Anno X - N° 51

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Maggio/Giugno 2022

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Anno X - N° 51

Maggio/Giugno 2022

Il Piano Integrato di Attività e Organizzazione

Luci e ombre della riforma Brunetta


di Marco Biagiotti [*]

Marco Biagiotti 2

Il 30 giugno scorso è approdato in Gazzetta Ufficiale il D.P.R. 24 giugno 2022, n. 81 concernente il Regolamento di individuazione degli adempimenti relativi ai Piani assorbiti dal PIAO (Piano Integrato di Attività e Organizzazione), emanato ai sensi dell’art. 6, comma 5, del decreto-legge n. 80/2021 [1]. Come è noto, il PIAO è stato introdotto dal citato art. 6 con il duplice obiettivo di: a) assicurare la qualità e la trasparenza dell'attività amministrativa e migliorare la qualità dei servizi a cittadini e imprese; b) realizzare un’opera di semplificazione amministrativa riunendo in un solo documento – che ha durata triennale, ma va aggiornato ogni anno - i diversi atti di programmazione strategico-gestionale che le pubbliche amministrazioni sono tenute ad adottare per effetto delle innumerevoli riforme della p.a. varate nel corso degli ultimi anni. In realtà, scorrendo con attenzione il testo normativo ci si rende conto che il PIAO è un documento molto complesso, nel quale ciascuna amministrazione con più di 50 dipendenti[2] dovrà definire gli obiettivi programmatici e strategici della performance, stabilire il collegamento della performance individuale ai risultati della performance organizzativa, definire la strategia di gestione “del capitale umano e di sviluppo organizzativo, anche mediante il ricorso al lavoro agile”, fissare gli obiettivi formativi annuali e pluriennali per il “raggiungimento della completa alfabetizzazione digitale, lo sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e manageriali, definire strumenti e obiettivi del reclutamento di nuove risorse e della valorizzazione delle risorse interne, prevedere strumenti per il raggiungimento della “piena trasparenza dei risultati dell'attività e dell'organizzazione amministrativa nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di contrasto alla corruzione”, elencare le procedure da “semplificare e reingegnerizzare ogni anno” mediante il ricorso alla tecnologia e “sulla base della consultazione degli utenti”, definire modalità e azioni per la “piena accessibilità alle amministrazioni, fisica e digitale, da parte dei cittadini ultrasessantacinquenni e dei cittadini con disabilità”, definire modalità e azioni finalizzate al pieno rispetto della parità di genere.

Si tratta insomma di un programma che investe a 360 gradi l’attività delle amministrazioni e intorno al quale ruotano, di fatto, l’assetto e la funzionalità di tutti gli uffici e i servizi di ciascun ente, con un impatto non trascurabile anche sul sistema interno di relazioni sindacali[3] e il conseguente rischio di provocare qualche corto circuito. Come si concilia l’obbligo di fissare nel PIAO le modalità di valorizzazione dell’esperienza professionale ai fini delle progressioni fra le aree con le previsioni dell’art. 17 del CCNL Funzioni Centrali 2019-2021, dove si stabilisce che, fatta salva una riserva di almeno il 50% delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, “le progressioni tra un’area e quella immediatamente superiore avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti” ? Come si armonizza la previsione nel PIAO della percentuale di posizioni destinata alle progressioni di carriera del personale dentro le aree con le prerogative della contrattazione decentrata stabilite dall’art. 7, comma 6, lettere c) e c1) del CCNL 2019-2021 o con il meccanismo di progressione economica all’interno delle aree fissato dall’art. 14 dello stesso CCNL? Come si integra la pianificazione nel PIAO della “graduale misurazione dei tempi effettivi di completamento delle procedure effettuata attraverso strumenti automatizzati” (di fatto, una forma di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori) con il rimando alla contrattazione decentrata dei riflessi sulla qualità del lavoro e sulla professionalità delle innovazioni tecnologiche inerenti l’organizzazione dei servizi, contenuto nell’art. 7, comma 6, lettera ad) del CCNL 2019-2021, o con le prerogative degli Organismi Paritetici per l’Innovazione fissate dall’art. 6 del medesimo CCNL? Domande per ora senza risposta, ma che lasciano presagire una stagione di nuove incertezze gestionali nelle amministrazioni pubbliche, che il nuovo Piano Integrato sospinge verso una logica iper-burocratica sempre più lontana dallo spirito contrattualistico che caratterizzava le riforme degli anni ’90 e, sotto alcuni aspetti, contraddice la tensione semplificatoria teorizzata nello stesso decreto 80/2021.

Biagiotti 51 1Tutto ciò è sufficiente a far comprendere l’importanza della fase attuativa del PIAO, iniziata con la già ricordata pubblicazione in Gazzetta del D.P.R. n. 81/2022 e con l’uscita, pressoché contestuale, del Decreto interministeriale Pubblica Amministrazione/Economia del 30 giugno 2022 (anch’esso sotto nome di “regolamento”) dove i contenuti di dettaglio del Piano vengono specificati e integrati da una “Guida alla compilazione” che, nelle intenzioni dei Ministri emananti, dovrebbe facilitare il compito delle amministrazioni. Secondo le indicazioni del D.P.R. 81, il PIAO assorbe in un unico documento il Piano dei fabbisogni, il Piano delle azioni concrete, il Piano per l'utilizzo delle dotazioni strumentali e informatiche, il Piano della performance, il Piano di prevenzione della corruzione, il Piano organizzativo del lavoro agile e il Piano di azioni positive. A prima vista siamo dunque in presenza di una notevole semplificazione degli adempimenti burocratici a carico delle amministrazioni, al punto che viene da chiedersi cosa abbia spinto il legislatore degli anni precedenti ad accumulare compulsivamente così tanti Piani da predisporre, approvare, attuare, monitorare e aggiornare tutti gli anni per il miglioramento dell’azione amministrativa e la qualità del servizio fornito dalla p.a. Tuttavia, a ben guardare, la semplificazione è più apparente che reale, dal momento che i vecchi “Piani” non scompaiono del tutto, ma vengono “assorbiti” all’interno delle varie sezioni in cui si articola il nuovo documento programmatico. Il rischio è quello di dare vita a una semplice operazione di lifting per dissimulare la nascita di un carrarmato amministrativo intriso di autoreferenzialità burocratica, composto da decine (o forse centinaia) di pagine traboccanti di progettualità più o meno aleatoria, ma che non risolverebbe il principale problema che deriva da un certo genere di adempimenti: quello di distogliere energie preziose in termini di tempo e di risorse umane da altre funzioni che, al contrario, andrebbero potenziate e maggiormente presidiate in funzione di un miglior esito dei servizi offerti alla collettività[4]. Per dirla in un altro modo, si ha la sensazione che anche nell’era del PNRR la nostra p.a. non riesca a smettere di guardarsi l’ombelico, specchiandosi nella compiutezza formale delle procedure interne, magari inumidite da una spruzzata di politically correct, senza chiedersi realmente se i processi e le funzioni che sottostanno all’attuazione delle missioni di rilevanza sociale siano supportati da una organizzazione del lavoro adeguata e da una coerente programmazione degli strumenti e delle professionalità necessarie. Per contro, i tempi di attuazione del nuovo Piano, più volte prorogati in corso d’opera a causa delle difficoltà che hanno accompagnato la stesura del D.P.R. 81[5], ne prevedono la decorrenza in prima attuazione entro il 30 giugno 2022: il che appare incongruente sia con il fatto che il D.P.R. stesso è apparso in Gazzetta proprio in quella data, sia con la difficoltà di elaborare a metà anno la programmazione del 2022 (si pensi ai fabbisogni, alla performance, alla trasparenza, ecc.) se non ricorrendo a un collage dei singoli Piani old style già elaborati e approvati da ciascuna amministrazione nei mesi scorsi[6]: il che, beninteso, soddisfa la logica dell’adempimento da un punto di vista formale e burocratico, ma non le indicazioni del Decreto Funzione Pubblica-Economia del 30-6-2022 (di seguito DM) che definisce i contenuti del PIAO da riversare nelle singole sezioni e contiene la Guida alla compilazione per le amministrazioni.

Peraltro, la lettura dettagliata del Decreto Interministeriale riserva alcune scoperte interessanti.

Biagiotti 51 2L’art. 3 del DM prevede infatti la creazione di una Sezione denominata “Valore Pubblico, Performance e Anticorruzione”, suddivisa in tre sotto-sezioni. Nella sotto-sezione denominata “Valore pubblico” andranno definiti: 1) i risultati attesi in termini di obiettivi generali e specifici, programmati in coerenza con i documenti di programmazione finanziaria adottati da ciascuna amministrazione; 2) le modalità e le azioni finalizzate a realizzare la piena accessibilità, fisica e digitale, alle pubbliche amministrazioni da parte dei cittadini ultrasessantacinquenni e dei cittadini con disabilità; 3) l’elenco delle procedure da semplificare e reingegnerizzare, secondo le misure previste dall’Agenda Semplificazione e dall’Agenda Digitale; 4) gli obiettivi di valore pubblico generato dall’azione amministrativa, inteso come l’incremento del benessere economico, sociale, educativo, assistenziale, ambientale, a favore dei cittadini e del tessuto produttivo. A sua volta, la sotto-sezione “Performance” dovrà richiamare tutte le previsioni contenute nel Capo II del decreto legislativo n. 150/2009 (e già questo fa sorgere qualche dubbio sull’effettiva virtù semplificatoria del PIAO) in riferimento a obiettivi di semplificazione “coerenti con gli strumenti di pianificazione nazionali vigenti in materia”, di digitalizzazione, di piena accessibilità dell’amministrazione, di pari opportunità ed equilibrio di genere. Emerge dunque una stretta correlazione tra i concetti di “valore pubblico” e di “performance”, entrambi agganciati (non casualmente) al tema dell’anticorruzione e della trasparenza che forma oggetto della terza sotto-sezione. Ma cosa si intende per valore pubblico? Un esempio fornito nello schema di compilazione allegato al DM ci aiuta a trovare la risposta: “Per favorire la creazione di Valore Pubblico di un territorio in termini di sviluppo turistico sostenibile, una Regione potrebbe programmare strategie di sviluppo economico (indicatore di impatto economico: indotto economico imprese turistiche territorio) e di sviluppo sociale (indicatore di impatto sociale: n. occupati in imprese turistiche territorio), compatibile con strategie di rispetto ambientale (indicatore di impatto ambientale: emissione di CO2).” Sembra dunque di intuire che l’obiettivo principale – o uno degli obiettivi principali – intorno a cui ruoterà la programmazione delle amministrazioni sarà quello di estrarre “valore” dall’attività di gestione del bene pubblico, adombrando un’evoluzione in senso mercantilista dell’organizzazione amministrativa per valutarne la congruità e misurarne l’efficacia a valle del raggiungimento o meno di “obiettivi specifici”[7]. Se così fosse, resterebbe irrisolto il nodo storico della misurazione dell’impatto sociale del “valore” (quanto vale l’apertura regolare di un museo, un dispositivo giudiziario eseguito nei tempi prescritti, un servizio ispettivo che previene il dumping o il caporalato, ecc) generato dal servizio pubblico alle condizioni date: sia come riscontro oggettivo assoluto, sia soprattutto in relazione al disallineamento degli obiettivi rispetto alla copertura organizzativa in termini di organici, strutture e mezzi. Valore ovviamente non stimabile in un’ottica di economia di mercato e non misurabile col supporto di una formula matematica o di un algoritmo.

Infine, merita un breve cenno anche la sezione denominata “Organizzazione e capitale umano” descritta nell’art. 4 del DM. Essa risulta suddivisa in tre sotto-sezioni di programmazione: struttura organizzativa, organizzazione del lavoro agile e piano triennale dei fabbisogni di personale. A proposito di quest’ultima, il DM specifica che nel Piano andranno evidenziati, fra le altre cose, la “capacità assunzionale dell’amministrazione” in base ai vigenti vincoli di spesa, l’evoluzione dei fabbisogni di personale in relazione alle scelte “operate sulla base della digitalizzazione dei processi, delle esternalizzazioni o internalizzazioni o dismissioni di servizi, attività o funzioni” nonché le “situazioni di soprannumero o le eccedenze di personale”. Colpisce il fatto che nell’allegato schema di descrizione analitica delle attività oggetto di pianificazione si proponga una poco tranquillizzante associazione fra “scelte” legate alla digitalizzazione dei processi e “riduzione del numero degli addetti e/o individuazione di addetti con competenze diversamente qualificate”, quasi a voler presagire l’inevitabilità di un saldo negativo delle dotazioni organiche a valle dei processi in atto di trasformazione del lavoro per effetto delle nuove tecnologie. Che la digitalizzazione e l’introduzione massiccia dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi siano perseguite con l’obiettivo di realizzare un incremento occupazionale, nel pubblico come nel privato, sinceramente non l’abbiamo mai creduto. La ragione principale per cui da alcuni anni - ma forse sarebbe più corretto dire dall’inizio della rivoluzione industriale - si tende sempre più a sostituire l’uomo con le macchine è per risparmiare sui costi fissi della produzione, riducendo per quanto possibile (e per quanto lo consente la tipologia dei prodotti/servizi offerti) le spese considerate non produttive in un’ottica di economia concorrenziale, quali ad esempio ferie, contributi previdenziali, indennità di malattia, ecc. Nessuna illusione, dunque, che dalla diffusione della digitalizzazione ci si debba attendere un ritorno del settore pubblico ai livelli occupazionali di 15 o 20 anni fa.

Il problema, semmai, è la gestione dell’esistente, cioè di quello che ancora rimane in termini di occupazione e occupabilità nel contesto di un lavoro pubblico in cerca di nuove professionalità e alle prese con un percorso di ricambio generazionale avviato con troppo ritardo. Anche su questo aspetto, tuttavia, il PIAO presenta diversi passaggi in chiaroscuro la cui effettiva portata ed efficacia andranno verificate nella realtà concreta della vita delle amministrazioni. Certo, sarebbe illusorio per queste ultime pensare di pianificare e gestire processi di così vasta portata senza il coinvolgimento attivo e diretto dei lavoratori, rimettendo il destino di un Ministero o di un’Agenzia alla stesura di un asettico documento di programmazione elaborato da tecnici ed esperti (magari anche di provenienza esterna) che saltano il confronto con le rappresentanze dei destinatari dei provvedimenti in esso contenuti e puntano direttamente alla ratifica degli “organi di indirizzo politico” o dagli “organi di vertice” da cui dipendono e a cui fatalmente sono legati da qualche condizionalità. In questo modo, il percorso di elaborazione del Piano potrebbe rispondere più a istanze politiche (più o meno esplicite) che a una disamina lucida, indipendente e consapevole delle criticità da affrontare e delle soluzioni da adottare. Anche lasciando da parte tutte le considerazioni sul ruolo del sindacato e sull’importanza di sviluppare al massimo i sistemi partecipativi per favorire l’innovazione del lavoro e migliorare la produttività, l’approccio essenzialmente unilaterale e tecnocratico dell’attività programmatoria delle amministrazioni pubbliche, delineato nel PIAO, rischia di trasformare gli atti di pianificazione in sterili esercizi di retorica amministrativa intrisi di accademismo digital-manageriale, ma avulsi dalle reali dinamiche dei contesti applicativi nei quali sono destinati a produrre il loro impatto. Dinamiche che trovano la loro piena espressione nel sistema di relazioni sindacali definito nei CCNL/CCNI e nelle clausole negoziali che hanno incidenza nei processi organizzativi del lavoro.

Biagiotti 51 3Di tutto ha bisogna la p.a. in questo momento, tranne che di riaprire l’antico conflitto tra norme di legge e contrattazione collettiva. Un esempio dei pericoli insiti nell’abitudine nostrana di riformare la p.a. a colpi di provvedimenti calati dall’alto (seppure sotto l’egida formale dell’innovazione e del miglioramento organizzativo) si ritrova nel paragrafo della “Guida alla compilazione” allegata al DM 30-6-2022 intitolato “Strategia di copertura del fabbisogno”, nella quale le amministrazioni dovranno appunto illustrare “le strategie di attrazione (anche tramite politiche attive) e acquisizione delle competenze necessarie” nonché individuare “le scelte qualitative e quantitative di copertura dei fabbisogni (con riferimento ai contingenti e ai profili)”. Nel ventaglio di possibilità suggerite dalla tecnocrazia governativa troviamo il ricorso al “job enlargement attraverso la riscrittura dei profili professionali”. Al netto dell’inglesorum di rito, basta dare un’occhiata a Wikipedia per scoprire che job enlargement significa “Allargamento del lavoro” e consiste nell’ “aumentare la portata di un lavoro estendendo la gamma delle sue mansioni e responsabilità lavorative generalmente all'interno dello stesso livello”. E ancora: “L'allargamento del lavoro implica la combinazione di varie attività allo stesso livello nell'organizzazione e l'aggiunta al lavoro esistente. Viene anche chiamata espansione orizzontale delle attività lavorative”. Per caso qualcuno in Funzione Pubblica ha pensato a cosa si potrebbe scatenare nelle amministrazioni per effetto della scelta datoriale di applicare una soluzione del genere nel documento di pianificazione strategica, proprio mentre ai tavoli della contrattazione integrativa si inizia a discutere la riscrittura dei profili professionali per attuare la riforma dell’ordinamento professionale sancita dal CCNL Funzioni Centrali 2019-2021? In una fase del genere, è immaginabile che le amministrazioni diano a sé stesse l’input programmatico di riscrivere i profili infilandoci dentro un maggior numero di mansioni e di responsabilità a parità di retribuzione? E infine, è credibile che tutto questo possa servire a rendere più attrattiva la pubblica amministrazione e a favorire l’acquisizione delle competenze necessarie? Qualcosa evidentemente non torna.

Ma quello che il legislatore non ha saputo prevedere, cioè l’apertura all’interno delle amministrazioni di un dibattito costruttivo sui contenuti della programmazione strategica delle attività e sul loro costante aggiornamento, è in realtà l’unica via d’uscita per evitare che l’efficacia del PIAO si annulli sotto il peso di ambizioni e progetti irrealizzabili. Quadrato Rosso

Note

[1] Decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia”, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113. Da notare che il termine originariamente previsto per l’adozione del Regolamento citato era di 120 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge n. 80/2021, termine poi prorogato al 31 marzo 2022 e, successivamente, al 30 giugno 2022.

[2] Per le amministrazioni con meno di 50 dipendenti sono previste norme ad hoc dall’art. 6 del Decreto interministeriale Funzione Pubblica-Economia del 30-6-2022, provvedimento di cui parleremo più avanti.

[3] Ad esempio, con riferimento alla valorizzazione delle risorse interne la norma citata precisa che il PIAO dovrà prevedere anche “la percentuale di posizioni disponibili nei limiti stabiliti dalla legge destinata alle progressioni di carriera del personale, anche tra aree diverse, e le modalità di valorizzazione a tal fine dell'esperienza professionale maturata e dell'accrescimento culturale conseguito”, considerando in tal senso anche le iniziative per il conseguimento della “completa alfabetizzazione digitale”, lo “sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e manageriali” e “l'accrescimento culturale e dei titoli di studio del personale, correlati all'ambito d'impiego e alla progressione di carriera del personale”, assicurandone “adeguata informazione alle organizzazioni sindacali”.

Biagiotti 51 4[4] Il tema appare di urgente attualità alla luce del grave stato di depauperamento professionale in cui versa oggi gran parte del settore pubblico, solo in parte compensato dal recente avvio di una nuova stagione di assunzioni per favorire il ricambio generazionale nei settori considerati strategici per l’attuazione del PNRR. Secondo gli ultimi dati della Ragioneria Generale dello Stato, nel comparto Funzioni Centrali alla fine del 2020 erano complessivamente in servizio 214.335 dipendenti, circa 15mila in meno dell’anno precedente (erano 330.400 nel 2001). Sempre nelle Funzioni Centrali, inoltre, sono stati assunti per concorso 2.133 nuovi dipendenti nel 2020 (su 71.186 di tutti i comparti Aran esclusa la Scuola), pari al 3% di tutti i nuovi ingressi dell’anno considerato (in termini di consistenza assoluta degli organici il comparto rappresenta in realtà poco più del 7% di tutta la p.a.). Secondo la stessa RGS, “il comparto delle Funzioni centrali ha il più basso rapporto di sostituzione; il tasso medio nel decennio considerato [2011-2020 – n.d.r.] è pari a 0,32 (…) Ciò significa che mediamente nel decennio c’è stato un solo nuovo assunto a fronte di tre cessazioni”. Ma per capire meglio lo stato di difficoltà in cui versano gli organici delle amministrazioni e la conseguente necessità di evitare dispersione di risorse in adempimenti non strettamente funzionali all’erogazione dei servizi istituzionali, basta dare un’occhiata alla distribuzione dei dipendenti pubblici per classi di età e al relativo commento di RGS: “Nella classe 60-64 nel 2020 si trova molto più personale di quanto non sia mai accaduto, quasi un dipendente su sette si trova infatti in questa classe; di numerosità non trascurabile è diventata la classe 65-67, che ha superato quella 20-24.” La situazione appare particolarmente grave (guarda caso) nelle Funzioni Centrali, dove il tasso di turn-over dal 2019 al 2020 registra un saldo negativo del 7%, gli over 55 sono il 55% dei dipendenti in servizio (contro la media generale del 41% nel resto della p.a.) e l’età media dei dipendenti ha raggiunto nel 2020 il record di 54,1 anni, con un incremento di 7 anni nell’ultimo ventennio. Vedi: Ragioneria Generale dello Stato, Commento ai principali dati del conto annuale del periodo 2011-2020 - Dati aggiornati al 7 dicembre 2021, Roma, MEF, 2022.

[5] Basti ricordare la lunga lista di problematicità e contraddizioni evidenziate nella bozza di Regolamento (prima della sua emanazione in forma di D.P.R.) dal Consiglio di Stato con il Parere n. 906 del 26 maggio 2022, a partire dalla considerazione secondo cui “L’avvio della fase attuativa dell’intero intervento di riforma è, dunque, l’emanazione del regolamento di delegificazione in oggetto, strumento concepito dal legislatore della l. n. 400 del 1988 proprio come strumento di semplificazione”. Fra le criticità rilevate si evidenzia che “la norma di legge si riferisce, impropriamente, all’abrogazione di adempimenti, non di norme. Una formulazione che lascia aperto il dubbio se essa debba essere interpretata nel senso che il regolamento in esame ha l’effetto non già di abrogare le norme indicate ma di determinare la loro inefficacia in quanto relative ad adempimenti, da ritenere ormai inutili o superati in quanto inerenti a piani assorbiti nel PIAO, o ancora di lasciare vigenti le norme solo per alcuni destinatari, cui non si applica l’art. 6 del d.l. n. 80.”

[6] Al riguardo il Consiglio di Stato (vedi nota precedente) ha sottolineato la complessità delle “ricadute che ne derivano sulla sorte dei piani che saranno assorbiti dal Piao e, perciò, anche sugli oneri interpretativi o comunque applicativi e di adeguamento che andranno a gravare sui soggetti tenuti alla sua adozione e, come meglio si dirà nel prosieguo, anche su quelli che non sono tenuti alla sua adozione, concorrendo perciò a definire la reale capacità del Piao, e con essa dello stesso regolamento che ne predispone le condizioni normative, di affermarsi come strumento di semplificazione.” E più oltre, in modo ancora più esplicito, ha evidenziato come la riduzione degli adempimenti “non appare compiutamente attuata dal d.P.R. in oggetto, il quale sembra limitarsi ad abrogare quanto appare chiaramente inutile, mentre invece la logica dovrebbe essere quella – inversa – di conservare soltanto ciò che è davvero indispensabile per migliorare il servizio per i cittadini e le imprese.” In definitiva, Palazzo Spada rilevava il rischio che il nuovo documento possa finire per costituire “ciò che nella pratica internazionale viene definito un ulteriore ‘layer of bureaucracy’, ovvero un adempimento formale aggiuntivo entro il quale i precedenti piani vanno semplicemente a giustapporsi, mantenendo sostanzialmente intatte, salvo qualche piccola riduzione, le diverse modalità di redazione (compresa la separazione tra i diversi responsabili) e sovrapponendo l’ulteriore onere – layer, appunto – di ricomporli nel più generale Piao.”

[7] Contribuisce a rafforzare l’assunto questo ulteriore esempio fornito dal DM: “Per favorire il raggiungimento dei suddetti obiettivi strategici, l’ente locale dovrebbe programmare obiettivi operativi specifici a essi funzionali, come l’aumento delle imprese turistiche green del territorio (indicatore di efficacia quantitativa: n. imprese turistiche), a seguito di bandi di finanziamento (indicatore di efficienza: € finanziamenti / € imprese turistiche beneficiarie) a favore di imprese turistiche che rispettino standard eco-sostenibili (indicatore di efficacia qualitativa: % rispetto standard green), creando un portale digitale dedicato per chiedere/erogare/monitorare i finanziamenti (indicatore di salute digitale: % servizi digitalizzati)”.

[*] Già dipendente del Ministero del Lavoro, lavora presso il CNEL. In passato ha collaborato alla realizzazione, per la UIL Pubblica Amministrazione, della collana di volumi “Lavoro e contratti nel pubblico impiego”. Dal 1996 al 2009 è stato responsabile del periodico di informazione e cultura sindacale “Il Corriere del Lavoro”

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