Non ci sono più le mezze stagioni

di Renato Nibbio [*]

Renato Nibbio“Non ci sono più le mezze stagioni” … e neppure il senso dello Stato?
Due ben diversi luoghi comuni!

Il refrain indotto dalle mutevoli ed insolite variazioni meteorologiche ci accompagna in questi ultimi tempi verso la rassegnazione, dovendo noi accettare passivamente – e spesso persino rabbiosamente – ciò su cui la Natura non ci consente di intervenire. O, meglio, a parere di alcuni, siamo noi stessi in massima parte la causa di questi sconvolgimenti.

E climatologi come Damon Matthews della Concordia University di Montréal e Susan Solomon del MIT ritengono irreversibili i cambiamenti climatici; ciò almeno sulla scala di qualche secolo. Non con questo invitano alla rassegnazione di fronte al global warming, ed anzi insistono sulla possibilità della diminuzione del trend del riscaldamento laddove vengano ridotte le emissioni di gas serra.


La comunità scientifica non è completamente concorde, con ricercatori – ad esempio del Goddard Institute for Space Studies di New York – che sostengono che la riduzione dei diversi gas serra (di origine sia naturale, sia antropica) potrebbero avere un impatto significativo sul sistema climatico non prima di un paio di decenni.

Si deve, altresì, considerare la scarsa volontà politica di intervenire celermente e significativamente rischiando di comprimere l’economia in forte crescita di paesi emergenti che utilizzano fonti energetiche a basso costo ma a forte impatto ambientale. Basti a ciò considerare il costante fallimento delle conferenze annuali sul clima, a causa di chi sostiene l’indipendenza dell’aumento della temperatura globale dalla quantità e velocità delle emissioni.

Posizioni queste, che sia pur sostenute da studi scientifici, paiono a nostro sommesso avviso troppo prone a giustificare scelte di politica industriale orientate alla rapida crescita del PIL; certo imprescindibile per contenere emergenze e tensioni sociali in un mondo globalizzato nel quale l’accesso sempre più allargato ai media e la circolazione delle informazioni rendono evidenti e stridenti diversità, contraddizioni, ed ingiustizie sociali.

Ma se ci si deve capacitare della ineludibilità del global warming, è altrettanto importante non abbandonarsi all’inerzia di chi ritiene che ogni azione sia inutile, e prendere consapevolezza che il modo e la velocità con cui aumenteranno le temperature sono variabili subordinate dalle nostre scelte e che non vi sono buone scuse per non agire, cadendo nell’equivoco semantico tra irreversibile ed inevitabile.

E deve incoraggiarci la recente notizia del restringimento del buco dell’ozono, a distanza di poco più di vent’anni dal Protocollo di Montreal.

NNibbio 6 1el 1987 pareva ineludibile il progressivo assotigliamento dello strato di ozono che protegge la Terra dalla radiazioni ultraviolette del sole, con disastrosi effetti al sistema immunitario (si pensi al cancro alla pelle), agli occhi, alla fauna ed all’agricoltura.

Ed invece ora gli esperti stimano che entro il 2050 lo strato di ozono dovrebbe rinsaldarsi, grazie appunto al Protocollo di Montreal che ha messo al bando in primo luogo gas quali i clorofluorocarburi. Senonché, qualcuno giustamente osserverà, che loro sostituzione con gli idrofluorocarburi da un lato contribuisce a salvare l’ozono, dall’altro si ripercuote negativamente sul riscaldamento globale, poiché gli idrofluorocarburi sono annoverati nei sei gas effetto serra più pericolosi.

Ma in tutto questo “che ci azzecca” la certezza del diritto, o più genericamente l’intollerabile abbandono ad una crescente ed imperante abdicazione del senso dello Stato?

Come quotidianamente deleghiamo “ad altri” l’affrontare questioni e problemi che ci affaticano anche solo mentalmente, così ci rassegniamo ad un progressivo male interpretato laissez-faire. Dimenticando che con questo che “dovrebbe essere il motto di ogni autorità pubblica” [Laissez faire, telle devrait être la devise de toute puissance publique, depuis que le monde est civilisé] il marchese d'Argenson, ex ministro di Luigi XV, non intendeva affatto nella seconda metà del 1700 aprire la strada alla progressiva rinuncia dell’affermazione del diritto.

Laissez-faire, ma nel rispetto della certezza del diritto … o, forse, anche solo delle comuni regole di civile convivenza: Democrazia nelle Regole, come ci ricorda l’attiva associazione promossa dall’avvocato dello Stato Giulio Bacosi.

Regole di convivenza che ciascuno – fiero interprete de lo meo particulare di guicciardiana memoria – interpreta a modo suo, e persino in modo antitetico secondo le circostanze e le momentanee convenienze, giustificando i comportamenti propri e dei propri cari.


Nibbio 6 2Senza volere, in questa sede, dilungarci in un’analisi storico sociologica, dobbiamo prendere atto che anche con le nostre quotidiane azioni contribuiamo all’indebolimento del rispetto di regole che dovrebbero essere valide per tutti, fino all’affievolimento della certezza del diritto e dell’autorevolezza dello Stato e di chi lo rappresenta.

La cartina al tornasole delle cattive abitudini che, più o meno inconsapevolmente, abbiamo assunto negli anni è immediatamente desumibile dall’osservazione dei nostri comportamenti quotidiani.

Si pensi a quanti gettano per strada o sui marciapiedi i mozziconi delle sigarette (quasi sempre ancora accesi), o li sotterrano “diligentemente” nella sabbia fra i lettini o li gettano in mare (nel Mediterraneo rappresentano il 40% dei rifiuti).

Od ancora quanti possono dire di non avere avuto la cattiva sorte di trovarsi appiccicata alle suole delle scarpe una gomma da masticare?

Al punto che proprio di questi due aspetti, come titolava il Messaggero a fine settembre, dovrà occuparsi il Parlamento esaminando l’apposito articolo “rifiuti di prodotti da fumo e gomme da masticare” nel collegato alla Legge di stabilità, che introdurrà apposite sanzioni per i maleducati.

Si, proprio il Parlamento per dettare regole di buona educazione! Perché oramai siamo di fronte ad un’emergenza nazionale, tant’è che se ne è discusso lo scorso 21 gennaio presso la sede ENEA di Roma, durante la giornata di studio “L’impatto ambientale del fumo di tabacco. Le cicche di sigaretta: un rifiuto tossico dimenticato”. Mentre l’Azienda Municipale Ambiente di Roma, ha stimato che solo nella capitale vengono "spesi 5,5 milioni di euro per rimuovere le gomme da masticare”, e l’“innocente mozzicone” si traduce in circa mezzo milione di cicche al giorno solo a Roma, producendo 1.500 tonnellate di catrame, con elevati costi per la rimozione e lo smaltimento.


Ma di esempi di “cose da non fare” ciascuno di noi ne potrebbe trovare di innumerevoli: a partire dalle violazioni “bagatellari” al codice della strada … per non parlare di episodi inqualificabili come “l’assalto” notturno di duecento studenti universitari, in prevalenza Erasmus, provenienti da Pisa che alla fine dello scorso mese di settembre hanno occupato il sagrato della chiesa fiorentina di Santa Maria Novella lasciando la piazza «invasa dal tanfo di urina e vomito, oltre che dai cocchi di vetro e bottiglie disseminate ovunque».


Davanti a tutto ciò troppo spesso glissiamo, ci limitiamo ad una mera riprovazione; son fatti che riteniamo non destare allarme sociale e di fronte ai quali val la pena “girarsi dall’altra parte”, far finta di nulla, lasciar fare.

Il fatto è che vi è una progressiva stratificazione di cattive abitudini che ci fanno perdere il senso della misura e di ciò che è giusto.

E questa constatazione la potremmo facilmente applicare alla nostra quotidiana attività di vigilanza che troppo spesso non viene compresa in primo luogo dai lavoratori che vorremmo tutelare, tanto meno dai datori di lavoro ai quali vorremmo consentire di reggere la concorrenza e di stare sul mercato all’interno di una cornice di regole certe.


Non serve a nulla l’oramai periodico, quasi rituale, rimando ad un inutile ed interminabile cahier de doléances, senza approdare a dare concretezza al richiamo che nel precedente numero di Lavoro@Confronto faceva Sonia Uccellatori con “Ridiamo dignità al lavoro a partire dagli Ispettori”.

Ci piangiamo addosso, ed anche qui come quando ci lamentiamo che “non ci sono più le mezze stagioni” ci rassegniamo a ciò che ci pare irreversibile, aggravando la sfiducia nelle istituzioni che rappresentiamo.

Dobbiamo riprendere consapevolezza del nostro ruolo, e del fatto che rappresentiamo lo Stato.

Il percorso non è certo né facile né immediato … ma un cammino di mille passi inizia con un primo passo.

Da qui l’impegno della nostra Fondazione e di questa Rivista per favorire la circolazione delle idee, ma anche (soprattutto) perché ciascuno assuma sempre maggiore consapevolezza dell’importanza del proprio contributo lavorativo, rafforzando in ciascuno di noi e nella collettività il senso dello Stato.

In estrema sintesi, se possiamo fare “qualcosa” per clima ed ambiente, certamente possiamo fare MOLTO per riaffermare il senso dello Stato …  entrambe le cose innanzitutto nel nostro precipuo interesse.


Nibbio 6 3Come pubblici dipendenti ci sentiamo, infatti, fortemente esposti a periodiche crociate volte a mettere in discussione il nostro lavoro e, soprattutto, il nostro quotidiano impegno.

Ed è anche con questa riflessione del Presidente della Fondazione che si apre questo numero di Lavoro@Confronto.

È una condizione lavorativa che ha di gran lunga superato i limiti della tollerabilità ed è causa di forte stress, soprattutto per i colleghi impegnati nell’attività esterna di vigilanza, come scrive Federica Bortolazzi in questo suo primo contributo alla nostra Rivista. Auspichiamo, infatti, di poterci ulteriormente avvalere della sua professionalità su queste stesse pagine, considerato che apprendiamo dalla newsletter della UIL-PA che l’Associazione No Mobbing Onlus di Imperia segnala una consistente crescita del mobbing soprattutto nel pubblico impiego, e nella fascia di età tra i 37 ed i 50 anni.

E di “Teorie del benessere sociale e welfare state” ci fornisce un focus con un approccio squisitamente economicistico la collega Patrizia Stella.


È, invece, affidata alla consueta attenta analisi di Stefano Olivieri Pennesi l’approfondimento su “Conciliazione tempi di lavoro e tempi di vita”; argomento di pregnante attualità considerato che il 2014 è l’Anno europeo per la conciliazione tra la vita lavorativa e quella familiare.

Quanto sopra mentre apprendiamo da fonte sindacale di un rinnovato impegno della nostra Amministrazione per il c.d. benessere aziendale, che dovrà necessariamente porre la dovuta attenzione proprio al bilanciamento vita-lavoro: il work-life balance, destinato ad assumere sempre maggiore importanza nel dibattito pubblico, che deve tradursi in soluzioni concrete anche per i dipendenti della pubblica amministrazione con finalità di maggiore fidelizzazione [i.e., senso dello Stato] e soddisfazione su obiettivi condivisi destinati a tradursi in aumento della efficienza e della qualità di risposta all’utenza.

E se è certamente importante la somministrazione agli utenti, tramite il sito istituzionale del Ministero del Lavoro, di un questionario on line per valutare la customer satisfaction [customer experience, nel progetto dei “cugini” dell’INPS], non possiamo non auspicare che il Comitato Unico di Garanzia del medesimo Ministero possa concretamente operare secondo i propri fini istituzionali anche per valutare il grado di soddisfazione degli operatori chiamati a fornire servizi con standard qualitativi sempre più elevati.

Il rapporto di pubblico impiego non può, infatti, essere circoscritto a codici disciplinari e di comportamento, ed al potere disciplinare, a proposito del quale pubblichiamo un articolo del collega Fabio Martino.

Ma ci fermiamo qui … per ora; non senza auspicare che il ragionamento venga ripreso in termini più compiuti.

Al doveroso e non rituale ringraziamento a tutti gli Autori che contribuiscono fattivamente alla crescente qualificazione di questa Rivista fornendo ai colleghi la concreta possibilità di un rapido aggiornamento sui compiti d’istituto e su soluzioni di immediata fruibilità, ci si consenta un grazie particolare al notaio Alessandra Artioli che ha voluto cortesemente darci un importante e spassionato contributo professionale sulla “Forma della delega nelle conciliazioni relative a controversie in materia di lavoro”: una problematica poco esplorata con la quale ci misuriamo quotidianamente e forse a volte con troppa frettolosità. Quadrato Azzurro

[*] Direttore Responsabile di LAVORO@CONFRONTO


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