regionali, che vedono la loro espressione garantita e gestita dagli esistenti Enti Bilaterali (promossi ad es. da associazioni datoriali, casse edili e OO.SS.) mettendo quindi a disposizione tali professionalità a vantaggio delle Aziende richiedenti, con una sorta di “distacco”, facendo loro gravare i relativi costi per il lavoro esplicato.

Anche il tema dell’aggiornamento professionale dei cosiddetti operatori della prevenzione, non può marginalizzarsi. Infatti, la “formazione permanente” per gli addetti ai lavori, risulta essere un aspetto critico. Si dovrebbe meglio curare, di fatto, l’interpretazione idonea delle norme nazionali ed europee in materia di sicurezza sul lavoro, la conoscenza delle buone pratiche operative e tecniche, anche per l’evolversi di tecnologie, macchinari e attrezzature di nuova generazione, e non di meno quindi le competenze tecniche e scientifiche da utilizzarsi durante i controlli e interventi ispettivi, siano essi fatti da Audit interni che da Istituzioni esterne.

Da non tralasciarsi, inoltre, il tema delle scelte di “premialità” garantite da Inail ed Enti Regioni e/o Stato, per le Aziende che statisticamente assicurano basse incidenze di infortuni e aggiungo di malattie professionali collegate alle loro produzioni, abbinato ad un sistema di “penalizzazioni” con un apparato sanzionatorio dedicato per aziende che invece risultino essere foriere di frequenti infortuni e malattie professionali.

Una ulteriore riflessione, da porre in ambito, riguarda l’efficacia di una “prevenzione effettiva” dai rischi di infortunio nello svolgimento di attività lavorative e di contrazione di malattie professionali. In questo il tema di una repressione “comunque sia” e postuma, non risolve, a ben vedere, il problema in toto, ma forse lo disarticola.

Non dobbiamo dimenticare, al riguardo, che il tessuto produttivo nel nostro Paese è sostanzialmente costituito per circa il 90-92% da piccole e piccolissime imprese sotto le 15 unità lavorative. Questa concreta parcellizzazione diminuisce, fortemente, il rischio di incorrere in interventi di natura ispettiva, in materia lavoristica e di sicurezza del lavoro, e ciò induce ad una possibile riduzione della spesa in sicurezza, altresì, come detto, per gli aspetti dimensionali nonché economici e quindi capacità/possibilità di investimenti in tale ambito.

Anche il modo di lavorare sta cambiando radicalmente se solo si pensa ai non luoghi di lavoro, e per questo difficilmente controllabili, alle nuove tipologie riconducibili alla Gig Economy, allo Smart working, ad una logistica itinerante, internazionale e delocalizzata, con una dittatura di fatto del lavoro a cottimo, dell’algoritmo che gestisce tempi, luoghi, modi e quantità, da garantire con una quasi assenza di formazione sullo svolgimento dei lavori e non di meno formazione sulla sicurezza.

In definitiva si dovrebbe tendere ad una prevenzione maggiormente qualitativa anche rispetto al “mondo del lavoro” che sta tumultuosamente “cambiando”, distanziandosi dall’universo dell’impresa di derivazione fordista, dello scorso secolo.

La repressione intransigente potrebbe essere una ultima istanza dopo, però, aver perseguito al meglio azioni formative, preventive, pedagogiche verso chi fa impresa, spesso in modo coraggioso, colpendo al contempo senza indugi tutti i contesti di nero, grigio, sfruttamento, criminalità che con troppa facilità permeano il nostro tessuto produttivo sano.
 

Conclusioni


Pennesi 47 48 10Evidentemente occorre uno sforzo ulteriore e diverso che veda il concorso costruttivo di tutti coloro che, a diverso titolo, intervengono nelle complesse dinamiche della sicurezza e igiene del lavoro e ci riferiamo principalmente alle “figure di garanzia”, ai “debitori di sicurezza” nei confronti dei lavoratori e, in primis, ai datori di lavoro (titolari di imprese-aziende): abbiamo accennato alla necessità della loro qualificazione ma è il caso di aggiungere che ormai, l’importanza di questo ruolo fa sì che venga legittimamente assolto soltanto da coloro che fattualmente dimostrino di avere i requisiti tecnici, professionali, economici e aggiungiamo morali, tali da poter espletare la loro importantissima funzione con piena cognizione di causa riguardo le modalità di approccio alle problematiche di sicurezza del lavoro.

A seguire, e in un processo discendente che dovrebbe comunque obbligare ad una continua verifica del feed back, analogo discorso dovrebbe essere fatto per tutte le altre figure dai coordinatori ai responsabili dei servizi di prevenzione e protezione, dai medici competenti ai preposti, agli addetti spp, passando ovviamente per l’assai ampia galassia di studi professionali e società di consulenza e formazione.

Questa sorta di “sovvertimento culturale” sicuramente renderebbe più diffusa, completa ed efficace anche la formazione e l’informazione ai lavoratori.

Bisogna prendere poi atto che da parte delle Istituzioni pubbliche ormai l’offerta di prevenzione e promozione si può tranquillamente definire sporadica e non strutturale: questo ovviamente è un grave vulnus per tutto l’impianto prevenzionistico; è necessario ripensare l’intero aspetto apportando le modifiche del caso alle scarne e non sempre agevolmente applicabili previsioni normative attualmente in vigore, da parte di chi quotidianamente opera sul campo.

Pensare che la situazione complessiva nel nostro Paese, in tema di sicurezza, sia ai livelli di quaranta anni fa, riteniamo sia un grave errore. Certamente lo sviluppo dei sistemi di sicurezza attiva, di uso dei dispositivi di protezione individuale, di abbandono di tipologie dei prodotti chimici nocivi, come della eliminazione dell’uso, nelle produzioni, dell’asbesto o amianto dir si voglia, dell’incremento di corsi di formazione dedicati, di ambienti di lavoro più salubri e macchinari più sicuri, è un fatto acclarato.

Ciò nonostante, in Italia si muore e ci si infortuna, nei luoghi di lavoro, in maniera intollerabile ed ancora eccessiva. Il problema si ritiene risieda, in parte, nell’approccio “culturale” non adeguato come anche per il fatto che la parte rilevante del nostro tessuto produttivo è composto da aziende micro o medie, dove il sistema prevenzionistico e formativo risente evidentemente dei giusti e cospicui apporti di investimento da parte di chi fa impresa (di queste dimensioni).

Probabilmente la cosiddetta “percezione del rischio” è altamente ridotta, sia da parte dei committenti di lavori non ponendo la giusta attenzione nello scegliere i soggetti e le imprese ai quali affidare i lavori (frequentemente per ragioni squisitamente economiche) sia anche da parte dei titolari di impresa (di piccole dimensioni) che spesso sono essi stessi lavoratori attivi nelle loro aziende e, come si legge dalle cronache, anche loro subiscono la “scure” dell’infortunio personale.

In conclusione, possiamo legittimamente considerarci in piena emergenza riguardo il fenomeno infortunistico e delle malattie professionali e, dunque, ben vengano tutte le iniziative volte a rafforzare l’apparato istituzionale di controllo delle aziende, l’inasprimento delle sanzioni e la implementazione di nuove strutture della Autorità Giudiziaria (senza dimenticare la necessità della formazione e dell’aggiornamento continuo e specialistico di chi agisce in veste di Polizia Giudiziaria) ma certo non è pensabile che si possa eradicare la piaga degli infortuni e delle malattie professionali con la sola vigilanza e con la punizione esemplare dei colpevoli: occorre un salto di qualità, occorre che venga veramente e seriamente privilegiato l’aspetto prevenzionistico anche nei termini sopra accennati.

Ovviamente qualsiasi spunto di riflessione e qualsiasi proposta pervenga al riguardo deve trovare la massima attenzione.

[*] Il Dr. Stefano Olivieri Pennesi è Dirigente dell’INL, Direttore ITL Terni-Rieti - Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del Lavoro”;
L’Ing. Angelo Romaniello è Responsabile P.O. Vigilanza ITL Potenza;
L’Ing. Eugenio Straziuso è Capo Teams Vigilanza tecnica ITL Potenza.

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