Anno XII - n° 61

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Gennaio/Febbraio 2024

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Anno XII - n° 61

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Punto e a capo


di Fabrizio Di Lalla [*]

Fabrizio Di Lalla 30 31

Il dato sull’aumento dell’occupazione, in gran parte a tempo indeterminato, preso come valore in sé è un elemento che giustifica la soddisfazione del governo, ma se lo si colloca in un contesto più ampio diventa il terminale di una patologia insita nel mercato del lavoro del nostro Paese e presente almeno da un quarto di secolo. Elemento questo che ha rallentato la sua crescita economica con un ritmo inferiore a quello degli stati più sviluppati dell’occidente.

Di Lalla 61 1A un primo sguardo superficiale, dunque, il trend positivo dell’occupazione sembra una contraddizione rispetto a un basso tasso di produttività ma confrontandolo con l’andamento del mercato del lavoro dell’ultimo periodo si rileva, invece, una forte correlazione, perché l’insieme delle assunzioni rappresenta solo la metà delle richieste aziendali come ha rilevato Nicola Saldutti nel suo articolo La verità sui numeri del lavoro apparso sul Corriere della Sera del 31 gennaio scorso. In altri termini l’incontro tra domanda e offerta di manodopera si realizza solo in parte e ciò dipende dal fatto che tante professionalità necessarie non si trovano sul mercato.

Le responsabilità di questo squilibrio vanno equamente distribuite alla pubblica istruzione e alle strutture che governano le politiche attive del lavoro.

Innanzi tutto, la scuola, nei suoi ordini e gradi, da quella d’obbligo all’università. L’inadeguatezza dell’insegnamento di fronte alla straordinaria rivoluzione dell’ultimo ventennio in una serie di settori legati all’informatica e all’intelligenza artificiale che richiedono lavori complessi e nuove professioni, è sotto gli occhi di tutti. Essa, infatti, è ancora in gran parte ancorata, salvo poche lodevoli eccezioni, a una formazione che andava bene in altri tempi, mentre non è stata adeguata tempestivamente alla nuova realtà. Tanti ragazzi, al termine degli studi sono pieni di nozioni che nella realtà lavorativa non servono a nulla.

Grave responsabilità compete anche agli organismi pubblici che presiedono e gestiscono le politiche attive del lavoro. Innanzi tutto, il Ministero del Lavoro cui compete il controllo sugli enti nazionali di formazione professionale e ha, inoltre, la funzione di coordinarne le politiche e le azioni rivolte all’integrazione dei sistemi formativi. Nonostante abbia messo in atto diversi meccanismi per definire i percorsi necessari per formazione e riqualificazione professionale efficaci, come il recente Sistema informatico per l’inclusione sociale e lavorativa, una soluzione accettabile sembra ancora lontana dall’essere trovata.

Quanto alle autonomie locali, esse sono da tempo fuori mercato sia per quel che riguarda l’avviamento al lavoro sia per la formazione praticamente inesistente, anzi inutile, rispetto alle attuali esigenze e i corsi effettuati sotto il loro patrocinio non hanno nulla di diverso da una farsa. Diversi anni fa mi sono trovato per caso ad assistere al colloquio finale il cui superamento consentiva l’acquisizione di un diploma professionale. Domande e risposte potevano far parte di uno spettacolo della commedia dell’arte ma non avevano nulla a che vedere con l’acquisizione di una professionalità utile al lavoro. E nulla da allora è cambiato.

Di Lalla 61 2Naturalmente gli elementi fondamentali per far si che ci sia equilibrio tra domanda e offerta di manodopera sono un osservatorio efficiente in grado di monitorare con tempestività e accuratezza quantità e professionalità richieste e strumenti di formazione adeguati. Se fino a qualche decennio fa le carenze del sistema formativo erano meno evidenti in un sistema basato su professionalità non eccessivamente sofisticate e acquisibili anche con un tirocinio aziendale, oggi rappresentano un ostacolo insuperabile per i nuovi, complessi mestieri. Per questo il processo formativo va ripensato da capo, abbandonando le vecchie e obsolete modalità. Bisogna, in altri termini ripartire da zero.

Purtroppo, è incredibile che le classi dirigenti non abbiano mai dedicato e soprattutto non rivolgano nel nostro tempo l’interesse necessario a un elemento così importante per il progresso economico del Paese che significa, poi, sviluppo in tutti i suoi aspetti. In particolare, il sindacato, a ogni livello, da quello confederale all’aziendale, dovrebbe inserirlo nell’agenda delle sue rivendicazioni più rilevanti come sta facendo, per esempio, col tema della sicurezza sul lavoro per una serie di motivi. Una buona formazione, tra l’altro, sarebbe un utile strumento contro la disoccupazione, in grado di portarla a livelli fisiologici e darebbe ai lavoratori un maggiore potere contrattuale. Quadrato Rosso

[*] Giornalista e scrittore. Consigliere della Fondazione Prof. Massimo D’Antona

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