Anno XIII - n° 68

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Marzo/Aprile 2025

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Lo stato del movimento sindacale


di Fabrizio di Lalla [*]

Fabrizio Di Lalla 30 31

Le recenti elezioni dei rappresentanti sindacali nei posti di lavoro del pubblico impiego mi offrono l’occasione per valutare l’attuale stato di salute del movimento e un confronto con la forza manifestata fino alla conclusione del secolo scorso. Ciò perché l’efficacia della sua azione rappresenta un fattore importante per la fisiologia di un sistema democratico.

Tornando all’evento elettorale, la partecipazione dei lavoratori non eccezionale ma neanche modesta indica che nel settore la sua azione ha una certa vivacità. Se a ciò si aggiunge che il numero degli iscritti non è lontano dalla metà dei dipendenti nel loro complesso e che a livello confederale tutte le organizzazioni hanno visto aumentare il numero delle adesioni dovrei concludere con una nota di ottimismo; che tutto va bene. Eppure dietro questi numeri e risultati c’è aria di crisi profonda. Una buona parte degli iscritti, infatti, appartiene alla categoria dei pensionati che pur meritando tutto il mio rispetto non rappresentano più una forza attiva sui posti di lavoro dove il sindacato ha la sua ragion d’essere e dove ha tratto nel corso della sua storia forza e potere contrattuale.

In quei luoghi negli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso aveva un seguito imponente, determinante per raggiungere importanti traguardi. Intanto salari più dignitosi dopo un ventennio di sfruttamento selvaggio da parte di aziende che accumularono guadagni incredibili perché riuscivano a vendere i propri prodotti, grazie a retribuzioni di fame, a prezzi più che concorrenziali ovunque nel mondo. L’Italia nel commercio internazionale si comportava come la Cina degli ultimi vent’anni, naturalmente su scala minore.

Oltre all’adeguamento retributivo il potere contrattuale del sindacato riuscì a ottenere una legislazione di tutela incredibile che culminò nell’approvazione nel maggio del 1970 dello Statuto dei lavoratori. Tale norma, infatti, non piovve dal cielo, né fu un gentile dono della politica perché soprattutto in questo campo nessuno regala niente. Fu invece il risultato di una lotta dura e lunga, avversata da gente potente come i datori di lavoro e i loro rappresentanti politici, portata avanti dal sindacato in piena unità, con la mobilitazione totalitaria dei lavoratori e col favore di gran parte dell’opinione pubblica. Chi scrive ha vissuto quel periodo difficile e nello stesso tempo esaltante nelle piazze, nei cortei, nelle delegazioni per mantenere vigile e attiva la parte politica che condivideva tali battaglie.

Purtroppo quello è stato il punto più alto della rappresentatività sindacale, poi lentamente la parabola è andata in discesa per una serie di motivi. Innanzi tutto le trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro che hanno visto il settore dei servizi superare di molto quello industriale; la conseguente parcellizzazione aziendale basata su poche unità lavorative dove il sindacato, con l’attuale modello organizzativo, incide poco; il progresso tecnologico avvenuto con una progressione geometrica; l’incapacità del sindacato di inserirsi in questo nuovo quadro lavorativo e l’eccessiva burocratizzazione dello stesso, un'arma micidiale che ostacola la partecipazione.

Da tempo, dunque, a far data, in modo particolare, dall’ultimo decennio, le forze politiche e gli esecutivi che si sono succeduti nel tempo hanno guardato, chi più, chi meno, con fastidio gli organismi di rappresentanza e mostrato la tendenza a bypassarli senza incontrare una resistenza efficace per la loro intrinseca debolezza.

Un esempio della diminuita forza l’abbiamo avuto negli ultimi tempi con il fallimento degli sforzi tesi a realizzare la norma sul salario minimo, di grande importanza per una serie di lavoratori marginali; un altro ancora più grave è quello della rottura dell’unità sindacale che ha portato a posizioni contrapposte nella trattativa per il rinnovo del contratto del comparto delle amministrazioni centrali con grande disorientamento dei lavoratori. Tale modesta incisività non è attenuata neanche dalle strutture collaterali come i centri di assistenza fiscale e i patronati.

L’attuale inefficacia del movimento sindacale rappresenta un vulnus preoccupante per il nostro sistema democratico, accresciuto dall’irrilevanza in cui si trovano molte altre strutture intermedie, perché esse rappresentano l’anello di congiunzione tra le aspirazioni e gli interessi del singolo e l’azione di governo. Infatti, una democrazia con organismi di rappresentanza deboli versa in una situazione di pesante e pericolosa involuzione.
È necessario, quindi, che il sindacato, sia per il bene dei lavoratori che per la nostra democrazia crei le premesse di un adeguato modello organizzativo e un progetto che coinvolga una platea più vasta di lavoratori per estendere di nuovo il consenso; elimini, inoltre, laddove si è incuneata, la cultura burocratica che rischia di soffocarlo. Quadrato Rosso

[*] Giornalista e scrittore. Consigliere della Fondazione Prof. Massimo D’Antona E.T.S.


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