Anno XI - n° 58

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Luglio/Agosto 2023

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Anno XI - n° 58

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Smart “Hybrid” Working: il vero cambiamento inizia adesso!


di Emanuele Madini e Daniele Lupini [*]

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Dal 1° gennaio 2023 si è ritornati ad adottare il regime ordinario di gestione dello Smart Working disciplinato dalla legge 81/2017 e molte organizzazioni hanno definito e aggiornato le policy organizzative e gli eventuali accordi sindacali sullo Smart Working ponendo in molti casi l'attenzione sulla definizione delle regole per il lavoro da remoto in un contesto post emergenziale. Minore è stato invece il focus sull’accompagnamento delle persone e dei team nel consolidare le nuove prassi lavorative sperimentate in modo emergenziale e sulla progettazione di una nuova organizzazione del lavoro. Il rischio oggi è quindi quello di promuovere uno Smart Working “depotenziato”, con una forte accezione al lavoro da remoto, soprattutto come strumento per gestire le emergenze e supportare il work-life balance delle persone nel breve termine. Tale approccio però non permette di cogliere l’opportunità di ripensare davvero i modelli di organizzazione delle attività attraverso un cambiamento più profondo incentrato sul concetto allargato di flessibilità, sul lavoro per obiettivi e sulla digitalizzazione intelligente delle attività.


La diffusione e l’impatto dello Smart Working


Secondo gli ultimi dati del Politecnico di Milano (2022) il 91% delle grandi imprese dichiara di adottare iniziative di Smart Working, seguite dalle PA (60%) e dalle piccole/medie imprese (48%). Soprattutto le grandi imprese hanno fatto sforzi in più: il 65% infatti, ha messo in atto politiche di Smart Working che possiamo definire complete, ovvero che agiscono su flessibilità di luogo, oraria, degli spazi e fanno leva sul lavoro per obiettivi. Piccole e medie imprese e PA si attestano invece rispettivamente al 29% e 21% in termini di iniziative complete messe in atto. Per quanto riguarda gli sviluppi futuri, grandi imprese (91%) e PA (67%) dichiarano di voler consolidare le iniziative introdotte e di voler estendere il numero di persone coinvolte, mentre si registrano ancora alcune resistenze per piccole e medie imprese.

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In termini di giorni di lavoro da remoto, l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano conferma la persistenza del lavoro da remoto: se nelle piccole e medie imprese il numero medio di giornate da remoto è di 4,5 al mese, nelle Pubbliche Amministrazioni è di 8 giorni al mese e nelle grandi imprese 9,5. L’Osservatorio stima, infine, che nel 2023 il numero di lavoratori da remoto tornerà lievemente a crescere rispetto al 2022 (+2%), per un totale di 3,6 milioni di persone.

Per comprendere gli impatti che lo Smart Working sta avendo sulle persone, le ricerche dell’Osservatorio Smart Working hanno permesso inoltre di identificare 3 profili diversi di lavoratori in base alla modalità di lavoro adottata: on-site worker, che lavorano stabilmente presso la loro sede di lavoro, lavoratori remote non smart che hanno la possibilità di lavorare da remoto ma non godono di altre forme di flessibilità o non lavorano secondo un orientamento agli obiettivi, e smart worker che hanno flessibilità sia di luogo, sia oraria e lavorano secondo una logica orientata al raggiungimento degli obiettivi.

Utilizzando questa suddivisione, le analisi dell’Osservatorio (2022) fanno emergere un dato molto importante: il lavoro da remoto ha benefici maggiori quando viene implementato secondo una logica veramente “smart”. Ad esempio, guardando al benessere relazionale, il 33% degli smart worker dichiara di avere un elevato livello di benessere, a differenza dei lavoratori remote non smart la cui percentuale scende al 18%. Lo stesso vale per il benessere psicologico, che raggiunge alti livelli per il 42% degli smart worker mentre lo stesso vale solo per il 29% dei remote non smart, i quali in entrambi i casi hanno percentuali più basse rispetto anche ai lavoratori on-site.

Anche le organizzazioni percepiscono gli impatti dello Smart Working in modo differente. Il lavoro da remoto ha avuto un impatto generalmente positivo per le grandi imprese, migliorando secondo molte la capacità di innovazione, l’efficacia e l’efficienza nel lavoro, l’attrattività per i talenti, il tasso di assenteismo e la capacità di essere inclusive. Anche in questo caso, tuttavia, i miglioramenti percepiti sono stati maggiori per le organizzazioni che si sono dotate di modelli completi di Smart Working rispetto a quelle che si sono limitate al lavoro da remoto.


I 3 livelli di sfida per uno Smart “Hybrid” Working


Madini Lupini 58 4I dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano restituiscono uno scenario da cui emerge con chiarezza che i modelli di lavoro adottati oggi dalle organizzazioni richiedono una ri-progettazione che integri in modo intelligente modalità di lavoro ibride. Modelli di Smart Working convenzionali, rigidi e omologati pregiudicano il processo di ripensamento delle modalità di lavoro dei team e di evoluzione dei modelli culturali, a causa di un’eccessiva focalizzazione su policy e regole stringenti date alle persone e ai Manager. Si corre il rischio di generare effetti collaterali negativi, spingendo le persone a individualizzare l’utilizzo della flessibilità come se fosse un diritto acquisito e perdendo di vista la dimensione organizzativa e collettiva del ripensamento delle modalità di lavoro interne al team e all’organizzazione.

Lo Smart “Hybrid” Working, invece, si contraddistingue per essere veramente flessibile e adattivo, in grado di soddisfare le specifiche esigenze di ogni team, che viene abilitato nel porsi autonomamente le giuste domande per comprendere il mix corretto tra presenza e remoto. Il lavoro ibrido smette di essere un “compromesso” tra esigenze di conciliazione personali ed esigenze di business e diventa uno strumento di flessibilità lavorativa funzionale al raggiungimento degli obiettivi e veramente arricchente per tutti. Lo Smart “Hybrid” Working rappresenta quindi uno strumento di progettazione a disposizione delle aziende in grado di soddisfare le nuove esigenze manifestate dalle persone, che oggi guidano il mercato del lavoro con fenomeni come quello delle Grandi Dimissioni.

Per intraprendere con efficacia questa trasformazione dei modelli di lavoro, le organizzazioni sono chiamate a confrontarsi con sfide importanti, che si articolano in particolare su tre livelli: organizzazione, team e società.

Dal punto di vista organizzativo, la flessibilità impone di ripensare gli spazi di lavoro affinché tengano conto dei desiderata dei lavoratori, del modello di lavoro ibrido e del nuovo significato dell’essere in ufficio. Gli spazi, che in tempo di pandemia sembravano aver perso rilevanza, hanno invece un ruolo chiave nella creazione dei modelli di lavoro del futuro. Le alternative a disposizione delle organizzazioni si differenziano sulla base dei luoghi frequentati e dei loro specifici utilizzi. In un modello “Activity based”, ad esempio, le persone lavorano in parte in ufficio e in parte da remoto in base alle attività e l'ufficio svolge un ruolo di socialità, alimentando le interazioni tra colleghi, con spazi pensati per facilitare la socializzazione. All’estremo opposto c’è un modello “Fully virtual” in cui le persone lavorano prevalentemente da remoto e la sede centrale ha un ruolo identitario di rappresentanza e di incontro con colleghi e/o clienti. Diverso è invece il modello “Hub&Spoke” in cui le persone possono lavorare in ufficio, da remoto, ma anche da uffici satellite o spazi coworking vicino a casa. La sede centrale (Hub) ha un ruolo identitario e alimenta la socializzazione, mentre gli uffici dislocati (Spokes) consentono alle persone di lavorare vicino alla propria abitazione, svolgendo attività individuali o facendo networking con persone al di fuori del proprio team.

Madini Lupini 58 3Dal punto di vista dei team, le sfide poste da una riorganizzazione dei modelli di lavoro impongono a persone e manager di definire delle prassi che consentano di lavorare in modo efficace. Per fare ciò, i team sono chiamati a confrontarsi su aspetti fondamentali quali l’organizzazione delle attività, il coordinamento interno e la collaborazione, i riti sociali e gli obiettivi su cui misurarsi. L’organizzazione delle attività in un modello ibrido si confronta, infatti, con la nuova consapevolezza diffusa che ci siano alcune attività che vengono portate a termine in modo più efficace ed efficiente in base alle caratteristiche del luogo in cui sono svolte. La prima riflessione che i team possono fare è quindi identificare quali attività siano meglio svolte da remoto e quali in sede. Ad esempio, attività che richiedono elevata concentrazione (inserimento di informazioni all’interno di gestionali, l’analisi di dati, …) e creatività individuale possono essere meglio svolte da remoto. La flessibilità introdotta con un modello di lavoro ibrido comporta inoltre la necessità per i team di definire delle pratiche comuni che rendano l’organizzazione del lavoro effettivamente intelligente, evitando di incorrere in quello che può diventare invece un “dumb working”. Tali pratiche possono riguardare ad esempio la pianificazione delle giornate di lavoro da remoto, la gestione degli strumenti di comunicazione, la gestione delle riunioni e nuove modalità di collaborazione. Il lavoro da remoto introduce per i team anche la sfida relazionale: se in un contesto pre-pandemico i momenti di socialità accadevano necessariamente grazie alla condivisione degli stessi spazi di lavoro, con un’organizzazione ibrida del lavoro tali momenti richiedono invece una maggiore intenzionalità. Diventa inevitabile quindi per il team chiarire quali iniziative di condivisione e socializzazione adottare per mantenere viva la cultura di team e il senso di appartenenza. Contestualmente, è fondamentale inquadrare e orientare la definizione dei modi di lavorare sulla base del raggiungimento degli obiettivi di team. Chiarezza e responsabilizzazione sui risultati sono infatti gli elementi alla base del modello organizzativo di Smart Working stesso, rendendo necessaria la definizione di KPI sulla base dei quali migliorare costantemente il proprio lavoro.

Dal punto di vista della società, i benefici e le opportunità che derivano dallo Smart Working riguardano non solo le organizzazioni, ma c’è anche un forte impatto sulla sostenibilità sociale e ambientale. La possibilità di lavorare in media 2 giorni a settimana da casa può portare significativi risparmi di tempo e risorse per gli spostamenti: secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano i risparmi si quantificano in 93 ore l’anno e 600 euro in meno per ogni lavoratore che usa l’automobile per recarsi in ufficio, considerando anche l’aumento dei costi legato al lavoro dalla propria abitazione. In termini di sostenibilità ambientale, si può stimare l’impatto sulle emissioni di CO2 dello Smart Working in uno scenario oggi tipico di 2 giorni alla settimana di lavoro remoto. La stima prodotta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano parla di minori emissioni per un valore di 50 kg di CO2 per lavoratore, che tiene in considerazione la diminuzione del commuting e l’aumento del lavoro dall’abitazione. Nell’ipotesi che le organizzazioni si adoperino per migliorare i loro consumi e ridurre gli spazi della sede, l’adozione di una logica di Smart Working che permetta ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative al di fuori della sede di lavoro per 2 giorni a settimana permetterebbe di risparmiare 2.500 euro e 400kg di CO2 non emessa per ogni lavoratore smart. L’impatto dei modelli di lavoro ibrido sulla società e sull’ambiente avvicina inoltre il futuro delle organizzazioni al futuro delle città. La possibilità di lavorare in luoghi diversi dalla sede principale dell’organizzazione comporta infatti una revisione della progettazione urbanistica in relazione alle nuove dinamiche di spostamento delle persone. Per continuare ad attirare lavoratori ed imprese, le città dovranno puntare su: quartieri grandi e "vivi", opzioni di trasporto multiple, offrire scelte abitative più accessibili e adeguate, passare dall’essere “Business Center dalle 9 alle 18”, a “Distretti h24”. Alcune città europee già si stanno adattando a queste nuove esigenze, sposando ad esempio la filosofia “15 Minutes City”, cioè un modello che consente alle persone di avere a disposizione tutto, anche il lavoro, a distanza di 15 minuti in bici o a piedi.


Madini Lupini 58 2Conclusioni


A tre anni di distanza dall’inizio della pandemia da Covid-19, per molte organizzazioni lo Smart Working è diventata la normale modalità di organizzazione del lavoro. Le esigenze e le aspettative delle persone in relazione all’esperienza lavorativa e alla propria vita sono cambiate profondamente e oggi la vera domanda non è più tanto se è possibile lavorare anche da remoto oppure no, ma soprattutto quali devono essere i nuovi modelli di Leadership e i comportamenti lavorativi che rendono la modalità di lavoro ibrida davvero più efficace, intelligente e quindi Smart. Quadrato Rosso

[*] Emanuele Madini, Partner, Partners4Innovation e Senior Advisor Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano.
Daniele Lupini, Consultant, Partners4Innovation.

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