Anno XI - n° 57

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Maggio/Giugno 2023

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Anno XI - n° 57

Maggio/Giugno 2023

Una formazione da formare…
per formare


di Stefano Olivieri Pennesi [*]

Olivieri Pennesi 28

Il tema della “formazione”, da sempre, ha rappresentato e continua a rappresentare un “elemento portante” rispetto al contesto educativo e didattico ma anche, massimamente, al variegato universo lavorativo.

Coinvolgere il maggior numero di persone, nel nostro Paese, in processi formativi, pur essendo un traguardo impegnativo e non meno sfidante, deve essere uno degli elementi qualificanti e realizzabili grazie, altresì, alle missioni inserite nell’immanente PNRR, di cui così diffusamente si parla e che vede coinvolto il nostro attuale Governo. Ciò al fine di modernizzare e far progredire l’Italia grazie a specifici stanziamenti finanziari, ivi contemplati, magari ripensando e riprogettando le cosiddette “filiere formative” sviluppando, nel sistema paese, un accorto orientamento scolastico e professionale, diffondendo, conseguentemente, l’apprendimento anche con il maggiore ricorso all’esperienza svolta nei numerosi “centri di formazione professionale”.

Dovremmo parlare, coerentemente, di “politiche attive della formazione” orientate verso il sostegno della maggiore e migliore occupabilità della forza lavoro.

Più prosaicamente, con il termine formazione viene a richiamarsi l’idea del “dare una forma”. Che riguardi la crescita delle nuove generazioni, ovvero la diretta operatività della classe lavoratrice, poco importa. Tale forma può interessare vari aspetti: del conoscere, del sapere, dell’essere, ma più in generale della più diffusa personalità. Non casualmente, difatti, si parla indifferentemente di formazione morale e di educazione morale, di formazione classica, scientifica, tecnica, come pure di processo di crescita culturale, sociale, umana e professionale. In questo senso, l’intreccio e la sovrapposizione tra istruzione, formazione ed educazione, sono ancora più manifesti. Evidentemente tutte e tre queste componenti concorrono al «pieno sviluppo della persona umana» così come sancito dalla nostra Carta Costituzionale.

Il ruolo della istruzione, educazione, della formazione, del lavoro, dovrebbe essere, allora, proprio quello di consentire a ciascuno di esprimere e di realizzare, al meglio, quello che è il senso della propria identità come persona, cittadino, studente, lavoratore, attore sociale.

Al riguardo, assume rilevanza come costruire e mostrare un’accettabile immagine di sé, per quanto concerne la sfera del lavoro, rappresenti una caratteristica fondamentale e di centrale importanza, per essere socialmente accolti e valorizzati con le proprie peculiarità, offrendo l’idea di sé quale individuo tra gli altri individui, in grado di essere utile a sé e agli altri, attraverso il proprio modo di esistere, ma non di meno con la propria istruzione, formazione, i propri saperi e competenze possedute.

È possibile, altresì, affermare che le stesse competenze acquisite, in seguito all’attività educativa e formativa, con particolare riguardo a quelle trasversali, vale a dire le “life skills”, risultano essere di primaria importanza anche nella formazione complessiva e permanente di ogni lavoratore. Non a caso, ad esempio, durante un colloquio di lavoro, sempre meno vengono richieste informazioni, nozioni e conoscenze specifiche, ma viceversa si ricercano, per lo più, competenze relazionali e sociali, atteggiamenti duttili e comportamenti improntati alla condivisione, al lavoro di gruppo, alla flessibilità ed alla collaborazione massima.

Dobbiamo anche renderci conto che uno dei tratti fondamentali della cosiddetta “pedagogia del lavoro” è rappresentato dal saper cogliere le correlazioni tra quella che viene definita dagli scienziati sociali l’attuale “società della conoscenza”, rispetto alle moderne forme del lavoro ma, soprattutto, le ricadute che si hanno sul terreno proprio della formazione.

Allo stesso modo si impone una riflessione circa l’importanza di espandere il concetto di come l’educazione al pari dei “sistemi formativi” possa andare incontro alle istanze delle persone, di vedersi concretamente realizzare, sul piano lavorativo, partendo dal proprio essere e dai legittimi bisogni, fino ad approdare ad una più complessiva costruzione di se stesso quale soggetto/attore sociale.

Olivieri Pennesi 57 1Per comprendere meglio l’articolazione su cui si fonda il mondo lavorativo, e quindi anche per indagare profondamente il tema della formazione, è necessario confrontarsi e rapportarsi con due concetti coesistenti, ossia, quello di “flessibilità” e quello di “precarietà”.

Studi, ricerche e analisi svolte nell’ambito delle scienze sociali ed economiche ci restituiscono un quadro complesso che mostra le relative peculiarità anche molto diverse, di detti concetti, a seconda della prospettiva con cui guardiamo l’elemento “formazione”.

Con l’espressione “lavoro flessibile” si fa concreto riferimento alla variegata presenza di formule lavorative alternative, connotate da aspetti diversi, come la breve durata dei rapporti lavorativi, la diversità di esperienze, ma anche l’opportunità di realizzare un arricchimento professionale che consenta alle persone di proporsi sul mercato del lavoro, con caratteristiche significative, in termini di conoscenze e competenze acquisite.

Ricordiamoci anche che in questo 2023 ricorre “l’Anno europeo delle competenze” che vedrà promuovere la tendenza alla riqualificazione e all'aggiornamento appunto delle competenze, in ogni Paese UE, affinché ognuno possa conseguire le abilità giuste per posti di lavoro certi e di qualità. Questo anche nella consapevolezza che la “transizione verde” e la “transizione digitale” stanno creando nuove opportunità per i cittadini e per l'economia dell'UE. Conseguentemente, i lavoratori qualificati potranno ottenere migliori opportunità di lavoro e partecipare attivamente alla società.

Al riguardo ritengo qualificante fare menzione di una emblematica recente affermazione fatta, al riguardo, dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen ossia: “Dobbiamo investire molto di più nella formazione e nello sviluppo delle competenze. Dobbiamo farlo lavorando fianco a fianco con le imprese. Nessuno meglio di loro conosce i profili professionali di cui hanno bisogno. Dobbiamo conciliare meglio queste esigenze con gli obiettivi e le aspirazioni di chi cerca un lavoro. Ma vogliamo anche attrarre verso il nostro continente le competenze necessarie per aiutare le imprese e rafforzare la crescita dell'Europa”.


Insegnamento e apprendimento nella formazione generale


Necessita evidentemente, il nostro Paese, di un Piano generale quadro, degli studi, con il quale proporre una definizione globale degli obiettivi di formazione generali, ma al contempo, di un mandato educativo e intellettuale affidato alla “formazione didattica superiore” che avvicini i mondi della scuola e del lavoro. Al tempo stesso non bisogna, però, dimenticare il determinante ruolo che dovrebbe svolgere l’altra gamba del sistema educativo, ossia, la “formazione professionale”.

Non di minore importanza risulta, parimenti, l’aspetto dello “orientamento” e specificamente rispetto alla cosiddetta “formazione terziaria” (universitaria o professionalizzante).

È di tutta evidenza, quindi, come proprio la questione orientamento sia sempre più manifestamente espressione di una attenta e moderna interpretazione pedagogica dei processi formativi ed educativi, del suo ruolo e dei suoi significati, toccando aspetti che vanno dalla qualità della didattica, alla vastità di materie ed argomenti di insegnamento, per arrivare alla formazione dei suoi operatori.

Mettere in evidenza quanto la scuola, l’università, i centri di formazione, siano un’importante occasione per l’incontro e aggiungo lo spazio dove formarsi per scegliere il proprio futuro, dovrebbe essere esplicitamente riconosciuto ed assecondato. Le azioni di orientamento, pertanto, andrebbero integrate con interventi, anche di natura finanziaria, finalizzati a prevenire da un lato, la troppo eccessiva dispersione scolastica che abbiamo in Italia, dall’altro, tentare di raggiungere al massimo il successo formativo da poter quindi misurare con la diretta spendibilità, nel mondo del lavoro, (reale) rispetto ai diversificati percorsi formativi intrapresi.

Olivieri Pennesi 57 2Al riguardo è bene rammentare che un recentissimo ddl – disegno di legge governativo, approvato nel Consiglio dei Ministri del 31 maggio 2023, interviene su una diversa articolazione del “sistema dei licei” in particolare favorendo la creazione di un nuovo tipo di istituto superiore: il cosiddetto “Liceo del Made in Italy”. L’intento sarebbe quello di “promuovere, l’allineamento tra domanda e offerta di lavoro, le conoscenza, le abilità e le competenze connesse al Made in Italy” con una scuola, dunque, che dovrebbe avviare e orientare gli studenti, in maniera più concreta, al mondo del lavoro, formando figure professionali nei settori strategici per l’economia italiana, che allo stato faticano a trovare nuove tendenze occupazionali. In sintesi, si punterebbe alla valorizzazione dei mestieri e al sostegno dei giovani e delle donne.

Anche le competenze trasversali, proprie dei vari ambiti lavorativi, dovranno essere approfondite e migliorate in relazione al tessuto socio-economico e produttivo di riferimento, all'innovazione e all’apporto formativo delle imprese e degli enti del territorio.

Il nuovo Liceo dovrebbe prendere il posto dell’indirizzo economico-sociale previsto dall’attuale “Liceo delle Scienze umane”. Particolare importanza rivestirà quindi il concreto accesso al mondo del lavoro.

Rispetto al rapporto col mondo del lavoro il testo del citato disegno di legge dispone, inoltre, la creazione di una Fondazione “Imprese e competenze”, che avrà lo scopo di agevolare gli studenti nel mondo del lavoro, con focus mirato alla valorizzazione dei prodotti italiani.

Altrettanto interessante, nel disegno di legge, la previsione del cosiddetto “tutoraggio” o per meglio dire un “nuovo tutoraggio” con il quale i datori di lavoro privati, con determinati limiti, potranno stipulare con “lavoratori in quiescenza” contratti retribuiti di durata massima di 24 mesi, finalizzati a svolgere proprio un tutoraggio a favore dei giovani neo-assunti (con esonero, a favore del datore di lavoro, dei contributi nei confronti dei neo-assunti), per accompagnare e garantire il travaso di conoscenze e competenze possedute da pensionati.

Cerchiamo ora, però, di fare un ragionamento su cosa rappresenta e si sostanzia la formazione.

La formazione, potremmo dire, si estrinseca al fine di sviluppare nuove capacità e nuove attitudini a beneficio di una platea di soggetti. In particolare, nell’ambito lavorativo, si è riscontrato un aumento nella domanda di programmi formativi per far acquisire al lavoratore delle specificità professionali. La formazione diviene, conseguentemente, in tale contesto, un vero e proprio investimento sul “capitale umano”, i cui frutti sono visibili sia sul breve periodo, come aumento della produttività, che sul lungo periodo, come sviluppo delle risorse personali delle imprese e delle Amministrazioni.

Con tale termine ci si dovrebbe pertanto riferire, in special modo, alle attività volte allo sviluppo di rinnovate competenze e abilità professionali, proprio nell’ambito lavorativo. Come è facile immaginare nel mondo del lavoro che stiamo vivendo, in particolare in questa società che cambia con evidente rapidità, è aumentata la domanda di “programmi formativi” formali, ma ancor di più non formali, finalizzati all’acquisizione di specificità professionali.

Olivieri Pennesi 57 3La formazione deve essere caratterizzata e imperniata, principalmente, con il fine di modellarsi, rimanendo al passo dei tempi, in ambito lavorativo. Tale orientamento di pensiero è presente anche nella scuola, non a caso si parla di istituti di formazione professionale in cui la componente operativo-strumentale viene privilegiata rispetto alla componente prettamente culturale.

La formazione, perciò, non rappresenta solamente una semplice trasmissione di nozioni specialistiche, ma viceversa incarna un processo il cui ruolo è fondamentale lungo l’intero arco della vita delle persone. Il sistema scolastico ha quindi recepito, in parte, tale esigenza con l’alternanza scuola-lavoro o come viene indicata oggi PCTO - percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento.

Sinteticamente, si potrebbe pertanto affermare che il ruolo della formazione, del lavoro, della cittadinanza, dovrebbe essere, possibilmente, quello di permettere ad ogni persona di esprimere e di compiere al meglio quello che è il senso della propria identità di persona, di cittadino, ma non di meno di lavoratore, per la piena realizzazione di se stessi.

Come è stato accennato precedentemente, nel PNRR, che si sta portando avanti, con molteplici difficoltà, nel nostro Paese, sono contemplate consistenti risorse finanziarie a vantaggio della “formazione” che come ben sappiamo, nel nostro ordinamento, risulta essere materia devoluta alle “regioni”. È pur vero, però, che almeno fino ad oggi l’autonomia regionale di legiferazione ha prodotto un sistema estremamente parcellizzato e disarmonico, in tale fondamentale contesto della vita sociale ed economica.

Si sono prodotti, a livello di singole Regioni, piani di formazione scarsamente attenti al reale incontro tra domanda e offerta di professionalità oggettivamente spendibili nell’odierno mercato del lavoro.


Sistema Informativo Excelsior -
studi previsionali


La pubblicazione sulle previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2023-2027) presenta gli scenari di stima sugli andamenti del mercato del lavoro, per detto quinquennio, con lo scopo di offrire un utile contributo per l'orientamento, la programmazione della formazione ed altrettanto per le politiche attive del lavoro.

In tale quinquennio 2023-2027 le imprese e la Pubblica Amministrazione avranno bisogno di poco meno di 4 milioni di nuovi lavoratori, con il 70% circa, dei quali (pari a quasi 3 milioni) interessati dal turn over degli occupati in uscita dal mercato del lavoro.

Nel settore pubblico si prevede, nello stesso quinquennio, un fabbisogno complessivo di circa 800 mila unità, pari a circa il 20% dei dipendenti PA. Risulta quindi strategico investire sul reclutamento e sulla formazione dei dipendenti pubblici, per ridurre gli effetti negativi che si rifletterebbero su l’intero Sistema Paese, per la carenza di dipendenti o peggio per la mancanza di competenze adeguate.

I principali vettori (digitale, green e demografico) che stanno evidentemente cambiando il mercato del lavoro, nei prossimi anni avranno un impatto crescente. Le richieste di competenze green e digitali nei prossimi anni, causate dalla doppia transizione tecnologica e ambientale, impattano radicalmente con le professioni del futuro che si svilupperanno anche a seguito dell’implementazione degli investimenti collegati con le più recenti missioni indicate nel PNRR.

I costi sociali ed economici dell’incontro tra domanda - offerta di lavoro, potrebbero crescere ulteriormente nei prossimi anni, infatti, il ritardo per mancato o ridotto inserimento nelle imprese dei profili professionali necessari, provoca rallentamenti nella creazione di valore aggiunto nei diversi settori economici.


Conclusioni


Olivieri Pennesi 57 4In una frase racchiuderei l’intero pensiero di questo contributo. Si potrebbe perciò affermare che: “il nostro Paese merita una “formazione” e “riqualificazione” proiettata nel futuro sapendosi affrancare da visioni passate non più spendibili per le moderne concezioni e implicazioni lavoristiche nell’approccio dei saperi e per meglio accompagnare e governare il mondo del lavoro che verrà”.

È giusto, inoltre, pensare che il lavoro, essendo uno dei fattori su cui principalmente si basa lo sviluppo umano e civile, pone importanti quesiti sia in merito alla “complessità della formazione” che più in generale al “sapere” stesso delle persone, che rappresenta al contempo “saper essere”.

Questo anche alla luce di quanto evidenziato ed emerge dai recenti dati Eurostat che hanno ribadito che siamo, dopo la Romania, il Paese europeo con il maggior numero di ragazze e ragazzi, trai 15 e i 29 anni, che non studiano né lavorano, i cosiddetti Neet. A questo dobbiamo aggiungere che dopo il periodo pandemico le aziende che non riescono a trovare profili professionali di cui hanno bisogno, sono più che raddoppiate.

Appunto il citato rapporto annuale Excelsior-Unioncamere certifica che ad oggi oltre 1.200.000 posti di lavoro rimangono vacanti, per mancanza di candidati adeguati a ricoprire determinate posizioni occupazionali.

Questo rende ancora più scottante il fatto che l'Osservatorio sui conti pubblici, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, ha calcolato che dal Pnrr, ossia le 63 riforme suddivise in 156 obiettivi-target, ben un quinto delle risorse è destinato alle missioni dedicate al cosiddetto “patrimonio umano” (formazione, assunzioni, ammortizzatori, emersione lavoro, ecc.) e questo rispetto anche alle due grandi transizioni ivi contemplate, quella ecologica e quella digitale che, anch’esse, saranno inevitabilmente un volano di nuove competenze, nuove professioni, declinandosi in rinnovate “identità formative”.

Proprio per tale ragione, ritengo, che un ruolo rilevante, per colmare la distanza tra aziende e forza lavoro disponibile, lo possano interpretare le Agenzie per il lavoro (Api). Difatti, come rilevato da Assolavoro, Associazione nazionale delle Agenzie per il lavoro, che aggrega e rappresenta oltre l'85% delle stesse, ogni anno provvedono a formare, gratuitamente, più di 300.000 disoccupati in cerca di lavoro, realizzando percorsi mirati, studiati ad hoc e fortemente connessi al mercato lavorativo.

In sostanza, per concludere, al ruolo comunque determinante da dover svolgere da parte dei rinnovati e rinforzati CpI - centri per l’impiego pubblici, si può e deve prevedersi un diverso ruolo, maggiormente proattivo, da parte proprio della rete delle Agenzie per il lavoro private, in spirito pienamente collaborativo e al fine di offrire il proprio contributo al Paese nel “reclutamento”, ma anche alla “formazione” delle figure professionali necessarie al più generale “sistema paese”. E, parafrasando il titolo di questo redazionale: “una formazione da formare… per formare il futuro”. Quadrato Rosso

[*] Dirigente dell’INL, Direttore Ispettorato territoriale del lavoro di Prato e Pistoia - Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del Lavoro”. Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.

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