Anno XI - n° 57

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Maggio/Giugno 2023

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Anno XI - n° 57

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Infortuni sul lavoro: un confronto Italia-UE per conoscere le realtà più virtuose


di Franco D’Amico [*]

Franco Damico 57

In termini assoluti, nel 2020 (ultimo anno disponibile) sono stati registrati da EUROSTAT per il complesso dei Paesi dell’Unione Europea poco meno di 3 milioni di infortuni, I dati si riferiscono agli attuali 27 Stati membri, dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, quanti ai criteri sulla loro metodologia di rilevazione si darà più avanti una dettagliata spiegazione.

I Paesi con il più alto numero di infortuni sono, nell’ordine: Germania (circa 855.000 casi), Francia (587.000), Italia (359.000) e Spagna (356.000). Seguono, con numeri nettamente inferiori, tutti gli altri Paesi dell’Unione, in particolare quelli del Nord Europa.

Per quanto riguarda invece gli infortuni con esiti mortali, il nostro Paese si pone nettamente in testa alla graduatoria. Sul totale di circa 3.400 casi registrati nell’Unione Europea, il primato spetta infatti all’Italia, che in quell’anno ha fatto registrare ben 776 decessi lavorativi, seguita a distanza dalle solite Francia (541), Spagna (392) e Germania (371). Numeri molto più contenuti, in prevalenza sotto le 100 unità, si registrano negli altri Paesi.

È necessaria, tuttavia, una precisazione molto importante in merito ai dati esposti nella tav. 1: le statistiche su infortuni e casi mortali, elaborate da Eurostat e riportate in questo studio, fanno riferimento all’anno 2020 in quanto il più recente disponibile, ma va ricordato che questo è stato anche l’“annus horribilis” della pandemia da Covid 19 che ha avuto conseguenze fortemente negative sul mondo del lavoro e di riflesso sulle statistiche infortunistiche soprattutto a livello nazionale.

D Amico 57 4L’Italia, infatti, con il DL.18/2020 del 17 marzo 2020, ha riconosciuto come veri e propri infortuni sul lavoro le infezioni da Covid avvenute in ambito lavorativo, sulla base del principio di equivalenza della “causa virulenta” dell’infezione con la “causa violenta” dell’infortunio.

Questo, naturalmente ha finito per condizionare in misura significativa anche i risultati delle rilevazioni Eurostat sull’andamento infortunistico dei vari Stati a livello europeo. Solo Italia, Spagna e Slovenia, infatti, hanno riconosciuto i contagi da Covid-19 univocamente come infortuni sul lavoro, mentre altri 17 Stati li hanno classificati come malattie professionali e altri ancora come malattie comuni.

Nel nostro Paese, in particolare, oltre un terzo degli infortuni in occasione di lavoro indennizzati dall’Inail nel 2020 ha avuto come causa professionale il contagio da Covid-19, con il risultato di contribuire ad aumentare il numero degli infortuni rispetto al periodo pre-pandemia.

Il dato complessivo europeo degli infortuni, avendo la maggior parte degli Stati considerato le infezioni da Covid-19 come malattia professionale, è risultato invece in calo. Questa circostanza risulta particolarmente accentuata per i casi mortali. A titolo esemplificativo si può notare che mentre nel 2019 (anno pre-pandemia) erano stati registrati dall’INAIL 1.229 infortuni mortali – un dato che è in perfetta linea con tutto il decennio precedente –, il 2020 ha un’impennata a 1.695 casi per effetto del notevole apporto delle infezioni da Covid.

Il riflesso molto significativo sulle statistiche elaborate da EUROSTAT, a cui ogni anno i Paesi membri trasmettono i propri dati nazionali, risulta evidente dal numero abnorme di casi mortali riferiti all’Italia (776) e dal rispettivo tasso standardizzato (3,03 per 100.000 occupati) della Tav. 2, che non ha assolutamente riscontro con gli anni precedenti. Nel 2019, ad esempio, sempre nelle statistiche EUROSTAT, risultavano per l’Italia 491 casi mortali e un tasso standardizzato pari a 0,98 che è in linea con tutti gli anni del decennio precedente e nettamente inferiore sia alla media U.E. (pari a 1,33) che a molti Paesi similari al nostro per dimensioni e struttura socioeconomica.

Riteniamo, pertanto, che i dati relativi all’anno 2020, almeno per l’Italia siano da considerare del tutto eccezionali e che, se si vuole fare un’analisi corretta e dei confronti omogenei e significativi tra i casi mortali dei vari Stati, è opportuno fare riferimento ai dati dell’anno 2019 che, per completezza informativa, abbiamo riportato nella Tav. 3.


Nota metodologica sull’interpretazione dei dati


Le statistiche infortunistiche riportate in questo studio sono state rilevate da pubblicazioni edite da Eurostat (Ufficio centrale di statistica dell'Unione Europea) ed elaborate da esperti della apposita sezione ESAW (European Statistics Accidents at Work).

I criteri di rilevazione adottati da Eurostat considerano infortuni sul lavoro quelli con "assenze dal lavoro di almeno 4 giorni" (in pratica i “nostri indennizzati”).

Sono invece esclusi:

  • gli infortuni in itinere
  • gli infortuni che determinano lesioni intenzionalmente auto-procurate
  • gli infortuni dovuti esclusivamente a cause mediche (infarto cardiaco, ictus, ecc.).


Le statistiche U.E. sono aggiornate sulla base dell'ultimo anno reso disponibile da Eurostat i cui tempi di elaborazione dei dati da parte dell'Ufficio Centrale, inevitabilmente, si sommano a quelli, non sempre omogenei, dei singoli Stati membri creando un certo differimento nella pubblicazione delle informazioni. Attualmente i dati più recenti si riferiscono all’anno 2020.

Quanto alla qualità dei dati, Eurostat stesso fa presente che, pur essendo in fase molto avanzata il processo di armonizzazione dei dati dei vari Paesi, tuttavia le statistiche espresse in valori assoluti presentano ancora oggi gravi carenze dal punto di vista della completezza dei dati, per una serie di motivi significativi:

  • alcuni Paesi membri (in particolare del Nord Europa), non disponendo di un sistema assicurativo specifico, non sono in grado di fornire dati completi ma presentano "livelli di sotto dichiarazione compresi anche tra il 30% e il 50% del totale";
  • in alcuni Paesi membri, diversi importanti settori economici non vengono considerati nelle statistiche (in particolare, parti del settore pubblico);
  • inoltre, alcuni Paesi membri (soprattutto quelli anglosassoni) non rilevano gli infortuni stradali avvenuti nell'esercizio dell'attività lavorativa, in quanto rientranti nella tutela non dei rischi da lavoro ma dei rischi da circolazione stradale.


Per i casi mortali, poi, oltre ai problemi citati ci sono tuttora disomogeneità anche nelle procedure di registrazione: in alcuni Paesi, ad esempio, vengono presi in considerazione solo i decessi avvenuti entro 30 giorni dalla data dell’infortunio.

Per questi motivi Eurostat stesso invita ad utilizzare i dati assoluti, che vengono riportati nelle tabelle U.E. così come comunicati dai singoli Paesi, soltanto a livello globale e a fini indicativi, tenendo conto dei limiti e delle carenze sopra indicati.

Per i raffronti tra i vari Paesi, invece, Eurostat ha più volte espresso la raccomandazione di utilizzare esclusivamente i “tassi standardizzati di incidenza infortunistica” per 100.000 occupati, che vengono elaborati dai tecnici Eurostat intervenendo sui dati assoluti con procedimenti statistici appropriati, sia per finalità tecniche di armonizzazione delle diverse strutture produttive nazionali sia per rapportarli alla corrispondente forza lavoro e sia per apportare quei correttivi di integrazione dei dati necessari per renderli più coerenti, omogenei e, quindi – cosa molto importante – confrontabili tra loro.

I dati sugli occupati sono ricavati dall’“Indagine sulle forze lavoro della Comunità” (Ifl).


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[*] Coordinatore dei Servizi Statistico-Informativi ANMIL.

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