Pubblica Amministrazione, dov’è la riforma?

di Claudio Palmisciano [*]

Claudio Palmisciano 3Il lavoro dei dipendenti pubblici con spread in aumento

Oramai da qualche anno a questa parte i Governi che si sono susseguiti alla guida del Paese (almeno dal 2008) hanno scelto di intervenire in maniera piuttosto pesante sul rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti con l’intento dichiarato di far uscire la Pubblica Amministrazione da una situazione di inefficienza generalizzata rispetto alla domanda, proveniente dalla società civile, di una burocrazia snella e utile.

Si tratta, in buona sostanza, di un processo di progressiva riduzione dei diritti – principalmente di quelli economici – che ha potuto contare sul consenso della opinione pubblica mossa da una sorta di livore provocato da autorevoli interventi di giuristi che sulla materia si sono nel tempo esibiti e anche a sproposito; merita di essere citato, per la maestria con cui si è cimentato nella demolizione della dignità e professionalità dei lavoratori del pubblico impiego, il Prof. Pietro Ichino che già nel 2006 scrisse “I nullafacenti. Perché e come reagire alla più grave ingiustizia della nostra amministrazione pubblica” Editore Mondadori. Un libro di successo che, partendo da situazioni di negligenza effettivamente esistenti in alcune realtà del pubblico, è riuscito ad alimentare un clima di avversione viscerale e generalizzata nei confronti degli operatori degli uffici pubblici.


Pietro Ichino è stato il vero antesignano della crociata contro i cosiddetti fannulloni del pubblico impiego esprimendosi, con successo, come giurista ed opinionista. Ma dopo Ichino è toccato ai politici; è stato Renato Brunetta, Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione dal 2008 al 2011 (Governo Berlusconi), ad agire sul pubblico impiego in maniera pesante e, soprattutto, nella direzione dell’intervento sul rapporto di lavoro. Non a caso il 25 giugno 2008 viene approvato il decreto legge 112, che viene comunemente ricordato con il titolo “decreto anti-fannulloni”. Insomma, l’allora Ministro Brunetta, innalzando la bandiera dell’antifannullonismo, concepisce alcune norme, con le quali vengono concretamente attuati tutta una serie di obiettivi già immaginati dal Prof. Ichino, particolarmente penalizzanti per i lavoratori. Fanno parte di questa partita la decurtazione del salario in caso di assenza per malattia, la riduzione dei trattamenti economici accessori, lo scaglionamento in più periodi della corresponsione del TFR-TFS e, non ultimo, l’avvio dal 1°-1-2010 di una lunga serie di blocchi degli incrementi salariali provenienti dalla contrattazione collettiva.


Palmisciano 6 1Siamo arrivati ai giorni nostri e, complice la crisi economica, si riparte con Marianna Madia, Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione (Governo Renzi), con un altro intervento sul pubblico impiego (Decreto Legge 90/2104) che viene ricordato soprattutto per aver introdotto il principio della mobilità obbligatoria per di dipendenti pubblici e la decurtazione del 50% dei distacchi e dei permessi sindacali, con buona pace per lo Statuto dei Lavoratori. Naturalmente è stata già annunciata la ulteriore prosecuzione del blocco del rinnovo contrattuale, per la parte economica, anche per l’anno 2015 (e sono 6).


Sottolineo che gli interventi posti in essere hanno di fatto mirato alla progressiva rimessa in discussione del rapporto di lavoro attraverso la riduzione dei diritti dei lavoratori del pubblico impiego, soprattutto sul versante del trattamento economico, senza puntare minimamente al cuore del problema vero che è rappresentato dalla montagna di norme e procedure che rendono incomprensibile la attività della macchina pubblica, portano frequentemente il cittadino a sbagliare ed a subire ingiustificate sanzioni, ritardano fino all’inverosimile processi importanti di avvio di attività produttive e di creazione di nuovi posti di lavoro.


Palmisciano 6 2Comunque, in tutto questo tourbillon di provvedimenti si fa veramente tanta fatica a capire dove è stata messa la riforma della pubblica amministrazione; insomma, dopo una serie di leggi così importanti approvate negli ultimi sei anni sul pubblico impiego – dai governi di destra e di sinistra – ci si chiede in quale passaggio, fra la miriade di articoli approvati, è possibile reperire il vero vantaggio, la semplificazione, lo snellimento delle procedure per i cittadini, per i lavoratori e per le imprese. Si fa presto a dire “riforma della pubblica amministrazione” e, come abbiamo già avuto modo di dire in un nostro precedente articolo, si tende a lasciar immaginare che con un solo singolo intervento, ancorché complesso, si possa far fronte alle esigenze operative delle miriadi di uffici pubblici sparsi sul territorio e la cui responsabilità è posta nelle mani di attori collocati ai diversi livelli istituzionali e dove, in ognuno di questi livelli, insistono funzioni e compiti che sono completamente diversificati l'uno dall'altro. Ricordiamo che il totale di enti che compongono l’universo della PA italiana sfiora le 10mila unità e che circa 8.500 di queste è rappresentato da strutture regionali e locali, mentre il totale del personale a tempo indeterminato è pari a circa 3.300.000 dipendenti, con un’età media di circa 50 anni.


Riprendendo il nostro ragionamento sulle questioni legate al trattamento economico, fin dall’inizio della crisi è stato indirettamente richiesto ai lavoratori del pubblico impiego – attraverso il blocco contrattuale – di far fronte ad un’importante operazione di solidarietà collettiva utile a sorreggere, sia pur parzialmente, i costi del complesso sistema degli ammortizzatori sociali che, nel tempo, sono cresciuti in maniera esponenziale; solidarietà che, di fatto, è stata accettata/subita senza particolari scossoni proprio per le condizioni di garanzia tipiche insite nel rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. Ciò è avvenuto malgrado che nel mondo del lavoro i contratti garantiti e a tempo indeterminato non si trovano solo nel pubblico impiego e che sono numerosissime le situazioni di famiglie con un unico reddito proveniente da rapporto pubblico, spesse volte a sostenere situazioni difficili a causa della perdita di un secondo reddito familiare, proprio a causa della crisi. Insomma, i dipendenti pubblici si sono sobbarcati questa situazione di solidarietà ma quello che appare assolutamente inaccettabile è la scelta di tenere i contratti pubblici – e la parte economica in modo particolare – bloccati sine die.


Palmisciano 6 3In proposito, vale la pena ricordare che la Cgil ha calcolato che sei anni di blocco salariale nel settore - nell’eventualità di un’ulteriore proroga anche per il 2015 - possono arrivare ad arrecare un danno individuale pari a circa 4.800 euro. Tuttavia, questa prolungata fase di sospensione della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, può avere, nel medio e nel lungo periodo, effetti estremamente preoccupanti sia per ciò che attiene alla vita delle singole famiglie degli oltre tre milioni di lavoratori coinvolti, che anche per la qualità complessiva della azione che la Pubblica Amministrazione dovrebbe condurre nella società.


Ricordato che, ad esempio, lo stipendio medio netto di un impiegato dello Stato con 30 anni di anzianità di servizio è pari a poco meno di 1.400 euro netti, proviamo a vedere in concreto ed in che modo il mancato rinnovo contrattuale porta individualmente, sul piano economico, effetti pesanti di prospettiva.


Futuri miglioramenti contrattuali

Nell’attesa del riavvio delle tornate contrattuali, il primo elemento negativo che risulta subito evidente è quello relativo alla determinazione dei futuri miglioramenti economici i quali, ovviamente, saranno calcolati in termini percentuali e su un salario medio ridotto per effetto della mancata corresponsione degli aumenti normalmente dovuti nel periodo 2010-2015.


Pensione

Pur con tutte le difficoltà oggettive a determinare quanta parte di salario viene a mancare sulle retribuzioni mensili dei lavoratori, comunque, poco o tanto che sia, questo andrà ad incidere negativamente anche sul calcolo della pensione definitiva e per sempre.


Trattamento di fine rapporto (buonuscita)

Per gli stessi motivi già detti, la parte di salario non corrisposta durante l’attività di servizio determinerà, evidentemente, una perdita economica anche sul TFR-TFS.


Insomma, la scelta che sempre più sta venendo avanti pare essere quella di far pagare la “sicurezza del posto di lavoro” nel pubblico impiego attraverso contropartite di carattere economico che paiono diventare sempre più pesanti per l’evidente tentativo di spostare di continuo più in alto il limite di ragionevole sopportazione da parte dei lavoratori e delle OO.SS.. Siamo, cioè, in presenza di una progressiva svalutazione della qualità del lavoro reso dal pubblico dipendente; si percepisce in qualche modo che, ogni anno che passa in queste condizioni, l’impiego pubblico perde sempre di più terreno rispetto alla considerazione media presente in tutti i comparti nel mondo del lavoro in Italia (spread in aumento…).


Palmisciano 6 4In ogni caso, nel medio e nel lungo periodo, questa scelta avrà effetti pesantissimi sulla qualità dell’azione che conduce la Pubblica Amministrazione. Ciò in quanto le risorse umane migliori, quelle più intelligenti e preparate presenti sul mercato del lavoro, avranno sempre meno interesse a guardare ad un impiego in una P.A. sottovalutata, ipercriticata e incapace di assicurare una giusta retribuzione professionale; al limite potranno considerare il pubblico come una occupazione di passaggio, utile anche in tempo di crisi, ma da abbandonare non appena si presenti una offerta proveniente da settori del mondo del lavoro privato dove comunque sarà loro garantito un trattamento economico migliore e stimoli professionali di alto profilo. Tutto questo con il rischio di non puntare all’eccellenza ma di continuare a vedere gli uffici pubblici muoversi nella società in una condizione di complessiva mediocrità.


La nostra Fondazione, attraverso la istituzione del Premio Massimo D’Antona per le migliori tesi in diritto del lavoro e la pubblicazione di questa Rivista, è riuscita, nel corso degli anni, ad accendere i riflettori su alcuni lavoratori del Ministero del Lavoro che, con le proprie opere ed i propri contributi professionali, hanno dimostrato che nella Pubblica Amministrazione ci sono ottimi professionisti in grado di poter tenere alto il livello di qualità del servizio reso dall’Ufficio e di dimostrare, fra le altre cose, la inutilità delle spese sostenute per retribuire profumatamente professionisti esterni alla PA, i cosiddetti esperti, quando le risorse umane e professionali presenti “in casa” possono assicurare preparazione e competenza di tutto rispetto.


Tutto questo ci consente di poter dire, con la massima serenità, che la rivendicazione avviata in queste settimane dalle Organizzazioni Sindacali nazionali, tesa a riprendere fin dal 2015 il percorso contrattuale per i dipendenti pubblici - a partire dalla sfera economica - merita tutto il nostro rispetto e, per quanto possibile, il nostro totale sostegno; ciò in quanto la ripresa di un percorso virtuoso degli adeguamenti salariali degli operatori pubblici è, sicuramente, una esigenza di giustizia retributiva ma anche un problema di funzionalità complessiva della Pubblica Amministrazione da cui tutto il Paese, alla lunga, è destinato a trarre vantaggio. Quadrato Azzurro

[*] Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona (Onlus).


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