Anno XI - n° 60

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Novembre/Dicembre 2023

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Anno XI - n° 60

Novembre/Dicembre 2023

Salario minimo approvato a pieni voti dalla Corte di Cassazione


di Gianna Elena De Filippis [*]

Gianna Elena De Filippis 43 44

Al mio amico Andrea Lucchetti


Due sentenze pronunciate in sede di Cassazione ad ottobre scorso muovono le pedine di una scacchiera tanto complessa in un’unica ormai identica combinazione di “gioco”: il salario minimo va legalmente riconosciuto una volta accertato che la retribuzione prevista in un contratto collettivo nazionale di qualsiasi provenienza sia al di sotto delle soglie di “dignità”.

Si è trattato di un percorso processuale lungo, faticoso, tortuoso che ha permesso l’avanzata delle pedine pro salario minimo verso lo “scacco matto” finale del riconoscimento ufficiale in ultima istanza.

La giurisprudenza che si stratifica nel tempo non rientra tra le fonti del diritto in Italia ma nessuno può negarne il valore privilegiato nell’orientare le scelte e le decisioni di tutti gli operatori del diritto, dal Legislatore agli apparati amministrativi, dai Giudici nei diversi gradi di giudizio agli Avvocati, ai Consulenti del Lavoro, ai Sindacati, a tutte le figure tecniche preposte alla gestione del personale e così via. Del resto, se esiste un vero ordinamento giuridico disposto in modo logico-sistematico non può omettersi di considerare quanto viene volta per volta “pronunciato” nell’ultima istanza giurisdizionale dopo tre gradi di giudizio: al contrario, ci si troverebbe dinanzi ad un sistema giuridico senza dubbio isterico e lontano dal garantire la certezza del diritto se non si tenesse conto delle pronunce giurisprudenziali, soprattutto delle corti superiori.

Ebbene sul salario minimo le sentenze n. 28323/2023 e n. 27711/2023 della Suprema Corte di Cassazione sono sentenze “gemelle” che, in via definitiva, riconoscono la valenza pratica e la reale effettività dell’articolo 36 della Costituzione italiana nella vita quotidiana dei lavoratori e della lavoratrici, in un momento storico in cui si è giunti ad una sua vergognosa banalizzazione e quasi ad un suo volgare declassamento.

Articolo 36

Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Partendo dall’articolo 36 citato, la Suprema Corte di Cassazione è tornata finalmente a nobilitare il lavoro e la retribuzione dopo anni ed anni di svilimento totale per via di politiche generali poco attente e poco sensibili.

I fatti storici da cui hanno avuto origine le vicende processuali riguardano i lavoratori dipendenti del settore di vigilanza privata nell’ambito dei cd. servizi fiduciari. I servizi fiduciari comprendono un insieme di attività di sorveglianza, controllo degli accessi e ricezione del pubblico. L'operatore fiduciario agisce come custode dei valori, delle proprietà e delle strutture dei propri clienti, garantendone la sicurezza.

Un esempio di servizio fiduciario è quello offerto dalle aziende che forniscono servizi di sorveglianza e vigilanza privata ai cantieri edili. In questo caso, l'operatore fiduciario non armato svolge attività come:

  • controllo dell'accesso alla zona del cantiere di mezzi e addetti ai lavori;
  • registrazione degli ingressi e delle uscite;
  • monitoraggio dell'area di cantiere;
  • prevenzione di eventuali intrusioni, furti, colluttazioni.


De Filippis 60 1Un altro esempio di servizio fiduciario nell'ambito della sicurezza privata è quello offerto dalle imprese che forniscono servizi di sorveglianza per negozi, centri retail e centri commerciali. In questo caso, questo professionista agisce come custode degli spazi del centro commerciale, svolgendo attività di controllo degli accessi, monitoraggio della videosorveglianza, prevenzione e intervento in caso di emergenze.

Il fiduciario è tenuto a garantire la sicurezza del personale e dei visitatori del posto a lui assegnato, prevenendo attività di taccheggio, furto o atti vandalici e intervenendo tempestivamente in caso di situazioni di pericolo.

Negli anni passati questo personale veniva generalmente disciplinato secondo le disposizioni del CCNL dei Dipendenti di Proprietari di Fabbricati, che ha sempre garantito livelli retributivi mediamente accettabili. Le mansioni in esso descritte sono quelle tipiche di custodia, guardiania anche notturna e vigilanza non armata.

Il settore è ad ogni modo un settore particolarmente “saccheggiato”. Negli ultimi 10 anni si è prestato ad avallare operazioni imprenditoriali sempre più gravose per i lavoratori addetti. Così, per esempio, si è assistito a costanti giochi di “matriosche” imprenditoriali: uno stesso lavoratore in 20 anni ha avuto come datore di lavoro tre o quattro imprese di vigilanza privata sotto diverse vesti e ditte commerciali ma sotto la direzione dello stesso rappresentante legale; è possibile che si è stati dipendenti di una Società per Azioni (SpA), passando poi ad società cooperativa ed infine approdando ad una nuova ulteriore società, alternandosi contratti a tempo determinato con prestazioni occasionali, ovviamente prestazioni occasionali interamente fraudolente ma spesso accompagnate da fantomatici accordi transattivi firmati dal malcapitato operatore in sede sindacale e/o ispettiva con la condizione che senza firma non avrebbe più lavorato.

Allora, in questo mondo occulto ed invisibile di tanta povera gente, povera soprattutto perché dal lavoro non ha avuto alcuna emancipazione personale nè familiare, qualcuno ha egregiamente pensato bene di iniziare a muovere i suoi passi per una battaglia di legalità contro il sopruso e contro lo sfruttamento.

Già proprio contro lo sfruttamento! Questa parola così brutta, così antica ma così attuale che incute disgusto e terrore.

Negli anni, nel settore in esame, molte aziende hanno deciso di applicare il CCNL Vigilanza privata ed in particolare la specifica sezione dedicata ai Servizi Fiduciari. Come tutti i CCNL anche questo ha le sue declaratorie e i suoi livelli retributivi; tra questi, c’è anche il livello retributivo più basso: il livello D che, in regime di full time, prevede una retribuzione lorda mensile di 930,00 Euro. Nel passaggio dal salario lordo al salario netto, il lavoratore porta a casa uno stipendio netto mensile di circa 680 Euro totali per avere lavorato 40 ore settimanali. Chiaramente non servono grandi spiegazioni per prendere atto di quanta povertà sia connaturata a questo inquadramento professionale, così avvilente e degradante.

In applicazione di altri CCNL applicabili allo stesso settore, con il corretto inquadramento professionale, il livello retributivo è leggermente più alto e meno degradante. Per esempio, applicando il già menzionato CCNL dei Dipendenti di Fabbricati, si avrebbe una retribuzione lorda mensile pari a 1.276 Euro per il livello D1, che include le mansioni di guardiania, vigilanza non armata e sorveglianza privata.

Dopo anni, si è giunti, dunque, con soddisfazione, in più tribunali, nel primo grado di giudizio, ad una declaratoria di nullità dell’art. 23 del CCNL Vigilanza Privata, Servizi Fiduciari, per contrarietà all’articolo 36 della Costituzione italiana. Giunti in ultima istanza, la Corte di Cassazione, in maniera profondamente esaustiva ed ordinata, ha reso le due sopracitate sentenze da incorniciare per chiarezza ed intensità dialettica del ragionamento adottato sulla necessità di garanzia del salario minimo.

De Filippis 60 2In sostanza, la retribuzione sancita dall’art. 23 del CCNL Vigilanza-Servizi Fiduciari non era conforme ai parametri costituzionali di cui all’art. 36 Cost., essendo anche inferiore al tasso Istat indicativo della soglia di povertà.

Seguendo il ragionamento dell’ultima citata storica sentenza di Cassazione, n. 27711/2023, il livello Istat di povertà pur non costituendo un parametro diretto di determinazione della retribuzione sufficiente, può tuttavia aiutare ad individuare, sotto questo profilo, una soglia minima invalicabile. Esso non è di per sé indicativo del raggiungimento del livello del salario minimo costituzionale che, come già rilevato, deve essere proiettato ad una vita libera e dignitosa e non solo non povera, dovendo altresì rispettare l'altro profilo della proporzionalità.

Stante la portata inderogabile del diritto alla giusta retribuzione, spetta al giudice di merito valutarne la conformità ai criteri di cui all’art. 36 della Costituzione. Il lavoratore è tenuto solo a dimostrare l’oggetto sul quale la valutazione del giudice deve avvenire: le prestazioni lavorative e l’allegazione di criteri di raffronto.

Nella variegata casistica giurisprudenziale si registrano, alla luce dei fatti concreti, per la determinazione di una retribuzione proporzionata e sufficiente, frequenti deviazioni dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, essendo sempre stato inteso, quello del riferimento alle clausole salariali dei contratti collettivi post-corporativi di categoria, come una facoltà piuttosto che un obbligo inderogabile per il giudice di merito, fatto salvo l'onere della motivazione conforme (Cass. n. 5519/2004).

Si è infatti affermato che il giudice:

  1. può individuare d'ufficio (Cass. n. 7528 del 29/03/2010 e n. 1393 del 18/02/1985) un trattamento contrattuale collettivo corrispondente alla attività prestata (in difformità dalla domanda) desumendo criteri parametrici utilizzabili al fine di determinare, anche mediante consulenza tecnica d'ufficio, la retribuzione rispondente ai criteri imperativamente stabiliti dal precetto costituzionale, domandata in linea subordinata, non essendo in tale ipotesi configurabile alcuna violazione né dell'articolo 112 c.p.c. (corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato) né dell'articolo 420 c.p.c., comma 1, u.p. (in tema di possibilità di modificazione di domande, eccezioni o conclusioni) e del successivo articolo 421 (poteri istruttori del giudice);
  2. quando escluda l'applicabilità alla fattispecie del contratto collettivo invocato (di cui la controparte ha contestato l'applicabilita'), può tuttavia desumere d'ufficio (Cass. n. 12271 del 10/06/2005) dallo stesso contratto i criteri utilizzabili al fine di determinare – anche mediante consulenza tecnica d'ufficio – la retribuzione rispondente al precetto costituzionale, domandata in via subordinata, senza che sia configurabile la violazione dei principi in materia di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (articolo 112 c.p.c.) e di possibilità di modifica della domanda, in riferimento ai poteri istruttori del giudice;
  3. può giudicare un contratto collettivo pur corrispondente all'attività svolta dal datore non applicabile nella disciplina del rapporto ex articolo 2070 c.c., e tuttavia utilizzarlo ai fini della giusta determinazione del salario deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato (sentenza Cass. n. 7157 /2003, Sezioni unite n. 2665/1997);
  4. fatte salve contrarie disposizioni normative (per es. ai fini del c.d. minimale contributivo), il giudice è libero di selezionare il contratto collettivo parametro a prescindere dal requisito di rappresentatività riferito ai sindacati stipulanti (Cass. nn. 19284/2017, 2758/2006, 18761/2005, e n. 14129/2004).


Inoltre, il giudice può motivatamente utilizzare parametri anche differenti da quelli contrattuali e “fondare la pronuncia, anziché su tali parametri, sulla natura e sulle caratteristiche della concreta attività svolta, su nozioni di comune esperienza e, in difetto di utili elementi, anche su criteri equitativi” (Cass. nn. 19467/2007, 1987/2791, 1985/2193 e 24449/2016) – cfr. sentenza n. 27711/2023 C. Cassazione e anche la più recente sentenza n. 28323/2023 C. Cassazione del 10/10/2023.

De Filippis 60 3Chiaramente come autorevole dottrina fa notare (cfr. Prof.Avv. Antonio Vallebona) nelle situazioni descritte ci sono anche gli estremi per l’accertamento del reato di sfruttamento del lavoro per una retribuzione sproporzionata, ai sensi dell’articolo 603 bis del codice penale vigente.

In Italia, tuttora, non esiste una legge sul salario minimo a differenza di molti paesi europei; c’è ancora l’erronea convinzione che fissare il salario minimo per legge possa creare rigidità nel mercato del lavoro finendo per paralizzarlo. Una tesi di “chiusura” che non trova il consenso della scrivente per molte ragioni. Innanzitutto, la terminologia è già molto chiara e lapalissiana: si andrebbe a fissare il “minimo” salariale al di sotto del quale nessuna retribuzione dovrebbe né potrebbe più scendere, lasciando poi al libero naturale “movimento di mercato” ogni manovra migliorativa.

E alla luce di questo bisogna anche dire che nessuna operazione politica-finanziaria potrà far risalire i livelli del PIL e dell’economia italiana se i lavoratori pur lavorando restano poveri; i consumi familiari crollano, l’inflazione è alle stelle, non servono interventi random non inseriti in un grande piano di riforme sociali ed economiche che partano dal LAVORO e dalla sua centralità in una società mediamente evoluta.

Se lavorando si è poveri, se lavorando ci si ammala, se lavorando non si può accedere a trattamenti sanitari adeguati e sicuri, ecco il lavoro non è più matrice di dignità, ma solo di malessere e di frustrazione in una società sempre meno inclusiva e sempre più classista. La Costituzione italiana ha voluto accogliere la nozione umana della giusta retribuzione e non la nozione prettamente commerciale di essa come prezzo di mercato. Siano, dunque, queste sentenze storiche il punto di partenza da cui riavvolgere il nastro e riprendere con responsabilità le redini di un discorso abbandonato da troppo tempo. Quadrato Rosso

[*] Consulente del lavoro, svolge altresì attività legale in collaborazione con l’Avv. Prof. Fabrizio Proietti e con l’Avv. Luca Parisella www.sibillaconsulting.com. Docente in prestazione occasionale Università Sapienza. Vincitrice Premio Massimo D’Antona 2013.

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