Anno XI - n° 58

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Luglio/Agosto 2023

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Anno XI - n° 58

Luglio/Agosto 2023

La giusta retribuzione

Per una vita libera e dignitosa


di Erminia Diana e Luigi Oppedisano [*]

Oppedisano Diana 28

Parlare di giusta retribuzione implica in primis fare riferimento alla norma programmatica del dettato costituzionale, dove il legislatore costituente ha previsto all’articolo 36 il diritto al lavoratore a percepire un’equa retribuzione che deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa [1].

Il legislatore non ha inteso fissare in modo tassativo un importo dovuto al lavoratore per la prestazione effettuata, ma ha preferito rimandare tale compito ai livelli salariali fissati dai contratti collettivi nazionali di settore o di categoria affine. Così facendo, il legislatore ha scelto la strada di evitare rischi di interferenza sull’azione sindacale e conseguentemente sulle dinamiche contrattuali, riconoscendo così una funzione di sostegno al ruolo della contrattazione.

Il legislatore con la legge 14/7/1959 n. 741 – cosiddetta legge erga omnes – nell’emanare norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori, ha delegato il governo ad emanare decreti con lo stesso contenuto delle clausole dei contratti collettivi stipulati prima della data del provvedimento, dichiarando l’obbligatorietà erga omnes degli stessi e che trovavano applicazione verso tutti i datori di lavoro e tutti i lavoratori, sia iscritti che non iscritti ai sindacati[2]. La norma era nata con lo scopo di consentire al governo di recepire in atti aventi forza di legge i contenuti dei contratti collettivi di diritto comune per assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo a tutti gli aderenti alla stessa categoria. Con la legge 1/10/1960, n. 1027 il Parlamento è intervenuto a prorogare la durata della delega di quindici mesi, ma nelle more la Corte costituzionale ha considerato illegittima dell’estensione del termine poiché violava il carattere temporaneo ed eccezionale della legge 741/1959 e ne ha dichiarato l’illegittimità della norma per contrasto all’articolo 39 della Costituzione con sentenza del 19/12/1962, n. 106.

L’ONU con la dichiarazione universale dei diritti umani si è soffermato a sancire che “ogni individuo ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata” [3].

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nella convenzione sulla fissazione del salario minimo con particolare riferimento ai paesi in via di sviluppo, adottata il 22 giugno 1970 ed entrata in vigore il 29 aprile 1972, all’articolo 2 stabilisce che i salari minimi devono avere forza di legge, gli stessi non possono essere ridotti e il loro mancato rispetto deve comportare l’applicazione di sanzioni penali ed amministrative a carico dei responsabili[4]. La convenzione prevedere altresì che deve essere garantita la libertà delle contrattazione collettiva.

Il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, costituito da 20 principi, è stato proclamato e firmato il 17 novembre 2017 dal Consiglio dell'UE, dal Parlamento europeo e dalla Commissione durante il vertice sociale per l'occupazione equa e la crescita tenuto a Göteborg, cittadina della Svezia. Il principio che riguarda la retribuzione è riportato al punto 6 e stabilisce che “I lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso” [5]. E proprio in virtù di tale principio che devono essere garantiti salari minimi che soddisfino i bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, tutelando così l’accesso al lavoro nonché gli incentivi alla ricerca di lavoro.


La Direttiva 2022/2041/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022


La direttiva 2022/2041/UE riguardante i salari minimi è stata approvata il 19/10/2022 dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea il 25/10/2022. Scopo della direttiva è quello di garantire ai lavoratori dell'Unione di ricevere un salario equo ed in grado di assicurare condizioni di vita dignitose per dare risposte al grave fenomeno del diffondersi della povertà lavorativa che coinvolge un numero sempre più elevato di lavoratori, colpendo così le categorie più deboli del mercato del lavoro. La problematica è comparsa negli anni di crisi economica ed all’insorgere dell’emergenza pandemica investendo anche i paesi ad economie più avanzate.

In linea con il Pilastro 6 dei Diritti Sociali Europeo la Direttiva sul salario minimo ha l’obiettivo di garantire ai lavoratori dell’Unione un salario minimo adeguato e ogni Stato membro dovrà considerare le variazioni del costo della vita e, conseguentemente, degli aumenti dei livelli di retribuzione.

Diana Oppedisano 58 1Il comma 3 dell’articolo 17 della direttiva UE prevede che gli Stati membri, nel rispetto del diritto e delle prassi nazionali, adottano “le misure adeguate per garantire un efficace coinvolgimento delle parti sociali ai fini dell’attuazione della presente direttiva. A tal fine, possono affidare alle parti sociali tale attuazione, in tutto o in parte, compresa l’elaborazione di un piano d’azione”. Il legislatore comunitario, al fine di aumentare la copertura della contrattazione collettiva e facilitare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari minimi legali, non ha inteso fissare un tariffario, ma ha scelto di adottare la formula della condivisione tra le parti sociali, conformemente al diritto e alle prassi nazionali.

L’articolo 4 della direttiva UE si occupa della promozione della contrattazione collettiva per la determinazione dei salari e prevede in particolare una sorta di contrattazione al fine aumentare e facilitare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva degli stati membri individuando i seguenti quattro principi fondamentali[6] che si riassumono: promozione, sviluppo e rafforzamento della capacità delle parti sociali; sostegno alle negoziazioni costruttive, significative e informate sui salari tra le parti sociali; utilizzazione di misure volte a tutelare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari; protezione dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro al fine di promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari.

Inoltre, al comma 2 dell’articolo 4 la direttiva UE prevede una contrattazione rafforzata e raccomanda gli Stati membri con un tasso di copertura della contrattazione collettiva inferiore all’80% di prevedere condizioni aggiuntive che favoriscano il coinvolgimento delle parti sociali.

L’Italia, per come risulta dai dati pubblicati dalla stampa, ha una contrattazione collettiva diffusa superiore al tasso di copertura dell’80% e si presenta come un valido modello di contrattazione collettiva in Europa.

Secondo la Direttiva il salario minimo può essere stabilito dalla legge (salario minimo legale), dalla contrattazione collettiva nazionale ovvero dalla combinazione tra la fonte normativa e la contrattazione collettiva.

L’articolo 27 della direttiva UE stabilisce che gli Stati membri devono recepirne i contenuti nel proprio diritto nazionale entro il termine del 15 novembre 2024.


Stato di attuazione della Direttiva 2022/2041/UE


In Europa non esiste una legislazione omogenea in tema di salario minimo, ma la gran parte degli stati adottano un salario minimo, con esclusione di Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia che la materia è stata delegata alla contrattazione fra le parti sociali[7].

Dei 27 paesi che costituiscono l'Unione Europea, secondo i dati Eurostat al 2022 – S2, in 13 paesi i salari minimi mensili sono inferiori a € 1.000. In 2 paesi il salario minimo mensile era compreso tra € 1.000 ed € 1.500. In 5 stati membri il salario minimo mensile era compreso tra € 1.500 e € 2.000, in un solo stato con salario minimo superiore a € 2.000 e per i restanti 6 paesi membri (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia) non è stato previsto un salario legale minimo mensile. Di seguito la tabella al secondo semestre 2022 dei salari minimi mensili legali nella UE:

Stato Euro Stato Euro
Bulgaria 363 Portogallo 822
Lettonia 500 Grecia 831
Ungheria 503 Slovenia 1.074
Romania 515 Spagna 1.166
Croazia 622 Francia 1.645
Polonia 641 Germania 1.730
Slovacchia 646 Paesi Bassi 1.756
Estonia 654 Irlanda 1.774
Repubblica Ceca 718 Belgio 1.842
Lituania 730 Lussemburgo 2.313
Malta 792


L’Italia finora non è stata favorevole all’introduzione di una soglia di salario minimo legale lasciando così terreno libero alle parti sociali – associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori a fissare il salario minimo. In particolare la Camera dei deputati nella seduta del 30/11/2022 ha votato una mozione sfavorevole all’introduzione nell’ordinamento giuridico di una norma riguardante la retribuzione minima. Il dibattito politico sul tema del salario minimo adeguato per i lavoratori non si è fermato e la commissione Lavoro della Camera nel mese di marzo 2023 ha esaminato 5 proposte di legge presentate da parlamentari della minoranza ed in data 4 luglio 2023 una consistente parte delle forze politiche di opposizione ha presentato una proposta di legge congiunta per la disciplina del salario minimo legale, indicando l’importo di 9 euro lordi all’ora. La maggioranza, non approvando il predetto progetto di legge, ha presentato in commissione Lavoro della Camera un emendamento soppressivo dell’intero progetto di legge, ma non votato. Il dibattito sul salario minimo tra le forze politiche di governo e quelle dell’opposizione passa all’Assemblea della Camera dei deputati dove molto probabilmente avviene la votazione della sospensiva per rinviare il tutto alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva.

È opportuno precisare che il legislatore con l’articolo 1, comma 7, lettera g) della legge 10/12/2014, n. 183 c.d. Jobs Act, riguardante “deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro” aveva previsto l'introduzione di un “compenso orario minimo” che avrebbe interessato soltanto i settori non coperti da contrattazione collettiva[8], ma il Governo non ha dato attuazione entro i termini al potere previsto dalla delega per regolamentare il salario minimo legale.

È bene evidenziare come il tribunale di Milano con la sentenza del 10/3/2022 il giudice del lavoro ha stabilito per la prima volta un salario minimo in applicazione diretta dell’articolo 36 della Costituzione, non in base ad un contratto collettivo nazionale di lavoro, ma decidendo sulla retribuzione mensile di fatto corrisposta che violava palesemente il suddetto articolo 36, poiché collocava la retribuzione stessa al di sotto della soglia di povertà, come stimata dall’ISTAT.


Diana Oppedisano 58 2Conclusioni


Da più tempo in Italia si parla di lavoro povero, lavoro nero, lavoro grigio, lavoro irregolare, salari bassi, di contratti pirata sottoscritti da sigle sindacali non definibili rappresentativi che fanno concorrenza al ribasso. Tali problemi fanno parte ormai di una complicata situazione che ha immediati riflessi sia sul rapporto di lavoro che sul salario e che il Parlamento dovrebbe affrontare mediante lo strumento legislativo al fine di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla soluzione del lavoro povero. Queste situazioni hanno portato una parte dei lavoratori in condizioni di povertà, vuoi anche per la mancata rivalutazione dei salari e degli stipendi e vuoi per il mancato rinnovo di alcuni contratti collettivi scaduti da tempo e non ancora rinnovati. Negli ultimi tempi si è aggiunta anche la problematica che diversi contratti collettivi c.d. pirata, ovvero contratti stipulati da organizzazioni sindacali non maggiormente rappresentative che hanno contribuito a determinare l’impoverimento di alcuni lavoratori.

La Direttiva 2022/2041/UE ha messo in risalto che negli ultimi dieci anni la povertà nell’unione europea ha assunto dimensioni notevoli e più lavoratori si trovano in condizioni di forte bisogno[9].

Dai dati del CNEL al 31/12/2021 risultano depositati n. 992 contratti collettivi e di questi n. 622, ovvero il 62,7%, non sono stati rinnovati alla scadenza e molti hanno minimi retributivi molto bassi.

Ci si chiede poi come mai i lavoratori di uno stato fondatore della CEE, come l’Italia, devono percepire mediamente retribuzioni inferiori dal 18 al 43% dei lavoratori francesi, tedeschi, belgi, paesi bassi e lussemburghesi?

L’aumento delle retribuzioni in Italia avviene attraverso il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro e nel periodo 1945 – 1992 in aggiunta alla retribuzione prevista dai contratti collettivi veniva riconosciuta una rivalutazione trimestrale mediante l’applicazione di un particolare strumento denominato scala mobile. Tale istituto era nato nel 1945 come strumento economico di politica del salario finalizzato a contrastare la diminuzione del potere di acquisto di beni da parte dei lavoratori mediante l’indicizzazione di una parte del salario in funzione degli aumenti dei prezzi al consumo di alcune beni facenti parte del c.d. “paniere”, secondo quanto stabilito da un apposito indice dei prezzi al consumo pubblicato dall’ISTAT. La scala mobile era stata introdotta in Italia nel 1945 a seguito di un accordo tra la Confederazione Generale dell'Industria Italiana e la CGIL ed il predetto accordo fu poi perfezionato il 19 gennaio 1946. Nel 1975 la scala mobile, applicata fino ad allora al solo settore bancario, venne unificata agli altri settori con un accordo stipulato tra la Confindustria e le tre maggiori organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL. Il 14 febbraio 1984 un decreto legge tagliò 3 punti percentuali della scala mobile. Al decreto ha fatto seguito la conversione nella legge 12 giugno 1984, n.219 e contro tale provvedimento è stato promosso un referendum abrogativo. La consultazione è stata tenuta il 9 e 10 giugno 1985 ed il risultato è stato favorevole all'abrogazione della norma il 45,7% e favorevole alla non abrogazione della norma il 54,3%, pertanto il taglio dei 3 punti percentuali non è avvenuto. La scala mobile è stata poi soppressa con la firma del protocollo di intesa tra il Governo e le parti sociali avvenuta il 31 luglio 1992. L’eliminazione della scala mobile in Italia, ha creato un notevole squilibrio del valore dei salari rispetto al costante aumento del prezzo dei beni.

Il salario minimo legale non può essere l’occasione per dividere ulteriormente il paese ma, al contrario, deve essere inteso come un momento di partecipazione civile al dibattito politico per ricercare la soluzione idonea ad un problema che riguarda tanti lavoratori che vivono in evidente condizioni di povertà e che non arrivano a fine mese con un centesimo in tasca. Occorre altresì tenere presente che il salario minimo legale generalmente tende a posizionarsi su livelli bassi e, quindi, non favorisce di uscire dalla condizione di lavoro povero.

Dal rapporto annuale 2023, pubblicato dall’ISTAT il 7 luglio 2023, risulta che le prospettive di crescita di breve periodo dell’economia italiana il Pil italiano è previsto in lieve crescita, sia nell’anno 2023 (+1,2%) che nel 2024 (+1,1%). Tale crescita in parte potrebbe andare redistribuito in aumento delle retribuzioni dei lavoratori e dei pensionati per dare le prime risposte all’aumento del fenomeno povertà o esclusione sociale che nell’anno 2022 la quota di popolazione a rischio risultava pari al 24,4%.

Bene i provvedimenti di riduzione della pressione fiscale sul lavoro in favore di una parte dei lavoratori, ma gli stessi benefici vanno estesi anche in favore dei rimanenti lavoratori e dei pensionati, anche essi sono presi dall’evidente difficoltà di affrontare il crescente caro vita degli ultimi anni.

L’auspicio degli scriventi, tenuto conto dello storico coinvolgimento delle parti sociali alle problematiche del lavoro in Italia, basate su un consolidato sistema di relazioni industriali e di contrattazione collettiva, nonché dal richiamato principio della direttiva UE di promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, è che in fase di recepimento della direttiva UE il legislatore non determini un importo prestabilito del salario minimo ma scelga la formula di affidare la competenza ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacati dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentativi e, solo qualora i contratti non dovessero essere rinnovati alla scadenza, la legge, affinché non si verifichi un vuoto, potrebbe prevedere un meccanismo automatico per assicurare l’adeguamento al costo della vita. Quadrato Rosso

Note

[1] L’articolo 36 della Costituzione prevede: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

[2]] L’articolo 7 della legge 14/7/1959 prevede: I trattamenti economici e normativi minimi, contenuti nelle leggi delegate, si sostituiscono di diritto a quelli in atto, salvo le condizioni, anche di carattere aziendale, più favorevoli ai lavoratori. Essi conservano piena efficacia anche dopo la scadenza o il rinnovo dell'accordo o contratto collettivo cui il Governo si è uniformato sino a quando non intervengano successive modifiche di legge o di accordi e contratti collettivi aventi efficacia verso tutti gli appartenenti alla categoria. Alle norme che stabiliscono il trattamento di cui sopra si può derogare, sia con accordi o contratti collettivi che con contratti individuali, soltanto a favore dei lavoratori.

[3] L’articolo 23 della dichiarazione universale dei diritti umani prevede:
1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

[4] La convenzione dell’OIL sulla fissazione del salario minimo con particolare riferimento ai paesi in via di sviluppo adottata il 22/6/1970 all’articolo 2 stabilisce:
1. I salari minimi devono avere forza di legge e non potranno essere abbassati; la loro non applicazione deve comportare l’applicazione di sanzioni penali o di altre sanzioni adeguate per la o le persone responsabili.
2. Con riserva delle disposizioni del paragrafo 1 qui sopra, va pienamente rispettata la libertà di contrattazione collettiva.

[5] Il capo II punto 6 dei principi del pilastro dei diritti sociali proclamato a Göteborg il 17/11/2017 prevede:
a. I lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso.
b. Sono garantite retribuzioni minime adeguate, che soddisfino i bisogni del lavoratore e della sua famiglia in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, salvaguardando nel contempo l'accesso al lavoro e gli incentivi alla ricerca di lavoro. La povertà lavorativa va prevenuta.
c. Le retribuzioni sono fissate in maniera trasparente e prevedibile, conformemente alle prassi nazionali e nel rispetto dell'autonomia delle parti sociali.

[6] L’articolo 4 della direttiva UE prevede:
1. Al fine di aumentare la copertura della contrattazione collettiva e facilitare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, gli Stati membri, con la partecipazione delle parti sociali e conformemente al diritto e alle prassi nazionali:
a) promuovono lo sviluppo e il rafforzamento della capacità delle parti sociali di partecipare alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, in particolare a livello settoriale o intersettoriale;
b) incoraggiano negoziazioni costruttive, significative e informate sui salari tra le parti sociali, su un piano di parità, in cui entrambe le parti abbiano accesso a informazioni adeguate per svolgere le loro funzioni in materia di contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari;
c) adottano, se del caso, misure volte a tutelare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e a proteggere i lavoratori e i rappresentanti sindacali da atti che li discriminino nel loro impiego per il fatto di partecipare o di voler partecipare alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari;
Diana Oppedisano 58 3d) al fine di promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, adottano misure, se del caso, per proteggere i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro che partecipano o intendono partecipare alla contrattazione collettiva da qualsiasi atto di interferenza reciproca o di interferenza da parte di agenti o membri della controparte nella loro istituzione, nel loro funzionamento o nella loro amministrazione.
2. Inoltre, ogni Stato membro, qualora il tasso di copertura della contrattazione collettiva sia inferiore a una soglia dell’80 %, prevede un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime. Tale Stato membro definisce altresì un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva. Lo Stato membro definisce tale piano d’azione previa consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime o, a seguito di una richiesta congiunta delle parti sociali, come da esse concordato. Il piano d’azione stabilisce un calendario chiaro e misure concrete per aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva, nel pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali. Lo Stato membro riesamina il suo piano d’azione periodicamente, e lo aggiorna se necessario. Qualora lo Stato membro aggiorni il suo piano d’azione, ciò avviene previa consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime o, a seguito di una richiesta congiunta delle parti sociali, come da esse concordato. In ogni caso, tale piano d’azione è sottoposto a riesame almeno ogni cinque anni. Il piano d’azione e gli eventuali aggiornamenti sono resi pubblici e notificati alla Commissione.

[7] Eurostat – tabella sui salari minimi in Europa 2022 – S2.

[8] L’articolo 1, comma 7, lettera g) della legge 10/12/2014, n. 183 prevede:
g) introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

[9] Il considerando 9 della Direttiva 2022/2041/UE prevede che: “La povertà lavorativa nell’Unione è aumentata nell’ultimo decennio e un numero più elevato di lavoratori si trova in condizioni di povertà. Nei periodi di contrazioni economiche, il ruolo di salari minimi adeguati nella protezione dei lavoratori a basso salario è particolarmente importante, dato che tali lavoratori sono più vulnerabili alle conseguenze di tali periodi di contrazioni economiche, ed è essenziale per favorire una ripresa economica sostenibile e inclusiva che dovrebbe condurre a un aumento dell’occupazione di qualità. Per assicurare una ripresa sostenibile è essenziale che le imprese, in particolare le micro imprese e le piccole imprese, prosperino. Tenuto conto degli effetti della pandemia di COVID-19, è importante valutare l’adeguatezza dei salari nei settori a bassa retribuzione, che si sono dimostrati essenziali e di grande valore sociale durante la crisi”.

[*] Gli autori del presente articolo, già dipendenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, hanno svolto rispettivamente la funzione di funzionario dell’area giuridica e contenzioso e di ispettore del lavoro e sono stati collocati in pensione. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero degli autori e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’ex Amministrazione di appartenenza.

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