Anno XI - n° 58

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Luglio/Agosto 2023

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Anno XI - n° 58

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Il lavoro che verrà


di Fabiano Roma [*]

Fabiano Roma 55

La natura del lavoro sta cambiando rapidamente a causa di fattori che sono nuovi rispetto ad un passato anche recente. Il riferimento è alla globalizzazione dei mercati finanziari, all’aumento delle donne nella forza lavoro, all’incremento dei servizi rispetto al tradizionale lavoro di fabbrica, alla specializzazione sempre più spinta dei lavoratori, all’incremento del terziario ma soprattutto alla rapidità dell’evoluzione delle tecnologie. Questi cambiamenti stanno determinando evoluzioni culturali, sociali, economiche e giuridiche che sono tutte da approfondire.

Ma la velocità del cambiamento è tale che quella immaginata o prevista fino a tre-quattro anni fa sembra essere mutata nel verso di una rapida accelerazione, grazie anche a due eventi: la pandemia da Covid 19 e l’intelligenza artificiale legata alla robotica.

La pandemia ha accelerato l’adozione del lavoro da remoto e molte aziende hanno scoperto che tale metodologia funziona bene. Questo perché si coniugano diverse esigenze, che vanno da una maggiore flessibilità per i lavoratori ad un miglior equilibrio tra vita professionale e privata. Ma anche un impatto meno aggressivo verso l’ambiente: basti pensare quanto sia stressante sull’ecosistema la massa di lavoratori che si sposta ogni giorno per raggiungere il proprio posto di lavoro. Ma ciò apre diversi scenari: se da un lato sempre più persone potrebbero lavorare come freelancer o come lavoratori “gig”, offrendo servizi a diverse aziende senza un lavoro a tempo pieno, con un aumento dei lavoratori in proprio, da un altro potrebbe diventare sempre più comune il lavoro ibrido, ovvero una combinazione di lavoro in ufficio e lavoro da remoto.

La globalizzazione dei mercati finanziari ha portato l’economia mondiale a sbalzi spaventosi a partire dal 2000, come non mai era capitato nel secolo scorso. Si può dire che negli ultimi quindici anni abbiamo vissuto tutte le fasi che ci sono state nel secolo precedente. C’è stata la crisi finanziaria globale, con il collasso del settore finanziario che ha trascinato con sé il settore reale con una contrazione del credito.

Alla crisi del 2008 è seguita una ripresa diseguale, non sempre legata al recupero dell’occupazione con l’Eurozona che è ripiombata in una recessione, questa volta legata al debito sovrano e caratterizzata da politiche di consolidamento fiscale e da divergenze tra i paesi membri.

Poi la pandemia da Covid-19: i lockdown hanno provocato un calo dell’offerta e della domanda, con i consumatori chiusi in casa e imprese che non potevano operare. Attualmente non sappiamo ancora misurare il cambiamento dovuto a questo fattore, è un conto molto difficile da fare. Se, per esempio, pensiamo al settore aereo, che sembrava avviarsi al declino negli anni precedenti, si ha che oggi presenta numeri superiori a quelli precedenti la pandemia.

Di seguito la guerra in Ucraina: l’inflazione si è generalizzata e le banche centrali (soprattutto la Fed e a ruota la BCE) hanno dato inizio a un processo di risalita dei tassi ancora in corso. Nel frattempo, il debito globale in relazione al PIL è aumentato di un quinto circa nell’ultimo decennio, per diminuire poi nel 2022.

Infine l’impegno verso la transizione ecologica e digitale, per far fronte al cambiamento climatico.

Tutto questo ha dato e tutt’ora dà, l’impressione che la globalizzazione dei mercati finanziari ci abbia fatto salire sulle montagne russe.

L’aumento delle donne nel mondo del lavoro risponde ad una ineludibile domanda delle stesse, che vogliono svolgere lavori diversi da quelli del passato: non più donne dedite solo alla cura della famiglia, ma donne che si vogliono affermare in tutti i campi in cui lavorano gli uomini. Questo è un processo inarrestabile, ma non sempre accettato ovunque. In molti Stati le donne non possono lavorare o non possono svolgere i lavori che desiderano a causa di mentalità diverse da quella occidentale o per motivi religiosi. Ma le stesse donne, qui, in occidente, sebbene godano di ampia libertà, non vedono riconosciuti gli stessi emolumenti degli uomini, a parità di lavoro svolto. Basti pensare che solo in questa ultima primavera la UE ha stabilito la parità di trattamento economico tra i due sessi! Negli Stati Uniti, invece, pur essendo superata da tempo e quasi ovunque la discriminazione tra uomini e donne, queste ultime vengono pagate di meno degli uomini, a parità di lavoro. Ma il dado è tratto, è un processo inarrestabile che porterà ad una crescita delle donne nel mondo del lavoro e un benessere generalizzato.

L’incremento dei servizi rispetto al tradizionale lavoro di fabbrica, la specializzazione sempre più spinta dei lavoratori, l’incremento del terziario e la rapidità dell’evoluzione delle tecnologie sono tutti legati tra loro. Sono dovuti essenzialmente all’incremento di automazione nei processi produttivi che comporta l’aumento di lavoratori con alte qualifiche ovvero fortemente specializzati e la diminuzione di quelli generici con bassa specializzazione. Keynes aveva intuito che nel XX° secolo l’occupazione nei settori tradizionali, in particolare l’agricoltura, sarebbe diminuita enormemente, ma ovviamente non riuscì a prevedere l’esplosione dei nuovi prodotti che i lavoratori del XXI° secolo avrebbero ideato e consumato. Non riuscì a prevedere la vasta economia dei servizi che avrebbe impiegato i lavoratori nella maggior parte delle economie avanzate.

Le competenze digitali diventeranno sempre più importanti, sia per lavori tecnici che non tecnici. Il lavoro del futuro richiederà una maggiore conoscenza delle tecnologie digitali.

Grazie a queste, gli imprenditori stanno creando aziende globali che operano su piattaforme digitali che implementano processi produttivi diversi dai tradizionali. Le aziende digitali generano valore e creando un effetto di rete che collega clienti, produttori e fornitori, facilitando al contempo interazioni in un modello multi-faccia su scala globale.

Il confronto di seguito riportato rende meglio l’idea.

Ad esempio, l’IKEA, società svedese fondata nel 1943, ha atteso quasi 30 anni prima di intraprendere la sua espansione in Europa. Dopo oltre sette decenni, ha raggiunto un fatturato globale annuo pari a 42 miliardi di dollari. Grazie alla tecnologia digitale, il conglomerato cinese Alibaba è stato in grado di raggiungere 1 milione di utenti in due anni e annoverare più di 9 milioni di commercianti online, raggiungendo un fatturato annuo di 700 miliardi di dollari in 15 anni. Nel frattempo, le piattaforme digitali sono in aumento in ogni paese, ad esempio Flipkart in India e Jumia in Nigeria.

Come si osserva, le piattaforme digitali si sviluppano più velocemente e a costi inferiori.

Ma tutto ciò, tra l’altro, pone dei grandi problemi per quanto riguarda ad esempio la privacy, ma anche la concorrenza e le tassazioni.

La tecnologia sta modificando le competenze che devono avere i lavoratori: se da un lato la domanda di competenze meno avanzate è in calo, grazie all’automazione, dall’altro aumenta la richiesta di competenze “superiori” ovvero competenze associate a una maggiore versatilità dei lavoratori. Ciò non solo è evidente nelle economie avanzate, ma si osserva anche in alcuni paesi in via di sviluppo. In Bolivia, ad esempio, dal 2000 al 2014 il tasso di occupazione nelle professioni altamente qualificate è aumentato di 8 punti percentuali. In Etiopia, l’aumento è stato addirittura di 13 punti percentuali. I cambiamenti si evidenziano non solo nella nascita di nuovi lavori che sostituiscono i precedenti, ma anche nelle nuove competenze richieste dal mondo del lavoro.

Da evidenziare che c’è sempre il timore del “nuovo” che, in questi casi, riguarda l’automazione: l’idea che i robot sostituiscano i lavoratori suscita grande pessimismo. Ma come abbiamo già visto in un mio precedente articolo, gli allarmismi per i rischi derivanti da un’eccessiva automazione, risultano infondati.

In ultimo, ma non certo per importanza, c’è l’intelligenza artificiale. Il rapporto del mese di aprile di quest’anno, a cura della banca Goldman Sachs, parla chiaro: ben 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno in tutto il mondo potrebbero essere automatizzati in qualche modo dalla nuova ondata di intelligenza artificiale che ha generato piattaforme come ChatGPT.

Gli esperti della banca hanno previsto che il 18% del lavoro a livello globale potrebbe essere informatizzato, con effetti più sentiti nelle economie avanzate rispetto ai mercati emergenti.

Ciò è in parte dovuto al fatto che i “colletti bianchi” sono considerati più a rischio rispetto ai lavoratori manuali. I lavoratori amministrativi e gli avvocati dovrebbero essere i più colpiti, secondo gli economisti, rispetto allo “scarso effetto” che l’IA dovrebbe avere su lavori fisicamente impegnativi o svolti all’aperto, come quelli di costruzione e riparazione.

Negli Stati Uniti e in Europa, circa i due terzi dei posti di lavoro attuali “sono esposti a un certo grado di automazione dell’IA” e “fino a un quarto di tutto il lavoro potrebbe essere svolto completamente dall’IA”, stimano gli esperti di Goldman Sachs.

Gli economisti hanno sottolineato che se l’intelligenza artificiale “manterrà le sue promesse, il mercato del lavoro potrebbe subire un'interruzione significativa”.

Tuttavia, hanno notato gli estensori del rapporto, che “tutte le innovazioni tecnologiche che inizialmente hanno soppiantato i lavoratori hanno poi dato luogo a una crescita dell’occupazione nel lungo periodo”.

Gli economisti della banca, nel loro rapporto, scrivono “Per esempio le innovazioni della tecnologia dell’informazione hanno introdotto nuove occupazioni come quella dei web designer, degli sviluppatori di software e dei professionisti del marketing digitale, ma hanno anche aumentato il reddito aggregato e indirettamente hanno guidato la domanda di lavoratori del settore dei servizi, come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e i servizi di ristorazione”.

In particolare, per la sanità il rapporto prevede che una quota variabile tra il 28 e il 26%, a seconda delle mansioni, del lavoro svolto nel settore della salute negli Usa sarà esposto all’automazione da parte dell’IA.


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Si legge ancora, nel rapporto, che “l’adozione diffusa dell’IA potrebbe in ultima analisi aumentare la produttività del lavoro e aumentare il PIL globale del 7% all’anno in un periodo di 10 anni”.

Gli economisti hanno aggiunto che “Sebbene sia probabile che l’impatto dell’IA sul mercato del lavoro sia significativo, la maggior parte dei posti di lavoro e delle industrie sono solo parzialmente esposti all’automazione ed è quindi più probabile che vengano integrati piuttosto che sostituiti dall’IA”.

I ricercatori hanno aggiunto che i lavoratori statunitensi che dovrebbero essere interessati dall’arrivo della IA, potranno subire modifiche dal 25% al 50% del loro carico di lavoro.

“La combinazione di significativi risparmi sul costo del lavoro, la creazione di nuovi posti di lavoro e l’aumento della produttività per i lavoratori aumenta la possibilità di un boom della produttività del lavoro come quelli che hanno seguito l’emergere di precedenti tecnologie come il motore elettrico e il personal computer”, concludono dalla Goldman Sachs. Quadrato Rosso

[*] Ingegnere, Ispettore del lavoro in servizio presso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

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