Anno XI - n° 58

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Luglio/Agosto 2023

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Anno XI - n° 58

Luglio/Agosto 2023

Secondo la Corte d’Appello di Roma

Nuova giurisprudenza del lavoro antidiscriminatoria


di Gianna Elena De Filippis [*]

Gianna Elena De Filippis 43 44

Al mio amico Andrea Lucchetti.

Nell’ambito di due distinte vicende processuali, negli ultimi mesi, sono state chiuse nel grado di appello due controversie di lavoro di particolare complessità ed innovazione giurisprudenziale insorte tra alcuni lavoratori appartenenti alla categoria degli Autoferrotranvieri e la società ATAC Spa di Roma.

Una delle due fattispecie riguarda le modalità di computo dell’anzianità di servizio ai fini dell’acquisizione del parametro di inquadramento superiore (alias livello) così come sono disciplinate negli accordi nazionali di categoria (settore Autoferrotranvieri).

La lavoratrice ricorrente, la signora Stefania De Simone, attualmente inquadrata come ADE, Addetta all’Esercizio, era stata vincitrice di un concorso in ATAC Spa nel 2000, concorso indetto per la realizzazione di un progetto europeo di inserimento femminile nel trasporto pubblico locale, settore a bassissima percentuale di presenza di donne. Il progetto prevedeva, infatti, l’assunzione esclusiva di figure femminili con contratti part time nell’area operativa di esercizio (guida bus, tram, filobus).

Alla luce dell’accordo nazionale di settore del 2000, le modalità di acquisizione di parametri retributivi sono legate a precise cadenze che tengono conto del computo degli anni maturati in una precisa area professionale, della mansione assolta e del preciso inquadramento, come da tabella che segue:

Area operativa esercizio: sezione automobilistico, filoviario e tranviario
Figure professionali Parametri Modalità di accesso
Operatore di esercizio 140 Parametro di accesso
Operatore di esercizio 158 Dopo 9 anni di guida effettiva (1)
Operatore di esercizio 175 Dopo 16 anni di guida effettiva (1)
Operatore di esercizio 183 Dopo 21 anni di guida effettiva (1)


In via del tutto peculiare, lo stesso accordo nazionale prevede che il computo dei periodi lavorati in part time dovesse essere effettuato tenendo conto del minor orario lavorato con una conseguenza gravemente dannosa per i lavoratori part time: l’acquisizione del parametro superiore (livello) rispetto ad altri colleghi in full time veniva posticipato anche di diversi anni, a parità di mansioni e di effettiva anzianità di servizio in azienda.

Di tale ostica questione giuridica, apparentemente “banale”, è stato investito, dal 2018, il Tribunale di Roma nelle vesti del Giudice del Lavoro e, in seguito, la Corte D’Appello.

Nell’ampio oggetto del petitum giudiziario, la lavoratrice, reclamando il riconoscimento del parametro superiore decorsi 16 anni, come per i full time, contestava proprio le modalità di acquisizione dei parametri retributivi secondo cui le anzianità maturate durante i contratti part-time sono computate in misura proporzionale all'orario concordato ed effettivamente lavorato.

Una breve premessa a questo punto è necessaria per meglio contestualizzare il caso che, si ribadisce, apparentemente di facile interpretazione, in verità ha richiesto intense argomentazioni logico-giuridiche ai fini di un genuino esito favorevole in appello.

Sembra quasi obsoleto oggi “lottare” per alcuni principi perché appaiono quasi scontati ma siamo in un’epoca fatta di intramontabili ed insanabili contraddizioni dove da un lato le norme introducono nuovi vincoli di tutela per le pari opportunità, per il sostegno alla genitorialità e alla maternità, e dall’altro lato nonostante tanti pubblici proclami l’Italia ancora deve scontrarsi con gli svantaggi del Gender Gap, con un divario retributivo uomo-donna spaventoso e con un crescente tasso di abbandono del posto di lavoro da parte delle donne all’arrivo del primo figlio.

La vicenda processuale narrata ci ha permesso di fare profonde riflessioni generali non solo sul diritto ma anche sulla società odierna e sull’ipocrisia del vuoto che spesso permea istituzioni, sindacati e politica dinanzi a temi così importanti.

Come noto, il contratto di lavoro part-time rientra tra le articolazioni interne al lavoro subordinato, rappresentando una variante rispetto al modello base del contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato.

De Filippis 58 2La speciale regolamentazione dell’istituto in esame, stratificatasi nel tempo in più provvedimenti legislativi, mira tendenzialmente ad una migliore protezione del lavoratore part-time rispetto al lavoratore full-time, allo stesso “comparabile” in termini di inquadramento professionale. Tale migliore protezione si esprime in relazione al genere, alla condizione familiare e personale e, non ultimo, in relazione alla condizione economico-sociale di partenza del singolo in attuazione, tra gli altri, del principio costituzionale dell’uguaglianza sostanziale, oltreché formale (Art. 3, Costituzione italiana).

Chiaramente punti di forza in tutta la lunga e articolata vicenda processuale sono stati anche i riferimenti alle norme di diritto eurounitario, a partire dalla tutela antidiscriminatoria contenuta nella Direttiva 97/81/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES - Gazzetta ufficiale n. L 014 del 20/01/1998 pag. 0009 – 0014.

La matrice normativa di fonte eurounitaria sul contratto di lavoro part-time e, in generale, sui contratti “flessibili” mira indubbiamente all’inclusività sociale, alla promozione occupazionale e all’attuazione delle pari opportunità tra uomo e donna.

La donna, nel rispetto della sua funzione essenziale a livello sociale e familiare e nel rispetto della sua fisiologica natura, viene “incentivata” all’occupazione attraverso speciali politiche attive (cd. incentivi rosa).

Tra i diversi strumenti utilizzati rientrano anche le tipologie contrattuali “flessibili” che le permettono di conciliare al meglio tempi di lavoro e vita privata.

In recepimento di queste norme, in questa direzione si sono mossi i diversi provvedimenti normativi italiani sul part time: d.lgs. n. 61/2000, d.lgs. n. 276/2003, d.lgs. n. 81/2015.

Del resto, proprio il progetto di inserimento cui ATAC decise di dare attuazione nel 2000 era un progetto “rosa”, di matrice europea, di inclusione femminile nel trasporto pubblico locale, in armonia con un orientamento e con una strategia di lungo periodo fondati su coesistenza e valorizzazione di genere.

In concomitanza con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015 (in data 25.06.2015), il nuovo CCNL Autoferrotranvieri (28 novembre 2015 – 31 dicembre 2017) ribaltava integralmente il meccanismo di acquisizione dei parametri fino ad allora applicato ed introduceva, ex novo, in via diametralmente opposta, il computo per intero delle anzianità di servizio rispetto al diritto dell’autoferrotranviere part-time ad acquisire i parametri superiori ma – attenzione – questo principio era applicato ed applicabile solo ai rapporti di lavoro part-time decorrenti dal mese successivo all’entrata in vigore dell’accordo collettivo menzionato e “fermi restando gli inquadramenti ed i loro conseguenti effetti in atto”.

Quindi la lavoratrice de quo rimaneva esclusa dall’applicazione della clausola poiché il suo contratto iniziava nel 2000! Un paradosso mostruoso che ha veramente messo in discussione ogni certezza del diritto.

In sostanza, in modo isterico, veniva persino creata una differenziazione tra lavoratori part time assunti prima del 2015 e lavoratori part time assunti dopo il 2015 (questi ultimi avvantaggiati rispetto ai primi nel sistema di computo delle anzianità per il passaggio al parametro superiore).

Nel caso esaminato pareva fondata anche la sussistenza di una discriminazione nella progressione in carriera, discriminazione vietata dal d.lgs. n. 198/2006.

ATAC S.p.A., Azienda per la mobilità con sede in Roma, è società con socio unico soggetta alla direzione ed al coordinamento di Roma Capitale ed è stata istituita per gestire un servizio pubblico essenziale ed irrinunciabile per la collettività: il trasporto pubblico locale.

È fatto notorio che, in misura percentuale maggioritaria, gli addetti al servizio pubblico alla guida di bus, metropolitane e tram sono quasi interamente di sesso maschile. Ciò si evince, ad esempio, anche dagli ultimi prospetti pubblicati dalla società sul sito internet e riguardanti l’ultimo trimestre 2022: nel settore superficie (Autisti bus, tram, filobus) su un totale di 5567 addetti, ci sono solo 241 donne, contro 5326 uomini!

Considerato che la lavoratrice, insieme ad altre colleghe, era stata assunta nell’anno 2000 con un contratto part-time nell’ambito di un percorso per l’inserimento di donne nel servizio del trasporto pubblico urbano, tenuto altresì conto della speciale protezione riconosciuta dall’articolo 37 della Costituzione, secondo il quale la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore, risultava assolutamente contra legem l’interpretazione di tutte le disposizioni di fonte collettiva emanate ante 25/06/2015 per violazione degli artt. 3,4,35,37 della Costituzione, dell’art. 4, d.lgs. n. 61/2001 (fino a sua abrogazione nel 2015) nonchè dell’art. 7, d.lgs. n. 81/2015.

Da essa, infatti, ne era derivata una evidente ed irragionevole discriminazione ai danni della lavoratrice (e alle sue colleghe) nella progressione di carriera per mancato riconoscimento del parametro superiore. Tra gli altri, ella non ha potuto partecipare ad alcuni concorsi interni riservati a dipendenti dotati del parametro 175!

L’azienda ha continuato ad applicare al rapporto di lavoro in essere la disposizione del CCNL antecedente le modifiche del 2015.

In breve, nonostante fossero passati oltre 16 anni dalla data della sua assunzione, la lavoratrice – così come altre sue colleghe aventi medesimo inquadramento ed orario ridotto – non aveva acquisito, a maggio 2016, il parametro (=livello) superiore 175.

De Filippis 58 3Fondando la sua decisione sulla inderogabile tutela della autonomia contrattuale delle parti sociali, il Giudice di I Grado rigettava il ricorso della lavoratrice dichiarando che l’accordo nazionale non potesse essere disapplicato poiché deliberatamente approvato dai sindacati maggiormente rappresentativi (Sic!).

In sede di appello, la situazione è stata completamente ribaltata, aprendosi un nuovo leit motiv che offre rinnovate speranze su un diritto più inclusivo e soprattutto più umano.

La sentenza n. 4127/2022 della Corte D’Appello di Roma, Sez. Lavoro, in accoglimento di tutti i motivi del ricorso in appello, infatti, ha accertato e dichiarato il diritto della lavoratrice al riconoscimento del parametro 175 decorsi 16 anni di guida effettiva ancorché in orario part time, condannando ATAC Spa al pagamento delle differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

Fino ad oggi nessun precedente risulta concluso positivamente nel settore degli Autoferrotranvieri su questo tema. La vicenda si è ora spostata in Corte di Cassazione e c’è un giudizio pendente. L’auspicio è che venga confermata la sentenza di Corte d’Appello come da fondati quanto verosimili prognostici.

L’intera vicenda processuale nata dalla volontà e determinazione di una lavoratrice addetta alla guida dei bus e tram a Roma si è sviluppata attraverso lo studio intenso ed approfondito del diritto eurounitario, in una sorta di vero e proprio micro laboratorio di ricerca monitorato dall’Avv. Prof. Fabrizio Proietti. In un oceano di fonti, sentenze pronunciate in sede di CGUE, ricerca di casi analoghi esaminati in Italia in altri settori, ci si è realmente convinti che l’applicazione di tali disposizioni contrattuali fosse lesiva della dignità della lavoratrice e che le sue doglianze meritassero seria attenzione. Essere assunta con un contratto di lavoro part time nell’ambito di un progetto europeo di inserimento femminile nel mercato del lavoro può essere mai considerato una “colpa” della lavoratrice al punto da esserne danneggiata nello sviluppo della propria posizione aziendale e nella progressione di carriera? Ad avviso di chi scrive no. Anzi l’intera vicenda risulta essere un vero e proprio “mostriciattolo” mal riuscito e legato ad un “vecchio” e ottuso modo di pensare che oggi più che mai contrasta con ogni parametro di inclusività, di pari opportunità e di dignità nel lavoro.

Si attende ora l’esito giudiziario dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione. D’altronde in quella sede, si otterrebbe finalmente un nuovo diritto universale applicabile a tutti coloro che si trovano in una situazione analoga, a garanzia dell'osservanza della legge, della sua interpretazione uniforme e dell'unità del diritto su tutto il territorio nazionale.

La seconda fattispecie, straordinariamente innovativa e su cui si tornerà nel prossimo articolo, riguarda, invece, l’accertamento – da parte della Corte d’Appello di Roma, Sez.Lavoro – di una condotta discriminatoria di ATAC Spa consistente nel mancato computo delle assenze dovute a causa di assistenza ai familiari portatori di handicap nella determinazione degli elementi retributivi aggiuntivi legati alla presenza giornaliera in servizio e così disciplinati negli accordi sindacali aziendali del 2014 e del 2015.

La vicenda trova il suo fulcro nella normativa del diritto antidiscriminatorio per motivi legati al fattore “handicap” e su cui ci si soffermerà nel prossimo numero. Una riflessione, invece, si vuole lanciare subito su questa fattispecie: gli incentivi monetari si rivelano sempre meno efficaci rispetto all’incremento della complessità organizzativa e delle esigenze di innovazione. Si può ancora immaginare un rapporto efficace, utile, proficuo tra incentivi monetari e performance dei dipendenti? A quanto pare è una strategia ormai superata, deterrente ed infruttuosa poiché idonea a creare anche una competizione “negativa” tra i dipendenti. In molti casi aumenta la percezione di essere trattati in modo ingiusto o disuguale senza una reale legittima giustificazione. Questo sistema, in sostanza, fa crollare i livelli motivazionali dei dipendenti portandoli alla frustrazione e ad una visione egoistica-individualistica del mondo del lavoro. Oggettivamente perché una azienda giunge a penalizzare i lavoratori che si assentano per assistere i propri familiari disabili? Forse bisognerebbe ripartire da pratiche “elementari” per sviscerare i bisogni, le esigenze, le incongruenze che dominano certi contesti lavorativi, valorizzando al meglio il dialogo coi lavoratori, la comune e sana conversazione con loro, riunendo anche lavoratori di diverse aree produttive, ascoltarli tutti insieme in silenzio, riconoscendo loro anche un ruolo responsabile per fatti importanti messi in evidenza e su cui l’azienda dovrebbe intervenire con sensibilità e concretezza.

Nel nostro piccolo, continueremo a sviluppare le nostre riflessioni cercando di meglio interpretare l’evoluzione dei sistemi organizzativi aziendali, offrendo soluzioni ragionevoli nell’idea costruttiva del win to win, salva poi l’inevitabile necessità di rivolgerci all’Autorità Giudiziaria per questioni irrisolvibili attraverso la sana negoziazione stragiudiziale. Quadrato Rosso

[*] Consulente del lavoro, svolge altresì attività legale in collaborazione con l’Avv. Prof. Fabrizio Proietti e con l’Avv. Luca Parisella. www.sibillaconsulting.com. Docente in prestazione occasionale Università Sapienza. Vincitrice Premio Massimo D’Antona 2013.

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