Anno XII - n° 61

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Gennaio/Febbraio 2024

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Anno XII - n° 61

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Verso la digitalizzazione
della PA


di Ida Giannetti [*]

Ida Giannetti 57

Giannetti 61 1A partire dagli anni Novanta gli ambiti del diritto cd. “classici” quali ad esempio, il diritto amministrativo, sono stati interessati dall’Informatica giuridica e proprio in questo settore disciplinare giuridico, le amministrazioni pubbliche iniziano a dotarsi delle tecnologie informatiche, definite ora come TIC[1] o con l’acronimo inglese ICT[2], perché riconoscono i vantaggi derivanti dall’automazione e le useranno nel proprio agire per raggiungere l’interesse pubblico. Il fenomeno nel tempo è stato anche appellato come e-Government, ovvero “governo elettronico” definito come «l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, coniugato a modifiche organizzative e all’acquisizione di nuove competenze al fine di migliorare i servizi pubblici e i processi democratici e di rafforzare il sostegno alle politiche pubbliche» [3]

L’e-Government costituiva, inoltre, uno degli elementi essenziali della strategia europea e-Europe 2002, e consisteva nel convertire in forma elettronica l’attività della pubblica amministrazione fino a quel momento svolta, in modo tradizionale, su carta, al fine di migliorare l’erogazione della prestazione di servizi a vantaggio dei cittadini. 

Il nostro Paese è stato quello che per primo ha legiferato in materia di informatizzazione della pubblica amministrazione, infatti con la l. del 1992 n. 421 rubricata “delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”, le Camere delegarono l’Esecutivo a regolamentare l’informatica pubblica con la previsione di un organismo preposto alla pianificazione e al coordinamento della materia, fu istituita un’apposita autorità, l’AIPA[4] e dall’altro lato, la legge ha regolamentato precise tematiche[5] tra cui di rilievo il documento amministrativo informativo.

Tanta strada poi è stata fatta da quando, con il d.lgs. 2005 n. 82, viene emanato, nel nostro Paese, il Codice dell’Amministrazione Digitale, con l’acronimo italiano di CAD, entrato in vigore il 1° gennaio 2006, esso costituisce il cuore della normativa primaria in materia di digitalizzazione[6].

Alla versione attuale del codice si è giunti dopo ben trentotto interventi normativi correttivi, il primo avvenuto con il d.lgs. 4 aprile 2006 n. 159 sino alla conversione del d. l. semplificazioni nella legge dell’11/09/2020 n. 120[7]. Ebbene, quest’ultimo provvedimento legislativo, emanato in pieno periodo pandemico, il cui Titolo III recante “Misure di semplificazione per il sostegno e la diffusione dell’amministrazione digitale” dà nuova linfa alla Digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. 

Giannetti 61 4Tra le novità più rilevanti si annoverano le novelle al CAD; le modifiche al d. l. 18/10/2012 in materia di domicilio digitale [8]; e ancora, il decreto prevede, l’accesso a tutti i servizi digitali della PA, tramite SPID[9], carta d’identità digitale (CIE) e tramite AppIO su smartphone; introduce novità secondarie in tema di semplificazione nell’accesso ai servizi di pagamento elettronico dei titoli di viaggio dei comuni e degli enti locali[10]; introduce disposizioni dirette a favorire l’accesso delle persone con disabilità agli strumenti informatici; istituisce la piattaforma unica nazionale informatica di targhe associate a permessi di circolazione dei titolari di contrassegni e semplificazioni in materia di esportazioni di veicoli[11].

Successivamente, altre modifiche sono state apportate con il d. l. n. 36/2022 conv. in L. n. 79/2022 e d. l. 2023 (cd. decreto PNRR) conv. in L. n. 41/2023. È bene ricordare che il Governo presieduto da Mario Draghi ha ufficialmente presentato alla Commissione Europea, lo scorso 30 aprile 2023, il cd. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza[12], per fronteggiare la crisi pandemica; il 27% del PNRR, che prevede finanziamenti dell’UE al nostro Paese per un importo superiore ai 200 miliardi di euro, è destinato alla trasformazione digitale. L’Italia aveva accumulato considerevoli ritardi nell’adozione delle tecnologie digitali tanto nel sistema produttivo quanto nei servizi pubblici che si sommavano alle limitate competenze digitali dei cittadini. Non a caso molte risorse del PNRR sono destinate a colmare il cd. divario digitale o “digital divide” [13].


Sulla rilevanza del digitale nelle scienze sociali


Giannetti 61 3Divario digitale o “cd. digital divide” [14], espressione entrata a far parte del linguaggio comune, anzi negli ultimi anni è questo, un termine quasi abusato, e fa riferimento “alla distanza in atto tra le persone che usano le tecnologie dell’informazione e quelle che non lo fanno (o perché non le sanno usare o perché non possono)”. Esso connota, quindi, la distribuzione non uniforme delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nella società. 

Negli anni, il divario digitale ha assunto significati diversi. Con l’espressione più risalente di “digital divide” di primo livello, ad esempio, si sottolinea la disparità tra le persone che hanno accesso ad Internet e le persone che di tale accesso sono prive. Il legislatore italiano ha cercato di predisporre strumenti utili a superare questo divario con varie iniziative come ad es. investimenti sulla cd. banda larga.

Il PNRR intende proseguire perché tra gli interventi da finanziare ci sono le reti ultraveloci 5 GB. Ci si propone di portare tutto il Paese entro il 2026 ad una connessione di almeno 1 GB. In altri termini, il divario di primo livello riflette la dicotomia tra gli haves e i not haves; si deve ai contributi di autori stranieri risalenti agli inizi degli anni 2000, la constatazione che tale divario colpisce maggiormente le donne, coloro con basso reddito [15], e infine coloro con bassa istruzione [16]

Le diseguaglianze digitali, si sviluppano secondo questi modelli, seguendo un percorso definito e strutturato cioè, come si è visto, lo stato socio-economico e il capitale culturale, due variabili che, insieme all’età e al genere, influenzano il tipo di accesso ad Internet degli utenti. Man mano si è poi osservato che le barriere più difficili da abbattere non sono tanto l’accesso alle tecnologie bensì il loro utilizzo, perché le innovazioni tecnologiche dipendono dall’uso che di esse facciamo e dal modo in cui influiscono sulla vita delle persone.

L’accesso a internet non è sufficiente per fruire realmente delle nuove tecnologie così da mettersi al riparo da ogni forma di esclusione. E dunque il divario si è spostato a quello etichettato come “divario di secondo livello” [17] che attiene alle diverse abilità digitali cioè l’ampiezza e la profondità dell’esperienza digitale e colpisce maggiormente le donne, a tale scopo si noti che la preoccupazione per le differenze di genere nell’uso di PC e di Internet è crescente oltre ad essere una questione di difficile risoluzione; altra discriminante è poi l’età e infine, il titolo di studio posseduto. 

Il divario di secondo livello, in altri termini, fa riferimento alla “cd. alfabetizzazione informatica”, il PNRR mira al reclutamento di migliaia di giovani che aiuteranno circa un milione di utenti ad acquisire competenze digitali di base; creazione di un sistema di docenti e personale scolastico per la transizione al digitale; inoltre, le imprese che investiranno in formazione alla digitalizzazione e di sviluppo delle relative competenze si vedranno riconoscere dei crediti di imposta.

Giannetti 61 5Negli ultimi tempi a partire dal 2012 con Rables Morales & Torres Albero[18] si è poi incominciato a parlare di “divario digitale di terzo livello” che riguarda le lacune nella capacità degli individui di tradurre il proprio accesso ad Internet e il suo utilizzo in risultati favorevoli: non basta disporre di PC e reti veloci, non basta avere le competenze digitali di base ed avanzate, occorre invece saper usare le tecnologie al fine di trarne la massima utilità per raggiungere risultati altamente innovativi.

Ad es. in campo sanitario, l’obiettivo non è insegnare ad accendere il PC o a redigere la ricetta elettronica. I medici devono avere le competenze necessarie per adottare soluzioni di “intelligenza artificiale” [19] nell’assistenza sanitaria e nelle cure e capire se, ad esempio, la data analytics può aiutare nella scoperta della genesi di alcune malattie. Anche nel campo scolastico il problema non è quello di dotare le classi di tablet, o di lavagne elettroniche, quanto, piuttosto, creare nuovi contenuti di apprendimento che usino tutte le potenzialità dei nuovi mezzi. Per trasmettere le nuove competenze occorre prima acquisirle e poi saperle trasmetterle. In definitiva questo divario di terzo livello può essere superato facendo leva sull’approccio interdisciplinare.


Il nostro Paese e l’indice DESI


Ma vien da chiedersi: a che posto si colloca il nostro Paese rispetto al cd. Digital Economy and Society Index? Come è noto, l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società, introdotto dalla Commissione Europea nel 2014, fotografa anno dopo anno la posizione di ogni Paese rispetto alla media europea, ed è finalizzato a monitorare i progressi compiuti dagli Stati membri nel settore digitale. L’indice mostra, anche, per ciascuno degli indicatori presi a riferimento l’andamento anche rispetto al precedente anno. I nuovi indicatori sono stati strutturati prendendo a riferimento 4 settori:

  • Capitale umano e competenze digitali;
  • Infrastrutture e connettività;
  • Tecnologie digitali per il settore produttivo;
  • Servizi pubblici digitali.


L’Italia nel 2021 si colloca al ventesimo posto con punteggio pari al 45,5. È da considerare favorevolmente che l’Italia sia riuscita nel 2021 a scalare ben cinque posizioni, visto che nel 2020 occupava la venticinquesima posizione. Ciò significa che, nonostante gli sforzi, l’Italia continua a collocarsi al di sotto della media europea, pari a 50,7%, risultando avanti soltanto Cipro e Slovacchia, Ungheria, Polonia, Grecia, Bulgaria e Romania. Le cose cambiano in senso positivo nel 2022 poiché l’Italia riesca a collocarsi al diciottesimo posto; purtroppo, tuttavia, rimane indietro alla media europea che si aggira al 52,3%.


Conclusioni


Giannetti 61 2Da quanto fin qui analizzato si può definire la digitalizzazione della pubblica amministrazione come “quel processo con il quale l’amministrazione agisce, e si organizza per agire, con l’intento di esercitare funzioni amministrative e prestare servizi pubblici attraverso tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. 

Gli obiettivi che la PA si prefigge sono da un lato, concretizzare i principi “tradizionali” dell’amministrazione, ovvero quelli di buon andamento, di imparzialità, di efficacia, di efficienza ed economicità; dall’altro, attuare i principi dell’Open Government e cioè quello di trasparenza, di partecipazione e di collaborazione.

In conclusione, se le ICT possono essere utilizzate per migliorare qualcosa di già esistente e cioè migliorare e potenziare l’esercizio delle funzioni amministrative tradizionali, possono essere, altresì, utilizzate per creare qualcosa di nuovo e cioè funzioni amministrative native digitali. Quadrato Rosso


Note

[1] L’acronimo sta per Tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

[2] L’acronimo inglese, invece, sta per Information and Communication Technology. Per le ICT si osservi che, nonostante nel CAD in ben 16 articoli (tra quelli abrogati e quelli in vigore), contenga il riferimento alle TIC, all’interno dello stesso CAD non vi è alcuna definizione di cosa debba intendersi per tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

[3] In tal senso V. la Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Consiglio delle regioni del 26 settembre 2003, COM (2003), 567. L’e-Government costituiva uno degli elementi essenziali della strategia europea e-Europe 2002, e consisteva nel convertire in forma elettronica l’attività della pubblica amministrazione fino a quel momento svolta, in modo tradizionale, su carta, al fine di migliorare l’erogazione della prestazione di servizi amministrativi a vantaggio dei cittadini.

[4] È l’acronimo di Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione. Ebbene, questa Autorità è stata istituita con il D. Lgs. 39/’93, rubricato Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche, a norma dell’art.2, comma 1, lett. mm), della legge 23 ottobre 1992, n. 421. In argomento V. Angelini F., L’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione, in Amm. Cont. Stat Ent. Loc., 1997, 45 ss. Nel 2003 l’Aipa viene soppressa e viene creato il CNIPA, Centro nazionale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione, il quale successivamente diventerà DigitPA e, nel 2012, AGID, l’Agenzia per l’Italia digitale.

[5] In particolare, si confrontino le diverse tappe delle regolamentazioni: «nel 1994 l’informatizzazione penetra nelle procedure di emissione dei mandati di pagamento e di controllo della Corte dei Conti (d.p.r. 20 aprile 1994 n. 367); nel 1997 si ribadisce la validità giuridica degli atti pubblici e privati in forma elettronica (l. 15 marzo 1997 n. 59 cd. Bassanini 1) e si introduce con altro regolamento la crittografia asimmetrica (d.p.r. 1997 n. 513); nel 1998 sono emanati il regolamento dello sportello unico (d.p.r. 1998 n. 447) e il regolamento per la tenuta del protocollo amministrativo con procedura informatica (d.p.r. 1998 n. 428); nel 1999 sono adottate regole tecniche per la firma digitale da apporre sui documenti informatici, ed emanati un regolamento sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni (D.P.C. 8/2/1999 n. 70) ed una direttiva in materia di gestione informatica dei flussi documentali nelle pubbliche amministrazioni; nel 2000 è approvato un regolamento avente ad oggetto regole tecniche sul protocollo informatico previste dal dpr 20 ottobre 1998 n. 428. Nello stesso anno l’Aipa provvede all’emanazione di un insieme di regole tecniche in materia di formazione e conservazione di documenti informatici delle pubbliche amministrazioni e il Parlamento del t.u. sulla documentazione amministrativa (dpr. 28 dicembre 2000 n.445)».

[6] Ricordiamo che prima del CAD, l’Italia con la legge cd. Stanca (legge n. 4 del 2004), dal nome del ministro che la introduce, è stata prima fra i Paesi europei, a tutela dei cittadini che abbiano disabilità nell’uso dei servizi pubblici digitali. L’anno successivo (2005) nasce il CAD che nel 2010 (d.lgs. 235/2010) viene esteso anche alle società partecipate interamente da enti pubblici o con prevalente capitale pubblico.

[7] Correttivo saliente al CAD fu come già accennato in nota 1, il d.lgs. 235/2010 che ne modifica in primis l’ambito di applicazione estendendolo alle società partecipate interamente da enti pubblici o con prevalente capitale pubblico ed inserisce precise scadenze entro le quali la normativa tecnica, (regole tecniche, oggi linee guida) deve essere resa disponibile. Invero, secondo la visione dell’epoca, i ritardi accumulati nella digitalizzazione dell’amministrazione pubblica, rappresentano la conseguenza dell’indolenza del dipendente pubblico, bollato dalla pubblicistica, come «un fannullone».

[8] Obiettivo del legislatore è quello di sostituire il domicilio fisico di cui all’art.43 e ss. c.c. con uno spazio digitale attraverso il quale colloquiare con la PA, in modo più rapido ed economico, ma anche con i privati. Attualmente corrisponde con una Pec o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato.

[9] Può essere utilizzato solo per le persone fisiche e per le identità digitali per uso professionale non per le persone giuridiche. Ugualmente può essere utilizzato per tutti gli atti e i contratti per i quali non è obbligatorio l’utilizzo della sola firma digitale.

[10] Cfr. art. 24-bis L. 120/2020.

[11] Cfr. art. 29 della L. 120/2020.

[12] Il testo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilenza è consultabile sul sito istituzionale del Governo all’indirizzo https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR_0.pdf.

[13] Nonostante l’art. 21-bis della Cost. recita: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”.

[14] Il Digital Divide fu inizialmente coniato negli Stati Uniti, in alcuni studi che indicavano come il possesso di PC aumentasse il divario per alcuni gruppi etnici. Poi è entrato nell’uso comune, quando il Presidente americano Bill Clinton, durante un discorso tenuto nel 1996 sottolineò come la disparità di accesso ai servizi telematici regnasse tra la popolazione del Paese: tra chi ne ha accesso e chi ne è escluso in modo totale o parziale. I motivi di esclusione comprendono diverse variabili: condizioni economiche, livello di istruzione, differenza di età, appartenenza a diversi gruppi etnici, provenienza geografica.

[15] Cfr. Van Dijk J., (2005), “The deepening divide. Inequality in the Information Society, Sage, London”. L’autore sostiene che la posizione che una persona occupa nella società influisce sulle risorse materiali, sociali e culturali a disposizione e queste a loro volta condizionano i tempi e le modalità del processo di appropriazione tecnologica.

[16] V. Cotton S. R. & Jelenewicz S.M., (2006), “A disappearing digital among college students? Peeling away the layers of the digital divide,”  in “Social Science Review”, 24 (4).

[17] Si cfr. I contributi di Attewell P., (2001), “The first and Second Digital Divides”; nonché Hargittai E. e Walejko G., (2008), The partecipation divide: Content creation and sharing in the digital age - Information, Communication Research”.

[18] V. Robles JM e Torres Albero C., (2012), “Digital divide and the information and communication society in Spain”.

[19] “cd. AI” dagli inglesi.


[*] Dottoranda di ricerca presso Università Mercatorum di Roma. Cultore della materia in Economia Aziendale presso Università Parthenope di Napoli. Ispettore del Lavoro presso ITL di Napoli. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

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